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Al Professore Jan Ostrowski
Da più di cento anni la scena di Dosso Dossi ora al Wawel [Fig. 1] è oggetto di svariate discussioni iconografiche, ampiamente descritte nella letteratura1. I dubbi derivano dal fatto che non si conoscono né la fonte letteraria alla base dell'illustrazione, né eventuali indicazioni ricevute da parte della committenza, né documenti coevi di altro tipo che permettano oggi di far luce sul tema del dipinto. Il dibattito su questa iconografia atipica è stato inaugurato dalla suggestiva interpretazione di Julius von Schlosser: sulla base di quanto anticipato da autori seicenteschi quali Marco Boschini e Giustiniano Martinoni, lo studioso ritenne che l'invenzione si basasse sul racconto della Virtus di Leon Battista Alberti, fino al XVIII secolo attribuita a Luciano di Samosata2.
Alberti descrive come una svestita Virtù irata, in preda all'abbandono e alla disperazione, abbia tentato di essere ricevuta da Giove, venendo però fermata da Mercurio. «Nuda e sporca», lamentò che da un mese le divinità olimpiche non volessero ascoltarla, con sempre qualche scusa pronta per evitarlo: «Dicono infatti che gli dèi devono far fiorire a tempo le zucche o badare che le ali delle farfalle siano dipinte a meraviglia». E anche quando le zucche fiorirono e le farfalle volarono, gli dèi non ritornarono ai loro doveri3.
L'identità delle due divinità maschili anzidette non desta dubbi per la presenza in esse di attributi univoci dipinti da Dosso. È anche quasi certo che il quadro venne realizzato su commissione del principe di Ferrara Alfonso I d'Este, ivi ritratto nelle vesti di Giove4. Inoltre è del tutto condivisibile l'opinione della maggior parte degli studiosi che - su basi stilistiche - focalizzano una datazione verso il 15245. È tuttavia sorprendente che non si trovino spiegazioni al fatto che Giove dipinga le farfalle con la propria mano. Anche la fanciulla raffigurata nel dipinto sulla destra, con otto ghirlande di fiori e in una veste giallognola, non corrisponde alla narrazione albertiana. Quell'elegante personaggio non manifesta in alcun modo abbandono e disperazione, come esplicitamente indicato da una gestualità che senza alcun dubbio esprime altri concetti, diversamente dall'affresco di Battista Dossi nella Camera del Camin Nero nel Castello del Buonconsiglio a Trento, dove l'artista dipinse una personificazione seminuda con capelli sciolti [Fig. 2]6. Ciò basta a dimostrare che la scena...