Key-words: mythoanalysis, game, centre, alchemy, gemstone
"Cos'altro è un prosatore e, soprattutto, lo scrittore di prosa fantástica, se non un «mitogono»?", si interroga Andrei Oiçteanu (2002: 14) nella sua prefazione a Cälätorii în lumea de dincolo di loan Petru Culianu - pionieristica rassegna di odeporica ultraterrena in cui "l'animazione di un teatro di dèi che impegna tutte le tradizioni religiose del pianeta" contribuisce a comporre "un mondo di mondi nell'iperspazio mentale" (Marchianó 2001: 389). Il principale pregio di originalità che deve riconoscersi a Cälätorii în lumea de dincolo è quello di aver ricondotto la creatività mitologica a processi cognitivi:
Il sistema di produzione mitica fa capo a un «programma» che attinge nella mente un'energia immaginale virtualmente infinita ma secondo un repertorio di combinazioni stabile e quantificabile (Marchianó 2001: 390).
I domini della mitologia e della religione - e non solo - si radicano, secondo Culianu, su sistemi computazionali, tutti parimenti dotati di un "set di regole" e di un "meccanismo generatore" (Gavrilutá 2000: 103; cf. Patapievici 2001: 445-447). Pertanto, le medesime dinamiche di poiesis che vigevano per l'uomo arcaico, inventore di quei "miti" erroneamente reputati i soli genuini, risultano valide anche per l'uomo moderno, instancabile fabbricatore di "nuovi miti" - tra i quali, i cosiddetti mythes du fantastique1 -, solo in apparenza reinventati o rielaborati a partire da presunti modelli preesistenti. Culianu insiste, persino, sull'indiscernibilità e l'inconsistenza del mito archetipico2:
Nella ricerca attuale, il mito è considerato una narrazione che si presenta in più varianti [...]. In realtà, esistono soltanto varianti, il mito è una non-entità [...]. Esso non è né la totalità delle sue varianti, né gli elementi che queste hanno in comune, né un racconto di base [...]. Il mito ha, su tutti i livelli, un'esistenza vaga, enigmatica (Culianu 2002: 249).
Se il prosatore fantastico puó identificarsi con un autentico fondatore di miti, con un mitopoeta, Culianu figura fuor di dubbio, con la sua narrativa, come la sua incarnazione emblematica: nei racconti fantastici che compongono Le Rouleau diaphane (Il rotolo diafano, 1989)3 si dischiudono al lettore straordinari scenari di viaggi in "mondi immaginari e multidimensional^', che "differiscono in morfologia e intensità" (Gavrilufâ 2000: 130), strutturalmente affatto diversi da quelli radunati dallo studioso in Cälätorii în lumea de dincolo.
Aver valorizzato le innovative prospettive tracciate dalla mythanalyse4 è tra i meriti da attribuire a Culianu. Il fine del presente lavoro è quello di sottoporre il suo stesso racconto Jocul de smarald (Il gioco dello smeraldo), in quanto opera di "mitogonia", a un'anatomica indagine di mitanalisi. Per legittimarne le linee ermeneutiche e le finalità ci si avvarrà delle premesse metodologiche formulate dallo storico delle religioni romeno:
L'esperimento consiste nella scoperta di miti latenti nel testo letterario. Ciô non significa che i miti sono «inventati» dallo sperimentatore, ma che si trovano li, nel testo, e attendono soltanto di essere scoperti. Più precisamente, l'esperimento propone una lettura del testo letterario contemplato come mito [...]. Il mitanalista è chiamato a riconoscere il tessuto mitico del testo (Culianu 2006b: 94).
1. Un "gioco della mente"
"Ciô che rispecchia il mito", sostiene Culianu, "non è che il gioco stesso della mente" (Culianu 2005: 130). Nelle sue suggestive costruzioni epistemologiche - che si traducono, al contempo, in originali assunti metaletterari - lo studioso romeno sottolinea spesso la natura ludico-inventiva dei sistemi religiosi:
Le religioni sono programmi mentali che derivano dall'impatto di un numero illimitato di fattori, interni e esterni, sulla mente umana [...] parliamoci chiaro, questo è un gioco [...] con una posta individualmente e collettivamente molto alta: il senso dell'esistenza umana e l'avvenire dell'umanità (Culianu, apud Marchianô 1991: 23).
Il termine "gioco" ricorre proprio nel titolo del sintetico ma pregnante racconto fantastico Jocul de smarald - tratto da Le Rouleau diaphane -, che rappresenta uno dei più affascinanti esiti letterari dell'eversiva epistemologia culianiana. "Cominciô tutto come un gioco" (Couliano 1989: 67)5 - esordisce il narratore di Jocul de smarald, accingendosi a riportare l'itinerario iniziatico di un'ignota visitatrice in un minuscolo frammento di smeraldo. Johan Huizinga, discutendo "la forte rassomiglianza tra forme rituali e forme ludiche" (Huizinga 1982: 25), osservava come la portata simbolica di "gioco" di cui si carica l'atto sacro - nella fattispecie, l'atto iniziatico - incide sull'eccezionalità dello spazio in cui questo si svolge:
Una delimitazione del luogo consacrato è [...] la primissima caratteristica di ogni azione sacra [...]. Quasi tutte le pratiche di consacrazione e d'inaugurazione vanno sino a creare artificiali posizioni d'isolamento e di privilegio per gli esecutori o per gli «iniziandi» [...]. Sacramento e mistero presuppongono un luogo sacro. Formalmente tale funzione di delimitazione è assolutamente una e identica per un fine sacro o per un puro gioco (Huizinga 1982: 25).
Quale luogo sacro per il suo racconto iniziatico, Culianu seleziona una pietra preziosa, oggetto minuscolo ma mirifico, in quanto capace di celare e svelare al tempo stesso una realtà altra (cf. Gavrilufä 2000: 129). Tale pietra preziosa è, nello specifico, uno smeraldo: il suo spazio intimo costituisce, di fatto, un'area delimitata e privilegiata, poiché vi si delinea un mondo parallelo, a sé, partorito dall'immaginazione mitopoietica culianiana - un mondo "al di là", ontologicamente e morfologicamente analogo alle dimensioni ultraterrene di cui l'autore romeno era cultore.
Nel raffinato saggio La mystique des pierres précieuses, Paul Claudel includeva lo smeraldo nella categoria, da lui favorita, delle "pietre preziose trasparenti", che "hanno un'anima", e che "si lasciano penetrare" (Claudel 1991: 28). Sulla scia claudeliana, Culianu ritrae lo smeraldo come "un pezzetto di traslucida pietra verde", che la visitatrice "guardava [...] cercando di penetrarla con lo sguardo" (Couliano 1989: 67)6. Ai primi tentativi di varcare il limen tra aldiquà e aldilà smeraldino, un timore insormontabile impedisce alla visitatrice di intraprendere il proprio cammino iniziatico, inducendola alla fuga verso il punto di partenza. Il terrore avvertito dinanzi la soglia di transizione verso l'interno della pietra coincide con un diffuso topos dell'odeporica oltremondana: "Le prove iniziatiche e le paure dell'anima al confine tra i mondi sono semplici creazioni della mente personale" (Gavrilufä 2000: 98). Una volta vinta la propria paura e conquistato l'accesso alla pietra verde, la visitatrice, destinata a ricevere la rivelazione del suo Mistero più intimo, raggiunge l'isolamento iniziatico, inquadrato da Huizinga come requisito dell'esperienza ludico-rituale. Mircea Eliade enfatizza l'essenzialità della paura ai fini del successo dell'iniziazione:
[La] terribile esperienza d'angoscia è indispensabile alla nascita di un uomo nuovo. Nessuna iniziazione è possibile senza un'agonia, una morte e una risurrezione rituali (Eliade 1990: 47).
In virtù dei molteplici meandri di "lunghi, misteriosi corridoi" (Culianu 1989: 67)7 che si presentano dinanzi la visitatrice, lo smeraldo è investito di proprietà mandaliche: si rivela, cosi, una imago mundi, un "Cosmo in miniatura" (Eliade 1966: 49). Eliade individua, quale meta ultima dell'accesso iniziatico al mandala, il raggiungimento del Centro:
Penetrando nel mandala, il novizio s'avvicina in qualche modo al «Centro del Mondo»: nel cuore stesso del mandala gli è possibile operare la rottura dei livelli e accedere a un modo d'essere trascendentale (Eliade 2002: 158).
2. Il cammino verso il Centro
Nel Centro, afferma Eliade, "il sacro si manifesta in modo totale, vuoi nella forma delle ierofanie elementari [...] vuoi nella forma più evoluta delle epifanie dirette degli dei" (Eliade 2004: 39). La pietra preziosa di Culianu rientra nella seconda casistica: il suo Centro sacro si manifesta sotto forma di una Dea suprema - la Dea dello smeraldo. Al momento-chiave del proprio viaggio iniziatico - verso la metà del racconto - la visitatrice sopraggiunge, verosimilmente, al centro dello smeraldo, dove, letteralmente, "scopre" la Dea.
Roger Caillois riferisce che, nell'Antichità classica, "certe pietre sono divine, immagini o abitacoli degli dèi" (Caillois 1998: 16). La Dea dello smeraldo, protagonista della mitopoiesi culianiana, risiede, al pari di talune divinità tradizionali - delle quali detiene lo stesso statuto di complessità - in una pietra:
In ogni pietra verde c'è una minuscola Dea che è allo stesso tempo la grande Dea di tutti gli smeraldi. Ad ogni modo, se tu sei nella pietra lei sembra sempre grande, sebbene non la si possa vedere perché non c'è nessuno da vedere e nulla da guardare. In qualche modo la Dea è là, oltre i confini dello smeraldo [...]. Non sapeva dire quello che era, men che meno che cosa o dove fosse la Dea (Couliano 1989: 68)8.
Da questo singolare ritratto dell'incontro mistico con la Dea trapela che questa potrebbe coincidere con l'intero corpo dello smeraldo, analogamente a come - rileva Eliade - Hermes in principio era soltanto "una teofania di pietra" (Eliade 2008a: 213) o Apollo "una colonna di pietra" (Eliade 2008a: 214); anche Caillois precisa che alcune pietre sono "divinità esse stesse" (Caillois 1998: 16)9.
La visitatrice non contempla mai, con i propri occhi, la Dea, sebbene avverta la sua epifania: una siffatta perdita di orientamento è plausibile se si ammette che giungere al centro dello smeraldo significa portare a termine un itinerario che non conduce altrove se non "verso il centro del proprio essere" (Eliade 2008b: 100). Se gli universi oltremondani indagati da Culianu in Cälätorii în lumea de dincolo si trovano, in verità, "nella mente di chi li esplora" (Couliano 1991: 5), sarà legittimo credere che anche l'aldilà smeraldino non si situa in altro posto se non nel regno interiore della visitatrice - o meglio, del narratore10 - che ha compiuto, in tal modo, una "discesa in sé":
Ogni essere umano tende, anche inconsciamente, verso il Centro e verso il suo proprio Centro, il quale gli conferisce la realtà integrale, la «sacralità» (Eliade 2004: 52).
Un simile percorso è a ogni effetto "sacro", perché restituisce l'uomo a una conditio originaria totalizzante11, a un
centro virtuale di costituzione talmente misteriosa che puô esigere tutto, la parentela con gli animali e con gli Dei, con i cristalli e con le stelle, senza farci meravigliare e senza suscitare la nostra disapprovazione [...]. Io ho definito questo centro come il Sé (Jung 1985: 160).
La primordiale "parentela con gli animali e con gli Dei", che tale stato lascia presentire, si ravvisa, in Jocul de smarald, negli aspetti onnicomprensivi della Dea dello smeraldo, la quale ingloba non solo la flora e la fauna dell'universo da lei retto - come se si trattasse delle sue ipostasi decentrate -, ma anche la novizia stessa:
Seppe allora che la Dea era baci e rossore e riva color porpora e riccio e ansimare e perdita delle membra e nulla dietro di sé e confine invisibile e coniglio nero e corso d'acqua e angoscia arbusto defino [...]. A volte lei emergeva dal mondo di smeraldo, e sempre la Dea usciva con lei (Couliano 1989: 68-69)12.
Il "centro immaginario della totalità" puô essere raggiunto e conquistato solo dopo un processo di trasformazione, nel corso del quale l'individuo abbraccia "mondi sempre più nuovi, le cui regioni ignote incutono paura" (Neumann 1994: 278)13 - paura dopo il cui superamento "la morte stessa dimostra di essere la vita" (Neumann 1994: 277): tale è la sintesi della progressione e dell'esito della trama iniziatica di Jocul de smarald.
Anche la lettura mandalica dello smeraldo comprova la teoria dell'effettiva natura interiore del suo centro: "Sembra che il prigioniero o il ben protetto abitatore del mandala non sia un dio", nota Carl Gustav Jung, bensi "l'uomo stesso, la sua anima più intima" (Jung 1979: 101). Il mandala, infatti,
ha lo scopo evidente di tracciare un sulcus primigenius, un magico solco intorno al centro, templum o temenos (recinto sacro) della personalità più intima [...]. Si tratta [...] di ricondurre [...] la propria attenzione, o meglio partecipazione, a un recinto sacro interiore, che è origine e meta dell'anima, e contiene quell'unità di coscienza e vita, un tempo posseduta, quindi perduta, e che occorre ora ritrovare (Jung 1988: 35).
La prassi ludico-rituale, oltre allo spazio, "sacralizza [...] simbolicamente il tempo" (Guariglia 2007: 428). In Jocul de smarald si ha modo di contemplare una temporalità di tipo circolare, l'unica che permette il ritorno al Tempo sacro e la rigenerazione dello stesso (cf. Eliade 1973: 54-57; Eliade 2008a: 358-359). Nella seconda metà del racconto, non appena si verifica un contatto diretto tra la visitatrice e la Dea, sembra che, d'un tratto, il tempo prenda a scorrere all'indietro: un repentino percorso a ritroso riconduce la visitatrice nell'aldiquà al di fuori dallo smeraldo. L'uscita dallo smeraldo, in quanto chiusura di un ciclo, è indispensabile al fine del compimento proficuo dell'atto iniziatico:
L'uscita consiste proprio nel completare il rito di passaggio e nel risolvere la crisi pervenendo a un livello superiore, prendendo coscienza di un nuovo modo d'essere (Eliade 1990: 52).
Ultimato il rapporto del caotico percorso di ritorno, Culianu lascia un rigo bianco, chiaro indice di una eliadiana "rottura di livello". Da quanto vi segue, il lettore puó facilmente intendere che il viaggio oltre il confine di smeraldo, da allora, verrà ripreso dalla visitatrice più e più volte. Tuttavia, dopo il suo primo viaggio - l'unico propriamente "iniziatico" - lei conosce ormai alla perfezione le sorti che la attendono al di là del confine di smeraldo, perché è divenuta una neofita; è, in altre parole, approdata a quella che Eliade denomina "una nuova nascita o "una ri-nascita mistica" (Eliade 1960: 28).
3. Acque e Inferi
A un dato punto del proprio avanzamento iniziatico, lasciatasi alle spalle già svariate tappe dell'itinerario intrasmeraldino - le ombre, l'esitazione, gli strumenti a fiato, i corridoi, la volta, l'erba, la perdita delle braccia -, la visitatrice
attraversó un corso d'acqua e giunse a una riva color porpora. Poteva sentire il mare di smeraldo ma non vederlo. Avrebbe detto che fosse dietro di lei, ma non c'era alcun dietro (Couliano 1989: 68)14.
Il "corso d'acqua" rappresenta la più determinante soglia di passaggio nella morfologia microcosmica dello smeraldo. Una volta superata, difatti, i misteri del viaggio nei recessi della pietra si infittiscono: l'assenza di "dietro", in particolar modo, è il segnale del compimento di un transito fatale, non più reversibile - ossia, senza alcuna possibilità di tornare sui propri passi, perlomeno fino a iniziazione completata. Ne è testimonianza il mutamento netto del paesaggio che si profila dinanzi la visitatrice, il quale, dopo il valico del confine idrico, si arricchisce di dettagli e si idealizza, instaurando un climax fantastico-visivo: non più degli interni spartani o della semplice erba, bensi il "mare di smeraldo" - per quanto venga presentito solamente -, il "sentiero" attorniato da "delicati arbusti di cristallo" e, infine, la "fontana ghiacciata" (Couliano 1989: 68)15. Il "mondo di smeraldo" decantato nel racconto è soprattutto quest'ultimo, custodito nel nucleo più recondito della pietra preziosa, a cui la visitatrice perviene solo dopo il superamento del fatídico corso d'acqua.
Si è più volte ribadita la legittimità della classificazione del soggetto narrativo-fantastico di Jocul de smarald come "cälätorie în lumea de dincolo". La presenza di una distesa d'acqua, quale linea di confine per il "vero" mondo di smeraldo, permette di stabilire che la "penetrazione" della pietra verde assume, nello specifico, le modalità di una discesa agli Inferi - definita da Jean-Pierre Bayard "il tema per eccellenza dell'iniziazione" (Bayard 2009: 87). Le aree che precedono la traversata - corridoi, volta, erba - consistono in una sorta di "Antinferno" smeraldino, mentre le aree che succedono alla traversata - mare, sentiero alberato, fontana - costituiscono l'"Inferno" smeraldino vero e proprio. Culianu stesso illustra, in Cälätorii în lumea de dincolo, che il cosmologema del fiume dell'aldilà distingue la topografía oltretombale sognata in ogni dove - dall'Egitto all'Iran, dall'escatologia platonica alla letteratura visionaria altomedioevale16.
L'onnipresenza del fiume al limitare degli Inferi si deve - come teorizza Gaston Bachelard in uno dei suoi passi più esemplari - all'efficacia simbolica dell'acqua, "patria" e "sostanza" della morte, sull'immaginario dell'estrema dipartita:
La Morte è un viaggio e il viaggio è una morte. «Partire è un po' morire». Morire è davvero partire e si parte veramente, con coraggio, con coerenza solo seguendo il filo dell'acqua, la corrente di un ampio fiume. Tutti i fiumi affluiscono nel Fiume dei morti. Soltanto questa morte è favolosa. Solo questa partenza è avventura (Bachelard 2006: 87-88).
Bachelard adopera l'evocativo sintagma "Fiume dei morti", poiché il fiume è la tipologia di corso d'acqua d'oltretomba più frequente, profondamente radicata nelle fantasie infere (cf. Lincoln 1991: 49). Ad ogni modo, "è frequente che il passaggio agli inferi coincide con l'attraversamento di una distesa d'acqua" (Zannini Quirini 1987: 272), quale che ne sia la natura: "La simbolica traversata acquatica dell'anima rappresentava, probabilmente, il passaggio dalla coscienza all'incoscienza, dalla vita alla morte, o perlomeno dalla vita a uno stato ignoto" (Felton 2007: 92). Culianu, in Jocul de smarald, menziona un generico "corso d'acqua"; ma che stia designando anche lui, in realtà, un fiume, si evince dalla presenza del "mare di smeraldo" - avvertita immediatamente dopo - in cui si suppone le sue acque dolci sfocino.
I morti, il più delle volte, non attraversano il fiume infero in autonomia: spetta a qualcuno assisterne il transito. Nell'aldilà classico, le anime vengono condotte presso le rive dello Stige17 da Hermes "psychopompos" (Couliano 1991: 117; cf. Kerényi 1950: 47 sqq.) e quindi traghettate sulle sue acque dal tristo nocchiero Caronte. Il compito di quest'ultimo si puô accostare a quello svolto, nell'aldilà mesopotamico, dal "battelliere infernale" Humuttabal, che - quasi certamente - accompagnava i defunti, a bordo della sua imbarcazione, lungo il fiume Hubur (cf. Bottéro 1987: 68; West 1997: 156)18.
Non mancano, tuttavia, i casi in cui la distesa d'acqua d'oltretomba non viene attraversata su un mezzo nautico e sotto la scorta di funzionari infernali, bensi oltrepassata a nuoto, oppure guadata (cf. Lincoln 1991: 56)19. Quella del guado sembrerebbe la strategia d'attraversamento intrapresa dalla visitatrice di Jocul de smarald: difatti, nessun elemento testuale suggerisce che questa affronti un fiume di profondità notevole - il che implicherebbe la necessità del nuoto, esperienza che si addice, piuttosto, all'"eroe delle acque violente" (Bachelard 2006: 183) - o di impetuosità preoccupante; il corso d'acqua viene oltrepassato, cosi, apparentemente in breve tempo, senza eccessivo sforzo o pena.
Il varco cruciale di Jocul de smarald si rivela, pertanto, niente più di un placido fiumiciattolo, la cui mitezza preannuncia l'amenità dei paesaggi che si staglieranno poco più avanti. Le sue acque non intralciano in alcun modo - come, d'altro canto, non risulta faccia nessuna altra componente topografica della pietra verde - il prodigioso ma affatto conturbante cammino della visitatrice. Culianu ha drasticamente eufemizzato il tenebroso e sventurato Fiume dei morti.
4. Visita Interiora Gemmae...
L'itinerario iniziatico di Jocul de smarald acquisisce - come appena discusso - delle modalità catabatiche; ció, tuttavia, non si evince unicamente dal cosmologema del fiume dell'aldilà. Per il mitanalista, a supporto della presenza, nel racconto, di una discesa infera, è possibile delineare un secondo, ben più abissale niveau isotopique: il percorso iniziatico della visitatrice è catabatico, perché è anzitutto alchemico20. Nella fattispecie, si tratta di quella peculiare catabasi iniziatica che adempie all'imperativo custodito nel motto alchemico Vitriol - Visita Interiora Terrae Rectificando Invenies Occultum Lapidem, "Visita le profondità della terra e attraverso la purificazione troverai la pietra segreta" (Basilio Valentino, apud Eliade 1987: 143)21.
Il senso primordiale dell'acrostico alchemico Vitriol deve riconoscersi - asserisce Bayard - nel principio iniziatico per il quale "l'uomo, per rigenerarsi, desidera discendere nel mondo sotterraneo" (Bayard 2009: 85). In Jocul de smarald, anziché le "profondità della terra", ad essere visitate sono le profondità dello smeraldo: questa sostituzione è radicata archetipicamente sull'isomorfismo che apparenta la pietra, la quale "è viva e dà vita" (Chevalier, Gheerbrant 2011: 215) e la Terra Mater. In virtù di ció, la petra genitrix, in grado di partorire degli dèi, viene "assimilata alla grande dea" (Eliade 1987: 39): attingendo a questa comparazione, la fantasia culianiana fa si che nel ventre della pietra verde, femminoide e quasi-tellurica - perché penetrabile e visitabile - risieda una Dea onnipotente, che riassume in sé il simbolismo dello smeraldo quale "espressione del rinnovamento periodico e quindi delle forze positive della terra" (Chevalier, Gheerbrant 2011: 392)22.
Perseguire l'imperativo Vitriol non comporta, chiaramente, una discesa - alla lettera - strettamente "speleologica", bensi quella discesa "in noi stessi" volta a soddisfare ció che Bachelard definisce "un vero istinto dell'approfondimento" (Bachelard 1994: 221). Eliade ha ragione di ritenere che "le fasi dell'opus alchemico costituiscono un'iniziazione" - affermazione che coniuga i due binari ermeneutici su cui il presente studio incardina Jocul de smarald - giacché il fine primario dell'opus è, in ultima analisi, "la trasformazione radicale della condizione umana" (Eliade 2014: 15):
L'Alchimia vera [...] è la ricostituzione del processo che conduce a riconquistare la purezza, lo splendore, la pienezza, le prerogative primordiali che la vita terrena, quaggiù, corrotto dalla caduta adamitica, ha smarrito. Ció nella sfera morale dell'uomo si chiama redenzione o rigenerazione [...], realizzazione della quintessenza e trasmutazione [...]. E la suprema Grande Opera, la sola che si possa chiamare senza esagerazione «La Via dell'Assoluto», è la reintegrazione dell'uomo nella sua dignità primordiale (Savoret 1997: 13-14).
Durante l'attività alchemica, difatti, "l'Adepto [...] costituisce un tutt'uno con l'Opera" (Faivre 1997: 33). L'alchimista, che si industria per rigenerare la materia, perviene alla rigenerazione di se stesso in quanto novizio:
[Le] fasi dell'opus alchymicum sembrano indicare non solo le tappe di un lungo processo di trasformazione delle sostanze minerali, ma anche le esperienze intime dell'alchimista. C'è un sincronismo tra le operazioni alchimistiche e le esperienze misteriose dell'alchimista, che conducono alla sua totale rigenerazione (Eliade 2002: 180).
L'individuazione di un'isotopia alchemica in Jocul de smarald permette, dunque, di instaurare una triplice prospettiva che coniuga, sul piano archetipico, la discesa nel macrocosmo della terra, la discesa nel microcosmo della pietra preziosa e, infine, la discesa nelle proprie profondità. Questa prospettiva si armonizza, in primis, con la natura "mentale" del viaggio nell'aldilà cosi come inteso dall'epistemologia culianiana, nonché con il motivo della "discesa in sé" individuato, nella prima parte di questo studio, in merito al cammino verso il Centro.
La proprietà di Vitriol nascosta dell'esplorazione di Jocul de smarald è, probabilmente, la ragione più occulta per la quale Culianu sceglie, come luogo sacro del suo racconto, lo smeraldo, "pietra della conoscenza segreta", capace di "penetrare attraverso le tenebre più oscure" (Chevalier, Gheerbrant 2011: 391). Della medesima materia minerale e cromatica era composta la Tavola Smeraldina, il cui reperimento leggendario in una grotta sotterranea fu eletto ed eretto a modello della "ricerca della verità alchemica", la quale è "accessibile solo a chi affronti le difficoltà di una «discesa agli inferi»" (Pereira 2001: 38).
Il percorso iniziatico di Jocul de smarald assolve al Vitriol, in primo luogo, concretandosi in quella penetrazione graduale e sapiente che vi viene predicata. La meticolosa attività contemplativa della visitatrice, che apre il racconto, sottopone la pietra verde - predisposta a lasciarsi setacciare, perché traslucida - a un laborioso scavo onirico, dal quale, inevitabilmente, risalirà arricchita dalla propria trasmutazione:
La chiave è: apprendere. Studiare. Sperimentare. Viaggiare. Leggere. Sono questi i processi che lavorano il lapis, e discendono dall'idea dei suoi semi metallici. Scava. Scendi nella miniera. Ricerca (Hillman 2013: 271).
Il Vitriol, in secondo luogo, viene soddisfatto in Jocul de smarald poiché il cammino della visitatrice si rivela progressivamente purificatorio: la sua "perdita delle membra" corrisponde, difatti, al processo alchemico della separatio23. Solo un siffatto processo disgregatorio le permette di raggiungere la Dea dello smeraldo, la quale, nel quadro di ruoli instaurato dall'isotopia alchemica del racconto, si identifica con il vas mirabile, definite da Jung "una specie di matrix o uterus" da cui nascerà la "miracolosa pietra" (Jung 1981: 248). Tale pietra, immagine della meta - il lapis del motto alchemico - gode di un inestricabile legame con la "vita risorta" (Hillman 2013: 267): corrisponde, difatti, al neofita stesso. Il trait d'union tra isotopia iniziatica e isotopia alchemica in Jocul de smarald è incarnato, pertanto, dal regressus ad uterum che sottende all'opus alchemicum - il quale rielabora "il tema iniziatico del ritorno allo stato embrionale" (Eliade 2002: 87).
Come illustra Jung, l'utero ricorre, oltre che come "un sinonimo frequente del vaso alchemico", anche come "uno dei significati base del mandala" (Jung 1981: 183) - struttura attribuita, precedentemente, allo smeraldo24. Attraverso la mediazione del mandala, due letture diversamente formulate - quella del cammino iniziatico centrípeto e quella del Vitriol alchemico - conducono, perianto, alla medesima meta della gravitazione psichica: il Centro creatore di vita, il vas, la Dea.
La bizzarra, enigmatica unione finale che, in Jocul de smarald, si concretizza tra la visitatrice e la Dea - che, misteriosamente, "la guidava sempre più addentro il confine di smeraldo" e da esso, ogni volta, "usciva con lei" (Couliano 1989: 69)25 - è la medesima di quella descritta da James Hillman tra l'alchimista e il suo ricettacolo rigeneratore:
Noi e il vaso di vetro, il vas hermeticum, una cosa sola: la congiunzione di contenitore e contenuto. Allora il contenimento diventa la trasparenza di ciascun gesto. Come se la trasparenza fosse un contenere. La mia sostanza è la mia apparenza. Il mio dentro è il mio fuori. Non c'è una verità nascosta dietro le spoglie esterne (Hillman 2013: 254).
"L'alchimista, come il poeta, ha un unico desiderio: penetrare amorosamente nelle intimità" (Durand 2009: 317) - dichiarava Gilbert Durand in una delle sue pregnanti riflessioni intorno al Régime Nocturne de l'Imaginaire. Culianu, che ha imperniato la sua intera opera narrativa fantastica sull'archetipo della Grande Dea, è indubbiamente tra i prosatori del fantastico contemporaneo che meglio incarna questa brama "alchemica" della profondità, sintetizzata nel Vitriol. Il maestro di Durand, Bachelard, rilevava, in proposito al tema del "ritorno alla madre", che "i grandi poeti sono capaci di farci ritornare a questa primitiva intimità dalle forme più indefinite" (Bachelard 1994: 55): la meta del jeu sacré dello smeraldo, ideato da Culianu, è una di tali forme. Fondando un nuovo mythe du fantastique, elaborato all'insegna del Femminile e intessuto di simboli alchemici, Culianu ha cosi restituito - in modo magistrale - al lettore della fine del Secondo Millennio lo spazio di un percorso iniziatico revivificato e trasfigurato.
On loan Petru Culianu's Initiatory Fantastic
With the aim to highlight the innovative perspectives traced by the mythanalyse, Culianu believed that the literary text - in particular, the fantastic one - included latent myths, or, more precisely, that the text itself might be contemplated as a myth. The purpose of this article - which will follow the methodological approach established by the Romanian historian of religions himself - is to investigate one of his own short stories, Jocul de smarald, following a thorough mythoanalytical reading. After identifying myth as a "mind game" - a fortunate formula which Culianu frequently employs in his philosophical-scientific writings - the article will illustrate how the emerald "game" consists of an initiatory itinerary which takes place in the imaginary world contained in a tiny green stone, with a meandric structure akin to a mandala. This itinerary, presenting a circular temporality, aims at reaching the sacred centre of the stone, which manifests itself in the form of a feminine divinity - the Emerald Goddess - which indeed represents the centre of one's own being. Such an interpretation harmonizes with the mental nature of the otherworldly journey as theorized by the Culianian epistemology. Subsequently, the article will demonstrate that the initiatory journey in Jocul the smarald is a Descent to the Netherworld. The first justification of this classification is the presence of the "River of the Dead" cosmologem - which is omnipresent in funerary geographies - yet euphemized by Culianu in a calm water course that has to be waded. The second justification - which establishes a far more profound niveau isotopique - is the hypothesis that the initiatory itinerary of Jocul de smarald pursues the alchemical motto Vitriol, substituting the Interior of Terra Mater with that of the gemstone, where the supreme Goddess dwells. This reading is grounded in the identification of alchemy with the regressus ad uterum: the Emerald Goddess would thus coincide with the alchemical vas, that is to say the central life-giving vessel from which the miraculous stone - i.e. the regenerated neophyte - will be born.
1 Riguardo alla categoria dei mythes du fantastique, di ragguardevole ricchezza e di estensione non facilmente delimitabile, cf. Brunel, Vion-Dury 2003, la più autorevole guida finora realizzata.
2 Per un raffronto contrastivo tra l'accezione del mito eliadiana e quella culianiana, cf. Gavrilu|á 2000: 107-108.
3 Il titolo in lingua francese Le Rouleau diaphane (roman) è quello indicato dall'autore nel dattiloscritto originale, che consta di undici racconti, composti a partire dal 1986: otto furono scritti da Culianu in lingua francese e tre in lingua inglese (cf. Moretti 2010: 5). La prima edizione - alla quale si farà riferimento per il racconto preso in esame in questo studio - fu pubblicata, perô, in traduzione integrale italiana, senza testo a fronte, sotto il titolo La collezione di smeraldi (racconti) (cf. Couliano 1989). Solo successivamente l'opera venne tradotta in lingua romena da Dan Petrescu, in un'edizione comprensiva anche di quattro racconti indipendenti, composti dopo il 1989 (cf. Culianu 2013). Tali racconti indipendenti sono inclusi anche nella seconda edizione italiana dell'opera (cf. Culianu 2010).
4 Sui rapporti tra Culianu e la mythanalyse, cf. Mihâilâ 2001. Per un orientamento sull'indirizzo di ricerca della mythanalyse, cf. Durand 1979: 307-322.
5 "Totul a început ca un joc" (Culianu 2013: 75).
6 "Obi^nuia sä priveascä o bucatä de piaträ verde translucidä §i sä pätrundä în interiorul ei" (Culianu 2013: 75).
7 "Mai tîrziu, a început sä mtrezäreascä mäuntru lungi, misterioase coridoare" (Culianu 2013: 75).
8 "În flecare piaträ verde e o mica Zei|ä care este în acelaçi timp marea Zei|ä a tuturor smaraldelor. Daca e§ti în piatra, ea pare întotdeauna mare, de§i n-ai cum s-o vezi, întrucît nu-i nimeni pe care sa-l vezi §i nimic de privit. Zei^a se afla într-un fel acolo, dincolo de frontierele smaraldului [...]. Nu putea spune nici macar ca era ea însaçi, necum ce sau unde era Zei^a" (Culianu 2013: 76).
9 L'affinità simbolica tra il Centro e la Dea - che si radica archetipicamente sul simbolismo centrale del Femminile (in proposito, cf Neumann 1981: 47-63) - spicca anche nelle pagine di mitanalisi di Culianu: in un saggio dedicato al racconto fantastico di Mihai Eminescu Cezara (1876), lo studioso romeno indaga un luogo sacro - un'isola paradisiaca, al quale aveva precedentemente dedicato uno studio anche il suo maestro Eliade (2000: 13-23) - la cui geografía edenica non è dissimile da quella che dipinge in Jocul de smarald. Tra i suoi arbusti e le sue acque - che si ritrovano anche nel mondo di smeraldo - regna una "Padrona", una "Grande Dea". Culianu classifica tale spazio sacro, in una sola formula, come "paesaggio del centro del mondo" (Culianu 2006b: 108).
10 Sull'ipotesi che la visitatrice costituisca l'immagine dell'anima del narratore, unico vero protagonista di Jocul de smarald, cf. Sirangelo 2015: 371-372.
11 Un'interessante correlazione interpretativa tra tale conditio, l'epifania della Dea e il potere dello smeraldo sulla memoria è proposta da Gavrilu(ä (2000: 133-136).
12 "Atunci a §tiut cä Zei(a era deopotrivä särut §i ro§ea(ä-n obraji §i (arm purpuriu §i arici §i pierdere a mädularelor §i lipsa de înapoi §i frontierä invizibilä §i iepure negru §i curs de apä surîzâtor §i suferin(ä arbuçti delfin [...]. Uneori ieçea din lumea de smarald §i de fiecare data Zei(a venea cu ea" (Culianu 2013: 77).
13 In tale processo, commenta Neumann, "l'uomo esperisce il Femminile Terribile sotto forma di anima e la trasformazione come aspetti che appartengono alla sua stessa psiche" (Neumann 1994: 279). La teoria dell'immagine dell'anima del narratore e del suo cammino interiore trova, qui, ulteriore conferma.
14 "A traversat un curs de apa surîzator §i a ajuns la un |ärm de purpura. Presim^ea marea de smarald, dar nu putea s-o vada. Ar fi zis ca e undeva înapoi, dar nu exista nici un înapoi" (Culianu 2013: 76).
15 "Presim^ea marea de smarald [...]. Cum statea a§a în picioare, o carare i s-a açternut în cale, çerpuind printre niçte arbusti fragili de cristal [...]. A zîmbit §i to^i arbuçtii au parut tare ferici^i din pricina asta §i atunci §i-a pierdut un picior §i apoi §i pe celalalt, sau poate asta sa fi fost mai tîrziu, lînga fîntîna ínghe^ata pazita de un impenetrabil fluture de noapte-§oim?" (Culianu 2013: 76).
16 Cf., rispettivamente, Couliano 1991: 65, 106, 140, 203. Si tratta soltanto di alcune delle sezioni dell'enciclopedico volume compilato dallo studioso in cui viene fatta menzione di una barriera naturale acquatica quale componente della geografía funeraria.
17 Lo Stige viene indicato spesso come il principale confine dell'Ade (cf. Graves 2008: 106; Felton 2007: 92). In altre fonti, pero, questa funzione spetta all'Acheronte (cf. Zannini Quirini 1987: 272; West 1997: 155): nella tradizione letteraria europea medievale e moderna, tale ruolo divenne arcinoto, per via della sua assimilazione da parte della geografia infera dantesca; per una suggestiva lettura dell'Acheronte dantesco come soglia tra la vita e la morte, cf. Cervigni 1989.
18 Morire, si legge in un testo babilonese, significava "attraversare il fiume Hubur" (Lambert 1996: 71). Dalla maggior parte delle fonti emerge che le acque dello Hubur scorrono al limitare del territorio infero, e che di conseguenza costituiscano il suo confine; un numero minore di testi suggerisce, invece, che tale fiume si collochi già all'interno dei cancelli degli Inferi (cf. Horowitz 1998: 356-357). Lo Hubur, ad ogni modo, non è il solo fiume degli Inferi mesopotamici. Alcune fonti menzionano un "fiume dell'aldilà" senza nome, altre l'idronimo "Idkurra" (cf. Gadotti 2014: 18), altre ancora delle indistinte "acque della morte" (Lambert 1980: 59).
19 Nell'escatologia norrena, ad esempio, empi e assassini guadano le acque velenose e violente che si accumulano presso la "riva dei cadaveri" Nàstrônd (cf. Scardigli 2004: 11). Sulla possibile identificazione di tali acque con quelle del fiume Vathgelmir, citato altrove, cf. Bellows 2012: 108.
20 In Eros magie în Renaçtere, Culianu annovera l'alchimia tra le "operazioni fantastiche" la cui quintessenza - non diversa da quella del mito - è uno "iocari serio et studiosissime ludere" - ossia, in un nobile e diligente gioco (Culianu 2006a: 64-65).
21 Cosi come alcune fiabe tradizionali possono essere proficuamente reinterpretate come "metafore dell'opera alchemica" (Sermonti 2009: 77), anche la narrativa fantastica di Culianu puó giovarsi della chiave esegetica procurata dallo sconfinato patrimonio archetipico-simbolico che costella l'opus magnum dell'alchimia. Tra le letture ermeneutiche dei suoi racconti che si appellano al supporto teorico della Grande Opera alchemica, cf., ad esempio, Vasluianu 2002.
22Se ne dedurrà che, nell'ambito del parallelismo tra il viaggio iniziatico di Jocul de smarald e il Vitriol alchemico, la pietra verde di Culianu non coincide con la pietra filosofale (lapis philosophorum) degli alchimisti - malgrado la natura litica dei due soggetti possa induire a tale equivoco associativo. Il principale cardine archetipologico del presente contributo mitanalitico è - lo si ribadisce - l'isomorfismo tra la Terra Mater e la pietra, ambo ipostasi del Femminile matriciale.
23 Sebbene non sia possibile indagare a fondo, nel presente articolo, un tema cosi articolato, si desidera accennare alla straordinaria somiglianza del percorso sacrifícale della visitatrice - che subisce le stesse sorti mortificanti della materia alchemica - e il contenuto di un sogno narrato dall'alchimista Zosimo di Panopoli (III-IV sec. d.C.), a cui Jung ha dedicato uno studio (cf. Jung 1988: 77-126), e che ha destato anche l'attenzione di Eliade (cf. Eliade 1987: 131-134).
24 Jung ebbe l'inestimabile merito di identificare la meta dell'opus alchemicum con la meta del processo di individuazione, ossia con il Sé (idea disseminata in Jung 1981, e sintetizzata in Eliade 1987: 168-169 e in Pereira 2001: 276-277): e il Sé, come lo psicologo del profondo dichiara altrove (Jung 1985: 160), equivale proprio al "centro interiore" conquistato addentrandosi nei meandri mandalici (Jung 1988: 35).
25"În acela^i fel, iubirea era iubire §i n-avea nici un obiect §i toate acestea erau Zei(a, care-o lua tot mai departe §i mai departe dincolo de frontiera de smarald. Çi, cu toate ca nu exista nici în afara §i nici înauntru, uneori ieçea din lumea de smarald §i de fiecare data Zei(a venea cu ea" (Culianu 2013: 77).
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Valentina SIRANGELO*
*Università della Calabria, Arcavacata di Rende (CS), Italia.
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Copyright "A. Philippide" Institute of Romanian Philology, "A. Philippide" Cultural Association 2016
Abstract
With the aim to highlight the innovative perspectives traced by the mythanalyse, Culianu believed that the literary text - in particular, the fantastic one - included latent myths, or, more precisely, that the text itself might be contemplated as a myth. The purpose of this article - which will follow the methodological approach established by the Romanian historian of religions himself - is to investigate one of his own short stories, Jocul de smarald, following a thorough mythoanalytical reading. After identifying myth as a "mind game" - a fortunate formula which Culianu frequently employs in his philosophical-scientific writings - the article will illustrate how the emerald "game" consists of an initiatory itinerary which takes place in the imaginary world contained in a tiny green stone, with a meandric structure akin to a mandala. This itinerary, presenting a circular temporality, aims at reaching the sacred centre of the stone, which manifests itself in the form of a feminine divinity - the Emerald Goddess - which indeed represents the centre of one's own being. Such an interpretation harmonizes with the mental nature of the otherworldly journey as theorized by the Culianian epistemology. Subsequently, the article will demonstrate that the initiatory journey in Jocul the smarald is a Descent to the Netherworld. The first justification of this classification is the presence of the "River of the Dead" cosmologem - which is omnipresent in funerary geographies - yet euphemized by Culianu in a calm water course that has to be waded. The second justification - which establishes a far more profound niveau isotopique - is the hypothesis that the initiatory itinerary of Jocul de smarald pursues the alchemical motto Vitriol, substituting the Interior of Terra Mater with that of the gemstone, where the supreme Goddess dwells. This reading is grounded in the identification of alchemy with the regressus ad uterum: the Emerald Goddess would thus coincide with the alchemical vas, that is to say the central life-giving vessel from which the miraculous stone - i.e. the regenerated neophyte - will be born.
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