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Com'è noto, nella città di Roma l'estensione della normativa di soppressione delle corporazioni religiose ebbe caratteri particolari e fu disciplinata dalla legge n. 1402 del 19 giugno 1873, la cui applicazione fu demandata alla Giunta liquidatrice dell'asse ecclesiastico di Roma, appositamente istituita.1 Fra i beni requisiti vi furono anche biblioteche e archivi da destinare rispettivamente alla creazione di una Biblioteca nazionale centrale e di un Archivio dello Stato.
Nell'Urbe frattanto, già prima di questa legge, a seguito delle disposizioni relative agli espropri per utilità pubblica, erano stati confiscati quarantotto immobili di enti religiosi.2 Tra questi fu compreso anche il monastero delle monache camaldolesi di S. Antonio abate, confiscate con regio decreto del 18 agosto 1871; 3 dopo la requisizione le religiose si ridussero da cinquanta a quarantacinque e si stabilirono nel cenobio di S. Susanna.
Il materiale librario e archivistico sequestrato agli istituti claustrali fu dapprima depositato nei locali di S. Maria sopra Minerva e, in seguito, trasferito in quelli del Collegio Romano.4 In un momento successivo i document! d'archivio, in uno stato di deplorevole disordine e confusione, furono depositati nell'Archivio di Stato, in due grandi blocchi: il primo nel 1875, l'altro nel 1876. Una volta giunti nell'odierna sede, gli spezzoni degli archivi religiosi romani, che andarono a costituire il fondo «Corporazioni religiose»,5 furono suddivisi in due raggruppamenti principali («Corporazioni religiose maschili» e «Corporazioni religiose femminili») e sistemati nei depositi in ordine alfabetico secondo la loro provenienza: all'interno del fondo «Corporazioni religiose» la gran parte della documentazione camaldolese appartiene ai Benedettini camaldolesi in S. Gregorio al Celio e procura generale di S. Romualdo, mentre un esiguo numero di unità archivistiche è riconducibile ad altre case, romane e non, dello stesso Ordine religioso.
Le soppressioni e le confische verificatesi tra la fine del Settecento e buona parte del secolo seguente, almeno a Roma, non hanno portato a un'acquisizione in toto del patrimonio sequestrato, né librado né archivistico; anzi in molti casi ne hanno determinate piuttosto la frammentazione e la dispersione.6 Ricordiamo brevemente che il monastero di S. Gregorio al Celio, affidato ai monaci camaldolesi nel 1573,7 fu attivo fino all'occupazione e all'incameramento di età napoleonica che causarono la requisizione dei beni di maggior valore, compresi la biblioteca e il piccolo museo, e l'abbandono dell'edificio con notevoli...