Nel 1969 La Rivista pedagogica «Scuola e Città» iniziava la pubblicazione del supplemento «Fare Scuola» redatto da Aureliana Alberici, Franco Frabboni, Tullio Savi e Lydia Tornatore. L'editoriale di apertura denunciava l'inutilità pratica di qualunque discorso sulla scuola fondato sulla retorica tradizionale di una scuola che si rinnova, e non incorporato nella multidimensionale problematica della scuola in atto, fatta giorno dopo giorno dagli insegnanti:
Sono gli insegnanti a fare la scuola e a conoscere la scuola dall'interno. Sono gli insegnanti, volenti o nolenti, gli agenti della scuola nella società. Qualunque cosa la scuola possa o debba essere, può esserlo soltanto per l'azione degli insegnanti.
Grande difensore del mestiere dell'insegnante e grande accusatore delle politiche che hanno fatto della scuola un luogo/strumento di dispersione intellettuale, Franco Frabboni ha contribuito a declinare e a promuovere un progetto di scuola, un modello di formazione e un profilo di professione docente. Ha instancabilmente proposto tale Progetto nelle istituzioni chiamate a formulare politiche scolastiche e formative (Scuole, Enti locali, Commissioni ministeriali), nel dibattito tra ricercatori e studiosi di scuola e di formazione, nella pubblicistica rivolta alla comunità scolastica e alla pubblica opinione.
Lo ha fatto rimanendo vicino ai docenti, riconoscendo la rilevanza centrale della formazione iniziale e in servizio, l'impegno, «l'orgoglio e la fatica di insegnare»:
Un mestiere difficile, l'insegnare. Spesso deriso dalla Destra del nostro Paese (incolta, populista, arrogante) che irresponsabilmente dà in pasto al popolo dei teledipendenti un'immagine caricaturale del docente: fannullone, spendaccione, povero diavolo della cultura.
Al contrario, l'immagine di insegnante alla quale dà luce culturale il mondo della ricerca universitaria è ben altra. A partire dal rispetto e dal riconoscimento nei confronti della onestà professionale di un esercito di un milione di docenti (di cui 2/5 precari e il 50% oltre il mezzo secolo di vita) impegnato con orgoglio e fatica nella formazione delle menti e dei cuori delle nuove generazioni1.
1. L'idea-limite di un Sistema Formativo Integrato
La formazione, categoria epocale del XXI secolo, si presenta come un percorso sempre inconcluso, un problema aperto, una sfida, un progetto in progress giocato nella dialettica Io/Altro-Io/Mondo ed interessato a co-costruire identità autonome, plurali e solidali.
Di fronte ad un sistema economico-sociale-culturale che porta i segni del cambiamento, della complessità, del rischio, della postmodernità serve, oggi come e più di ieri, un progetto educativo a tutto campo2, un progetto di comunicazione e continuità verticale tra i differenti ordini di scuola e orizzontale tra la scuola e la cultura viva della città e del territorio, nella prospettiva della co-costruzione di un Sistema Formativo Integrato.
Il Progetto di un Sistema Formativo Integrato viene elaborato da Frabboni in una stagione storico-culturale di grande fermento educativo e sociale, di messa in discussione della scuola quale sistema educativo formale, di grande valorizzazione del sistema formativo non formale (famiglie, musei, pinacoteche, centri giovani, ludoteche, chiese, associazionismo, mondo del lavoro) e di consapevolezza della progressiva e profonda invadenza e «credito» del sistema informale (della cultura diffusa, delle offerte formative «a pagamento»). Sono gli anni in cui esce Lettera a una professoressa di Don Lorenzo Milani (1967), viene tradotto Le mie tecniche di Célestin Freinet (La Nuova Italia, 1969, ed. originale 1967), ma anche Descolarizzare la società di Illich (ed. originale 1971); Einaudi pubblica L'erba voglio, a cura di Elvio Fachinelli, Luisa Muraro Vaiani e Giuseppe Sartori, gli Editori Riuniti le opere di Bruno Ciari Le nuove tecniche didattiche (1971), La grande disadattata (1972), I modi dell'insegnare (1975), le Edizioni Dehoniane la traduzione di Vers une pédagogie institutionnelle (1975, ed. originale 1971)3 di Aida Vasquez e Fernand Oury. Nel 1973 Frabboni pubblica La scuola fuori. Segue un filone di opere che trattano i temi del rapporto tra Scuola e Ambiente, tra Scuola e Tempo libero, dell'Ambiente come alfabeto e come laboratorio, della città e delle «aule didattiche decentrate » come luogo/metodo e soggetto di educazione/formazione.
In questo filone di ricerca e di pubblicazioni Frabboni sottopone a una continua rilettura e riflessione i repertori e la progettualità formativa della scuola o sistema formativo formale (dalla scuola dell'infanzia all'Università) e dei soggetti e agenzie intenzionalmente formativi non formali; denuncia l'irresistibile espansione, il potere di penetrazione del sistema informale (sistemi di segni, cultura diffusa, mass media, Internet) e la necessità di fornire ai giovani competenze e abilità che possano sfidare il fenomeno diffuso dell'illitteratismo e della dispersione intellettuale.
In questo primo lustro del XXI secolo, il nostro vecchio continente [...] ha illuminato la sua frontiera longitudinale (la lifelong education: la formazione per tutto l'arco della vita); dall'altra parte, ha illuminato la sua frontiera trasversale (l'integrazione tra i molteplici luoghi della formazione: la famiglia, la scuola, gli enti locali, l'associazionismo, le chiese, il mondo del lavoro).
Questa duplice frontiera (longitudinale e trasversale) segnala il percorso e il traguardo dei futuri sentieri della formazione lungo i quali è chiamato a incamminarsi il ventunesimo secolo4.
Tale Progetto guarda alla Scuola come al soggetto/luogo/laboratorio di cittadinanza attiva e di democrazia in grado di garantire il massimo sviluppo delle opportunità e potenzialità individuali e la molteplicità dei punti di vista culturali e assiologici. Essa potrà esercitare tale funzione se saprà porre le basi per una formazione continua, aperta, basata su ancoraggi significativi, un imparare ad apprendere che sia metodo e autonomia, ossia capacità di allargare il personale spazio di libero movimento in senso fisico e psicologico.
2. Una scuola aperta e del curricolo, ovvero una scuola normale
Il progetto di un Sistema Formativo Integrato e di una scuola aperta dentroaperta fuori si fonda sulla consapevolezza che la democrazia è - come la formazione - un processo aperto che richiede l'impegno congiunto di differenti soggetti intenzionalmente formativi per garantire il diritto di tutti - «non uno di meno» - ad una cittadinanza attiva e piena: si fonda sulla consapevolezza che lo sviluppo è comunque e sempre un percorso di individuazione personale nel sociale, orientato dalla cultura di appartenenza e costruito nella comunicazione, a livello inter e intrasoggettivo.
Una scuola aperta è una scuola che si pone come sistema aperto, in un rapporto di continuità verticale e orizzontale: una continuità verticale (ossia curricolare), possibile a partire dalla costruzione di un percorso educativo e formativo unitario dalla prima infanzia all'adolescenza; una continuità orizzontale, possibile a partire da una progettazione pedagogica e didattica capace di far fruttare le risorse culturali e didattiche presenti nel territorio: laboratori, centri sportivi, biblioteche, ludoteche, ma anche i «saperi», i linguaggi, i segni dell'ambiente naturale e sociale, e la creatività cristallizzata nella cultura materiale.
Una scuola aperta dentro è chiamata ad «assicurare elevati coefficienti di «traffico» socio affettivo e cognitivo dentro le pareti scolastiche. Il che è possibile attraverso una razionale organizzazione e uso degli spazi e delle interazioni/ aggregazioni e attraverso la 'metodologia delle classi eterogenee' capace di adottare strategie didattiche [...] che mirino al «doppio traguardo pedagogico della socializzazione e dell'apprendimento»5.
Una scuola aperta fuori è una scuola che stipula un patto formativo con l'ambiente «esterno», dando vita a esperienze diffuse e continue di reciprocità/ interdipendenza culturale (elevando l'«ambiente» a libro di lettura, ad abbecedario di istruzione) e sociale (coinvolgendo l'«ambiente», a partire dalle famiglie, a partecipare-gestire la vita della scuola), perché nell'ambiente s'impara e nell'ambiente s'inventa6.
Nella serrata critica rivolta alle odierne politiche scolastiche7, Frabboni contrappone a una visione aziendalistica della scuola, il progetto di una scuola normale8: «Un sistema formativo che assicura alla sua utenza teste-ben-fatte (piene di perché) e cuori solidali (pieni di valori). [...] Quindi, una scuola- Laboratorio intesa come officina di metodo [...]».9
Una scuola normale è una scuola aperta, democratica, pubblica. La scuola - in una fase storica come l'attuale in cui la famiglia «implode» ed «esplode » ripiegandosi sui bisogni individuali dei suoi singoli componenti, in cui il sistema formativo si presenta sempre più policentrico e parcellizzato e lo Stato sempre più debole di fronte a una società con un'identità sempre più liquida10 - deve rafforzare il ruolo di «agenzia primaria di alfabetizzazione e di socializzazione»11, garante dell'inclusione contro ogni deriva individualistica, privatistica, aziendalistica. Una scuola normale che voglia recuperare una posizione di centralità e di complementarità formativa deve fare tesoro del passato, dei successi educativi dei comparti scolastici del pre-obbligo e del post-obbligo.
Frabboni attraversa e ripercorre la storia del sistema formativo del nostro Paese a partire dal 1947 per riportare alla memoria i passi fatti come scuola attiva, scuola a tempo pieno, sistema formativo integrato, scuola del curricolo.
Intitola i tre lustri che vanno dal 1947 al 1962 alla scommessa deweyana della scuola attiva che mutua a piene mani dall'illustre modellistica che fa capo al Piano Dalton (H. Parkhurst), al metodo dei Progetti (W.H. Kilpatrick) e al metodo Winnetka (C.W. Washburne).
Intitola i tre lustri che vanno dal 1962 al 1977 alla scuola a tempo pieno: il 1962 è una data storica che segna il varo della scuola media unica come scuola pubblica, laica e gratuita; l'epicentro di questo arco temporale è il 1971, anno della validazione della legge 820 che apre al tempo pieno raccogliendo e riformulando l'eredità del precedente modello della scuola attiva e ponendo al centro dell'insegnamento-apprendimento la scommessa bruneriana dell'insegnamento individualizzato e dell'approccio costruttivista: sia il docente sia l'allievo.
Intitola i tre lustri che vanno dal 1977 al 1992 alla scommessa batesoniana del sistema formativo integrato: la legge 517/77 che mette in discussione la curvatura scuolacentrica del tempo pieno ed alza il sipario sui molteplici soggetti e luoghi extrascolastici dell'educazione; seguono i Programmi della scuola media (1979), i Programmi della scuola elementare (1985), gli Orientamenti della scuola materna (1991) e la legge 148 (1990).
Intitola, infine, i tre lustri che vanno dal 1992 al 2007 alla scuola del curricolo validata nel 2007 dal Ministero della pubblica istruzione con il varo delle Indicazioni per il curricolo: la scuola del curricolo si presenta come «progetto di riannodo e di unificazione di questa variata modellistica pedagogico-didattica: la scuola attiva, la scuola a tempo pieno e il sistema formativo integrato»12.
3. Un professionista competente, innovatore coraggioso, etico per un mestiere difficile
La possibilità che il curricolo, la trasmissione e co-costruzione di conoscenze abbia senso e significato per gli allievi sta nella congruenza con cui si saldano competenze trasversali - quali metodo, criticità, storicità e problematicità - con le metodologie didattiche, nel rispetto sia delle differenze degli allievi e del loro cambiamento evolutivo, sociale, affettivo sia della specificità dei nuclei fondanti delle discipline stesse.
Centro dell'educazione non è tanto il sapere codificato o i bisogni dell'allievo, quanto piuttosto la problematica e la «messa a punto» della vita educativa dove «la personalità deve attuare l'esigenza profonda, che è costitutiva della sua umanità [...], di incessante approfondimento e di costante integrazione dell'esperienza, al di là di ogni limitazione e di ogni parzialità, in direzione razionale»13.
L'analisi delle criticità e la conseguente «messa a punto» della vita educativa richiede una professionalità strettamente collegata con la capacità di progettare-costruire-condurre collegialmente a livello macro il Piano dell'offerta formativa, a livello micro la progettualità didattica e il setting educativo nell'ambiente classe e nella dinamica con il mondo di saperi, affetti e valori che ne costituiscono il campo d'azione e relazione. Questo è possibile introducendo elementi di flessibilità in direzione di un uso modulare degli spazi e dei tempi scolastici, di valorizzazione delle risorse umane e materiali interne ed esterne alla scuola, di un'educazione indiretta, in cui il team docente fornisca l'impalcatura di sostegno (scaffold) volta ad orientare e sostenere i singoli e i gruppi nella costruzione e co-costruzione delle proprie competenze affettiveemotive- cognitive sviluppando le personali potenzialità14.
Frabboni, nelle sue opere, declina un profilo di insegnante che deve essere colto, competente, eticamente forte. È un profilo che dovrebbe rispondere a quattro irrinunciabili competenze professionali: le competenze disciplinari; le competenze didattiche e metodologiche a livello sia di didattica generale che disciplinare; le competenze relazionali sia relative alla conoscenza dei cambiamenti evolutivi degli allievi, sia delle reti socio-affettive che nascono e si tessono nella vita di classe, della collaborazione tra pari e dell'ascolto-dialogo tra docenti e allievi, sia la competenza deontologica, ossia «la padronanza pedagogica di pratiche di cura, di disponibilità, di cooperazione, di solidarietà: fondamentali per arricchire di cifre etico-sociali la comunità educante»15.
Frabboni ha partecipato in prima persona al dibattito sul profilo e sul curricolo professionale dei docenti16 ed è protagonista della costruzione/validazione/ attivazione dei curricola universitari del corso di laurea di di Scienze della Formazione primaria per la formazione iniziale degli insegnanti di scuola dell'infanzia e primaria, e della Scuola di Specializzazione per l'Insegnamento Secondario (SSIS) per gli insegnanti della scuola secondaria. È fermamente convinto che la formazione dei docenti - iniziale e in servizio - costituisca il passaggio obbligato per potere consegnare alla scuola una diffusa credibilità e legittimazione culturale da parte della propria collettività sociale. Dimmi che insegnante hai e ti dirò che scuola sei!
Ci serviremo, per riflettere sul profilo dell'insegnante per una scuola normale, di alcuni dati emersi dalla terza indagine dell'Istituto IARD17 e del riferimento a tre categorie utilizzate da un quindicennio in Francia nelle indagini nazionali sulle condizioni di lavoro nella scuola. Tali categorie sono: (a) il magister, centrato sul sapere disciplinare; (b) il pedagogo, esperto a livello didattico e metodologico (su caratteristiche, dimensioni di sviluppo, bisogni degli allievi, contesti didattici e forme/modi di comunicazione didattica e cocostruzione dei processi di insegnamento-apprendimento); (c) l'animatore, esperto nell'attivare, motivare, coinvolgere tutti gli attori del sistema scuola: il team dei docenti e l'intera classe, ma anche le famiglie e le altre risorse interne ed esterne alla scuola.
Nella indagine IARD citata, sulla base del tipo e frequenza di utilizzo delle diverse metodologie didattiche, Laura Bonica e Viviana Sappa18 definiscono quattro differenti tipi di profili: i Tradizionalisti (sono il 12,8% degli intervistati centrati sulla trasmissione della disciplina che insegnano preferendo lezioni frontali e strategie unidirezionali); i Tradizionalisti flessibili (sono il 46,3% e risultano essere i più esposti al rischio di incongruenza, poiché associano strategie unidirezionali e trasmissive a strategie innovative); gli Innovatori cauti (sono il 22% e fondano la loro didattica esclusivamente sulle lezioni interattive, secondo un modello pedagogico sensibile sia ai processi di apprendimento che di insegnamento, ma che offre scarso spazio alla dimensione esperienziale dell'apprendimento) e gli Innovatori coraggiosi (sono il 18,8% e si caratterizzano per l'utilizzo di diverse strategie didattiche, che appaiono congruentemente integrate all'interno di una stessa prospettiva interattiva e bidirezionale)19. Inoltre, la correlazione tra tali profili e le variabili implicanti una maggiore o minore apertura alla collegialità evidenzia un investimento gradualmente maggiore sulla programmazione attraverso riunioni con i colleghi a scuola man mano che ci si muove verso i profili più innovativi. Altrettanto dicasi della correlazione con variabili implicanti obiettivi di insegnamento più o meno fondati sulla reciprocità nella relazione.
Frabboni, riguardo al profilo professionale dell'insegnante, scrive:
Se la qualità della formazione - a partire da quella iniziale - è uno specchio molto affidabile per visualizzare la mission educativa richiesta all'insegnante da parte della società, ne consegue che il suo profilo professionale espone tendenzialmente una medaglia a due facce: l'una, statica; l'altra, dinamica.
a) L'insegnante/manovale. Questa prima identità professionale simpatizza con un'idea statica dell'insegnante perché è funzionale al mantenimento del modello tradizionale d'istruzione. [...]
b) L'insegnante/architetto. Questa seconda identità professionale simpatizza con un'idea dinamica dell'insegnante perché lo eleva a motore di cambiamento. [...] Dunque, una professionalità forte, capace di ottimizzare tanto il versante della socializzazione [...] quanto il versante dell'apprendimento20.
La storia della pedagogia ci insegna che si deve sempre ripartire dai dati delle ricerche e dal confronto e dialogo con e tra gli insegnanti per progettareorientare cambiamenti che siano sentiti come migliorativi e che siano condivisi dalla base della scuola reale. È quanto Frabboni ha fatto a partire dal «manifesto» lanciato nel citato Supplemento di «Scuola e Città» ancora agli inizi della sua carriera e che ha continuato a fare durante tutto il suo percorso professionale di docente, ricercatore, formatore. Ad un modello statico di insegnante/ manovale, privo di autonomia formativa, per una scuola subalterna alle disposizioni ministeriali e rinchiuso in una velleitaria autoreferenzialità formativa, ha cercato di contrapporre il profilo dinamico di un professionista al servizio di una scuola in cammino verso il «cambiamento».
Una professionalità forte, capace di ottimizzare tanto il versante dell'apprendimento (equilibrio tra piano relazionale e cognitivo del curricolo; stretta interazione tra competenze disciplinari e interdisciplinari; opzione per l'imparare ad imparare rispetto alla riproduzione delle conoscenze), quanto il versante della socializzazione (apertura della scuola ai problemi della società e della famiglia al fine di una precoce educazione alla cittadinanza; promozione di gruppi di studio e di ricerca per la co-costruzione delle conoscenze: esempio, i laboratori; la pratica della collegialità e del cooperative learning) nel nome sempre di una scuola che abiliti a pensare con la propria testa e a sognare con il proprio cuore.
[...] Il che significa che soltanto ponendo la scuola (e il suo corpo docente) a «crocevia» della sempre più ramificata rete dei luoghi formativi si potranno sfidare e contrastare - con la forza del pensiero democratico (la scuola è la sola istituzione culturale deputata a garantire l'uguaglianza delle opportunità formative) e del pensiero plurale (la scuola è la sola istituzione culturale deputata ad assicurare il rispetto delle «ideologie»: quindi la libera espressione dei molteplici punti di vista politici, etico-sociali, valoriali, religiosi) - le epocali rivoluzioni che stanno illuminando il firmamento di questo millennio al debutto21.
Siamo al «sogno» di una scuola normale, quello sperimentato dalla scuola reale e militante: attiva, a tempo pieno o lungo, capace di coltivare interdipendenze fruttuose dentro la scuola e fuori con tutti i soggetti intenzionalmente formativi interessati alla formazione e allo sviluppo di una comunità educante e democratica. Siamo al profilo di una consistente parte degli insegnanti della scuola reale attuale del nostro Paese.
Liliana Dozza, If the School. That is, the Teaching Profession
Another essay on Frabboni and its reflection on the question of education. An "open school inside-out open" is a definition that closely recalls the thought of the scholar of Bologna because it is an expression that tells how democracy is an open system that will require more education people who are intentionally involved the development of society and its education system. The school, of course, is made up of teachers and educators, professionals, competent, courageous innovators who undertake adifficult job The teacher is a builder and an architect, reaffirmsFrabboni, and pedagogical reflection can not forget to reflect on the historical and social transformation in recent years concerns the teaching profession.
1 F. Frabboni, Introduzione. L'orgoglio e la fatica di insegnare, in F. Frabboni, M.L. Giovannini (a cura di), Professione insegnante, Milano, FrancoAngeli, 2009, p. 7.
2 Si intende con campo «l'insieme dei fattori coesistenti considerati come interdipendenti» (K. Lewin, Il bambino nell'ambiente sociale, ed. originale 1951, trad. it. Firenze, La Nuova Italia, 1963, p. 46).
3 Tradotta e pubblicata con il titolo L'educazione nel gruppo classe. La pedagogia istituzionale, Bologna, Edizioni Dehoniane, 1975.
4 F. Frabboni, La scuola che verrà, Trento, Erickson, 2007, p. 9.
5 F. Frabboni, Dal curricolo alla programmazione, Teramo, Giunti&Lisciani, 1987, p. 130; Id., Manuale di didattica generale, Roma-Bari, Laterza, 1992, pp. 149-157.
6 Ivi, p. 70. Cfr. anche: F. Frabboni, Manuale di didattica generale, Roma-Bari, Laterza, nuova ed. 2000, pp. 91-92.
7 Il filone di ricerca, studio, divulgazione scientifica che riguarda il tema delle politiche scolastiche e della formazione docente accompagna circa un cinquantennio di storia italiana.
8 F. Frabboni, Sognando una scuola normale, Palermo, Sellerio, 2009, pp. 55-91.
9 Ivi, pp. 90-91.
10 F. Cambi, Formazione e comunicazione oggi: un rapporto integrato e dialettico, in F. Cambi, L. Toschi, La comunicazione formativa, Milano, Apogeo, pp. 60-61.
11 F. Frabboni, Sognando una scuola normale, cit., p. 66.
12 Ivi, p. 63.
13 G.M. Bertin, Educazione alla ragione, Roma, Armando, 1984, p. 166.
14 F. Frabboni, Manuale di didattica generale, cit., p. 81
15 F. Frabboni, M.L. Giovannini, Professione insegnante, cit., p. 17.
16 Tra le altre opere, in proposito ricordiamo: F. Frabboni, M. Callari Galli, Nuovi percorsi formativi e istruzione universitaria, Milano, FrancoAngeli 1999; F. Frabboni, M. Callari Galli, Insegnare all'università, Milano, FrancoAngeli 1999; F. Frabboni, M.L. Giovannini e G. Luzzatto (a cura di), Università e insegnanti, Bologna, Clueb 2000; F. Frabboni, A. Genovese, A. Preti, W. Romani (a cura di), Da Magistero a Scienze della formazione, Bologna, Clueb 2006; F. Frabboni, M.L. Giovannini, Professione insegnante, cit.. Frabboni è stato membro di Commissioni ministeriali (del Ministero della Pubblica istruzione e del Ministero dell'Università e della ricerca scientifica) che hanno redatto i Programmi didattici della scuola elementare (1985), gli Orientamenti programmatici della scuola materna (1991), il Rapporto nazionale sullo stato della Ricerca pedagogica in Italia (1991) e le Indicazioni per il curricolo della scuola di base (2007).
17 Attraverso la domanda «La professione di insegnante può essere svolta facendo riferimento a più obiettivi. Dovendo scegliere, lei si concentra maggiormente su: i) la trasmissione del sapere; ii) i bisogni di apprendimento di ogni allievo; iii) le finalità formative del tipo di scuola in cui insegna» si è inteso verificare a quale modello di professione docente si sentissero più vicini gli insegnanti italiani. Nel farlo si è preso a riferimento i tre modelli normativi sopraelencati (il magister, il pedagogo, l'animatore). Cfr.: L. Bonica, V. Sappa, Le metodologie didattiche, in A. Cavalli, G. Argentin, Gli insegnanti italiani: come cambia il modo di fare scuola. Terza indagine IARD sulle condizioni di vita e di lavoro nella scuola italiana, Bologna, Il Mulino, 2010, p. 133. Vedasi anche: L. Fischer, L'immagine della professione di insegnante, in A. Cavalli, G. Argentin, Gli insegnanti italiani, cit., 2010, pp. 88-89.
18 L. Bonica, V. Sappa, Le metodologie didattiche, cit., p. 133; Cfr.: L. Bonica e V. Sappa, Differenziazione dei percorsi scolastici in adolescenza: drop out o ragazzi che vogliono imparare bene un mestiere? In C. Usai e M. Zanobini (a cura di), Psicologia del ciclo di vita, Milano, FrancoAngeli, 2003, pp. 263-268; L. Bonica e V. Sappa e L. Savarino, Rapporto tra esperienze ottimali e percezione del setting nei diversi cicli di scuola, in A. Delle Fave (a cura di), La condivisione del benessere. Il contributo della Psicologia Positiva, Milano, FrancoAngeli, 2007, pp. 248-269.
19 Le metodologie didattiche, cit., pp. 141-144.
20 F. Frabboni, Fare bene scuola. Un'impresa possibile?, Roma, Carocci, 2008, p. 108.
21 F. Frabboni, Introduzione, in AIMC, APS, CIDI, DIESSE, FNISM, MCE, UCIIM (a cura di), Il Portfolio degli insegnanti, Bologna, Edicomp, 2004, p. 13 («I Quaderni dell'Ufficio Scolastico Regionale per l'Emilia-Romagna» n. 8 - gennaio).
Liliana Dozza
Ordinario di pedagogia generale, Università di Bolzano
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Copyright Firenze University Press 2010
Abstract
Another essay on Frabboni and its reflection on the question of education. An "open school inside-out open" is a definition that closely recalls the thought of the scholar of Bologna because it is an expression that tells how democracy is an open system that will require more education people who are intentionally involved the development of society and its education system. The school, of course, is made up of teachers and educators, professionals, competent, courageous innovators who undertake adifficult job The teacher is a builder and an architect, reaffirmsFrabboni, and pedagogical reflection can not forget to reflect on the historical and social transformation in recent years concerns the teaching profession. [PUBLICATION ABSTRACT]
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