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Nella filosofía política moderna, i due autori nelle cuí opere il concetto di dispotismo ha avuto una funzíone píú significativa per la defínízíone delle forme di stato e di governo sono statí Bodin e Montesquieu. Bodin seguíva da presso la nozíone aristotélica di panbasileia, pur aggiungendovi le proprie osservazíoni e le proprie letture su realtá a luí contemporanee,2 perché i due fondamentali presuppostí antichí per una defínízione del dispotismo erano ancora utilízzabílí alia fíne del A 00. Mentre "tiranníde" era e restava un concetto vincolante e abbastanza preciso, giacché, per Aristótele, i tíranni governano su «popoli scontentí del loro potere»,3 "dispotismo" aveva un senso prevalentemente descrittívo e sociológico: un senso basato sulla convinzione che i popoli "barbari" fossero per natura píú dispostí alla servítú, e che i regímí díspotící fossero generalmente collocati geográficamente nella fascia climática calda, e soprattutto nell'area asíatica. Ne discendevano, per il dispotismo, due corollarí: la legíttímitá della relativa forma di governo, giacché essa non faceva che ríspondere a delle condízíoní oggettíve e naturali per una parte delfumanita, ma anche il fatto di non essere né auspícabíle né applícabíle aglí statí europeí, collocati nella fascia temperata. Di qui la tendenza bodíníana a ríbadíre una netta distínzíone tra dispotismo e monarchía occidentale (monarchía royale, contro monarchía díspotíca e monarchía tíranníca).4
Montesquieu avrebbe accolto sía la teoria che collocava il dispotismo nella fascia climática calda,5 sía la destínazione geográfica orientale. Cítava una quantité di relazioni settecentesche che la confermavano, pur avendo ín mente principalmente il modello che si conosceva meglío, l'ímpero turco.6 Dal punto di vísta teórico, tuttavia, il dispotismo era destinato a diventare, in Montesquieu, non più una variante della forma di governo monarchica, ma una vera e propria antitesi rispetto aile forme di governo accettabili, repubbliche o monarchie. Avendo attribuito alla forma di governo dispotica la funzione di rappresentare il modello-limite negativo, tendeva ad assimilare tutti i regimi dispotici nella formula: principe assoluto ozioso e incapace - gran visir che di fatto governa - obbedienza senza limiti dei sudditi, fondata sulla paura.7
Tra la République e Y Esprit des lois il concetto di dispotismo era dunque scivolato sempre più verso la sistemazione, come categoria, nel polo irredimibile del negativo politico, al modo e al posto della tirannide. Tanto più singolare appare, quindi, il fatto che, nel pensiero dei libertini, il concetto di dispotismo subisca invece un vero e proprio rovesciamento assiologico. Hipótesi è che esso sia riconducibile all'azione corrosiva dello scetticismo politico, nella sua forma lógica di pensiero paradossale.
Un'idea paradossale è un'affermazione, vera o falsa che sia, che si pone in contrasto con la doxa, l'opinione comune. I libertins érudits sono stati pensatori paradossalí per eccellenza, giacché al centro del loro progetto íntellettuale vi era appunto la presa di dístanza dall'opinione ricevuta per tradízione, autorità o senso comune. Ne vediamo già un esempio negli Essais di Montaigne, là dove sí trova la celebre affermazione che «chacun appelle barbarie ce qui n'est pas de son usage» (Des cannibales).8II relativismo culturale, esteso alla sfera política, non solo corrode quella dicotomía sulla quale sí reggeva l'idea di una diversité "naturale" di regimi polítíci, lascíando quello "díspotíco" ai popoli "barbar!", ma in effettí la capovolge. Montaigne completa il suo pensiero nel saggío De l'inequalité? anch'esso corrosivo del modello paradigmático di pensiero político, laddove ríduce a pura apparenza la superíorítá di príncípí e potentí, in realtà tutti ríconducíbilí alla comune natura umana, che sí gíudíca col metro del suo autentico valore. I libertini della prima metá del Seícento, il cuí debito íntellettuale neí confrontí di Montaigne e Charron è stato ben dímostrato da Anna Maria Battista,10 lavorano a loro volta per díssolvere la netta dístínzíone tra regimi dispotici ed altri che non lo sono, affermando alternativamente: o che tutti i regimi monarchicí sono in sostanza dispotici, o che i regimi considérât! dispotici sono in definitiva míglíorí di quellí non consíderatí tali.
La prima alternativa è accennata, sia pure in tono leggero, da La Mothe Le Vayer nel Dialogue traictant de la politique sceptiquement.n II Dialogue è un attac- co frontale alla scíenza política e una critica serrata alia teoría delle forme di stato. E, inoltre, il testo più chiaramente ispirato dallo stoicismo politico, suggerendo, senza neppure le eccezíoni di Lípsio, l'opportunità per il saggío di astenersí dalla vita política. Télamon dichiara di aver ben appreso da Orontes
Q'íl y a bien plus de solide entretien à contempler icy la société du Ciel et de la terre, qu'à considérer dans les cabinets statistes, les Interests qui lient ou séparent les Couronnes [...]. Que je préféré la solitude d'une campagne, le silence d'un bois, la veuë d'une montagne, l'obscurité d'un antre, et le murmure d'une fontaine, à toutes les dorures d'un Louvre, à toutes ses impertinentes cabales, à tous ses plus raffinez conseils.12
Nei Dialogues c'è anche una lunga consíderazíone sulla forma monarchica che esordísce cosí: «Les Rois n'entendent guère d'autre leçon, que celle qui leur apprend leur toute-puissance».13 Sin dall'infanzia sí ripete ai re che sono padroni della vita e deí béni dei loro suddítí, che possono fare dello stato quello che vogliono. Cosí tendono a diventare più assolutí che possono, sino a raggíungere «cette indépendante pambasileia des Grecs» (che corrisponde appunto, nel linguaggío di Arístotele, al dispotismo). Per La Mothe non c'è in realtà molta differenza tra i Persíaní di íerí (Serse) e i "Persian!" deí tempi moderní: Incas, Tartarí, Moscoviti, Turchi.14 Ma neppure tanta dífferenza con i monarchí ín genere: essí tendono ad accomodare la coscíenza ai propri interessí, dissímulano, mentono:
Pour la dissimulation, on l'a estimée une partie si essentielle pour bien regner, que nostre Louis onziesme, qui mit nos Rois hors de page, avoit tousjours ce quolibet en bouche, qui ne seit dissimulare nescit regnareP
Né migliori sono i re-filosofi:
.. .il y en a qui ont remarqué, qu'il n'y a point eu des plus injustes tyrans que ceux d'entre les sept sages de Grece qui ont commandé.16
Nel ben noto stile libertino che trascorre di cítazíone ín cítazione, annullando il tempo che divide l'oggí dall'antichità, e lo spazio che separa l'Europa dagli altri continenti, La Mothe annulla anche le differenze: tra i re dei Mamelucchí e i tíranní di Atene, tra Montezuma e Carlo V, tra i buoní monarchí, che sí contano sulle dita di una mano (Augusto, Traíano, Luigi XIII),1/ e tutti glí altri, i qualí, ín pratíca (se possono farlo), governano ín maniera díspotica.
La seconda alternativa si ritrova, ínvece, già nell'Encomium Neronis di Girolamo Cardano, edito a Basílea nel 1562, ma ríedito ad Amsterdam nel 1640, in píeno clima libertino, e di nuovo nel primo tomo delle Opera omnia del 1663, che contiene anche una Vita Cardani di Gabriel Naudé.1* Non a caso Cardano píacque tanto ai libertíni francesí: L elogio di Nerone appartiene come genere alia scríttura paradossale, ne è, anzí, un esercízio esemplare da ogní punto di vísta. Si puô leggere Y Encomium come un testo che non dissimula affatto il suo sígnificato politico: un'antropología crudamente pessimistica; una sfiducia assoluta in tutte le forme di stato e di governo; un forte sentímento antí-ottimatizio, che, nella vita del Ducato milanese, dopo la definitiva sottomissíone alla Spagna, non poteva non avere un esplícíto senso antínobílíare e antífeudale; un elogio della tíranníde come única alternativa alla négativité delle relazioní umane, basate per natura sulla sopraffazíone e sulLegoísmo individuale. «La medítazíone política di Cardano - ha osservato Di Ríenzo - non ammette cosí nessuna ríforma, nessuna restauratio degli umaní reggímentí, ma lascia aperta la possibilité, sempre íncombente, di un'eversíone capace di travolgere la stabilité di ogni ordíne sociale e político».19
Tuttavía, cosí come le Considérations politiques sur les coups d'état del suo entusiasta ríscoprítore ed editore Gabriel Naudé, Y Encomium non si puô leggere senza il disagio che provoca, nello scrítto di genere paradossale, l'abolizione del limite. Nel caso di Cardano sí traita di una vera e propria índagine índízíaría sulle cause per cuí la storíografía antíca (Tácito, Svetonío, Cassío Díone) aveva fatto di Nerone la figura píú esecrabíle di ímperatore. Per Cardano, la ragíone principale rísíede nella malafede degli storící, favorevoli - specíalmente Tácito - al partíto senatorio e ottímatízío, e quíndi contrarí alia política fílopopolare di Nerone.20 Cardano non è pero convínto che possa esistere una storia vera, anzi rítíene che sarebbe meglío non scrívere per níente la storia. Che cosa si puô rícavare dal racconto degli storíci?
Nil nisi doli, rapínae, ínsídíae, fracta fides, saevítía, mortes egregíorum vírorum, bonorum oppressíones, depopulatíones agromrn, excídía urbíum, caedes promiscuae, míserorum graves servítutes, calumníae ín ínsontes, omníaque infinita cum ínfelící exítu: ut ñeque voluptatem capias, nec utílítatem ex ejusmodí lectione consequarís.21
Se tuttavía si scríve, continua Cardano, occorre non compíacersí deí vizí privad deí grandi, che non hanno nessuna rílevanza nella sfera política. Pero bísogna essere assolutamente minuziös! e precisi su quelli che invece ne hanno. Cosí scrivendo alla fine della sua requisitoria a favore di Nerone, dove ha utilizzato a sua difesa i vizi privati e pubblici delle sue vittime e di tutti i suoi accusatori, Cardano non fa che mostrare il proprio compiacimento e negare in superficie ció che nella sostanza egli stesso pensava. Per Cardano, infatti, le azioni umane nella storia discendono dal fato che indirizza o travolge l'intenzione individuale, che non è mai rivolta spontaneamente verso il bene collettivo, ma verso l'affermazione di sé. Non è possibile, quindi, applicare al passato un giudizio morale. Proprio gli storici e i moralisti che pretendono di farlo, sottoposti a loro volta alTindagine morale, rivelano i vizi più nefandi: Erodoto si coprí d'infamia; Sallustio distrusse la provincia della Numidia di cui era governatore; Tácito «virum fuisse ambitiosissimum, et optimatium factioni addictum, nemo est qui addubitet».22 Ma veniamo «ad illud sapientiae exemplum» di Cicerone: contro di lui, oltre l'ambizione di diventare console, che lo portó prima ad approvare l'uccisione di Cesare e poi a far la corte ad Ottaviano, v'è la malafede nel difendere tante cause ingiuste.23 Che dire poi del filosofo Seneca, «qui nihil recte dicere novit, aut facere. Barbariem intulit in scribendo: novus declamator, ac novus rhetor, philosophus perditissimus».24 Fu Seneca, tra l'altro, «mortalium improbissimus», a distogliere Nerone dallo studio della filosofía, per apparire ai suoi occhi più importante.25 Lo stesso procedimento indiziario, applicato da Cardano agli imperatori precedent! e successivi a Nerone,26 era destinato a far risaltare, se non la supériorité morale dell'ultimo imperatore della dinastia giulio-claudia, almeno una quantité di giustificazioni dei suoi atti più clamorosi: in un primo tempo la giovane été e la nefasta influenza della madre;27 poi la nécessité di combatiere l'arroganza e l'avidité del partito senatorio;28 infine la nécessité di salvare se stesso e lo stato dalle insidie familiari,29 sino al vero e proprio atto di tirannicidio compiuto facendo uccidere la madre. Non è bello, certo, far uccidere la propria madre, il fratello, la moglie, il pedagogo; incolpare i cristiani dell'incendio di Roma, ma, guardando bene ai fatti, nessuna di queste decision! era per Cardano priva di sostanziali giustificazioni: per i tempi, le circostanze e la qualité delle vittime, considerando anche che molti si erano fatti cristiani per il proprio tornaconto.30
Era un'eco del machiavelliano giudizio sulle azioni del Valentino, quando l'osservatore attento e privo di illusioni scrive che «raccolte io adunque tutte le azíoní del duca, non saprei Aprenderlo, anzi mí pare, come ho fatto, di preporlo imitabile» (II Principe, VII)? Oppure un deliberato esperimento di difesa ad oltranza, usando gli stilemi dell'oratoria forense in maniera paradossale?
Uguale ambigua procedura usa Naudé nelle Considérations a proposito della strage della notte di S. Bartolomeo, a suo parère giustificata, e fallita solo per non aver saputo andaré sino in fondo.31 Nel caso del Cardano, come in quello di Naudé, lo sprezzante giudizio sulla simulazione dei governi, che ammanta di giustizia gli atti più spregiudicati, non si combina affatto con una idealizzazione dei popoli scorticati dalle tasse e oppressi dai ricchi, né con una qualche nostalgia dell'umanistico "vivere civile". L'immersione nel liquido corrosivo del disinganno scettico non dissolve solo i governi, ma la natura umana. Cosí il dispotismo si affaccia gia in Cardano, se non come una nécessita, come un male minore. Nessuna forma di stato che si appoggi sugli ottimati è durevole,
At in Ottomanís, nondum bellum ab alíquo, qui aliena familia esset oríundus, exarsít. Itaque et diu illa manet, et formam justidae retínet. Dum enim favet potentibus, potentes autem varíantur juxta síngulos principes ut ex míserís fiant optimates: íta fit, ut lanx quasi aequetur: appellarique potíus posse fortuna quam iníuría.32
Infatti,
Turcarum poten tía stat ob revoluti onem: serví enim sunt omnes, necpotentia vel opes ad díscendentes perveníunt; ob it favere potentíoríbus aut tenuíoríbus pro eodern habentur.33
L'aperto elogio del dispotismo si ritrova, poi, nel secondo dei tre Discours sceptiques di Samuel Sorbiére (1656), pubblicati nei Mémoires di Michel de Marolles nel 1657 e ripubblicati nel 2002 a cura di Sophie Gouverneur presso Champion.34 E un testo anch'esso paradossale, tanto da indurre la sua interprete a chiedersi se 1'elogio provocatorio dei governi dispotici non celasse, in vece, proprio il suo contrario.35 Ricordiamo che Sorbiére fu il traduttore dell'Utopia di More come del De cive di Hobbes. E il dilemma che, di solito, si presenta a tutti gli storici del libertinismo, o comunque dello scetticismo politico: La Mothe non è forse un critico della monarchia, pur essendo destinato a diventare il precettore del Delfino? Naudé non tende, in definitiva, a svelare la vera natura del potere, proprio mentre funge da segretario al potente candidato francese alia tiara, cardinal Guidi di Bagno? Cyrano parteggia per la monarchia lunare o non piuttosto per la repubblica degli uccelli?
Sorbière non ha la stessa radicale durezza política di Cardano. Di lui i contemporaneí notarono soprattutto le oscíllazíoni politiche e religiose, soprattutto la scelta del 1653 di convertirsí al cattolicesímo, scelta sospettata di avéré più motivazioni pratiche e politiche che spirítuali.38 Considerato, oltre che il traduttore, un fautore di Hobbes nell'esaltazíone dell'assolutísmo, delTautore inglese non assorbî in realtà né il método, né il línguaggío scientifico. Il Discours sceptique à Ariste ha per sottotitolo: Si la malice des hommes, qui vient de la nature corrompue, n'est point augmentée en l'état de gouvernement moins absolu, par les défauts de la société. Tutta la prima parte consiste in una serie retorica di interrogatívi, mírantí a sottolineare che in ogní aspetto della vita le bestíe sono míglíori deglí uomíní. Ríconoscíamo, in questo, l'inversione montaígnana del rapporto cívílta/ barbarie, portata all'estremo. Per Sorbière la condanna dell'uomo sarebbe senza appello se, in natura, non esístesse anche la specie deglí uominí vivent! nella pura condízíone naturale: «En Occident, les Canadiens et les Brésiliens suivent les lois de la nature, cherchent chacun ce qu'il leur faut et font part du superflu à ceux qui n'ont pu aller quérir le nécéssaire, ou qui n'ont pas été assez heureux pour le
trouver____».37 In Oriente, d'altra parte, «l'Empire absolu fait presque le même
effet», o per lo meno sembra che i popoli vi vivano molto più felící che in Europa. Nell'Europa deí regímí "temperad" non c'è che guerra, miseria, sfruttamento da parte deí governi e ríbellíone da parte dei cíttadíni. I popoli non vivono né liberi né sottomessi. E un'umanità rustica e feroce, chíusa nelle città, in uno stato di scontentezza e di dísordine. Invece a Costantinopolí, ad Ispahan, ad Agra, la legge del principe è senza díscussíone: «tous les sujets s'estiment fort honorés du titre d'esclaves de leur roi et ne se dispensent jamais de son obéissance».38 Questa dípendenza assoluta non li rende più infelící, anzi assicura la convivenza civile, li protegge neí loro affarí privad, essendo tutti sotto la protezione del sovrano. Talvolta il fulmine cade sopra qualche disgrazíato, strangolato nel serraglío, o accecato da qualche altra parte. Ma che volete che sia il sacrificio di pochíssímí, di fronte ad un male più grande «qui est le trouble de l'état»?39
In quanto rovesciamento paradossale, quello di Sorbière ammette più uscite, la più owia essendo quella di una radicale esaltazione del dispotismo come regime auspicabile proprio per l'Europa deí regimí temperati. La seconda consiste nel rilanciare, attraverso il paradosso, l'ídea libertina della separazione tra liberta privata del saggio e stato assoluto. La terza uscita sí trova, invece, dal lato diametralmente opposto: la relazíone del 1660 sulle Province Unite contiene, infatti, un elogio incondízionato del regime repubblicano, dove eguaglianza, pacífica convivenza, sicurezza e benessere sono assícuratí dalla partecípazione di tutti alla vita pubblíca.40 Per Sorbière la società política umana si presenta in tre stadí: uno è il felice e perfetto stato di natura, cuí segue l'ínfelice e inquieto modo di vivere neí governi dell'Europa moderna, owero la servile, ma quieta eguaglíanza deglí ímperí assoluti. Dove si sitúa dunque il modello miglíore? Sorbière sí trincera díetro il proprio scettícismo, presentándolo come uno stato d'anímo soggettivo di effettiva íncertezza. Ma evidentemente pone fuorí díscussione solo l'ideale di vita alio stato di natura, quello deí "selvaggi" del Canada e del Brasile.
Bayle, che dello scettícismo programmatíco era un íntendítore ben più profondo di Sorbière, non si lasciô sfuggíre la provocazíone sorbieriana e il suo commento puô contribuiré ad ílluminare il sentíero volutamente confuso dello scettícismo político:
Il n'est point facile de deader quel étoít le but de Sorbière. Vouloít-íl faire comprendre aux censeurs du gouvernement absolu, qu'ils ont trop bonne opinion de leurs príncipes? Vouloít-íl montrer le triste sort de la condition humaine, qui ne peut sortir d'un mal que par un autre? Vouloít-íl marquer la source des malheurs à quoi la France avoit été exposée per la trop grande autorité des puissances inférieures qui désobeyssoient impunément à leur souverain? Vouloít-íl qu'on connût la foiblesse de la raison, et l'incertitude de nos connoissances, ou se divertir sur un paradoxe, pour satisfaire son inclination pour le Pyrrhonisme? Je croirais sans peine qu'il entrait un peu de tout cela dans son dessein ...4
Possíamo dívídere questa anatomía baylíana di un discorso scettico, non lontano dalle sue stesse inclinazioni, in due parti: nella prima sí decifra il contesto reale del paradosso. Bayle gíudíca che esso andava inquadrato probabilmente nella recente vicenda della Fronda e neglí awenímenti di Polonia. In entrambi i casi ci sí era trovatí dinanzi ad un potere debole, ínsídiato da fortí poterí intermedí. Nella seconda sí analizza la coerenza del modello teórico, e Bayle conclude che non díscende da una influenza di Hobbes, e neppure dalla lettura di relazioni dal Levante (Rícaut), giacché per Hobbes in línea di principio, e per glí osservatorí in línea di fatto, anche íl sistema del Gran Signore agísce attraverso la legge, legge religiosa se non altro.42 Il díscorso di Sorbière andava al di là delle testimonianze dísponibílí (superava dunque íl limite della verosímíglianza). Cosí facendo uscíva da una realística considerazíone delle contraddízíoní della política e della natura umana. Bayle sostiene che ci vorrebbe una perfetta corrispondenza e fíducía recíproca tra príncípí e popoli, ma che questo non è dato di trovare tra i discendentí di Adamo: forse tra i Preadamítí e nel mondo delle idee.43 Cosí come íl dispotismo è una tendenza di governo che ammette dei gradi, l'amore per la liberta è forte soprattutto «pour ceux qui ont éprouvé le joug de la servitude».44 In conclusione è ben difficile trovare il giusto mezzo nelle forme di governo miste. La politica umana consente, quindi, per Bayle, solo dei modelli relativi.
Un modello assoluto, invece, è fácilmente rovesciabile nel suo contrario. Mentre lo scetticismo sulla natura umana conduce a considerare inevitabili forme di governo autoritario o assolutistico, la sua variante paradossale rende possibile Pinversione. Forse Papologeta delPassolutismo dispotico non aveva ben deciso se preferiré, tra i testi da lui tradotti, Hobbes o More, lasciando intravedere, sotto Pelogio delPassoluto negativo, il profilo delPutopia.
Questa frequentazione del dispotismo intrisa di umori scettici, sempre condotta nello stile letterario del paradosso, era Pespressione di un clima di crisi e di erosione delle categorie politiche, senza ancora la forza intellettuale e l'intenzione di elabórame di nuove. Nel considerare quanto lo scetticismo politico seicentesco abbia potuto influiré sulla elaborazione del concetto di dispotismo in Montesquieu, dobbiamo limitarci a prendere atto che Puso libertino del dispotismo come categoria aveva contribuito ad indicarlo come strumento utile all'istituzione delle differenze, giacché Pelogio paradossale dei governi dispotici non faceva in definitiva che confermare la loro distanza dai regimi temperati europei, monarchici o repubblicani, come avrebbero dovuto essere, naturalmente a paito di interpretare quei testi come una voluta inversione assiologica. Nello scetticismo moderato di Bayle il concetto di dispotismo ammetteva dei gradi, essendo collocate, non nella sfera catégoriale, ma in quella della prassi. In Montesquieu, invece, la sottomissione servile che i libertin! fingevano di invidiare ai sudditi dei paesi dispotici per il beneficio della quiete (ma in cambio della liberta) rimaneva il connotato piú certo della differenza incolmabile tra una forma di governo monarchico ed una di governo dispotico.45 Salvo il caso di una corruzione del regime politico: ma solo «le principe du gouvernement despotique se corrompt sans cesse, parce qu'il est corrompu par sa nature».46
VlTTOR Ivo COMPARATO
1 Questa nota è la versíone ríveduta di una relazíone presentata alla IX gíornata Luigi Firpo (Torino, 27-28 settembre 2002) sul tema Tirannide e dispotismo nel dibattito politico tra Cinque e Seicento.
2 J. Bodin, Les six Uvres de la république (1576), Lyon, Du Puys, 1579, lív. II, ch. 2, pp. 188-194. Sul concetto di panbasileia cfr. P. CäRLIER, La notion de Pambasileia dans la pensée politique d'Aristote, in Aristote et Athènes-Aristoteles and Athens. Séminaire d'histoire ancienne de l'Université de Fribourg, Fribourg (Suisse) 23-25 mai 1991. Etudes rassemblées par M. Piérart, Paris, De Boccard, 1993, pp. 103-118.
3 Aristotele, Politica, III, 14,1285. D'altra parte nel De tyranno di Bartolo, fonte ben nota a Bodin, la casístíca deí comportamentí tírannící era stata accuratamente enunciata in termini gíurídící. Cfr. D. QuAGLIONI, Politica e diritto nel trecento italiano. Il De tyranno di Bartolo da Sassoferrato, 1314-1357. Con l'edizione critica dei trattati De guelphis et gebellinis, De regimine civitatis e De tyranno, Firenze, Olschki, 1983.
4 Sull'argomento del dispotismo in Bodin cfr. M. Isnardi Parente, Signoria e tirannide nella République di Jean Bodin, «Il pensíero político», XII, 1981, pp. 61-77, ora in: Dispotismo. Genesi e sviluppo di un concetto filosofico-politico, a cura di D. Felice, Napoli, Líguorí, 2001, vol. I, pp. 127144. Su dispotismo e tirannia in generale: M. TüRCHETTI, Tyrannie et despotisme de l'antiquité à nos jours, Paris, Presses Universitaires de France, 2001 (su Bodin, pp. 452-460).
5 D. Felice, Dispotismo e liberta nelíEsprit des lois di Montesquieu, in Dispotismo cit., vol. I, pp. 189-255.
6 Ivi, p.223.
7 Montesquieu, L'esprit des lois, in Oeuvres complètes, vol. II, Paris, Gallimard, Bibliothèque de la Pléiade, 1951, II, 5 e III. 9-10, pp. 255-256, 258-261.
8 Montaigne, Essais, in Oeuvres complètes, Paris, Gallimard, Bibliothèque de la Pléiade, 1962, 1,31, p. 203.
9 Ivi, 1,42, pp. 250-259.
10 A.M. BATTISTA, Alle origini del pensiero politico libertino. Montaigne e Charron, Milano, Gíuffré, 1996.
11 Dialogue traictant de la politique sceptiquement. Entre Telamon et Orón tes, in F. DE La Mothe Le Vayer, Dialogues faits à l'imitation des anciens (1632), Paris, Fayard, 1988, pp. 387-451.
12 ïvi, p. 441.
13 ivi, p. 416.
14 ivi, pp. 416-418.
15 ivi, p. 421.
16 ivi, p. 422.
17 ivi, p.433.
18 Her. Cardani Neronis Encomium, Amsterdam, Blaeu, 1640, ín-24°; Opera omnia Hieronimi Mediolanensis in decern tomos digesta cura CaroliSponi, Lyon, Huguetan, 1663. Una traduzíone italiana, a cura di P. Cígada, è dísponibile presso le edízíoní Claudio Gallone, Milano, 1998. Sulla filosofía del Cardano: A. Ingegno, Saggio sulla filosofía di Cardano, Firenze, 1980. Sul pensíero político espresso nel Neronis Encomium e ín altre opere del Cardano sí veda l'analísí di E. Di Renzo, Laquila e lo searabeo. Culture econflittinellaErancia delRinascimento edelBarocco, Roma, Bulzoní, 1988, capp. 2 e5.
19 E. Di Ríenzo, op. cit., p. 59. Vi sono, pero, in Cardano, anche obbíettíví díssímulatí, come la critica di Costantíno e l'ímplícíta apología di Gíulíano l'Apostata (ivi, pp. 56-58).
20 Neronis encomium, ed. di Amsterdam, 1640, p. 21: «erígere míseros, protegeré, allevare afflíctos» è íl compito che sí prefísse Nerone, calunníato da una turba alicata di speculatorí, storící, potentí (p. 26).
21 Ivi, p. 130.
22 Ivi, p. L32.
23 Ivi, pp 136-140.
24 Ivi, p. L43.
25 Ivi, pp 15-16.
26 Ivi, spec. pp. 118-120.
27 Ivi, pp 48-49.
28 Ivi, pp 46-47.
29 Ivi, pp 50-51.
30 Per Cardano Nerone è condannabile per aver accusato í cristiani, ma Svetonío lo loda proprio per questo, trattandosí per luí solo di una nuova superstízíone (p. 75).
31 G. Naudé, Considérations politiques sur les coups d'état (1639), Paris, Les Éditions de Paris, 1989, p. 122.
32 Neronis Encomium, ed. oit., p. 46.
33 Ivi, p. 26.
34 S. SORBIERE, Discours sceptiques, édition critique établie et présentée par S. Gouverneur, Paris, Champion, 2002.
35 S. Gouverneur, Essai sur la pensée politique de Sorbiere, in S. SORBIERE, Discours sceptiques cit., pp. 33 ss.
36 D. TARANTO, Potere e obbedienza. Antropología e dot trina dello stato nella filosofía política di Sorbière, «Filosofía política», I, 1987, pp. 354-355. Sul pensíero di Sorbière cfr., ínoltre, E. Di Renzo, L'aquila e lo scarabeo cít., pp. 179-188.
37 Discours, ed. cít., p. 85.
38 Ibidem.
39 Ivi, pp. 85-86.
40 Du gouvernement des Provinces-Unies, in Relations, lettres et discours de M. de Sorbière, sur diverses matières curieuses, París, R de Ninville, 1660. Per una decísa valorizzazione dell'elogio del repubblicanesimo in Sorbière cfr. S. Gouverneur, Essai cit., pp. 34 ss.
41 P. Bayle, Réponse aux questions d'un provincial, in OEuvres diverses, La Haye, Compagnie des Libraires, 1737, t. Ill, 2S partie, ch. LXV, «Du despotisme», p. 620.
42 Ivi, pp. 622-623.
43 Ivi, ch. LXVI, «Continuation du même sujet», p. 624.
44 ïvi, p. 626.
45 Montesquieu, il esprit des lois cít., Ill, 10, pp. 259-261.
46 ïvi, VIH, 10, p. 357.
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