Abstract: In contemporary culture, due to a loss of transcendence and the spread of the so-called 'Hume's law' (the famous is-ought problem), there is ever more propagation of the idea that morality cannot be deduced from 'on high' (metaphysics), nor from 'below' (empiric reality). The demarcation between good and bad, in other words, would be the outcome of a mere human convention. It is evident therefore that even the concept of 'dignity' appears like a type of empty and arbitrary intellectualization. Starting with Kant, in fact, the ancient invitation of the Stoics to act in conformity with the rationality-divinity of the cosmos and the successive foundation of morality based in a transcendent source were substituted with the imperative of 'autonomous' reason, of that reason which would participate, with its universal moral law, in the "kingdom of ends". The Kantian foundation of dignity, however, is very controversial in our days because the so-called 'autonomy' reveals itself as too subjective and weak, conditioned by the environment and social conventions; those who pay the consequences are the people who mostly need to be defended, the disinherited of history, that is, human beings without a face and voice.
Keywords: Kant, autonomy, reason, subjectivity, dignity, fragility
Immanuel Kant, il cui concetto di dignità sta alla base della stessa Dichiarazione universale dei diritti umani (1948)1, sembrerebbe il filosofo più adatto a parlare al cuore della contemporaneità di un aspetto che, almeno fino ai suoi tempi, è stato 'mal trattato': l'umanità dell'uomo. Nella visione kantiana, perô, l''umanità' (Menschheit) non è "un concetto biologico", un semplice fatto dell'esistenza umana, bensi uno etico, cioè una nozione che ingloba i "soggetti della ragione morale pratica" (LaVaque-Manty 2006, 724). In altre parole, l''umanità' indica uno standard di comportamento verso il quale idealmente devono tendere tutti gli individui umani concreti.
Il suo uomo (Mensch), infatti, è capace di agire moralmente non perché spinto dalla sua animalità, né perché glielo comanda Dio o perché costretto dalla coercizione del potere statale, ma perché è 'autonomo'. È in grado, cioè, di darsi una legge talmente azzeccata da poter essere osservata non solo da se stesso, ma 'umversalmente', vale a dire da tutti gli individui dotati della stessa capacità razionale e, perció, appartenenti al 'Regno dei fini' (Reich der Zwecke). Si capisce di colpo, peró, che la dignità kantiana, più che egualitaria, come spesso viene interpretata dai filosofi e dai politici, è un privilegio riservato solo ad un élite.
Non bisogna essere sorpresi, quindi, se la dignità è attribuita solo agli individui razionalmente autonomi. L'intento di Kant, d'altronde, non è quello di chiarire che cos'è la dignità (Würde), quanto piuttosto di ribadire che ad essere degna è la ragione (Vernunft) nella misura in cui è in grado di darsi una legge morale che possa valere per tutti gli individui aventi una capacità simile. La legge morale universale a cui accenna Kant non è assolutamente da confondere con la legge della natura, presente nel mondo minerale, vegetale, animale o nell''homo phenomenon' , ma si tratta di un salto verso una dimensione noumenica, a cui si puó accedere solamente se si hanno certe abilità mentali. Qualcuno potrebbe tentato a pensare che sia l'anima il miglior candidato per una tale missione. Non è il caso di Kant peró. Debitore a David Hume per essersi svegliato dal sonno dogmatico, egli non puó più guardare all'anima (Seele)2 con lo sguardo della metafísica tradizionale. Il massimo che si puó riconoscere è che essa indica una funzione unificante all'interno della ragione; soltanto quest'ultima, nella misura in cui è autonoma, puó avere un valore che supera ogni prezzo.
Né l'esistenza di Dio né quella dell'anima, secondo Kant, possono essere dimostrate. E poiché l'umanità non puó rinunciare alla moralità, bisogna vivere 'come se..postulando con la 'ragione pratica' ció che è impossibile provare con la 'ragione pura': "io crederó immancabilmente nell'esistenza di Dio e in una vita futura, e sono sicuro che niente puó far scuotere questa fede, poiché cosí sarebbero rovesciati i miei stessi principi morali, ai quali io non posso rinunciare senza essere ai miei propri occhi degno di disprezzo" (Kant 1971, 627).
Dal punto di vista di Kant, dunque, non è possibile accedere all'immortalità per via speculativa, ma la si puó solo postulare, poiché tra l'imperfezione del nostro 'homo phaenomenon' e la perfezione che caratterizza l'imperativo categorico c'è una distanza infinita che necessita un'eternità per essere colmata. Non bisogna perdere di vista, peró, che tanto la 'beata colpa' 3 (l'io fenomenico), quanto il 'redentore' (l'imperativo categorico), nella visione di Kant appartengono ad una sola dimensione, essendo i prodotti di una stessa mente, con una capacità di lettura a due livelli: uno empirico, grazie al quale considera le cose nella loro fenomenicità, ed uno noumenico, per mezzo del quale cerca di capire la cosa in sé. Tutto si svolge su un solo palcoscenico (la mente) e, vista l'impostazione immanente di Kant, abbiamo delle buone ragioni per credere che, non appena il cervello collassa irreversibilmente, finisce pure 'l'immortalità postulata'. Il compito di colmare l'infinita lacuna che esiste tra l''homo phaenomenon' e la perfezione insita nell'imperativo categorico passa, perció, all''umanità' quale specie, cioè, in termini aristotelici, viene assunto dall''intelletto attivo'.
Eppure, se fosse vero che Dio e l'immortalità dell'anima sono semplici costrutti della ragione pura, nulla ci impedisce di pensare che anche tale affermazione lo è, poiché deriva dalla stessa 'ragione pura', le cui speculazioni sono per definizione "finzioni prive di contenuto" (jujea 2001, 104), come, d'altronde, anche la legge morale della ragione, la cui presupposta autonomia non è altro che un trionfo sofistico.
Ad ogni modo, per Kant il ruolo centrale non è più occupato dalla verità metafísica, nel senso tradizionale del termine, né dalla natura nel suo aspetto empirico (fenomeno), ma dalla ragione autonoma che, a differenza dell''autarchia' stoica, poggia non tanto sulla conoscenza delle leggi della natura quanto piuttosto sulla paradossale libertà di darsi una legge vincolante, grazie alla quale acquisisce valore incondizionato o dignità (Shell 2009, 2-3):
L'uomo considerato nel sistema della natura (homo phaenomenon, animale razionale) è un essere di mediocre importanza e ha, come tutti gli altri animali che il suolo produce, un valore comune volgare (pretium vulgare). [...] Ma l'uomo considerato come persona, vale a dire come soggetto di una ragione morale pratica, è elevato al di sopra di ogni prezzo, perché come tale (homo noumenon) egli dev'essere riguardato non come un mezzo per raggiungere i fini degli altri e nemmeno i suoi propri, ma come un fine in sé; vale a dire egli possiede una dignità (un valore interiore assoluto), per mezzo della quale costringe al rispetto di se stesso tutte le altre creature ragionevoli del mondo, ed è questa dignità che gli permette di misurarsi con ognuna di loro e di stimarsi loro uguale (Kant 1970, 294).
Ció che balza subito agli occhi nel frammento appena citato è il cambio di prospettiva rispetto alla definizione aristotelica di uomo: l''animale razionale' non occupa più una posizione privilegiata all'interno del regno animale, ma "è un essere di mediocre importanza". Nonostante sia il più intraprendente tra gli animali, l''homo phaenomenon' è sempre un entità del regno animale, cioè è dotato di "un valore comune", forse inferiore all'uomo hobbesiano, che lo rende incapace di accedere al 'Regno dei fini'. Soltanto le 'persone' sono capaci di una tale rivoluzione.
A questo punto, peró, bisogna stabilire chi è una 'persona' nel senso kantiano del termine. L'uomo aristotelico, evidentemente, come pure la persona nel senso tomista del termine, non ne sono buoni candidati perché Kant sminuisce la cognizione bio-psicologica e mette tra parentesi l'immortalità dell'anima. Per Kant 'persona' è colui che "è soggetto di una ragione moralmente pratica". Cosa vuol dire ció? Per essere 'persone', cioè "al di sopra di qualunque prezzo", basta essere presenti a se stessi o bisogna essere anche moralmente autonomi?
Quando considera l'uomo dal punto di vista pragmatico, Kant pensa che sia sufficiente avere la nozione del proprio io (Kant 2006, 15), cioè essere coscienti dell'identità numerica del proprio io in vari momenti (Holzhey & Mudroch 2005, 207). Anzi, il filosofo si spinge sino ad ammettere che, se il suo cavallo fosse in grado di afferrare il pensiero del proprio io, lo si dovrebbe accettare nella società delle persone (Starke 1831, 9). Invece nelle opere in cui si concentra più sugli aspetti teoretici sembra che, per avere lo status di 'persona', bisogna essere capace di accedere ad un livello superiore, qualcosa come una mente noumenica, grazie alla quale si è in grado di teorizzare l'imperativo morale universale, valido per tutte le persone, fossero esse aliene o terrestri (Kant 2009). Nella visione di Kant, dunque, essere degni significa essere immuni alle leggi 'causa-effetto', cioè dotati di una 'ragione pura' (Reine Vernunft).
È diventato ormai un luogo comune per i giuristi e i bioeticisti citare, magari fuori dal contesto, una delle più famose frase kantiane: "Nel regno dei fini tutto ha un prezzo o una dignità. Ció che ha un prezzo puó essere sostituito con qualcos'altro come equivalente. Ció che invece non ha prezzo, e dunque non ammette alcun equivalente, ha una dignità" (Kant 2009, 103).
Qual è in realtà l'entità4 che, secondo Kant, merita un cosi alto rispetto da non poter essere venduta, né sostituita con qualcosa di equivalente? E perché? Kant, cominciando dal basso, ci spiega che le cose di cui quotidianamente ci serviamo (cibo, vestiti, ecc.), assieme alle abilità che ci permettono di dar forma a nuove cose, hanno un 'prezzo di mercato', vale a dire possono essere vendute o messe alla disposizione degli altri per ottenere dei soldi. Su questo punto Kant è d'accordo con Hobbes. L'abito da sposa della nonna, pero, non dovrebbe essere messo in vendita: ha un 'prezzo di affezione'. In ogni caso, sotto le due rubriche, poc'anzi menzionate, bisogna elencare solo ció che puó essere sostituito con qualcosa di equivalente. Cosi, qualcuno puó rinunciare al caffè per bere tè, puó offrire i suoi servizi ad un datore di lavoro più generoso, oppure puó regalare l'abito da sposa della nonna alla propria figlia. C'è, pero, qualcosa che non si puo comprare, né scambiare con qualcos'altro d'equivalente perché è 'fine in se stesso', ha un valore intrinseco, ossia la dignità. Quel 'qualcosa', infatti, non è semplicemente una cosa o un'abilità, ma 'qualcuno', perché si riferisce ad una determinata categoria d'entità razionali (persone). Secondo Kant non si tratta necessariamente di un essere umano. Potrebbe essere anche un alieno e, se fosse in grado di dimostrare i requisiti necessari, addirittura un cavallo. Bisogna passare un test peró: dopo aver dato prova di possedere la razionalità (mente empírica), per poter avvalersi dell'attributo di 'fine in sé' ed essere considerate degno, occorre dimostrare di essere in possesso di un'altra qualità indispensabile: la moralità. Scendendo nello specifico, possono godere dell'attributo della dignità solamente le entità capaci di moralità, cioè autonome.
Il naturalista Charles Darwin, seppure d'accordo con la famosa formula dell'umanità e con la definizione kantiana del dovere e, inoltre, concedendo che la coscienza sia l'elemento discriminante tra l'uomo e gli animali inferiori, si chiese quali fossero le radici di questa ultima. Dopo aver analizzato l'origine del senso morale in chiave naturalistica, trovó un fondamento che avrebbe fatto rabbrividire il filosofo di Könisberg. Alla solenne domanda: "Dovere! [...] D'onde la tua origine?", Darwin risponde: "mi sembra probabilissimo questo asserto, che ogni animale fornito di istinti sociali molto spiccati debba inevitabilmente acquistare un senso morale o coscienza, appena le sue facoltà intellettuali siansi sviluppate tanto o almeno approssimativamente quanto nell'uomo". Poi subito aggiunge: "[...] questi sentimenti e questi servigi non si estendono menomamente a tutti gli individui della medesima specie, ma solo a quelli della stessa associazione" (Darwin 1888, 57-58).
Darwin ci aiuta a capire che l''umanità' (Menschheit) a cui fa riferimento Kant non include necessariamente tutti gli individui della specie umana ('animale razionale'). Se prendiamo in considerazione per es. l'antropologia pragmatica kantiana5, risulta che il bambino, nel primo anno di vita, poiché non ha la coscienza del proprio io, non è persona, bensi solo un animale umano in transizione verso l'umanità (Kant 2006, 16). In questo caso l'embrione umano, i feti e tutti gli altri 'animali umani' che non hanno (più) la coscienza del proprio io non appartengono all''associazione' chiamata 'umanità' e senza questo biglietto da visita non possono godere della dignità riservata alle 'persone', ma dipendono dalla volontà degli altri.
Se torniamo a considerare la sua riflessione teorética, c'è di peggio. Per esempio, un bambino nato fuori del matrimonio non puó godere della protezione della legge e, quindi, la società puó ignorare il suo annientamento (Id. 1970, 170). La dignità (Würde), poiché non ha a che fare con la specie umana come tale, ma caratterizza soltanto l'essere razionale capace di moralità (Holzhey & Mudroch, 105), diventa un criterio discriminante, escludendo gli infanti, gli umani severamente menomati dal punto di vista intellettuale (Schroeder 2010, 119, 121) e, forse, perfino gli anziani (Moody 1998, 31; Dean 2006, 17). Sembra, peró, che nemmeno la capacità morale costituisca di per sé una condizione sufficiente per possedere la dignità ma, perché se ne possa parlare, bisogna vivere interiormente la legge morale, ossia avere una buona volontà (Dean 18, 24). In altre parole, se qualcuno fosse capace di seguire la legge morale, ma in realtà non la segue perché, per esempio, sta mentendo a se stesso o agli altri, "getta via e, per cosi dire, annichilisce la sua dignità umana" (Kant 1970, 228). Certamente, l'affermazione non vuole incoraggiare il disprezzo verso chi ha 'annichilito' la propria dignità ma, a questo punto, è molto dubbio persino se la dignità sia veramente inerente ad ogni persona razionale, senza più contare i numerosi esseri umani che, secondo la visione di Kant, essendo in cammino verso l''umanità' o avendola già persa, non sono persone e, quindi, non adempiono nemmeno la condizione minima per possedere dignità.
Susan Shell è del parere che il concetto kantiano di dignità umana sarebbe una specie di risposta alla cosificante definizione hobbesiana, la quale equivale il valore dell'uomo al suo 'prezzo', ossia al corrispettivo da pagare per l'utilizzo della sua forza (Shell 2008, 335). La seconda versione dell'imperativo categorico, infatti, espresso nella famosa formula dell'umanità, è molto tentante, sia nel campo legale sia in quello bioetico, e sembrerebbe gettare un po' di luce sull'attuale concetto di dignità: "agisci in modo da trattare l'umanità, cosi nella tua persona come nella persona di ogni altro, sempre insieme come fine, mai semplicemente come mezzo" (Kant 2009, 91).
Abbiamo visto, peró, che l''umanità' in Kant è tutt'altro che la somma degli individui viventi della specie 'homo sapiens'. L''umanità', in una prima accezione, si riferisce a quegli individui umani che hanno nelle loro rappresentazioni il pensiero del proprio io (soggettività). Abbiamo già fatto notare che una larga categoria di individui umani non sono in grado di ritrovarsi in questa definizione e, quindi, secondo Kant, mancherebbero di dignità. In una seconda accezione, invece - se non si vuole che l'intero edificio morale crolli su se stesso - tutti gli individui umani razionali (in possesso dell''umanità') dovrebbero accettare di andare oltre il livello soggettivo (coscienza di sé) verso il riconoscimento di una legge universalmente valida che possa garantire oggettività (riconoscimento) e protezione a tutti i soggetti autonomi e, perciô, automaticamente tesserati all'associazione 'Regno dei fini'. L'idea è geniale, ma fortemente selettiva poiché, per funzionare, deve per forza spingere verso l''umanità' solamente chi 'sta' al progetto, lasciando indietro gli incapaci ed i cattivi. Secondo Kant, quindi, la dignità non sta nella specie umana come tale, ma in quei membri della specie umana che aderiscono e condividono la 'legge morale della reciprocità' e del 'progresso' in vista di un''umanizzazione' mondiale6. Una tale visione è la miglior prova che, per quanto 'noumenale', la ragione non puô evitare le fauci del processo evolutivo, anzi - visto che per la contemporaneità il 'sommo bene' non sembra più radicato nell'aldilà o nella realtà empirica - ne è diventata una facile preda.
Kant, a nostro avviso, è figlio del suo tempo e, specialmente quando passa dalla filosofía trascendentale all'antropologia empirica, non è del tutto immune agli errori, appoggiando una nozione di 'dignità' troppo alta, esclusivista. È vero che un kantiano come Allen Wood, volendo attenuare gli effetti fatali di una tale dignità, ha ipotizzato l'inclusione degli individui umani (ipoteticamente) privi dello statuto di 'persone' in una categoría speciale, 'allargata', avente lo stesso status morale delle cosiddette 'persone in senso stretto'. Quest'autore, perô, suggerisce che a decidere i criteri di inclusione sotto l'ombrello di questa classe 'allargata' sarebbe, appunto, la comunità delle 'persone in senso stretto' (Wood 2008, 96-97). La dignità, dunque, non apparterebbe a tutti gli esseri umani, ma soltanto a quelli individui umani equiparati al 'genere' 'persona', in base a dei criteri arbitrariamente stabiliti dalle 'persone kantiane' ('persone in senso stretto'), il che ci dimostra che la dignità kantiana puó essere assai discriminante.
1Nel periodo in cui stava nascendo la famosa Dichiarazione, i delegati dei vari paesi, per superare l'impasse causato dalle divergenze religiose e metafisiche, scelsero come fondamento dei diritti dell'uomo la dignità, concetto kantianamente più neutro rispetto agli altri due proposti, Dio e la legge naturale (Pizzorni 2006, 478).
2Nella lingua tedesca termini come Seele, Gemüt e Geist generalmente indicano la realtà mentale o spirituale dell'uomo. Kant inizialmente adopera i tre termini in maniera quasi sinonimica, anche se Seele è quello che domina, essendo utilizzato sia nel contesto metafisico sia nelle discussioni incentrate su questioni cognitive. Nelle opere più mature, invece, si percepisce una certa distinzione, almeno per quanto riguarda i primi due termini, nel senso che Seele acquisisce una valenza più ontologica, mentre Gemüt appare più spesso nelle discussioni riguardanti questioni cognitive (Svare 2006, 14).
3L'espressione 'beata colpa' si ispira da un'omelia di sant'Agostino ed è tratta dalla liturgia della Chiesa Cattolica, più precisamente dall'Exultet o Preconio pasquale, tutt'ora cantato il Sabato Santo per la benedizione del cero pasquale: "O felix culpa, quae talem ac tantum meruit habere Redemptorem" ("Beata colpa, che meritó tale e cosí grande Redentore"). In tal modo la Chiesa arriva a definire 'beata' la colpa di Adamo, perché essa portó agli uomini il Redentore.
4Pur essendo vero che, per il nostro filosofo, la 'moralité' è ció che ha 'dignità' (Kant 2009, 103), non dobbiamo dimenticare che, sempre dal suo punto di vista, la 'moralité' non esisterebbe affatto se non ci fosse un essere razionale capace di essa: "tutti i concetti morali hanno la loro sede e origine interamente a priori nella ragione (...); in questa purezza della loro origine sta appunto la loro dignità" (Id., 53). In realtà, dunque, la dignità si addice a quest'essere dotato di razionalità nella misura in cui egli si rivela 'capace di moralità'.
5 Si tratta di un antropología che prende in considerazione non tanto la fisiología, quanto piuttosto gli aspetti psicologici e culturali della natura umana (Menschheit). La finalité è quella di sottolineare che "il progresso dell'umanità consiste principalmente nella trasformazione degli esseri che possiedono la capacité di ragionamento (animal rationabile) in esseri ragionevoli (animal rationale)" (Holzhey 6 Mudroch 2005, 45-46).
6 Purtroppo qualcuno si sbaglia nell'interpretare Kant: "Per dignità intrínseca, io intendo quel merito o valore che le persone hanno semplicemente perché sono umane, non in virtù della posizione sociale, capacità di farsi apprezzare, oppure particolari talenti, abilità o poteri. La dignità intrinseca è il valore che gli esseri umani hanno semplicemente in virtù del fatto che sono esseri umani. [...] La nozione di dignità di Kant è intrínseca" (Sulmasy 2008, 473).
REFERENCES:
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Dean, Richard (2006). The Value of Humanity in Kant's Moral Theory. New York: Oxford University Press.
Hobbes, Thomas (1955). Il Leviatano, vol. 1, trad. Roberto Giammarco. Torino: Unione Tipografico-Editrice Torinese.
Holzhey, Helmut and Vilem Mudroch (2005). Historical Dictionary of Kant and Kantianism. Lanham, MD, Toronto and Oxford: The Scarecrow Press.
Kant, Immanuel (1970). La metafísica dei costumi, trad. Giovanni Vidari. Bari: Laterza.
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Kant, Immanuel (2006). Anthropology from a Pragmatic Point of View, trans. Robert B. Louden. Cambridge: Cambridge University Press.
Kant, Immanuel (2009). Fondazione della metafisica dei costumi, trad. Francesco Gonnelli, 6a ed. Roma-Bari: Laterza.
LaVaque-Manty, Mika (2006). "Dueling for Equality: Masculine Honor and the Politics of Dignity". Political Theory, 34(6): 715-740.
Moody, Harry R. (1998). "Why Dignity in Old Age Matters?" In Robert Disch, Rose Dobrof and Harry R. Moody (eds), Dignity and Old Age, pp. 13-37. Binghamton (NY): The Haworth Press.
Pizzorni, Reginaldo (2006). Diritto, etica e religione. Il fondamento metafisico del diritto secondo San Tommaso d'Aquino. Bologna: Edizioni Studio Dominicano.
Schroeder, Doris (2010). "Dignity: One, Two, Three, Four, Five, Still Counting". Cambridge Quarterly of Healthcare Ethics, 19: 118-125.
Shell, Susan M. (2008). "Kant's Concept of Human Dignity as a Resource for Bioethics", in Human Dignity and Bioethics: Essays Commissioned by the President Council on Bioethics, pp. 333-349. Washington, DC.
Shell, Susan M. (2009). Kant and the Limits of Autonomy. Cambridge, MA, and London: Harvard University Press.
Starke, Friedrich Christian (1831). Immanuel Kants Menschenkunde oder philosophische Anthropologie. Leipzig.
Sulmasy, Daniel P. (2008). "Dignity and Bioethics: History, Theory, and Selected Applications", in Human Dignity and Bioethics: Essays Commissioned by the President Council on Bioethics, pp. 469-501. Washington, DC.
Svare, Helge (2006). Body and Practice in Kant. Dordrecht: Springer.
Jufea, Petre (2001). Omul. Tratat de antropologie creatina [Man: Treatise of Christian Anthropology], Iaçi: Timpul Publishing House.
Wood, Allen W. (2008). Kantian Ethics. Cambridge: Cambridge University Press.
ADRIAN MÄGDICI*
* Adrian Mägdici ( [¿il )
Faculty of Pastoral Theology, Franciscan Roman Catholic Theological Institute in Roman, Romania
e-mail: [email protected]
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