Abstract: Una figura centrale della comunità anglo-fiorentina fra Otto e Novecento, Vernon Lee (1856-1935) fu una protagonista delle discussioni estetiche, storiche e letterarie nel passaggio dalla cultura vittoriana al modernismo. Questo saggio mette a fuoco un aspetto finora trascurato del suo profilo intellettuale: la sua critica alla storia accademica, che va messa in rapporto con la scelta di essere una "dilettante", o come diremmo oggi, una studiosa indipendente. Lee espresse questa critica soprattutto nei suoi scritti sul genius loci, lo spirito del luogo, a cui dedicò varie raccolte di saggi in cui si intrecciano scrittura di viaggio e scrittura della storia. Gli scritti di Lee sul genius loci, infatti, non sono solo o soprattutto scritti di viaggio, come sono stati finora descritti. Sono anche scritti di storia: un modo di conoscere il passato, diverso e alternativo rispetto a quello accademico e istituzionale. Sono la risposta della "dilettante" Lee al nuovo modello professionalizzato di ricerca storica incarnato dalle istituzioni museali e dalla storiografia accademica. Figura comples-sa e poliedrica -cosmopolita in cerca di radici, dilettante autorevole, come viene definita nel saggio- Lee va vista come una delle formidabili donne che, tra la fine dell'Ottocento e i primi del Novecento, aprirono nuove strade alla scrittura della storia, pur restando, nel solco della tradizione amatoriale, all'esterno o ai margini della storiografia accademica.
A central figure in the Anglo-florentine community at the turn of the 20th cen-tury, Vernon Lee (1856-1935) was a major contributor to the debates on aesthetics, history and literature in the transition from Victorian culture to modernism. This essay highlights a hitherto neglected feature of her intellectual profile: her criti-cism of academic history, which was consequent to her adoption of the intellectual persona of the "amateur" or, as we would say today, the independent scholar. Lee expressed this criticism most cogently in her writings on the genius loci -the spirit of places- which comprise several collections of historically-informed travelogues. In fact, Lee's writings on the genius loci should not be seen simply as travel writing, as they have been so far. They are also a peculiar form of history writing - a way of knowing and reviving the past that was consciously different from, and alternative to, the professionalized way adopted by museums and academic institutions. A complex and multifaceted intellectual -a cosmopolitan searching for roots, an authori-tative "dilettante", as she is defined in this essay- Lee should be recognized as one of the formidable women who deployed the resources of the amateur tradition to effect a profound renewal of historical writing between the late 19th and the early 20th century.
Keywords: Donne storiche, studiose anglo-fiorentine, storiografia amatoriale, critica ai musei, critica alla storia accademica; women historians, Anglo-florentine women intellectuals, amateur historical writing, critique of museums, critique of academic historiography.
Ci sono vari ritratti di Vernon Lee, dipinti da artisti che le furono amici, ma è senza dubbio il quadro di un grande pittore, John Singer Sargent, a catturare lo sguardo, l'individualità, lo straordinario fasci-no androgino di questa donna.1
Il ritratto è del 1881, quando Lee e Sargent avevano entrambi venticinque anni. Si erano conosciuti da bambini e restarono amici per tutta la vita, legati da un vincolo che Sargent defnì di "bonne camaraderie".2 Lui si diceva suo "fratello gemello"; lei lo chiamò, nel necrologio che scrisse per l'amico nel 1925, "the comrade secretly expected to see in my vain self his equal and, so to speak, twin, in the sister-art of letters".3 Fu in efetti qualcosa di più che "bonne camarade-rie": fu un profondo legame di emulazione competitiva fra due artisti accomunati dalla stessa appassionata devozione alla propria arte - la pittura per Sargent, la scrittura per Lee.
Il ritratto di Sargent porta l'iscrizione "To Violet". Vernon Lee era nata Violet Paget, e fu lei stessa, a sedici anni, a darsi il nom de plu-me Lee, come il molto amato fratello, il diplomatico e poeta Eugene Lee-Hamilton. Adottò il nuovo nome in pubblico la prima volta nel 1875, a diciannove anni, per frmare una serie di articoli in italiano su "La rivista europea" di Angelo de Gubernatis. Lo pseudonimo, dichiarò in una lettera, "has the advantage of leaving it undecided whether the writer be a man or a woman".4 Come nel caso delle sorelle Brontë, che pubblicarono sotto nomi (Acton, Currer ed Ellis Bell) che potevano essere tanto femminili quanto maschili, la moti-vazione di Violet Paget era pratica: "I am sure that no one reads a woman's writings on art, history or aesthetics with anything but an unmitigated contempt", scrisse a un'amica nel 1878.5
Enfant prodige incredibilmente precoce, Violet si scopre giovanis-sima una vocazione letteraria a cavallo fra ricerca erudita e scrittura creativa. A quattordici anni comincia a lavorare al suo primo libro -una storia della musica italiana del Settecento- che pubblicherà dieci anni dopo, nel 1880.6 A Studies of the Eighteenth Century in Italy seguirono molti titoli di una produzione vasta e poliedrica, che in-clude studi di storia della musica, dell'arte, del paesaggio; scritti di viaggio; trattati di estetica e psicologia dell'arte; pamphlets femmini-sti e pacifsti; romanzi e novelle di argomento storico e racconti del sovrannaturale. Oltre una quarantina di titoli, pubblicati nell'arco di cinquantadue anni.7 Vernon Lee alternò regolarmente saggi di storia della cultura con opere letterarie, quali romanzi e racconti. La prefazione alla novella Ottilie ci rivela le ragioni di questo suo oscilla-re fra i ruoli del saggista e del romanziere:
The Essayist has peculiarities which exclude him from the pleasant places of fiction, which render it proper that he should run along on the beaten roads of history and be tied up in the narrow little stable of fact. Those who have not experienced it cannot guess how narrow, how very narrow, that stable of fact is; how straight and arid are often those roads of history.8
È chiaro che sentiva periodicamente il desiderio di evadere dalla "angusta stalla dei fatti" e di lasciarsi alle spalle "le strade lineari e aride della storia". A questo pendolare fra saggistica e letteratura, Lee aggiunge l'impegno politico, scrivendo importanti saggi come Gospels of Anarchy (1908); Vital Lies (1912); Satan the Waster, a Philosophic War Trilogy (1920), in cui esprime il suo credo femminista e pacifsta.9 Negli ultimi anni, si occupa di nuovo di estetica.10 Con l'ultimo lavo-ro, Music and Its Lovers (1932), scritto quando aveva perduto l'udito, ritorna alla musica, il tema del suo primo libro. Va notato, in questo rapido sguardo sull'opera di Lee, un tema che ritorna ripetutamente: il genius loci, lo spirito del luogo, a cui dedicò sette raccolte di saggi.11 È un tema attraverso cui Lee intreccia scrittura di viaggio e scrittura della storia, come cercherò di mostrare in questo contributo.
Vernon Lee ha lasciato indubbiamente un segno profondo nel-la cultura del suo tempo. È stata una protagonista delle discussio-ni estetiche, storiche e letterarie di fne secolo, nel passaggio dalla cultura vittoriana al modernismo. Ha interagito da pari a pari con grandi intellettuali: teorici e storici dell'arte come Walter Pater e Bernard Berenson, scrittori come Henry James e Oscar Wilde, non-ché studiosi che, come lei, esercitarono una profonda infuenza sulla storiografa del Rinascimento, come John Addington Symonds.12 È stata una delle donne (e uomini) che si mantennero fedeli allo spirito della polimatìa in un'era in cui la cultura umanistica andava fram-mentandosi in discipline specialistiche separate. È stata anche, come sosterrò in questo saggio, una delle formidabili donne che, fra la fne dell'Ottocento e i primi del Novecento, contribuirono a rinnovare la scrittura della storia, pur restando, da studiose indipendenti, all'e-sterno o ai margini della storiografa accademica.
Dopo un lungo periodo di relativo oblio, l'interesse nei suoi con-fronti è ripreso a partire dagli anni '70 e '80 per diventare sempre più intenso. Di recente, questo interesse ha ricevuto grande impulso dalla pubblicazione della corrispondenza, da numerosi convegni e dalla creazione della rivista "The Sybil, a Journal of Vernon Lee Studies" (grazie alla studiosa francese Sophie Geofroy). Non solo: oggi la popolarità di Vernon Lee è assicurata dal suo essere assurta a icona genderqueer13 - una lettura però, come cercherò di mostrare, decisamente anacronistica e fuorviante.
In questo saggio, tenterò innanzitutto di contestualizzare Vernon Lee nella cultura anglo-forentina fra Otto e Novecento, ponendola in relazione con altre donne intellettuali che ne furono protagoniste. Passerò poi a mettere a fuoco -cosa che non è stata fatta fnora- il suo proflo di studiosa indipendente, a cavallo fra saggistica erudite e scrittura letteraria, in un'epoca in cui i temi di cui si occupava, in particolare la storia dell'arte e l'estetica, andavano assumendo sem-pre più lo status di discipline accademiche, in un'università che an-cora escludeva le donne. E infne tenterò di capire il signifcato del tema del genius loci, che ricorre così spesso nei suoi scritti.
Lee è considerata una fgura centrale della cultura cosmopolita europea fra Otto e Novecento.14 Lei stessa si frmò "un cosmopo-lita" scrivendo giovanissima, nel 1875, un articolo per la "Rivista Europea" di Angelo de Gubernatis.15 Vari studiosi hanno sottoline-ato la sua adesione a un cosmopolitismo di stampo paneuropeo, in particolare negli anni intorno alla Grande Guerra, quando non esi-tò a denunciare la retorica nazionalista.16 Mi sono chiesta: come si conciliano il cosmopolitismo e l'appassionato interesse per lo spirito dei luoghi, che spinse Lee a scrivere degli aspetti più peculiari e idio-sincratici della loro storia? Rifettere sul proflo di Lee come studiosa indipendente può aiutarci, come vedremo, a trovare una risposta a questa domanda.
1. Una "cosmopolita" in cerca di radici
Nata in Francia da genitori inglesi espatriati, Vernon Lee trova in Italia e in particolare a Firenze la sua patria di elezione.17 Ha alle spalle un'infanzia nomadica: per ragioni fnanziarie, la famiglia si muove da una località all'altra passando dalla Francia alla Germania e alla Svizzera prima di approdare a Firenze. I Paget si stabiliscono nel 1889 a Villa Il Palmerino, che resterà residenza di Vernon Lee fno alla morte.18 L'avrebbe trasformata in uno dei luoghi simbolo della Firenze artistica e letteraria, come la casa Guidi di Elizabeth e Robert Browning, il villino Trollope di Frances Trollope, madre del romanziere Anthony, o la Villa Bellagio a Fiesole del pittore svizzero Arnold Böcklin.
Quando i Paget si stabilirono a Firenze, la città era da decenni la dimora di elezione di una comunità anglofona di artisti e letterati - "inglesi italianizzanti" o "anglo-forentini", come venivano chiama-ti. Una comunità internazionale che comprendeva anche molti ame-ricani, russi e tedeschi. Defnita "un paradiso di esuli",19 la Toscana degli anglo-forentini andrebbe forse vista piuttosto come un'utopia artistico-letteraria. Un'Arcadia in cui si poteva appagare il sogno di vivere simultaneamente nel passato e nel futuro: un paesaggio delle emozioni e della mente in cui non solo viaggiare a ritroso nel tempo, ma anche anticipare un futuro utopistico di rinnovamento dell'Ita-lia, di rinascita della cultura e, last not least, di nuovo rapporto tra i sessi nella vita intellettuale. Un tratto saliente della comunità anglo-forentina, infatti, è la straordinaria presenza di donne. Erano tante le blue-stocking che scelsero di vivere sui colli fesolani o nelle stradine di Firenze:20 donne di lettere come Frances Trollope, Elizabeth Bar-rett Browning, Edith Wharton. Ma anche donne di scienza, come Mary Somerville, la "regina della scienza" dell'Ottocento.
Molte delle intellettuali anglo-forentine scrissero di storia. Di queste storiche, alcune sono oggi assolutamente oscure, come Mary
Aucrum Young, autrice di un libro sull'eretico del Cinquecento Ao-nio Paleario (1860).21 O conosciute solo di sghembo, come Marghe-rita Albana Mignaty, di cui è stata ricostruita l'amicizia con lo sto-rico Pasquale Villari, ma che fu autrice di opere storiche in prima persona.22 Molte di loro si muovono nella sfera limitata della storia locale, con una produzione a cavallo fra storia, guida turistica ed et-nografa, rivolta prevalentemente al mercato anglofono.23 Raccolgo-no per esempio i canti popolari toscani24 o le ricette di cucina, come fa Janet Ross (1842-1927), che parte appunto con Leaves from Our Tuscan Kitchen (1888) e prosegue con studi più ambiziosi, come Lives of the Early Medici as told in their Correspondence (1910), basato su docu-menti d'archivio.25 Esempio emblematico di un approccio amatoria-le alla storia, Janet Ross trae forza dalla consapevolezza di appar-tenere a una lunga tradizione intellettuale femminile. Scrive infatti Three Generations of English Women (1888), basato sulla corrispondenza della bisnonna Susannah Taylor, la nonna Sarah Taylor Austin, e la madre Lucie Duf Gordon, tutte e tre donne di lettere in rapporto epistolare con grandi intellettuali del tempo.26 La tradizione prosegue con la nipote di Janet, Lina Waterfeld (1874-1964), che scrive storie di Perugia e di Assisi, (1898; 1900),27 e sarà la corrispondente dall'Italia per il quotidiano "The Observer" dal 1921 al 1939.28
Altre di queste donne ebbero, come Vernon Lee, obiettivi assai più ambiziosi, che andavano al di là della storia locale o del giornalismo. È il caso di Maud Cruttwell (1895-1939), che appartenne come Lee alla cerchia della connoisseurship artistica forentina.29 Cruttwell si dedicò alla ricerca sotto la guida di Bernard Berenson, usando il metodo di attribuzione ideato da Giovanni Morelli. È interessante notare, inci-dentalmente, che l'infuenza di Morelli fu decisiva per un'altra storica dell'arte di quegli anni, Constance Jocelyn Ffoulkes (1858-1950), che tradusse in inglese gli scritti del maestro.30 Cruttwell fece proprio con notevole successo il genere dominante nella storia dell'arte del suo tempo -la monografa su un artista- sul modello delle Vite del Vasari (tradotto in inglese da una donna, Mrs Jonathan Foster).31 Pubblicò studi su Signorelli (1899), Mantegna (1901), Luca e Andrea della Rob-bia (1902); Verrocchio (1904) e Pollaiuolo (1907). A questi libri segui-rono due guide, dedicate rispettivamente alle pitture nei musei e nelle chiese di Firenze, e alla città di Venezia.32 Il suo ultimo scritto di storia dell'arte è ancora una monografa, su Donatello (1911).
La Firenze di Vernon Lee, dunque, ofriva largo spazio all'ini-ziativa culturale delle donne - uno spazio semi-utopico in cui i limiti legati alle appartenenze di genere e perfno di razza sembrano so-spesi. Tra le anglo-forentine incontriamo anche un'afroamericana, Sarah Parker Remond, un'abolizionista che venne a Firenze per stu-diare ostetricia all'ospedale di Santa Maria Nuova.33 Troviamo il suo nome, con quello della sorella Caroline Remond Putnam e del nipote Edmund Putnam, fra i lettori del Gabinetto Vieusseux.34 Quel che la capitale toscana ofriva -oltre agli ovvi vantaggi di un luogo dove vi-vere bene costava poco e dove si potevano allacciare contatti nel milieu artistico internazionale-35 era una sorta di concretizzazione del vecchio ideale europeo della repubblica delle lettere, una repubblica la cui cittadinanza consentiva di trascendere le afliazioni naziona-li.36 La vita nella colonia internazionale di Firenze non era afatto un esilio: era un espatrio interamente volontario, un distacco dal proprio paese di origine per una più alta appartenenza sovranazionale.
Per questa ragione, la cultura degli anglo-forentini è stata spesso chiamata cosmopolita.37 Ma dopo aver letto Vernon Lee questa qualifca mi sembra sfocata, e probabilmente sviante. In che senso parlia-mo qui di cosmopolitismo? Vi è il rischio, adottando questo termine, di proiettare anacronisticamente sugli anglo-forentini le categorie odierne di multiculturalismo e di globalismo, intese come dissolvi-mento di appartenenze nazionali e creazione di nuove identità mul-ticulturali, spesso implicanti il rigetto della tradizione occidentale.38 Il cosmopolitismo di Lee era invece profondamente radicato nella tradizione europea.39 Era anzi, a ben vedere, europeismo anziché co-smopolitismo - un europeismo che si richiamava alla lunga storia del-la respublica literaria, in diretta continuità con i valori dell'illuminismo, soprattutto con l'ideale di libero scambio di opinioni e saperi fra in-tellettuali appartenenti a nazioni diverse, al di là dei confitti religiosi, politici o militari.40 Era una posizione simile a quella di riviste come "Cosmopolis" (1896-98) e più tardi "La Revue de Genève" (1920-25) - periodici che incoraggiarono il dialogo e la civile convivenza fra letterati europei di lingue e culture diverse, nella speranza che questi scambi potessero contribuire a sanare le lacerazioni causate dalle guerre. 41
Il cosmopolitismo di Lee e degli anglo-forentini era dunque tutt'altra cosa dal globalismo contemporaneo. Era rivolto non tanto verso il futuro quanto verso il passato. Non era rigetto di tutte le radici, ma ricerca di radici più autentiche in un passato idealizza-to.42 Non era rigetto di ogni patria, ma ricerca di una più autenti-ca patria spirituale. Era esattamente il contrario della tendenza del globalismo odierno ad accentuare la fungibilità dei luoghi, la loro sostanziale equivalenza e indiferenza.43 Era se mai, come mostrano gli scritti di Lee sul genius loci, appassionata attenzione alla loro indi-vidualità e peculiarità, prodotto della loro storia, naturale ed umana. È questo che li rende non semplicemente scritti di viaggio ma anche, come mostrerò più avanti, scritti di storia.
"Impossibile immaginare -scrisse Dostoevsky da Firenze e di Firenze- niente di più bello di questo cielo, quest'aria, questa luce".44 Notiamo l'insistenza sul deittico "questo" - quella parte del discorso che serve a situare l'enunciato nello spazio e nel tempo del parlante o dello scrivente. È il qui e ora, il contrario dell'ovunque. A Firenze, Vernon Lee scopre quel che chiama "a passion for localities": l'a-more per la fsionomia individuale dei luoghi, "the curious emotions connected with lie of the land, shape of buildings, history, and even quality of air and soil".45 È questa emozione -la predilezione, inten-sa e persistente, che ci lega a certi luoghi- a motivare molta della sua scrittura della storia. È a Firenze che impara a catturare -non con immagini, come il suo amico pittore Sargent, ma attraverso le paro-le- le peculiari qualità di un cielo, di un'aria, di una luce - quell'elu-sivo genio dei luoghi che ce li fa scegliere e amare come scegliamo e amiamo un amico fra gli esseri umani.
2. Una dilettante autorevole
Vi era un altro vantaggio che la Firenze di fne Ottocento ofri-va alle donne interessate all'arte e alla sua storia. Era non solo un sito in cui era concentrato un numero straordinario di opere d'ar-te, ma anche uno spazio di sociabilità culturale in cui la mancanza di credenziali accademiche non era un ostacolo insuperabile a una carriera nella critica d'arte o nella ricerca storica. E questo era parti-colarmente vero per la storia dell'arte, dove il ruolo dell'intenditore rimaneva centrale. Ricordando la Firenze di quegli anni, il pittore inglese William Rothenstein scrisse nel 1932: "Vi erano allora a Fi-renze, come nel passato, fazioni armate e fere rivalità; ma lo scon-tro era assai meno sanguinoso, trattandosi di dispute su attribuzioni [d'opere d'arte] anziché su troni ducali. Berenson, Horne, Loeser, Vernon Lee, Maud Cruttwell, avevano tutti i loro mercenari e la loro artiglieria".46 Notiamo qui che Rothenstein mette sullo stesso piano due donne, Lee e Cruttwell, e tre fgure maschili di tutta rilevanza fra gli intenditori d'arte forentini - l'americano Berenson, colle-zionista e infuente storico dell'arte, l'inglese Herbert Percy Horne (1864-1916), storico dell'arte e poeta, autore della prima monografa su Botticelli (1908), e che ricordiamo tutt'oggi per il Museo della Fondazione Horne a Firenze; l'americano Charles Loeser (1864-1928), altro storico dell'arte e collezionista.47 Tutti e cinque -uomini e donne- hanno un tratto in comune: nessuno di loro fu un docente universitario. La professionalizzazione della storia dell'arte fra Otto e Novecento, lungi dall'essersi conclusa con la vittoria della storia accademica, doveva ancora fare i conti con la forza e resilienza della ricerca indipendente e amatoriale.
La categoria dell'amatore o dilettante -chi pratica la ricerca per diletto- si era sviluppata nell'Ottocento proprio in reazione alla isti-tuzionalizzazione della ricerca scientifca nelle università. In antico regime, la ricerca indipendente era stata la norma, tanto nelle lettere che nelle scienze naturali. Ancora a fne Settecento, nella storia naturale come nella storia civile -per Bufon come per Gibbon- sarebbe stato difcile distinguere fra l'amatore e il professionista. Un secolo dopo, invece, la separazione della professionalità accademica dalla pratica amatoriale era ormai molto avanzata, anche se non uniformemente in tutte le discipline. Nella storia dell'arte, in parti-colare, l'importanza della connoisseurship -la capacità di conoscere e apprezzare le opere d'arte per lunga consuetudine e diretto con-tatto- faceva da ostacolo al predominio del modello accademico. Lo mostra bene il caso di Burckhardt, che pur insegnando tutta la vita all'università di Basilea, considerava "flisteo" il lavoro del ricerca-tore di professione e si identifcava con la "persona epistemica" del dilettante, colui per il quale il lavoro intellettuale resta piacere-dilet-to.48 A fne Ottocento, nella storia dell'arte e della cultura, dilettante non era ancora diventato, come più tardi, un termine dispregiativo, l'opposto del ricercatore professionale.
Per le donne -ancora largamente escluse dalle università, tanto come discenti che come docenti- questa situazione ofriva un pecu-liare vantaggio. Rendeva loro possibile entrare in modo competitivo nel mondo della ricerca per acquistarvi infuenza e autorevolezza.49 Questo è appunto quel che fecero tanto Lee che Cruttwell. E questo nonostante le profonde diferenze di genere che ancora marcavano l'educazione delle classi medio-alte negli ultimi decenni dell'età vit-toriana. Il caso di Vernon Lee mostra come fosse ancora profonda-mente divaricata la scolarizzazione di ragazzi e ragazze. Suo fratello venne mandato a Oxford, mentre lei fu educata in casa, come Vir-ginia Woolf o come Frances Yates, per citare il caso di una grande storica del Novecento.50 Per le ragazze, l'aspirazione alla scrittura e alla ricerca si sviluppava in ambito familiare. Era la famiglia a ofrire supporto materiale e morale. Lee lo ricevette soprattutto dal fratello e dalla madre, grande lettrice di letteratura settecentesca, che, ci dice Lee stessa, aveva presto deciso che "dovevo diventare un'altra Mme de Staël".51 È in questo ambiente domestico che Lee sviluppa la vo-cazione a leggere e scrivere in modo indipendente, quel che chiama "my habit & determination to write only to please myself, irrespective of readers".52 Scrive nel 1874: "On the Fourteenth of this month I shall be eighteen ... I know that writing must be my profession as well as my pleasure".53 L'educazione di Lee, centrata sulla libertà di lettu-ra e quindi di pensiero, spiega anche un tratto centrale della sua opera adulta - la polimatìa. La biblioteca di Vernon Lee mostra come le sue letture spaziassero ben oltre la letteratura, includendo scienze umane e naturali.54 Come notato dal primo biografo di Lee, Peter Gunn, "la vastità delle sue letture di argomento scientifco, in par-ticolare nell'ambito delle scienze sociali, è davvero sorprendente".55
Come nelle sue letture, Lee scelse anche nei suoi scritti di muo-versi liberamente, ignorando gli steccati che si andavano erigendo in quegli anni fra le discipline, in concomitanza con la loro istituzio-nalizzazione accademica. In altre parole, Lee scelse per sé il proflo ambizioso del grande dilettante, nel solco della tradizione vittoriana di insigni "public intellectuals", come Thomas Carlyle, John Ruskin e William Morris.56 La "scholarly persona" che si costruì negli anni era quella del letterato polimata, con competenze spazianti fra arte, scienza e critica sociale: una fgura che si richiamava a ideali illumi-nisti e romantici, minacciati e marginalizzati dalla specializzazione accademica.57 Lo vediamo anche dal suo genere di scrittura preferi-to. Nella grande varietà di forme letterarie che praticò, il genere a lei più congeniale fu il saggio, o meglio la raccolta di saggi, spesso pub-blicati originariamente su periodici rivolti a un pubblico colto ma non specialistico. Il saggio, come il romanzo, è una forma che ofre ampio spazio alla libera espressione dell'autore, e meno lo vincola a un formato standardizzato.
La scelta di Maud Cruttwell, come sappiamo, fu diversa: la mono-grafa. Ma fra Otto e Novecento la monografa sul grande artista non era solo il formato della dissertazione dottorale e un modo di stabilire credenziali per una carriera accademica. Stava diventando anche un genere di successo presso il vasto pubblico.58 Cruttwell ebbe il vantag-gio di lavorare come freelance in un periodo di grande sviluppo del mercato editoriale d'arte - una fonte di reddito essenziale per una per-sona come lei che, a diferenza di Lee, non aveva risorse di famiglia. È per questo che le sue monografe si susseguono a un ritmo così rapido, anno dopo anno. Doveva lavorare a ritmo serrato per assecondare le richieste dell'editore e guadagnarsi da vivere. Questo le dava assai meno tempo per la ricerca di quanto ne avesse a disposizione un acca-demico. Per esempio, tanto Cruttwell che Allan Marquand, docente a Princeton, lavorarono simultaneamente a una monografa sui Della Robbia (e furono in corrispondenza epistolare su questo progetto). Ma il volume di Cruttwell (1902) fu scritto in tempi assai più brevi di quel-lo del cattedratico di Princeton, che uscì solo nel 1914.59
Questa dipendenza di Cruttwell dal mercato editoriale rendeva più fragile il suo proflo di studiosa. La espose in efetti a un attacco pubblico da parte di uno storico dell'arte di professione, Wilhelm von Bode (1845-1929), il direttore del Kaiser-Friedrich-Museum di Berlino. Si erano conosciuti nel 1901, quando Cruttwell aveva fatto ricerca nel museo. Ma nel 1907, quando uscì la monografa di Cruttwell sul Pollaiolo, von Bode la stroncò brutalmente in una recensione per il "Burlington Magazine". Posizionandosi come il portavoce autorevole di un nuovo approccio specializzato e curato-riale alla storia dell'arte, von Bode deplorò la voga delle monografe "scritte da dilettanti di ambo i sessi": "la circolazione di questi libri, che il pubblico prende per il risultato della ricerca scientifca più recente, ha il solo efetto di ostacolare l'avanzamento della storia dell'arte".60
L'attacco di von Bode a Cruttwell esprimeva nel modo più chia-ro la nuova tensione fra l'approccio accademico e quello amatoriale alla storia dell'arte. La visione dello studioso tedesco, peraltro, non era ancora quella universalmente accettata dagli storici dell'arte. Sempre sul "Burlington Magazine", Sidney Colvin e Claude Phillips, curatori rispettivamente del British Museum e della Wallace Collection, scrissero una nota di protesta contro i toni aggressivi della recensione di von Bode.61 Il quale replicò ironizzando sull'"eccessivo spirito cavalleresco" degli studiosi inglesi, irritati con lui, a suo dire, perché aveva "criticato il libro di una signora inglese".62 Cruttwell non rispose in pubblico allo studioso tedesco, ma senza dubbio que-sto attacco incise negativamente sugli sviluppi successivi del suo la-voro. Pubblicò nel 1911 un'altra monografa, questa volta su Dona-tello (una sfda a von Bode, che dell'artista era un conoscitore, e di cui si permise la soddisfazione di invalidare due attribuzioni).63 Ma poi lasciò Firenze (che associava negativamente ai Berenson) per tra-sferirsi a Parigi, e abbandonò per sempre la storia dell'arte.64 In una lettera a Vernon Lee, rimpianse di aver sprecato tanto tempo dietro a Berenson e al suo "Morellian rubbish". Il suo nuovo interesse era la storia delle donne: stava studiando due protagoniste del Sei-Sette-cento francese, la principessa des Ursins e Mme de Maintenon. "As it is (at my age of 70) I have done the best bit of work of my life".65 Vernon Lee evitò queste tensioni col restare intenzionalmente nel solco della tradizione amatoriale. Intrattenne occasionali e sporadici legami con l'accademia: per esempio, tenne lezioni nell'"extension program" (l'insegnamento extra moenia per adulti) dell'università di Cambridge. E a diferenza di Virginia Woolf, che rifutò ripetuta-mente il titolo dottorale ofertole da quella che chiamava "the acade-mic machine",66 Lee accettò il dottorato honoris causa dell'università di Durham nel 1924. Ma sostanzialmente decise di foggiare la sua carriera letteraria sul modello amatoriale vittoriano: scelse di esse-re una dilettante, non una specialista. 67 Lei stessa -con un certo compiacimento, va detto- chiamò i suoi scritti sul genius loci "vain dilettanteish writings".68 Dei due tipi di intellettuale tratteggiati da Isaiah Berlin, il riccio e la volpe -il riccio che si muove lentamente su un terreno circoscritto, conosciuto palmo a palmo, la volpe che scor-ribanda liberamente su un campo molto più vasto-.69 Lee fu senza dubbio una volpe. Non volle mai scegliere fra letteratura e saggisti-ca, fra scrittura creativa ed erudizione. La sua sfda fu quella di tene-re insieme due forme di scrittura che andavano allontanandosi l'una dall'altra. E seppe fare tutto questo sfruttando abilmente le risorse di autorevolezza che il ruolo dell'amatore aveva avuto nell'età vittoria-na, e che ancora in parte manteneva. È straordinario il prestigio di cui godette presso i contemporanei, non solo artisti e letterati (dopo averla incontrata di persona, Henry James la chiamò "the most able mind in Florence");70 ma anche storici dell'arte. Dalle carte di Mary Berenson, emerge l'immagine sorprendente di un Bernard Berenson che va in pellegrinaggio a Villa Il Palmerino nel 1894 per sentire il giudizio di Vernon Lee sul suo ultimo libro, l'importante monografa su Lotto. Lei gli dice senza mezzi termini che ha scritto "una versio-ne inferiore delle cose che scrive John Addington Symonds", il grande studioso del Rinascimento. E soprattutto, gli dice: "I want you to learn to write". "She tried to Vernonize him -scrive Mary- He came home sick" ("è tornato a casa distrutto").71 Il verbo "to vernonize", inventato da Mary Berenson, è naturalmente un gioco di parole con "to sermonize", fare la predica a qualcuno.
Pur evitando lo scontro diretto con il nuovo approccio professio-nale e accademico alla storia, Lee non si peritò però dal criticarlo - tutt'altro. Lo fece con intenso vigore polemico nei suoi scritti sul genius loci. A cui dunque veniamo.
3. Camminare con Vernon Lee
Camminare con Vernon Lee, risalire con lei le valli, fittamente coperte di cespugli di mirto, presso la sua casa fiorentina, visitare una chiesa di villaggio o una vecchia villa, era essere ammessi a condividere il suo intenso piacere e sentire come fossero vitali per lei -vitali come l'aria- queste impressioni.72
Sono parole di Irene Cooper Willis, amica degli ultimi anni ed esecutrice testamentaria di Vernon Lee, di cui pubblicò una raccolta di lettere. Camminare liberamente era per Lee un aspetto essenziale della libertà delle donne, ingiustamente ristretto e minacciato dalla tolleranza patriarcale per i peggiori comportanti maschili:
And have you ever reflected that the restrictions placed upon nearly all women's lives - restrictions upon their studying, travelling, nay, in many countries, even upon their freely walking about in broad daylight - are due mainly to the fact that a certain number of male cads are tolerated by society, high and low?73
Lee rintracciava l'origine della sua predilezione per certi luoghi nella deprivazione patita da bambina, quando la famiglia traslocava spesso "avendo cura di non vedere niente lungo la strada". Per aver-le aperto gli occhi, ricordava con gratitudine Mary Singer Sargent, madre del pittore, la prima di una lunga serie di madri spirituali: "the enchanting, indomitable, incomparable Mrs. Sargent, the most ... inspired votary of the Spirit of Localities, this most wisely fanta-stic of Wandering Ladies".74
Come una "votary" -una devota- del genius loci Lee descrisse an-che sé stessa.75 Questo è il tema a cui dedica sette collezioni di saggi, scritti fra il 1897 e il 1925, pubblicati originariamente su una rivista, la "Westminster Gazette" e poi raccolti in volume. A Limbo and Other Essays (1897) segue due anni dopo una più marcata rifessione in Genius Loci. Notes on Places. Negli anni successivi, appaiono The Enchanted Woods (1905); The Spirit of Rome (1906); The Sentimental Traveller (1908); The Tower of the Mirrors (1914) e The Golden Keys (1925).76 Altri saggi furono pubbli-cati solo come articoli, come la serie intitolata An English Writer's Notes on England, apparsa su "The Atlantic Monthly" (1899-1901) e "Scribner's Magazine" (1913), e le Greek Notes, uscite nella "Westminster Gazette" (1910). Vernon Lee continuò a scrivere sul genius loci anche negli ultimi anni. Un manoscritto inedito contiene, fra altre cose, un saggio, Genius Loci in North Oxford, datato 29 giugno 1930.77
Scrive in Genius Loci (1899):
To certain among us, undeniably, places, localities (...) become objects of intense and most intimate feeling…They can touch us like living creatures; and one can have with them friendship of the deepest and most satisfying sort.78
Questa amicizia è il dono che riceviamo "da quella imperso-nale divinità che chiamo, per mancanza di un termine migliore, e per il desiderio segreto di ofrire un qualche ringraziamento, Genius Loci". Una divinità che si manifesta e ci parla attraverso "la confor-mazione del terreno, il tono del rumore per le strade, il suono delle campane o delle dighe - e soprattutto, forse, quella strana e sugge-stiva combinazione, notata da Virgilio, di "fumi che scorrono sotto antiche mura" (fuminaque antiquos subterlabentia muros)". 79
Nei saggi di Lee, si susseguono evocazioni dello spirito dei luoghi incontrato nei suoi viaggi, in immagini in cui si mescolano natura e storia, passato e presente, sensazioni soggettive e realtà materiali: ad Augsburg, la Germania che ama - quella che ci ha dato gli alberi di Natale e le fabe dei fratelli Grimm; ad Arezzo, la Settimana Santa, con le chiese illuminate e adorne di piccoli "giardini di Adone" di piante aromatiche; la lavanda dei piedi ai vecchi di un ospizio, splendidamente vestiti negli abiti di una confraternita. In Turenna, nella valle della Loira, le lunghe forme di pane, "come cactus bion-di da spezzare in tocchi"; a Langeais, un pomeriggio di "benefco caldo del sud, le strade polverose che sanno di clematide forita e cotta dal sole"; il vecchio contadino che la invita a visitare la sua fattoria dicendole "Nous disparaîtrons, madame; nous disparaîtrons surement".80
Lo sguardo di Vernon Lee è puntato sulle diferenze fra un luogo e un altro:
France again: I am happy to perceive that, as years go on, and I find myself trundling about more and more over a very limited and very familiar portion of the earth's surface, there is in myself no diminution - nay, if anything, an increase in a peculiar feeling of the difference between places, and of the wonderfulness of change from one place or country to another.81
Così pure in Italia, Lee mette a fuoco le varietà regionali e locali, i tratti peculiari della fsionomia di paesi e città. Nel saggio "The Old Bologna Road", per esempio, rimarca il contrasto tra i villaggi lungo la strada che collega le due regioni così diverse, separate da passi monta-ni: "a sud, piccole Firenze con piccionaie e scalinate ...; a nord, piccole Bologna della pianura lombarda, con portici e snelli campanili".82
Quel che Lee chiama "a passion for localities" ricorda molto la passione dei romantici per "il colore locale".83 Come per i romantici, si tratta di una reazione all'esperienza dello sradicamento e della perdita, alla standardizzazione delle condizioni di vita che così spesso hanno accompagnato l'avanzare della modernità. Sono molte le forze che minacciano il genio dei luoghi; per la pacifsta Lee, la più devastante è la guerra.84 Ma una fondamentale minac-cia, ci dice, viene anche dalla modernità, "homogenising, mecha-nistic modernity", con gli scempi infitti dall'industrializzazione al paesaggio e alla condizione umana, che Lee denunciò in una serie di saggi sull'Inghilterra.85
The horror of Bermondsey and the like, with its millions of squalid houses the train looks down upon, and its sickly smell of kiln and beer; the Thames, with its great barges and shipping, which, from the railway bridge, is so evidently a magnificent gigantic drain.86
Lee deplora "the poverty, brutality, overwork, and shame of the great cities", "the ruthless barbarity of this industrialism; not merely the wholesale pollution of water and ground, the killing of of trees and blackening of the sky, but the litter, the heaps of refuse every-where".87 Vede questi orrori come conseguenza di avidità, ottusità e ignavia: stupid hurry and graspingness and stupid acquiescence with bad things, this acceptance of all spoiling, soiling, wasting, destroying processes so long as they accompany some immediate profit or
indulgence.88
Come erosivo del genius loci, Lee critica inoltre il moderno turi-smo di massa, con l'uso standardizzato delle guide Baedeker, del-la macchina fotografca e dell'automobile, "that improbable mode of locomotion" che distorce il senso dello spazio.89 Da tutto questo consegue un'omogeneizzazione culturale che distrugge la specifcità dei luoghi e ne recide il legame vivo col passato. Tutte le forze che minacciano il genius loci hanno un tratto in comune per Lee: sono forze che troncano il flo che lega il presente al passato, oscurandone e cancellandone le tracce. Così, per esempio, Lee sintetizza la pecu-liare desolazione delle città moderne (o rammodernate):
The modern rectangular town (built at one go for the convenience of running omnibuses and suppressing riots) fills our soul with bit-terness and dryness [...] it can give us only its own poor, paltry presence, introducing our eye and fancy neither to further details of itself, nor to other places and people, past or distant.90
La rifessione di Vernon Lee sulle forze che minacciano il genius loci è anche rifessione sulla condizione umana dello sradicamento. "There must be… to every decent human being something just a little bit sad, and something just a trife humiliating, in every kind of uprooting".91 Lee aveva chiaro il prezzo da pagare per "ogni forma di sradicamento": sapeva che il cosmopolitismo poteva risolversi in una vita di "empty expatriation", come scrisse a proposito del padre di John Singer Sargent.92 In un breve testo pubblicato nel 1915, Lee espresse la sua ambivalenza verso il cosmopolitismo con una parabola tratta da una faba. Come per la Bella Addormentata nel Bosco, ci dice, furono presenti al suo battesimo varie fate, ognuna rappresentante una nazione europea e recante alla bambina i doni peculiari della propria cultura:
England and Italy came with their poetry and humor and practical wisdom, the ripeness of modern times and the heritage of oldest civilizations; France came with her humane laughing lucidity; and Germany with her music and philosophy and the children's tales roosting in her Christmas tree. Even Russia and Poland, whose soil I was never to tread, came as the foster-mothers (unreconciled sisters!) of my father's boyhood. And all of them said, 'This child shall have the joy of loving us'.
Ma una fata, non invitata alla festa, porta anziché un dono una maledizione:
With the knowledge of the good of each nation, this child shall know in sadness the weakness and folly also of them all. And every nation shall say to her, 'You are an alien, and though you love me, shall have no power over my heart'. And as the unkind fairy willed, so it was to be.93
Amaramente, Lee ammette qui il costo umano di un'identità multinazionale: essere sempre percepito dagli altri come un alieno.
Non solo gli esseri umani, anche le opere d'arte sono minacciate dallo sradicamento. Un altro aspetto della dissacrazione dello spirito dei luoghi è per Lee l'estrazione dell'arte dal suo originario paesag-gio umano e la sua trasformazione in oggetto da museo. La polemica contro i musei è un leit motiv che pervade gli scritti di Lee sin dalla giovinezza. Un saggio del 1881, The Child in the Vatican, descrive il museo come apparve ai suoi occhi di bambina:
It is a desolate place, this Vatican, with its long, bleak, glaring corridors; [...] a dreary labyrinth of brick and mortar, a sort of overground catacomb of stones, constructed in our art-studying, rather than art-loving times.94
Lee riprende qui un tema già trattato nella letteratura vittoriana, per esempio da Charles Dickens e George Eliot: gallerie, musei, resti archeologici visti dallo sguardo candido di una giovane donna.95 Ma aggiunge un motivo tutto suo: il museo come "luogo d'esilio e catti-vità" per l'opera d'arte svelta dalle sue radici:
A dismal scientific piece of ostentation, like all galleries; a place where art is arranged and ticketed and made dingy and lifeless even as are the plants in a botanic collection. Eminently a place of exile; or worse, of captivity, for all this people of marble: these athletes and nymphs and satyrs, and warriors and poets and gods, who once stood, each in happy independence, against a screen of laurel or ilex branches, or on the sun-heated gable of a temple, ...; poor stone captives cloistered in monastic halls and cells, or arranged, like the skeletons of Capuchins, in endless rows of niche, shelf, and bracket. Certain it is that to this child, to any child, this Vatican must have been the most desolate, the most unintelligible of places.96
Mentre il museo le appare, nella memoria infantile, come spazio desolato e desolante, i luoghi amati associati al genius loci, al contra-rio, richiamano spesso per Lee felici ricordi d'infanzia. Sono l'Apriti Sesamo del ritorno al passato come ritorno alla fanciullezza.97
La critica ai musei si riallacciava per Lee a un altro deplorevole fenomeno del suo tempo: la distruzione dell'architettura del passato.
Nel 1890, in un saggio in italiano rimasto inedito, Ville romane: in memoriam, Lee denunciò le devastazioni urbanistiche nelle città dell'Ita-lia postunitaria.98 Divenuta capitale, Roma in particolare subì negli anni '70 e '80 dell'Ottocento una radicale trasformazione, che colpì soprattutto la cinta verde dei colli. Emblematica di questo deturpa-mento fu la distruzione di Villa Ludovisi e del suo parco secolare. Il saggio giovanile di Lee lamenta non solo la scomparsa di "spazi libe-ri e verdi in mezzo all'immensità implacabile di una città moderna"; ma anche, e soprattutto, il fatto che opere d'arte nate come parte integrante di ville e giardini vengano sradicate dal loro ambiente originario per essere relegate nei musei. In questo modo, l'arte viene allontanata dall'esperienza viva e quotidiana della gente comune:
Un museo è quel posto dove riesce più difficile, anche agli individui più dottati [sic] e più colti di procacciarsi qualsiasi godimento arti-stico, di ristorarsi l'animo; e dove, a parer mio la massa dell'umanità non incontrerebbe che la noia e la fatica, se un sicurissimo istinto non la salvasse dall'andarci mai [...] [P]er questi musei, [...] paga lo stato, paga il ricco benefico, persuasi della necessità di ristora-re l'animo del popolo mediante la contemplazione del bello. Ed intanto svellono dalle nicchie d'alloro le statue di Fauni e di Ninfe; si tagliano le elci secolari; si distrugge, con ogni fantasia messa in pezzi, con ogni albero mandato al deposito di legna da ardere, un quadro inestimabile, una poesia sublime: un quadro in cui può addentrarsi il passeggiare; una poesia che non si legge, ma si vive.99
La critica di Lee ai musei è tagliente. Il museo moderno è, a suo avviso, un luogo dove l'arte è trattata scientifcamente "come i cadaveri dell'anatomista", in modo da "dimostrare con un'eviden-za mirabile che l'antichità è cosa morta, mortissima [sic], tre volte mortissima".100
Su questa critica ai musei Lee sarebbe tornata più volte nel corso della sua vita, in particolare dopo aver visitato la Grecia nel 1907. Nel saggio Farewell to Greece, Lee sottolinea come la conservazione delle reliquie del genius loci in un museo non possa restituirci l'espe-rienza viva del passato come era possibile averla nel paesaggio ori-ginario.
I have brought back [from Greece] a sadness which is new and unexpected. The sadness of understanding, what I seem never to have guessed before, that the world of Hellas has perished; is dead, buried, its very grave devastated. Till now, somehow, one seemed to think that it still existed; a land east of the sun and west of the moon, where temples stood, and statues still arose out of the earth [...] And now I know that such a country does not exist; that these museums, all the world over, hold far the greater amount of the wreckage of that lost world.... And that beyond the sea is a little country, very poor, very new, arid and empty [....].101
In un altro saggio, Things of the Past (1913), Lee ribadisce ancora una volta la sua critica alla concezione della storia espressa dai musei del suo tempo:
This is what scholarly institutions have made of all Greek things: Antiquity broken and stained and damaged inevitably; but which might at least have been stained and broken like the figures which have remained on the Parthenon, or the statues in the groves of Roman villas, made almost into organic things by the mere action of the centuries.102
I resti artistici e architettonici del passato dovrebbero restare nel loro contesto originario, in cui il passare del tempo li trasforma in par-te organica del paesaggio stesso. Sradicati e messi in mostra nei musei, perdono buona parte del potere di evocare lo spirito dei luoghi.
4. Necromante con gli occhi aperti
Gli scritti di Lee sul genius loci non sono solo o soprattutto scritti di viaggio, come sono stati fnora descritti.103 Queste note su luoghi amati -"amours de voyage", li chiamava lei stessa- erano anche per Lee uno strumento di evocazione del passato.104 Sono anche quindi, vorrei dire, scritti di storia: un modo di conoscere e riconoscere il passato, diverso e alternativo rispetto a quello istituzionale. Sono la risposta della dilettante Vernon Lee al nuovo modello professiona-lizzato di ricerca storica incarnato dalle istituzioni museali e dalla storiografa accademica.
È stato detto che questi scritti sono "autobiografci e solipsistici"; che Vernon Lee li scrisse essenzialmente per sé stessa, come "il pro-prietario di una casa fa l'inventario dei suoi beni".105 Vero, ma solo nel senso che per Lee la peculiare storia di un luogo è patrimonio di tutti, un patrimonio di cui salvare almeno la memoria quando è minacciato di scomparsa. V'è chi ha sostenuto che l'interesse di Lee era rivolto solo ai luoghi, non ai loro abitanti: "her cosmopolitanism is one of place, not people".106 È un giudizio che non condivido. Al contrario, gli scritti di Lee sul genius loci mettono a fuoco quel che lei chiama "the kinship between a man and his country", l'inscindibi-le parentela fra una località e gli esseri umani che l'hanno abitata e plasmata nel tempo.107 È questo appunto che li rende non sem-plicemente scritti di viaggio ma scritti di storia. Ed è straordinario quanti temi, ignorati o marginali nella storiografa accademica del suo tempo, Lee abbia sollevato negli scritti sul genius loci. A Colonia e a Ratisbona, la religiosità popolare e il culto delle reliquie;108 a Parigi, nel convento adiacente al giardino del Picpus, dove duran-te la Rivoluzione era eretta la ghigliottina, la rammemorazione del Terrore nei rituali delle monache;109 a Venezia, il funerale di un'o-scura imperlatrice come parte della storia di San Marco;110 a Berck-sur-mer, nella cappella dell'ospedale dei bambini retto da terziarie francescane, afrescata da Albert Besnard, la persistente vitalità del cristianesimo;111 a Weimar, in visita alla casa di Goethe, il potere degli oggetti di evocare l'umanità del passato.112
La scrittura della storia era per Lee evocazione del passato come forza viva. Potremmo dire di lei quello che Aby Warburg disse di Burckhardt come "ricettore e trasmettitore di onde mnemoniche":
Burckhardt ha ricevuto le onde dalla regione del passato [...] ma non ha mai detto sì pienamente e sconsideratamente alle vibrazioni estreme [...] Non ha ceduto al romanticismo [...] Burckhardt era un necromante con gli occhi aperti; [...] era e restò un illuminista.113
Nel riesumare gli spettri del passato, anche Lee non cede ad una facile deriva nostalgica; mantiene sempre un'allerta critica verso i lati oscuri della storia; resta fedele anche lei, come Burckhardt, allo spirito dell'illuminismo. E cerca di tenere, fra passato e futuro, una sorta di equidistanza. "Ho fede nel futuro, ma ho un legame afet-tivo con il passato".114 Rifutò sempre di visitare l'America, perché le sarebbe mancato -ci dice- "the sense of being companioned by the past"; perché temeva "the chilly, draughty emptiness of a place without a history".115 E non nascose la sua antipatia per l'idea di "progresso", che ha talvolta -ci dice- "dei tratti rozzi e spigolosi, e quasi sempre la meccanica inesorabilità di una testa d'ariete".116
Né accettò mai la presunzione di superiorità del futuro rispetto al passato: "The future! Yes. It will be agreeably free of abuses and atrocities. At least one hopes so. But will it ever build something great like a Gothic church or know or care how to make such windows [...]".117
Come molti romantici e vittoriani, Lee non condivise il facile en-tusiasmo per "le magnifche sorti e progressive",118 ed anzi espresse un profondo desiderio di preservare aspetti della vita messi a repen-taglio dalla modernità. È la ragione per cui trasformarla in icona di trasgressione genderqueer, come fa la storiografa contemporanea che si ispira alla Queer Theory,119 è un anacronismo stridente: un segno di deplorevole propensione a percepire il passato solo attraverso la lente deformante del presente. È vero che Lee violò con sovrana libertà gli stereotipi di genere del suo tempo: ebbe legami di appas-sionato afetto e convivenza con varie donne e coltivò un'immagine di sé del tutto aliena dai cliché della femminilità. Ma è pretestuoso presentarla come "sexual dissident" quando sappiamo che detestava promiscuità e sperimentazione sessuale ed era contraria al controllo delle nascite.120
La visione di Vernon Lee era una visione se non conservatrice, profondamente conservazionista. E va ricordata a questo proposito la sua partecipazione alle battaglie ingaggiate dagli anglo-forentini per salvare l'amata Firenze dalle demolizioni e ricostruzioni moder-nizzanti.121 Gli ultimi due decenni dell'Ottocento videro una radicale trasformazione del cuore della città. Vecchie strade, case e botte-ghe, piazze e parchi furono rasi al suolo per fare posto al nuovo.122
Erano gli anni in cui, come scrisse Baudelaire dell'analogo processo a Parigi, "la forme d'une ville change plus vite, hélas! que le coeur d'un mortel".123 Vernon Lee lottò con tutte le forze contro questo oltraggio al genius loci. Nel 1898, come membro dell'Associazione per la Difesa di Firenze Antica, condusse, insieme a Horne e altri anglo-forentini, una vigorosa campagna per fermare ulteriori demolizioni, che avrebbero incluso, a quel punto, perfno il Ponte Vecchio. E rius-cì a mobilitare l'opinione pubblica internazionale contro "the now systematic destruction and rebuilding of Florence (a deed of jobbery in a bankrupt country!)" 124
Conservazionista, ma non conservatrice; femminista e pacifsta, ma scettica nei confronti di tutte le forme di estremismo, Lee difdò soprattutto del "vizio dell'intolleranza politica, che -ci dice- rende giacobini e reazionari, in pari misura, dei gran seccatori, con la loro propensione a correggere ogni cosa e a purgare il mondo di eresie ed eretici".125 Vernon Lee va vista, secondo me, come una fgura che appartiene alla tradizione romantica e vittoriana, piuttosto che al modernismo. Come la vide George Bernard Shaw, che in una recensione a Satan the Waster (1920) le rese omaggio come a una della "vecchia guardia intellettuale vittoriana e cosmopolita".126 Cosmo-polita, come sappiamo, in senso particolare. Un cosmopolitismo che rigettava ogni aspetto aggressivo del nazionalismo, ma che era nutri-to da quel che, scrivendo alla fne della Seconda Guerra Mondiale - una guerra che per fortuna fu risparmiata alla pacifsta Lee- Simone Weil avrebbe chiamato il bisogno umano di radicamento.127
Una cosmopolita in cerca di radici. Una dilettante autorevole. Ho dovuto ricorrere a due quasi-ossimori per defnire i tratti salienti del proflo intellettuale di Vernon Lee. È un segno forse che le categorie della nostra rete interpretativa -soprattutto la contrapposizio-ne di via professionale e via amatoriale alla storia- sono inadeguate. L'opera di Vernon Lee ci invita a ripensarle.
Biodata: Professoressa Emerita, Institute of the History of Medicine, Johns Hopkins University. Ha studiato prevalentemente la storia della medicina europea in età moderna, con particolare attenzione al rapporto fra medici e pazienti, lo sviluppo del concetto di osservazione empirica fra Cinque e Seicento e l'emergere di nuovi generi epistemici, quali la storia clinica. Ha studiato inoltre lo sviluppo della storia clinica in una prospettiva comparata, confrontandone la genesi in Europa e in Cina nella prima età moderna. Con la collega sinologa Marta Hanson, studia da anni la ricezione della medicina cinese nell'Europa del Seicento. Il loro saggio Medicinal Formulas and Experiential Knowledge in the Seventeenth-Century Epistemic Exchange between China and Europe ha ricevuto il Price/Webster Prize della History of Science Society nel 2019. Fra i suoi interessi anche la storia del corpo, cui ha contribuito studiando la ricerca scientifica sulla differenza fra i sessi in età moderna, nonché la rappresentazione di fenomeni come le mestruazioni e l'allattamento, a cavallo fra storia della medicina, storia della religione e storia della cultura. Un suo costante ambito di ricerca riguarda la storia delle donne, in particolare il loro ruolo in medicina (come curatrici e come autrici di testi medici) come pure nella storiografia, con particolare interesse per le storiche non accade-miche fra Otto e Novecento ([email protected]).
Professor Emerita, Institute of the History of Medicine, Johns Hopkins University. Her main research field has been the history of early modern European medicine, concerning mostly the relationship between patients and healers, the rise of empiri-cism and of the concept of empirical observation, as well as the development of new epistemic genres, such as the medical case narrative. She has also studied the history of the medical case narrative in a cross-cultural perspective, comparing the develop-ment of the genre in early modern Europe and China. With her colleague, the sinol-ogist Marta Hanson, she has been studying the translation and reception of Chinese medicine in 17th-century Europe. Their co-authored essay, Medicinal Formulas and Experiential Knowledge in the Seventeenth-Century Epistemic Exchange between China and Europe received the Price/Webster Prize of the History of Science Society in 2019. Among her research interests also the history of the body, with a focus on the science of sex differences in early modern Europe, as well as the representation of menstruation and lactation in early modern medicine, religion and culture. She has also devoted much attention to women's history, with studies on women's role in early modern medicine as practitioners and as authors of medical texts, as well as their contribution to historical writing, with a focus on women amateur historians between the 19th and the 20th century ([email protected]).
1 David Piper, The English Face, London, Thames and Hudson, 1957, p. 30l: «the portrait of a most sensitive intelligence, in which keenness and whimsy joined in style». Per la genesi del dipinto, Richard Ormond, John Singer Sargent and Vernon Lee, «Colby Quarterly», 1970, vol. 9, n. 3, pp. 165-166.
2 Ormond, John Singer Sargent, p. 164.
3 Vernon Lee, J.S.S. In Memoriam, in Evan Charteris (ed.), John Sargent, New York, Charles Scribner's Sons, 1927, p. 247. Il testo è accessibile online: https:// archive.org/details/johnsargent00char/page/n361/mode/1up?view=theater
4 Vernon Lee a Henrietta Jenkins, 6 aprile 1875, in Amanda Gagel (ed.), Selected Letters of Vernon Lee 1856-1935, I, 1865-1884, London, Routledge, 2017, p. 189.
5 Lettera a Henrietta Jenkins, 18 dicembre 1878, citata in Vineta Colby, Ve r -non Lee: A Literary Biography, Charlottesville, University of Virginia Press, 2003, p. 2.
6 Vernon Lee, Studies of the Eighteenth Century in Italy, London, W. Satchell and Co., 1880.
7 Per una bibliografa completa delle opere, più traduzioni, ricezione con-temporanea e letteratura secondaria fno al presente, https://thesibylblog.com/ bibliography/
8 Vernon Lee, Ottilie, London, Unwin, 1883, p. 10.
9 Sul pacifsmo di Lee, si vedano Grace Brockington, Performing Pacifsm. The Battle between Artist and Author in The Ballet of the Nations, in Catherine Maxwell, Patricia Pulham (eds), Vernon Lee: Decadence, Ethics, Aesthetics, Basingstoke, Palgrave Macmillan, 2006, pp. 143-159, e il cap. 4 in Grace Brockington, Above the Battlefeld: Modernism and the Peace Movement in Britain, 1900-1918, Yale, Yale University Press, 2010. Si veda inoltre Phyllis F. Mannocchi, From Victorian Highbrow to Anti-War Activist: The Political Education of Vernon Lee, Woman of Letters, in Serena Cenni, Sophie Geofroy, Elisa Bizzotto (a cura di), Violet del Palmerino. Aspetti della cultura cosmopolita nel salotto di Vernon Lee: 1889-1935, Atti del convegno internazionale di studi, Firen-ze, 27-28 settembre 2012, Firenze, Consiglio Regionale della Toscana, 2014, pp. 73-88.
10 Fra le opere di questo periodo, vanno ricordate The Handling of Words (1923) e The Poet's Eye. Notes on Some Diferences Between Verse and Prose (1926).
11 Vedi infra, nota 76, l'elenco delle opere di Lee su questo tema.
12 Su Pater, Symonds e Lee, vedi Hilary Fraser, The Victorians and Renaissance Italy, London, Oxford University Press, 1992, pp. 212-260, in particolare pp. 225-227 (sugli studi di Vernon Lee sul Rinascimento italiano). Fra le opere di Lee su que-sto tema vanno menzionate specialmente: Euphorion, Being Studies of the Antique and the Medieval in the Renaissance (1884); Renaissance Fancies and Studies, Being a Sequel to Euphorion (1895). Si veda inoltre Alison Brown, Vernon Lee and the Renaissance: from Burckhardt to Berenson, in John Easton Law, Lene Ostermark-Johansen (eds), Victorian and Edwardian Responses to the Italian Renaissance, Aldershot, Ashgate, 2005, pp. 185-210.
13 Nel 2022, un podcast dello Ashmolean Museum su Vernon Lee l'ha de-fnita «a trailblazing genderqueer icon», suscitando molte, e giustifcate, critiche: https://twitter.com/AshmoleanMuseum/status/1493897940234129409
14 Christa Zorn, The Cosmopolitan Intellectual During World War I, in Serena Cenni, Elisa Bizzotto (a cura di), Dalla Stanza Accanto: Vernon Lee e Firenze settant'anni dopo, Firenze, Consiglio Regionale della Toscana, 2006, pp. 255-269.
15 Vernon Lee, Sulla necessità della coltura estetica in Italia: lettera di un cosmopolita al Direttore della Rivista Europea, «Rivista Europea», 1875, vol. 3, fasc. 1, pp. 434-441. L'uso dell'indeterminativo maschile è coerente con la scelta dello pseudonimo Vernon Lee.
16 Già nel 1912 Lee aveva denunciato «the rhetorical self-delusion» del nazionalismo: The sense of nationality, «The Nation», 12 ottobre 1912, pp. 96-98. Ribadì questa critica in The Ballet of the Nations: A Present-day Morality (1915). Dopo la guerra, criticò duramente il trattato di Versailles e la retorica francese antitedesca sulle pagine della «Revue de Genève», la rivista che era stata creata per rinsaldare i rapporti tra gli intellettuali europei al di là dei confitti nazionali: Vernon Lee, En renouant la correspondance avec une amie ex-ennemie, «La Revue de Genève», 1921, vol. 14, pp. 173-180. Si veda Stefano Evangelista, Literary cosmopolitanism in the age of the League of Nations: Vernon Lee, Daniel Halévy and La Revue de Genève, «Journal of Europe-an Studies», 2021, vol. 51, nn. 3-4, pp. 204-216.
17 Per la biografa di Lee, Peter Gunn, Vernon Lee-Violet Paget, 1856-1935, Oxford, Oxford University Press, 1964; Vineta Colby, Vernon Lee: A Literary Biography, Charlottesville, University of Virginia Press, 2003.
18 Crystal Hall, Stefano Vincieri, «Isolated from any village»: Ver non Lee's Florence and Villa il Palmerino, «Open Inquiry Archive», 2014, vol. 3, n. 1. https://open-inquiryarchive.fles.wordpress.com/2014/02/open_inquiry_archive-2014-hall-vin-cieri-isolated_from_any_village-f.pdf
19 Della vasta letteratura sugli anglo-forentini, si veda Van Wick Brooks, The Dream of Arcadia: American Writers and Artists in Italy: 1760-1915, New York, Dutton, 1958; Olive Hamilton, Paradise of Exiles: Tuscany and the British, London, A. Deutsch, 1974; Marcello Fantoni (a cura di), Gli anglo-americani a Firenze: idea e costruzione del Rinascimento, Roma, Bulzoni, 2000; David Leavitt, Florence: A Delicate Case, London, Bloomsbury, 2002; Serena Cenni, Francesca Di Blasio (a cura di), Una sconfnata infatuazione. Firenze e la Toscana nelle metamorfosi della cultura anglo-americana, 1861-1915, Firenze, Consiglio regionale della Toscana, 2012; Paola Maresca, Gli Anglo-forentini nell'Ottocento a Firenze. Luoghi, passioni e segreti, Firenze, Angelo Pontecorboli, 2022.
20 Come già aveva notato Giuliana Artom Treves nel suo studio Anglo-fo-rentini di cento anni fa, Firenze, Sansoni, 1953, cap. VII: Le Bas-bleus, pp. 161-89; vedi inoltre Maria Teresa Mori, I salotti di conversazione e la comunità straniera nella Firenze post-unitaria, in Maria Chiara Mocali, Claudia Vitale (a cura di), Cultura tedesca a Firenze. Scrittrici e artiste fra Otto e Novecento, Firenze, Le Lettere, 2005, pp. 171-84.
21 The Life and Times of Aonio Paleario, or a History of the Italian Reformers of the Sixteenth Century (1860). La sua fu la prima opera su Paleario, come notò Frederic C. Church, The Literature of the Italian Reformation, «Journal of Modern History», 1931, vol. 3, n. 3, p. 459.
22 Di origine greca, Margherita Albana Mignaty tenne salotto a Firenze dalla fne degli anni Quaranta. Fra i suoi scritti, un libro su Correggio (1881), uno studio su Caterina da Siena (1886) ed uno su Shelley (1889): vedi Maria Teresa Mori, Lucetta Scarafa, Alla scoperta di una donna dimenticata: Margherita Albana Migna-ty, «Dimensioni e problemi della ricerca storica», 2005, vol. 2, pp. 97-138. Sui suoi rapporti con Villari vedi Francesca Dini, Margherita Albana Mignaty, Pasquale Villari e l'ambiente culturale toscano di metà Ottocento, «Nuova Antologia», 1998, 133, pp. 265-295 e Maria Teresa Mori, Margherita Albana Mignaty e Pasquale Villari, «Dimensioni e problemi della ricerca storica», 2005, n.1, pp. 101-123.
23 Vedi per esempio Susan e Joanna Horner, Walks in Florence: Public Galleries and Museums, London, Henry S. King, 1873; Eadem, Walks in Florence and its Environs, London, Smith, Elder & Co., 1884. Susan Horner pubblicò inoltre un'opera di sto-ria: A Century of Despotism in Naples and Sicily, Edinburgh, Edmonston and Douglas, 1860. I suoi diari inediti sono conservati nell'archivio del British Institute a Firenze.
24 Francesca Alexander, Roadside Songs of Tuscany, New York, Wiley & Sons, 1884; Eadem, Tuscan Songs, Cambridge, Houghton Mifin & Co., 1897. Su di lei e la sua amicizia con John Ruskin, vedi Lucia Grey Swett, John Ruskin's Letters to Franc-esca and Memoirs of the Alexanders, Boston, Lothrop, Lee & Shepard, 1931.
25 Sarah Benjamin, A Castle in Tuscany: The Remarkable Life of Janet Ross, Syd-ney, Murdoch Books, 2006.
26 Janet Ross, Three Generations of English Women: Memoirs and Correspondence of Susannah Taylor, Sarah Austin, and Lady Duf Gordon, London, T. Fisher Unwin, 1893. La star di questo straordinaria genealogia culturale al femminile è senza dubbio la nonna di Janet, Sarah Taylor Austin: protettrice degli esuli italiani in Inghilterra, corrispondente di Bentham e James Mill, di Victor Cousin e di Guizot, traduttrice di Goethe e di Ranke e autrice lei stessa di una storia della Germania dal 1760 al 1814: vedi John Macdonell, Austin, Sarah in Dictionary of National Biography, II, a cura di Leslie Stephen, London, Smith, Elder & Co., 1885, pp. 270-271.
27 Coautrice con Lina di The Story of Perugia è Margaret Symonds (fglia di John Addington Symonds, il grande storico del Rinascimento). Sulla loro amicizia, vedi Margaret Symonds Vaughan, Out of the Past, London, Murray, 1925, pp. 71-72.
28 Lina Waterfeld è anche autrice di una bella memoria della sua vita in Italia, A Castle in Italy (New York, Thomas Y. Crowell, 1961), che va letta insieme all'ancor più bella memoria scritta da sua fglia Kinta Beevor, A Tuscan Childhood, London, Viking, 1993. Molto materiale sulla vita e corrispondenza di Lina Water-feld è conservato presso la Harold Acton Library del British Institute di Firenze (Waterfeld Collection).
29 Tifany L. Johnston, Maud Cruttwell and the Berensons: 'A preliminary canter to an independent career', «Interdisciplinary Studies in the Long Nineteenth Century», 2019, n. 28, pp. 1-18.
30 Francesco Ventrella, Constance Jocelyn Ffoulkes and the Modernization of Sci-entifc Connoisseurship, «Visual Resources», 2017, vol. 33, nn. 1-2, pp. 117-139. Sulle opportunità che il metodo di Morelli ofriva alle donne, vedi Francesco Ventrella, Feminine Inscriptions in the Morellian Method, in Maria Teresa Costa, Hans Christian Hönes (eds), Migrating Histories of Art: Self-Translations of a Discipline, «Studien Aus Dem Warburg-Haus», 2019, vol.19, pp. 37-58.
31 Francesco Ventrella, Writing Under Pressure: Maud Cruttwell and the Old Mas-ter Monograph, «Interdisciplinary Studies in the Long Nineteenth Century», 2019, vol. 28, pp. 1-27. Sulla monografa come genere dominante nella storia dell'arte di fne Ottocento, vedi Karen Junod, The Lives of the Old Masters: Reading, Writing, and Reviewing the Renaissance, «Nineteenth-Century Contexts», 2008, vol. 30, n. 4, pp. 67-82; Gabriele Guercio, Art as Existence: The Artist's Monograph and its Project, Cambridge (MA), MIT Press, 2006. Sulla traduzione inglese di Vasari, vedi Patricia Rubin, 'Not [...] what I would fain ofer, but [...] what I am able to present': Mrs. Jonathan Foster's translation of Vasari's Lives, in Katja Burzer (a cura di), Le vite del Vasari: genesi, topoi, ricezione, Venezia, Marsilio, 2010, pp. 317-331.
32 A Guide to the Paintings in the Florentine Galleries (1907); A Guide to the Paintings in the Churches and Minor Museums of Florence (1908); Venice and her Treasures (1909).
33 Sirpa A. Salenius, Negra d'America Remond and Her Journeys, «CL-CWeb: Comparative Literature and Culture», 2012, vol. 14, n. 5: http://dx.doi. org/10.7771/148 1- ?-4374.2156
34 La sala di lettura del Vieusseux, con le sue riviste e libri in varie lingue e la sua clientela internazionale di lettrici e lettori, era il luogo emblematico della Firenze «cosmopolita»: vedi Laura Desideri (a cura di), Il Vieusseux: storia di un Gabi-netto di lettura 1819-2003: cronologia, saggi, testimonianze, Firenze, Polistampa, 2004. Il «libro dei soci» (1820-1889) del Vieusseux è consultabile online: https://cataloghi. vieusseux.it/librosoci/librosoci_list.php.
35 Paul R. Baker, The Fortunate Pilgrims: Americans in Italy 1800-1860, Cam-bridge (Mass.), Harvard University Press, 1964, pp. 96, 185.
36 James Buzard, The Grand Tour and After (1660- 1840), in Peter Hulme, Tim Youngs (eds), The Cambridge Companion to Travel Writing, Cambridge (Mass.), Cam-bridge University Press, 2002, pp. 37-52. Vedi anche Matthew Potolsky, The Decadent Republic of Letters: Taste, Politics and Cosmopolitan Community from Baudelaire to Beardsley, Philadelphia, University of Pennsylvania Press, 2012.
37 Vedi per esempio Cosmopolitan Florence: The Legacy of Nineteenth-Century Tra-velers, numero monografco di «Open Inquiry Archive», 2014, vol. 3 n. 1, a cura di Elise M. Ciregna e Sirpa A. Salenius e ivi, in particolare, il saggio di Sirpa Salenius, Cultivating Cosmopolitanism. Nineteenth- Century Americans in Florence.
38 Per una critica a questo aspetto del globalismo contemporaneo, vedi Douglas Murray, The War on the West: How to prevail in the Age of Unreason, London, Harper Collins, 2023.
39 Sul cosmopolitismo di Lee, vedi Francesca Billiani e Stefano Evangelista, Carlo Placci and Vernon Lee: The Aesthetics and Ethics of Cosmopolitanism in Fin-de-Siècle Florence, «Comparative Critical Studies», 2013, vol. 10, n. 2, pp. 141-161; Hilary Fraser, Writing Cosmopolis: The Cosmopolitan Aesthetics of Emilia Dilke and Vernon Lee, «Interdisciplinary Studies in the Long Nineteenth Century», 2019, n. 28, https:// doi.org/10.16995/ntn.844
40 Sulla storia intellettuale del cosmopolitismo, vedi Kwame Anthony Ap-piah, Cosmopolitanism: Ethics in a World of Strangers, New York, Norton, 2007. Sul cosmopolitismo nella letteratura inglese dell'età vittoriana, vedi Victorian Cosmopoli-tanisms, numero monografco di «Victorian Literature and Culture», 2010, vol. 38, n. 1, specialmente l'introduzione di Tanya Agathocleous e Jason R. Rudy (pp. 389-397); Amanda Anderson, The Powers of Distance: Cosmopolitanism and the Cultivation of Detachment, Princeton, Princeton University Press, 2001; Stefano Evangelista, Liter-ary Cosmopolitanism in the English Fin de Siècle: Citizens of Nowhere, Oxford-New York, Oxford University Press, 2021. Sul cosmopolitismo nella storiografa europea del Novecento vedi Johan Tollebeek, 'A Private Perch': Cosmopolitanism, nostalgia and com-mitment in the émigré historian's persona in Stefan Berger, Philipp Müller (eds), Dynamics of Emigration: émigré scholars and the production of historical knowledge in the 20th Century, Oxford-New York, Berghahn, 2022, pp. 29-46.
41 Nel caso di «Cosmopolis», il multilinguismo fu adottato come principio fondante: la rivista pubblicava regolarmente articoli in francese, inglese e tedesco. Su queste riviste e l'europeismo fra Otto e Novecento, vedi Landry Charrier, La Revue de Genève. Hantise de la décadence et avenir de l'Europe (1920-1925), «Études Ger-maniques», 2009, vol. 2, n. 254, pp. 363-374; e dello stesso autore, La Revue de Genève (1920-1925), les relations franco-allemandes et l'idée d'Europe unie, Genève, Slatkine, 2009. Vedi anche Evangelista, Literary Cosmopolitanism, cap. 4, pp. 164-205.
42 Per Lee, il richiamo temporale è spesso al Settecento: «that eighteenth century which… knew nothing of national limitations and jealousies» («La Ferté-sous-Jouarre», in The Sentimental Traveller: Notes on Places, London, Lane, 1908, p. 220).
43 Sulla tendenza globalista a valorizzare «l'ovunque» («anywhere»), a det-rimento delle appartenenze locali («somewhere»), vedi David Goodhart, The Road to Somewhere, The Populist Revolt and the Future of Politics, London, Hurst, 2017.
44 Citato in Francis King, A Literary Companion to Florence, London, Penguin, 2001, p. 38 (il corsivo è mio).
45 Lee, The Sentimental Traveller, p. 4.
46 William Rothenstein, Men and Memories 1900-1922, London, Faber & Faber, 1932, p. 122, citato in Ventrella, Writing under pressure, p. 1.
47 Rachel Cohen: Bernard Berenson: A Life in the Picture Trade, New Haven, Yale University Press, 2013. Ian Fletcher, Rediscovering Herbert Horne: Poet, Architect, Typographer, Art Historian (1880-1920), Greensboro (NC), ELT Press, 1990 e Julie Codell, Horne's Botticelli: Pre-Raphaelite Modernity, Historiography and the Aesthetic of In-tensity, «Journal of Pre-Raphaelite and Aesthetic Studies», 1989, vol. 2, pp. 27-41. Serena Pini, Charles Loeser, da Villa Torri Gattaia alla donazione di Palazzo Vecchio, in Lucia Mannini (a cura di), Le stanze dei tesori. Collezionisti e antiquari a Firenze tra Ottocento e Novecento, Firenze, Polistampa, 2011, pp. 165-172.
48 Lionel Gossman, Basel in the Age of Burckhardt, Chicago, University of Chicago Press, 2000, p. 238 e p. 529 nota 157.
49 Gianna Pomata, Amateurs by Choice. Women and the Pursuit of Independent Scholarship in 20th Century Historical Writing, «Centaurus», 2013, vol. 55 n. 2, pp. 196-219. Specifcamente per la storia dell'arte, vedi Meaghan Clarke, Turn-of-the-Century Women Writing about Art, 1880-1920, in Holly Laird (ed.), The History of British Women's Writing, London, Macmillan, 2016, pp. 258-272.
50 Sul proflo di Yates come «independent scholar», vedi Gianna Pomata, Studiose indipendenti: omaggio a Hélène Metzger e Frances Yates, in Riti di passaggio, storie di giustizia. Per Adriano Prosperi, III, Pisa, Edizioni della Normale, 2011, pp. 349-368.
51 «My mother had decided I was to become another Mme de Staël»: Vernon Lee, «The Handling of Words», citato in Colby, Vernon Lee, p. 6.
52 Lettera al fratello Eugene, 31 agosto 1893, in Sophie Geofroy, Amanda Gagel (eds), Selected Letters of Vernon Lee,1856-1935, III (1890-1913), pp. 364-365.
53 Lettera a Henrietta Jenkins, 2 ottobre 1874, in Geofroy, Gagel (eds), Selected Letters of Vernon Lee, I (1865-1884), p. 176.
54 La biblioteca rifette la varietà degli interessi di Vernon Lee ed è uno stru-mento fondamentale per capirne le idee: molti dei testi riportano le date di lettura e rilettura, e sono ampiamente annotati. Il fondo, di oltre quattrocento volumi, fu do-nato al British Institute di Firenze nel 1935, e vi è tuttora conservato. Sulle pratiche di lettura di Lee, vedi Hilary Fraser, Writing in the Margins and Reading Between the Lines in Vernon Lee's Library, in Cenni-Bizzotto (a cura di), Dalla stanza accanto, pp. 231-241. L'inventario del fondo (Vernon Lee Collection) è consultabile online: https://www. britishinstitute.it/en/library-services/vernon-lee-collection.
55 Gunn, Vernon Lee, p. 8.
56 Va detto peraltro che tanto Carlyle che Ruskin ebbero rapporti col mon-do accademico. Dopo aver concorso senza successo per un posto di docente alla St. Andrews University e all'università di Edimburgo, Carlyle fu eletto «Rector» di quest'ultima università (una carica prevalentemente onorifca) in età avanzata, nel 1865. Ruskin fu il primo Slade Professor of Fine Art a Oxford (1870-1885). Ma per entrambi il ruolo accademico fu secondario rispetto a quello di «public intellec-tual». Di queste tre fgure, Ruskin fu certamente quella che più infuenzò Vernon Lee. Lee criticò Ruskin nel saggio On Ruskinism in Belcaro; Being Essays on Sundry Aes-thetical Questions, London, W. Satchell and Co., 1881, pp. 197-229. Ma citò Ruskin spesso come fonte di ispirazione: per esempio, in The Sentimental Traveller, p. 253.
57 Vedi Travis E. Ross, Fixing Genius: The Romantic Man of Letters in the Uni-versity Era, in Herman Paul (ed.), How to Be a Historian: Scholarly Personae in Historical Studies, Manchester, Manchester University Press, 2019, pp. 52-71. Sul concetto di «scholarly persona» vedi Scholarly Personae: Repertoires and Performances of Academic Identity, «Low Countries Historical Review», numero monografco, 2016, vol. 131 n. 4, in particolare Herman Paul, Sources of the Self. Scholarly Personae as Repertoires of Scholarly Selfhood, pp. 135-154.
58 Quando l'editore John Dent individuò un mercato favorevole per testi di divulgazione sui grandi pittori del Rinascimento, si rivolse in un primo momento alla storica dell'arte non accademica Julia Cartwright (1851-1924). Ma le anglo-forentine Janet Ross e Lina Duf Gordon gli presentarono Maud Cruttwell, e fu lei ad avere la commissione: cfr. Angela Emanuel (ed.), A Bright Remembrance: The Diaries of Julia Cartwright 1851-1924, London, Weidenfeld and Nicolson, 1989, p. 258. Sul rapporto tra Cartwright e Cruttwell vedi Meaghan Clarke, Critical Voices: Women and Art Criticism in Britain, 1880-1905, Aldershot, Ashgate, 2005, p. 29.
59 Allan Marquand, Luca della Robbia, Princeton, Princeton University Press, 1914, cfr. Ventrella, Writing under pressure.
60 Wilhelm Bode, A New Book on the Pollaiuoli, «Burlington Magazine», 1907, vol. 11, pp. 181-182.
61 Sidney Colvin, Claude Phillips, A New Book on the Pollaiuoli: To the Editor, «Burlington Magazine», 1907, vol. 11, p. 249. Su questa diatriba, vedi Michael Levey, The Earliest Years of the Burlington Magazine: A Brief Retrospect, «Burlington Magazine», 1986, vol. 128, p. 475 e soprattutto Ventrella, Writing under pressure. Ventrella ha sottolineato la componente nazionalistica della controversia, argomentando che l'attacco di von Bode era diretto soprattutto all'infuenza del metodo di Morelli sui conoscitori inglesi: Ventrella, Feminine Inscriptions in the Morellian Method, p. 51.
62 Wilhelm Bode, A New Book on the Pollaiuoli: To the Editor, «Burlington Magazine», 1907, vol.12, n. 56, p. 106.
63 Maud Cruttwell, Donatello, London, Methuen, 1922, pp. 121 e 145 (si tratta di due busti al Bargello). Gli studiosi contemporanei hanno confermato i dub-bi di Cruttwell sull'attribuzione: vedi Paola Barocchi (a cura di), Omaggio a Donatello, 1386-1986: Donatello e la storia del Museo, Firenze, Museo Nazionale del Bargello, 1985, p. 280 e 336 e Artur Rosenauer, Donatello, Milano, Electa, 1993, p. 315.
64 Cruttwell scrisse nel 1913 un romanzo semiautobiografco, Fire and Frost, molto critico del circolo di Berenson a Firenze. Per un'analisi del romanzo, vedi Fraser, Women Writing Art History, pp. 40-43.
65 Cruttwell a Vernon Lee, 3 dicembre 1929, citato in Ventrella, Writing under pressure, pp. 26-27: «That hideous Berenson element, pretentious, & false even to the art they pretend to care for, spoils my memories of Florence & I regret all the time I wasted over Morellian rubbish… If I had only formed out Mme de Mainten-on at that age I would have done something good. As it is (at my age of 70) I have done the best bit of work of my life».
66 Woolf rifutò la laurea honoris causa ofertale dall'università di Manchester nel 1933 e dall'università di Liverpool nel 1939: Quentin Bell, Virginia Woolf: A Biography, London, Hogarth Press, 1972, p. 172.
67 Cfr. Christa Zorn, Vernon Lee: Aesthetics, History and the Victorian Female Intel-lectual, Athens, Ohio University Press, 2003, pp. 76-90.
68 Lee, The Sentimental Traveller, p. 281.
69 Isaiah Berlin, The Hedgehog and the Fox: An Essay on Tolstoy's View of History, London, Weidenfeld & Nicolson, 1953.
70 Gunn, Vernon Lee, p. 2.
71 Mary Berenson, nota manoscritta, 1894, Berenson archives, citato in So-phie Geofroy, Encountering the Florentine Sybil, «The Sybil. A journal of Vernon Lee Studies», 2007, 1 https://thesibylblog.com/encountering-the-forentine-sibyl-by-so-phie-geofroy/
72 Irene Cooper Willis, prefazione a Vernon Lee, Letters Home, privately printed, 1937, pp. xiii-xiv.
73 Vernon Lee, Althea: Dialogues on Aspirations and Duties, I, London, John Lane, 1910, pp. 16-17 (il corsivo è mio).
74 Lee, The Sentimental Traveller, p. 11.
75 Lee, «Et in Arcadia ... », in Eadem, The Enchanted Woods, London, John Lane, 1905, p. 318.
76 Lee, Limbo and Other Essays, London, Grant Richards, 1897; Genius Loci: Notes on Places, London, Grant Richards, 1899; The Enchanted Woods and Other Essays on the Genius of Place, London, John Lane, 1905; The Spirit of Rome: Leaves from a Diary, London, John Lane, 1906; The Sentimental Traveller: The Tower of the Mirrors and Other Essays on the Spirit of Places, London, John Lane, 1914; The Golden Keys and Other Essays on the Genius Loci, London, John Lane, 1925. Per un'analisi dello sviluppo della no-zione di genius loci in queste opere, vedi Richard Cary, Aldous Huxley, Vernon Lee and the Genius Loci, «Colby Quarterly», 1960, vol. 5 n. 6, pp. 128-140, specie pp. 132-137.
77 A Vernon Lee Notebook, 1898-1934. Il manoscritto, ad oggi inedito, è con-servato nel Vernon Lee Archive, presso il Colby College: https://digitalcommons. colby.edu/vl_published/52
78 Lee, Genius loci, pp. 3-4.
79 Ibidem, pp. 24-25: «the lie of the land, pitch of the streets, sound of bells or of weirs; above all, perhaps, that strangely impressive combination, noted by Virgil, of 'rivers washing round old city walls' (Fluminaque antiquos subterlabentia mur-os)». Il verso di Virgilio è tratto da un passo delle Georgiche, II 157, che tesse le lodi dell'Italia.
80 Ibidem, p. 45.
81 Ibidem, p. 99.
82 Lee, «The Old Bologna Road», in The Golden Keys, p. 51: «bits of Florence with pigeon-towers and fights of steps, ..., on the south side; bits of Bologna, of the Lombard plain, porticoed and extinguisher-belfried, on the north».
83 Lee usa l'espressione «passion for localities» in The Sentimental Traveller, p. 4. Sulla nozione romantica del «colore locale», vedi Vladimir Kapor, Local Colour: A Travelling Concept, Bern, Peter Lang, 2009.
84 Nell'ultimo, triste capitolo di The Golden Keys, intitolato «In time of war» (pp. 239-250), Lee lamenta le ferite insanabili che la guerra infigge allo spirito dei luoghi.
85 Lee, An English Writer's Notes on England, «The Atlantic Monthly», 1899, pp. 99-104; An English Writer's Notes on England, «The Atlantic Monthly», October 1901, pp. 511-518; An English Writer's Notes on England: Things of the Past, «Scribner's Magazine», August 1913, pp. 177-193; An English Writer's Notes on England: Things of the Present, «Scribner's Magazine», November 1913, pp. 609-620; An English Writer's Notes on England, The Celtic West (Cornwall, Wales, Ireland) «Scribner's Magazine», December 1913, pp. 712-724.
86 An English Writer's Notes on England, «The Atlantic Monthly», 1899, p. 100.
87 «The Chapel of the Sick Children at Berck», The Sentimental Traveller, p. 211.
88 An English Writer's Notes on England, «The Atlantic Monthly», 1901, p. 511.
89 Cary, Aldous Huxley, Vernon Lee, p. 38.
90 Lee, Limbo, pp. 48-49.
91 «France again», in Genius loci, p. 85.
92 J.S.S. in memoriam, p. 246: «his father, after a life of empty expatriation, had become a silent and broken old one».
93 The Heart of a Neutral, «Atlantic Monthly», November 1915, p. 687: cfr. Amanda Gagel, Vernon Lee's Satan the Waster. Pacifsm and the Avant-Garde, «The Public Domain Review», 2019, March 20.
94 The Child in the Vatican, in Belcaro: Being Essays on Sundry Aesthetical Questions, London, Satchell, 1881, p. 17. Il saggio riecheggia il romanzo semi-autobiografco di Walter Pater, The Child in the House: An Imaginary Portrait (Portland Maine, 1878). Su questo saggio di Lee, vedi Stefano Evangelista, Vernon Lee in the Vatican: The Uneasy Alliance of Aestheticism and Archaeology, «Victorian Studies», 2009, vol. 52, n.1, pp. 31-41. Sulle diverse visioni del museo fra Otto e Novecento, cfr. Ruth Hoberman, In Quest of a Museal Aura: Turn of the Century Narratives about Museum Displayed Objects, «Victorian Literature and Culture», 2003, vol. 31 n. 2, pp. 467-482.
95 I precedenti letterari sono Charles Dickens, Little Dorrit (1855-1857) e George Eliot, Middlemarch (1871-1972), in cui la Roma archeologica e artistica è descritta attraverso gli occhi di Amy Dorrit e Dorothea Brooke.
96 The Child in the Vatican, p. 18. Similmente, negli stessi anni, Ruskin cri-ticò la spoliazione di monasteri e chiese italiani a favore dei musei statali, defniti con sarcasmo «gallerie di raccolta di beni frutto di saccheggio» («pillage-reservoir galleries»): Praeterita (1885-89), che cito dalla ed. Oxford, Oxford University Press, 1989, p. 329.
97 «Säckingen and the Trumpeter» in The Sentimental Traveller, p. 245.
98 Ville Romane: in memoriam, 1890: manoscritto olografo, Vernon Lee Col-lection, Miller Library, Colby College, Waterville, Maine: https://digitalcommons. colby.edu/cgi/viewcontent.cgi?article=1049&context=vl_published Su questo ine-dito, vedi Marco Canani, Tra le lingue, tra le culture: il manoscritto italiano 'Ville romane: in memoriam' di Vernon Lee, «Lingue Culture Mediazioni / Languages Cultures Media-tions», 2016, vol. 3 n. 1, pp. 47-63.
99 Lee, Ville romane: in memoriam, p. 21.
100 Ibidem, pp. 20-21.
101 Farewell to Greece «Westminster Gazette», 26 March 1910, p. 3 (corsivo mio). Lee visitò la Grecia nel 1907 e scrisse le sue impressioni di viaggio in sei saggi pubblicati sulla «Westminster Gazette» nel 1910.
102 An English Writer's Notes on England': Things of the Past, «Scribner's Magazine», 1913, vol. 54 n. 2, p. 178 (corsivo mio).
103 Questa interpretazione riduttiva è già in Colby, Vernon Lee, p. 247. Ma vedi anche più di recente, per esempio, Rita Severi, Vernon Lee through the Enchanted Woods of Travel Writing in Cenni, Bizzotto (a cura di), Dalla stanza accanto, pp. 219-27; e Leonie Wanitzek, 'The South! something exclaims within me': Real and Imagined Spaces in
Italy and the South in Vernon Lee's Travel Writing, «Cahiers victoriens et édouardiens», 2016, vol. 83: http://journals.openedition.org/cve/2532.
104 «Envoy», in Genius loci, p. 151: «For love, of whatever sort or intensity, ties us to the past».
105 Colby, Vernon Lee, p. 252: «a householder taking inventory of her pos-sessions».
106 Alex Murray, 'Through variously tinted cosmopolitan glasses': Vernon Lee's Travel Writing of the British Isles, «Studies in Travel Writing», 2020, vol. 23 n. 4, pp. 343-344.
107 Lee, The Heart of France: in memoriam Émile Duclaux, in The Sentimental Traveller, p. 186.
108 St Geryon of Cologne, in Genius loci, pp. 105-111; Eadem, The Scottish Church at Ratisbon, in The Sentimental Traveller, pp. 69-76.
109 The Petit Picpus, in The Sentimental Traveller, pp. 201-207.
110 The Bead-threader's funeral and the Church of the Greeks, in The Sentimental Traveller, pp. 94-102.
111 The Chapel of the Sick Children at Berck, in The Sentimental Traveller, p. 217.
112 Goethe at Weimar, in The Sentimental Traveller, pp. 50-61.
113 Il passo viene dalle «Burckhardt-Übungen», note preparatorie al semi-nario su Burckhardt che Warburg tenne all'università di Amburgo nel 1926-27. Lo cito dai lunghi estratti in Ernst Hans Gombrich, Aby Warburg: An intellectual biography, London, The Warburg Institute, 1970, pp. 254-255. Il testo è stato pubblicato nel 1991 in appendice a Bernd Roeck, Aby Warburgs Seminarübungen über Jacob Burckhardt im Sommersemester 1927, «Idea. Jahrbuch der Hamburger Kunsthalle», 1991, n. 10, pp. 86-89. L'espressione usata da Warburg è «ein Nekromant bei vollem Bewusstein», che Gombrich traduce «a necromancer, with his eyes open». La mia traduzione si attiene all'interpretazione di Gombrich. Per un'altra traduzione italiana, vedi Aby Warburg, Burckhardt e Nietzsche, «Adelphiana», 1971, n. 1, pp. 9-13.
114 Lee, Psychologie d'un écrivain sur l'art (observation personnelle), «Revue philo-sophique», 1903, vol. 56, p. 249.
115 In praise of old homes, in Limbo, p. 30: «America, save what is left of Haw-thorne's New England [...], does not tempt my vagabond fancy», cfr. Colby, Vernon Lee, p. 254.
116 Siena and Simone Martini in Genius loci, p. 55: «There is room for many things in art as in life; besides progress, which sometimes implies certain uncouth and angular qualities, and nearly always a battering-ram hard-headedness, there is repose: the charm of the backwater».
117 Tower of mirrors, pp. 14-15. Lee scrisse sul futuro nel saggio Proteus (1925), apparso nella serie di volumi di vari autori To-Day and To-Morrow (London, Kegan Paul, Trench and Trubner, 1923-1932). Su questa serie, dedicata appunto alla fu-turologia, vedi Max Saunders, Imagined Futures; Writing, Science, and Modernity in the To -Day and To-Morrow Book Series, 1923-1932, Oxford, Oxford University Press, 2019.
118 L'espressione, come è noto, viene da La ginestra di Giacomo Leopardi (1836).
119 Per esempio, Francesco Ventrella, Voicing the Queer Self: Listening to Portraits with Vernon Lee, «Art History», 2023, vol. 46, n. 3 https://doi.org/10.1111/1467-8365.12727
120 Colby, Vernon Lee, pp. 103 e 128.
121 Daniela Lamberini, 'The divine country': Vernon Lee in difesa di Firenze antica, e Donatella Boni, Profetiche e polemiche parole d'amore: Vernon Lee scrive agli italiani di ieri e di oggi, entrambi in Cenni, Bizzotto (a cura di), Dalla stanza accanto, pp. 38-52, 242-254.
122 Silvano Fei, Firenze 1881-1898: la grande operazione urbanistica, Roma, Of-fcina, 1977.
123 Il verso di Baudelaire è tratto da Le cygne in Les Fleurs du Mal.
124 Si veda in particolare la sua lettera al Times, che fu pubblicata anche in italiano: Vernon Lee, All'editore del Times, «Bollettino dell'Associazione per la Difesa di Firenze Antica», 1900, n.1, pp. 35-44. Su tutta la vicenda, vedi Bernd Roeck, Florence 1900. The Quest for Arcadia, New Haven (CT), Yale University Press, 2009, pp. 131-134.
125 Lee, The Heart of France, in The Sentimental Traveller, p. 183.
126 George Bernard Shaw, A Political Contrast, «The Nation», Sept. 18, 1920, pp. 758-760: vedi Christa Zorn, Cosmopolitan Shaw and the Transformation of the Public Sphere, «Shaw. A Journal of Bernard Shaw Studies», 2008, vol. 28, pp. 188-208.
127 Simone Weil, L'Enracinement, Prélude à une déclaration des devoirs envers l'être humain, Paris, Gallimard, 1949. Per una interessante disamina della tensione fra «rootedness» (radicamento) e cosmopolitismo nella storia politica del XX se-colo, vedi James Loefer, Rooted Cosmopolitans: Jews and Human Rights in the Twentieth Century, New Haven (CT), Yale University Press, 2018.
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© 2024. This work is published under https://creativecommons.org/licenses/by/4.0/ (the “License”). Notwithstanding the ProQuest Terms and Conditions, you may use this content in accordance with the terms of the License.
Abstract
Abstract: Una figura centrale della comunità anglo-fiorentina fra Otto e Novecento, Vernon Lee (1856-1935) fu una protagonista delle discussioni estetiche, storiche e letterarie nel passaggio dalla cultura vittoriana al modernismo. Questo saggio mette a fuoco un aspetto finora trascurato del suo profilo intellettuale: la sua critica alla storia accademica, che va messa in rapporto con la scelta di essere una "dilettante", o come diremmo oggi, una studiosa indipendente. Lee espresse questa critica soprattutto nei suoi scritti sul genius loci, lo spirito del luogo, a cui dedicò varie raccolte di saggi in cui si intrecciano scrittura di viaggio e scrittura della storia. Gli scritti di Lee sul genius loci, infatti, non sono solo o soprattutto scritti di viaggio, come sono stati finora descritti. Sono anche scritti di storia: un modo di conoscere il passato, diverso e alternativo rispetto a quello accademico e istituzionale. Sono la risposta della "dilettante" Lee al nuovo modello professionalizzato di ricerca storica incarnato dalle istituzioni museali e dalla storiografia accademica. Figura comples-sa e poliedrica -cosmopolita in cerca di radici, dilettante autorevole, come viene definita nel saggio- Lee va vista come una delle formidabili donne che, tra la fine dell'Ottocento e i primi del Novecento, aprirono nuove strade alla scrittura della storia, pur restando, nel solco della tradizione amatoriale, all'esterno o ai margini della storiografia accademica.