Recibido: 31/05/2017 . Aceptado:29/10/2017
Riassunto
Il presente articolo si propone di indagare il rapporto che Nonno intrattiene nelle Dionisiache con Arato, uno dei suoi molteplici modelli. Lo studio prende in analisi quattro passi significativi (1.163-175; 25.123-133; 38.354-371; 47.448-452) e li pone a confronto con i relativi versi dei Fenomeni e con il poema arateo nel suo complesso. Sarà messo in luce il duplice atteggiamento di semplice imitatio cum variatione/ totale rovesciamento in cui si esplica la sfida ingaggiata dal Panopolitano. Il poeta, descrivendo le immobili costellazioni aratee come creature reali, giunge a superare il predecessore tramite un mimetismo sempre più esasperato, fino a dare vita a un'astronomia «dionisiaca», consona sia alle proprie tendenze stilistiche (paradosso) sia ai motivi portanti della propria opera (rapporto tra originale e copia). Questa astronomia personale prende forma nella Corona di Arianna, simbolo dell'unità cui, in un'ottica ispirata al Neoplatonismo, la ποικιλία finisce per tornare.
Parole chiave
Nonno; Arato; imitatio cum variatione; rovesciamento; mimetismo; astronomia; unità; Neoplatonismo.
Resumen
El presente artículo pretende investigar la relación entre Nono y Arato, uno de sus muchos modelos, en las Dionisíacas. El estudio examina cuatro pasajes significativos (1.163-175; 25.123-133; 38.354-371; 47.448-452) y los compara con los relacionados versos de los Fenómenos y el poema arateo en su conjunto. Se destacará la actitud dual de sencilla imitatio cum variatione/subversión total en la que se manifiesta el reto lanzado por Nono. El poeta, describiendo las inmóviles constelaciones arateas como criaturas reales, llega a superar su predecesor por medio de un mimetismo cada vez más acentuado, hasta crear una astronomía «dionisíaca», apropiada tanto para sus tendencias estilísticas (e. g. paradoja) como para los principales motivos de su obra, es decir la relación entre original y copia. Esta astronomía personal toma forma en la Corona de Ariadne, símbolo de la unidad a la cual, en una perspectiva inspirada en el Neoplatonismo, la ποικιλία tiene que volver.
Palabras clave
Nono; Arato; imitatio cum variatione; subversión; mimetismo; astronomía; unidad; Neoplatonismo.
Abstract
The aim of this paper is to investigate the relationship between Nonnus and one of his many models, Aratus, in the Dionysiaca. The study examines four significant passages (1.163-175; 25.123-133; 38.354-371; 47.448-452) and compares them with related verses of the Phaenomena and the aratean poem as a whole. The dual attitude, i.e. bare imitatio cum variatione/complete inversion, the Panopolitan shows in his competition with the predecessor will thus be highlighted. Describing the fixed aratean constellations as real creatures, the poet finally outclasses his model through an increasingly emphasized mimetism whose main outcome is a novel and authentic «dionysiac» astronomy: appropriate both to his own stylistic devices (e.g. paradox) and to the underpinning themes of his work, namely the relationship between original and copy. This personal astronomy finds expression in Ariadne's Crown, a symbol of unity to which, in a Neoplatonism-inspired perspective, ποικιλία is meant to go back.
Keywords
Nonnus; Aratus; imitatio cum variatione; inversion; mimetism; astronomy; unity; Neoplatonism.
(ProQuest: ... denotes non-US-ASCII text omitted.)
L'INTERESSE DI NONNO per l'astronomia emerge chiaramente dalla lettura delle Dionisiache. Si riscontrano infatti canti di respiro astronomico di cui il poeta si serve per esibire le proprie conoscenze in materia: tra questi spiccano i canti della Tifonia (1-2), nei quali il Gigante Tifeo, rubato il fulmine di Zeus (impegnato a intrattenersi amorosamente con Plutò), provoca uno sconvolgimento cosmico, o la famosa descrizione dello scudo di Dioniso (canto 25), su cui è rappresentato anche il cosmo, o il canto 38, dove viene narrato l'episodio di Fetonte, che comporta un altro stravolgimento dell'ordine naturale. Tuttavia le digressioni astronomiche non si limitano a queste grandi e cruciali sezioni, ma si presentano sparse, come macchie di colore, in tutto il poema.
L'importanza dell'astronomia/astrologia2 per Nonno è stata altresì riconosciuta dagli studiosi: basti pensare alla monografia, fondamentale anche se oggi ormai superata in quanto sopravvaluta tale importanza, di Stegemann3. Come è stato giustamente sottolineato4, le conoscenze astronomiche di Nonno non sono metodiche e spesso neppure corrette: ma ciò non deve stupire, poiché le Dionisiache non sono né intendono essere un poema astronomico; piuttosto l'astronomia ha lo scopo di impreziosire il testo, soddisfare quel gusto erudito che caratterizza Nonno e lo avvicina agli autori ellenistici, ma soprattutto si rivela funzionale alla narrazione, come vedremo.
Appare piuttosto naturale che il principale modello del Panopolitano, per l'astronomia, sia Arato5, che doveva essere una vera e propria autorità nel campo6, come dimostra la notevole fioritura di imitazioni e traduzioni latine più o meno fedeli dei suoi Fenomeni, nonché di commenti alla sua opera, poi confluiti negli scolii7. Il successo riscosso dal poeta di Soli fu in effetti straordinario, al punto che si può parlare di una «storia della letteratura aratea»8. Tra le numerose traduzioni latine ricordiamo quelle meglio conservate, di Cicerone, Germanico e Avieno9, mentre tra i commenti risultano rilevanti, oltre a quello di Attalo di Rodi (II secolo a. C.), il più antico a noi noto, cui rispose Ipparco di Nicea (161-127 a. C.)10, quelli di ispirazione filosofica, di Gemino, discepolo di Posidonio (I a. C.), Achille Tazio (III d. C.) e Teone di Alessandria (IV d. C.)11. Sembra inoltre che il poema arateo fosse utilizzato in ambito scolastico12.
Non è da escludere che Nonno abbia attinto anche a fonti astronomiche diverse dai Fenomeni: a volte, per esempio, dimostra di rifarsi ai Catasterismi di Eratostene di Cirene (276-196 a. C. circa)13 nell'associare alle costellazioni certi miti, in conformità a quel modus operandi tipico dell'età tardoantica14 che consiste nel giustapporre più modelli come fossero differenti tessere di uno stesso mosaico. D'altronde l'opera di Eratostene dovette ottenere un certo successo (seppure non paragonabile a quello del poema arateo)15: perciò in questa sede terremo presente anche questo autore, accanto a Igino16, il quale probabilmente offre nella sua Astronomia17 un'immagine più fededegna di ciò che i Catasterismi dovevano essere di quanto non faccia l'Epitome che ce li tramanda18.
Le riprese di Arato, quasi sempre concernenti contemporaneamente il piano tematico e quello formale, risultano, all'interno delle Dionisiache, piuttosto consistenti, tanto da rivelarsi parte di un progetto ben preciso e tutt'altro che irrilevante nell'ambito del più ampio disegno del poema. In primo luogo si rileva un atteggiamento duplice di Nonno verso il suo modello: da un lato una semplice imitatio cum variatione, dall'altro un totale rovesciamento. Soprattutto in questo secondo aspetto è evidente la sfida ingaggiata dal Panopolitano con il predecessore, che consiste - come vedremo - nell'enfatizzazione sempre più esasperata di un mimetismo in Arato appena abbozzato, il quale conduce il poeta a distinguersi gradualmente dalla fonte facendo propria la materia astronomica e piegandola agli scopi di una poetica indiscutibilmente personale. Tale processo, che segue lo sviluppo dell'opera secondo l'ordine progressivo dei canti, si coglie al meglio nella descrizione delle situazioni caotiche, tanto cara a Nonno in quanto consona alla sua peculiare predilezione per il paradosso. Analizzeremo dunque alcuni casi significativi, tratti in parte da alcune delle sezioni astronomiche più estese del poema (la Tifonia, l'epillio di Fetonte), in parte da passi astronomici collocati in contesti non propriamente astronomici (il lamento di Andromeda, la promessa di catasterismo rivolta da Dioniso ad Arianna), da cui mi pare che questi tratti emergano in maniera particolarmente chiara.
1. LA TIFONIA
Il primo passo in cui si può individuare Arato come modello si colloca all'interno della Tifonia, la grande sezione di respiro cosmogonico destinata ad aprire il poema inquadrandolo in un nebuloso passato mitologico, in una dimensione primordiale, archetipica, nella quale il potere degli dei olimpici non è ancora del tutto consolidato e le forze sovversive del caos sono sempre in agguato. Con i versi che riportiamo di seguito (163-175) comincia la descrizione dell'attacco di Tifeo alla volta celeste:
...
Dopo aver collocato le armi del Cronide in un grotta colma di anfratti20,
(Tifeo) tendeva al cielo la messe delle mani enormi:
con l'esercito delle mani intorno al punto più alto dell'Olimpo, 165
con una stringendo Cinosura21, con un'altra, comprimendo
la nuca dell'Orsa Parrasia inclinata verso l'asse, la trattenne,
con un'altra, afferrato Boote, lo arrestava,
con un'altra trascinava Fosforo e invano intorno alla meta circolare
l'eco mattutina della frusta celeste fischiò. 170
Trattenne l'Aurora; fermato il Toro,
la Stagione che conduce il carro si fermava fuori tempo, compiuta a metà.
A causa dei capelli che fanno ombra dalle teste adorne di serpenti
la luce era mescolata al buio e di giorno
splendeva la Luna, spuntata insieme al Sole. 175
Considerato che la menzione dell'Olimpo al v. 165 sostituisce quella del cielo22, in quanto il primo attacco del Gigante è rivolto contro la parte settentrionale del cielo, tale menzione potrebbe alludere alla dipendenza dell'ordine celeste dagli dei, più precisamente da Zeus, che degli dei - e dell'Olimpo per metonimia - è il padre. Ciò ci consente di procedere a un primo confronto con Arato. Il proemio dei Fenomeni è una celebrazione dell'onnipresenza e dell'onnipotenza di Zeus (vv. 1-18), da leggere in un'ottica squisitamente stoica23, in cui la πρ?νοια divina (o il λ?γος, incarnato dal padre degli dei) si configura come garante dell'ordine cosmico. In Nonno lo stesso ordine è sovvertito e il sovvertimento si esplica in primis nel blocco del moto delle stelle, le stesse stelle che in Arato ruotano πάντ? ?µατα συνεχ?ς α?εί24 (Phaen. 20) secondo la volontà di Zeus. Si rileva inoltre un contrasto tra l'onnipresenza e l'onnipotenza del dio, cui inneggia il poeta di Soli, e l'assenza del medesimo in questo punto delle Dionisiache, assenza di cui tra l'altro approfitta Tifeo per rubargli il fulmine, simbolo del suo potere. Il poema arateo comincia espressamente da Zeus (v. 1 ?κ Δι?ς ?ρχ?µεσθα), che tutto governa, quello nonniano da Tifeo, il quale mira a sostituirsi a lui e, in quanto figlio della Terra, elemento opposto al cielo (dominio del dio), si rivela il suo perfetto antagonista. Laddove nel modello dall'osservazione della volta celeste si possono ricavare informazioni utili sul tempo, nel nostro autore questo sistema viene completamente scardinato, poiché non si assiste né all'alternanza del giorno e della notte né al susseguirsi delle stagioni. Ogni certezza crolla, venendo meno la possibilità di prevedere il futuro basandosi sulla regolarità della natura. Insomma Nonno sembra richiamare Arato per opposizione, visto che il disordine causato dal Gigante, descritto innanzitutto come un arresto del movimento delle stelle, rinvia, per contrasto, a quell'ordine decantato dal poeta alessandrino nell'incipit del suo poema. È questo dunque un caso di rovesciamento totale di contesto, per mezzo del quale il Panopolitano si pone su un terreno di aperta sfida e competizione nei confronti del predecessore.
D'altronde, addentrandosi in un'analisi più dettagliata, si nota che nella menzione delle vittime di Tifeo si rintracciano vari elementi di ispirazione aratea. I Fenomeni descrivono le costellazioni partendo dalla zona settentrionale del cielo, in particolare dall'asse che attraversa la terra al centro (vv. 19-24) ed è limitato dai due poli (v. 25), di cui quello settentrionale sta «alto sull'oceano» (v. 26 ?ψ?θεν κεανο?ο): ebbene, nell'espressione nonniana περ? σφυρ?ν ?κρον ?λ?µου (v. 165), che pone in evidenza, come quella di Arato, l'aspetto dell'altezza, si può individuare un'allusione proprio a questo polo, che delimita appunto l'emisfero nord, dal quale il Gigante comincia il suo sconvolgimento. Inoltre l'Orsa Minore, che viene afferrata da Tifeo insieme all'Orsa Maggiore, è designata dal medesimo termine impiegato nel poema ellenistico: in Phaen. 36 leggiamo infatti κα? τ?ν µ?ν Κυν?σουραν ?πίκλησιν καλέουσιν, in cui Κυν?σουραν corrisponde a Κυνοσουρίδα al v. 166 del passo nonniano25. Il termine26 non si riscontra prima di Arato27 e la sua adozione da parte di Nonno implica precise conseguenze sul piano tematico. Nei Fenomeni le due Orse, chiamate comunemente ?µαξαι (v. 27), cioè «Carri», per il fatto che ruotano insieme intorno all'asse (in base all'etimologia ?...µα+?ξων), sono identificate con le nutrici di Zeus (vv. 30-37): insieme al nome «Cinosura» il poeta di Panopoli accoglie dunque, anche se implicitamente, tale identificazione, almeno per l'Orsa Minore. La scelta nonniana del termine in questione potrebbe essere legata al suo significato letterale di «coda di cane»28 e nascondere l'intento di evocare al lettore/ascoltatore29 l'immagine plastica di una costellazione ben definita nel momento in cui è afferrata da Tifeo: la coda di un cane risulta particolarmente idonea a tale scopo30. Quanto all'Orsa Maggiore, nell'epiteto Παρρασίης (v. 168) si può forse cogliere un rimando a Eratostene, più precisamente al mito di Callisto, Ninfa arcade, figlia di Licaone, di cui l'Orsa Maggiore rappresenta il catasterismo31; ma per la collocazione della costellazione rispetto all'asse (v. 167 ?ξονι κεκλιµένην λοφι?ν) il modello è di nuovo Arato32, il quale definisce la posizione delle Orse in Phaen. 28-30:
...
E queste hanno sempre la testa ciascuna verso i lombi
dell'altra e sempre sono trasportate dalle spalle34,
rivolte in due direzioni opposte all'altezza delle spalle35. 30
Esse puntano in due direzioni opposte e sono allineate l'una all'altra all'altezza delle spalle, dalle quali parte il loro movimento, dunque hanno la schiena rivolta verso l'asse; inoltre, come spiega Vian nel commento ad loc., «l'échine de l'Ourse est tournée vers le pôle de l'axe céleste», per cui l'orientamento dell'Orsa rispetto all'asse è lo stesso nei due autori, con la differenza che Nonno menziona la nuca (λοφι?ν) della costellazione, mentre Arato le spalle (v. 30 ?µους), forse perché la nuca si presta meglio delle spalle a essere afferrata da una delle molteplici mani di Tifeo, impegnate ad afferrare ognuna una diversa costellazione.
Non riporteremo, né in questo caso né nel seguente, i passi aratei, poiché nel passo nonniano le costellazioni sono semplicemente citate, non descritte: non è quindi possibile operare un confronto puntuale tra i due autori. Presteremo piuttosto attenzione al modo e all'ordine in cui tali costellazioni sono menzionate da Nonno.
Dopo le due Orse viene citato Boote, mentre nei Fenomeni, prima di descrivere Boote, ci si sofferma sul Drago, collocato in mezzo alle due Orse ai vv. 45-46. Tale costellazione non compare nei versi nonniani che stiamo analizzando, ma ai vv. 188-19036, dove è la prima a essere aggredita dai serpenti del Gigante, esattamente come le due Orse rappresentano il primo «bersaglio» di Tifeo. A mio avviso si può quindi individuare una corrispondenza che non sembra casuale37, ma può servire a illustrare la maniera del tutto personale in cui Nonno impiega la fonte. A prima vista egli non rispetta l'ordine in base al quale le costellazioni sono descritte da Arato. Tuttavia, in una prospettiva più ampia che contempla, oltre all'attacco di Tifeo, anche quello dei suoi serpenti (descritto qualche verso dopo), quell'ordine è mantenuto; semplicemente, le costellazioni non sono, per così dire, assegnate tutte al Gigante, ma vengono «distribuite» tra lui e le sue parti, per motivi strettamente funzionali alla narrazione: è chiaro che il Dragone, per il suo aspetto, si adatta più ai serpenti di Tifeo che non a Tifeo stesso e proprio per questo motivo diviene preda loro e non del Gigante. Sembra quasi che Nonno miri a stupire il lettore/ascoltatore dell'epoca, il quale si suppone conosca l'ordine arateo delle costellazioni e quindi in un primo momento è portato a pensare che questo non venga seguito, per doversi però ricredere poco dopo38. Dopo il Drago, Arato descrive l'Inginocchiato (vv. 63-70), la Corona (vv. 71-73) e Ofiuco e il Serpente (vv. 74-90), tutte costellazioni che Nonno omette in questo passo, ma che riprende, anche in questo caso, più avanti (salvo l'Inginocchiato), sempre nella descrizione dell'attacco sferrato alla volta celeste dai serpenti di Tifeo (vv. 190 sgg.), secondo la stessa logica e lo stesso gioco di richiami appena messi in luce. Per ragioni di completezza segnaliamo poi che la menzione di Fosforo (v. 169), dell'Aurora e del Toro (v. 171) è imputabile a esigenze narrative: i primi due sono emblemi della luce del giorno cui Tifeo impedisce di diffondersi, in quell'antitesi tra luce come elemento positivo e buio come elemento negativo che percorre l'intero poema39, mentre il terzo è emblema della primavera cui Tifeo impedisce di sbocciare40. Ma l'impostazione dei Fenomeni, nella cui parte centrale (vv. 559-757) si manifesta un interesse prima per il giorno, poi per l'anno (quindi per le stagioni)41, si scorge ancora dietro alla progressione dello sconvolgimento: infatti il Gigante impedisce prima il sorgere del giorno, poi l'avvento della primavera. Da tutto ciò si evince che Nonno ricorre alla fonte in modo disinvolto e libero: l'osservanza dell'ordine arateo non lo esime dal dare vita a una propria personale configurazione della volta celeste, caotica, in contrasto con quella ordinata e «rigida» del modello. Tra i tratti peculiari di questa configurazione spicca la «logica associativa» secondo cui le costellazioni vengono «spartite» tra Tifeo e i suoi serpenti: gli aggressori si rivolgono contro le creature astrali più vicine a loro nell'aspetto (oltre che particolarmente importanti, come nel caso dell'Orsa Maggiore, costellazione polare). Sul versante metaletterario è fondamentale osservare l'attitudine mimetica di Nonno che emerge già da questo passo ed è suggerita da Arato, il quale si appresta a donare una parvenza di vita alle costellazioni che descrive42 sortendo l'effetto di farle apparire in perenne tensione verso gesti e azioni che non riescono a realizzare.
L'attacco di Tifeo passerà dal blocco a una fase più propriamente aggressiva di tipo «mimetico», in cui saranno aggiunti nuovi elementi nel cielo: i serpenti di Tifeo andranno a sistemarsi vicino alle costellazioni a loro più simili imitandone la forma. Inoltre il Gigante lancerà contro le creature celesti le corrispondenti creature terrestri o marine. La descrizione aratea sarà sempre ben presente a Nonno, qualificandosi, talvolta accanto a Eratostene, come un ipotesto, sul quale il poeta lavora per antitesi e/o sovrapposizioni/aggiunte: il rovesciamento del modello è palese nella serie di catasterismi contraffatti di cui Tifeo si rende artefice, visto che in Arato il catasterismo si configura come una legge stabilita da Zeus, una ricompensa riservata a pochi per un'azione meritevole o una sventura subita. Il cielo inizia poi a difendersi dall'aggressione: le costellazioni, pur rimanendo tali, riprendono vita e combattono servendosi dei propri attributi, che Nonno trae per lo più dai Fenomeni; anche qui è chiaro il rovesciamento, che, nel prosieguo del poema, accanto al mimetismo, risulterà sempre più esasperato, come vedremo nei prossimi passi.
2. IL LAMENTO DI ANDROMEDA
Nel canto 25, qualche verso prima della descrizione dello scudo di Dioniso, nell'ambito della σ?γκρισις volta a esaltare, in sede di secondo proemio, il protagonista mediante la denigrazione di vari personaggi mitici, è collocato un passo classificabile come un lamento: si tratta di un discorso di protesta che la costellazione di Andromeda (cui Nonno, per l'occasione, concede la parola) rivolge all'amato Perseo e che serve al poeta per porre in evidenza l'inferiorità dell'eroe rispetto a Dioniso (da lui ulteriormente rimarcata subito dopo il discorso della fanciulla). Il passo in questione è piuttosto lungo, in quanto Andromeda fa riferimento non solo alla propria sorte, fonte per lei di sofferenza (vv. 123-133), ma anche a quella, ugualmente dolorosa, dei propri cari (nella fattispecie della madre Cassiopea ai vv. 134-137 e del padre Cefeo ai vv. 138-139). Per motivi di spazio prenderemo in considerazione soltanto la parte in cui la fanciulla parla di se stessa:
...
So di Andromeda, che brilla nell'Olimpo,
ma ancora soffre, anche in cielo; l'infelice
spesso dice queste parole con voce sdegnata: 125
'Che cosa volere di più, se mi portasti in cielo, sposo Perseo?
Mi fai un bel dono olimpio. In forma di costellazione
la Balena ancora mi incalza, anche qui, e un altro, nuovo
legame, simile al precedente, dopo la terra e la paura del mare,
ancora io ho, anche tra gli astri. La tua falce 130
celeste non mi salvò: invano nell'Olimpo
il dolce occhio dell'astrale Medusa luccica,
la Balena ancora mi incalza e tu non tendi le ali leggere'.
Come si vede, Andromeda si lamenta perché anche in cielo è incatenata e minacciata dal mostro marino. Proprio questa idea della persistenza della sofferenza della fanciulla anche dopo il suo catasterismo è un elemento tratto da Arato e precisamente da Phaen. 202-204:
...
Ma, tuttavia, anche là con le braccia aperte si distende,
sta in catene anche nel cielo; e si sollevano
là, tese ogni giorno, le sue mani.
Arato insiste su questo concetto in ciascuno dei tre versi sopra riportati: al v. 202 tramite l'espressione ..., al v. 203 per mezzo del sintagma ..., che allude al cielo, luogo in cui continua la sofferenza di Andromeda. Anche Nonno enfatizza questa idea ripetutamente e in maniera molto simile al poeta di Soli, al punto che sembra voler rendere ben riconoscibile il rimando: al v. 12444 con l'espressione κα? ?ν α?θέρι (rafforzata, in modo ridondante, dall'avverbio πάλιν), palese variazione dell'arateo κα? ?ν ο?ραν?, al v. 128 con κα? ?νθάδε, che sembra corrispondere all'arateo κ?κε?θι, al v. 130 con κα? ?ν ?στράσιν, altra variazione del concetto sottolineato da Arato, e al v. 139 con l'avverbio ?νθάδε, che sembra equivalere all'arateo α?το? e avere lo stesso scopo. Si consideri inoltre che anche i particolari di Andromeda su cui Nonno concentra la sua attenzione rinviano al suo dolore, intorno al quale ruota la descrizione aratea della costellazione45. Vediamoli nell'ordine in cui si succedono. Il mostro che opprime Andromeda nella volta celeste è la costellazione della Balena, la quale viene citata da Arato insieme alla fanciulla (proprio perché continua a minacciarla) nella sezione del poema dedicata a tale costellazione e non in quella dedicata ad Andromeda. Si tratta di Phaen. 353-35446:
...
E lei, che pure si distende non poco lontano,
Andromeda, una grande Balena incalza, andandole contro.
Nonno sembra partire dal passo arateo, sintetizzandolo in un refrain (... (v. 132), «dolce», la fanciulla vuole dire che esso non potrà più salvarla dal mostro che la opprime, condannandola a un supplizio eterno; è inoltre probabile che anche l'inutilità della testa di Medusa sia messa in rilievo perché nel poema arateo manca qualsiasi accenno a essa. Anche i calzari alati di Perseo, nascosti al v. 133 sotto la perifrasi «ali leggere» (πτερ? κο?φα), sono esclusi dalla descrizione aratea della costellazione: anche in questo caso si sottolinea il concetto di vanità53, pertanto valgono le osservazioni formulate sopra; ma possiamo, a mio avviso, andare oltre. Si ha a questo punto la netta impressione che Nonno voglia «riportare in vita» Perseo - esattamente come Andromeda, che qui parla ed esprime un sentimento - caratterizzandolo dettagliatamente per far sì che risulti una creatura reale, in contrasto con le creature celesti descritte da Arato nel suo poema o, per meglio dire, in una logica di competizione con il modello relativamente a quel suo tratto distintivo che è il timido, appena accennato tentativo di donare una parvenza di vita alle costellazioni54. In effetti i particolari selezionati, rimandando al mito, facilitano la visualizzazione delle due creature astrali, nell'ottica di rendere più efficace la celebrazione di Dioniso, secondo i moduli del genere encomiastico55.
Il lamento di Andromeda, così come la ... in cui si inserisce, è a mio avviso da leggere a un duplice livello: narrativo e metaletterario. A livello narrativo puri dati astrali tratti dai Fenomeni vengono trasformati in argomenti a sostegno di una polemica, la quale serve ad anticipare un momento essenziale del poema, ovvero la guerra tra Dioniso e Perseo nel canto 47, che si concluderà con la vittoria del protagonista e la pietrificazione di Arianna a opera di Perseo, oltre che con l'anticipazione del suo futuro catasterismo (di cui parleremo più avanti). A livello metaletterario il passo è funzionale a una σ?γκρισις tra Arato e Nonno, parallela a quella tra Dioniso e Perseo (entrambi figli di Zeus56), tramite cui il nostro autore vuole dimostrare la propria superiorità nelle capacità mimetiche, qui poste al servizio di quelle narrative: gli argomenti a sostegno della critica sono infatti offerti (seppure in negativo) da un modello che descrive una costellazione, la quale deve essere riconvertita in una creatura reale perché la critica risulti il più possibile efficace e credibile.
3. LO SCONVOLGIMENTO DI FETONTE
La vicenda di Fetonte domina il canto 38 delle Dionisiache. Numerose le notazioni astronomiche in questo epillio, a partire dal discorso di Elio al figlio, nel quale l'opera di Arato si configura sostanzialmente come un manuale che dispensa nozioni tecniche, passando per il discorso con cui Fosforo tenta di dissuadere Fetonte dal suo proposito di guidare il carro del padre, fino alla descrizione dello sconvolgimento effettivamente causato dal tracotante figlio di Elio. Qui ci soffermeremo su un blocco di versi appartenenti a questa ultima sezione, i quali, immortalando alcuni momenti di una situazione caotica, consentono di osservare come giunge a esplicarsi l'atteggiamento paradossale di Nonno nel confronto competitivo con Arato (vv. 354-371):
...
E, senza l'Orsa, l'equinoziale
cerchio sfiorando con la sinuosa spira del ventre, 355
compagno di corsa dell'astrale Toro, il Dragone58 sibilò
e insieme al Cane ardente il Leone ruggì con la gola,
scaldando l'aria con fuoco villoso e ardito stette
a incalzare il Cancro dagli otto piedi con un irsuto movimento ondulatorio;
presso la zampa posteriore del celeste Leone 360
la riarsa coda frustava la Vergine vicina;
la Fanciulla alata, slanciatasi oltre Boote,
vicino all'asse giungeva e si unì al Carro.
E presso la regione occidentale l'errante luce mandando
la stella del mattino spingeva l'opposta Espero: 365
vagava Erigenia; e invece della solita Lepre
l'ardente Sirio afferrò l'assetata Orsa;
lasciati separatamente l'uno Noto e l'altro Borea,
i Pesci stellati saltarono sull'Olimpo,
vicini all'Acquario; con movimento da acrobata, 370
compagno di corsa del Capricorno, il sinuoso Delfino si mise a danzare.
Emerge dal passo la chiara intenzione nonniana di confrontarsi con il modello, la quale si concretizza nella menzione di diverse costellazioni che durante lo sconvolgimento si spostano dalla sede in cui sono collocate in Arato: svariati sono infatti gli elementi che conducono ai Fenomeni. Il Dragone è allontanato dall'Orsa (v. 354) e arriva a toccare l'Equatore (il «cerchio equinoziale» ai vv. 354-355); dall'espressione «compagno di corsa dell'astrale Toro» a lui attribuita deduciamo che il Toro si trova vicino all'Equatore, come si desume da Phaen. 515-517, in cui la costellazione è citata come una delle prime due che stanno su questo cerchio. Il Cane, il Leone e il Cancro, associati tutti al calore (la costellazione del Cane comprende Sirio, l'astro della canicola, il Leone e il Cancro sono segni estivi59), dunque al fuoco, Leitmotiv dell'episodio, mantengono la propria collocazione, ma, tornati in vita, interagiscono tra loro: il Leone ruggisce verso il Cane, tormenta il Cancro scuotendo la criniera e frusta con la coda la Vergine, in un contesto molto dinamico, in cui si continua a insistere sul motivo del fuoco/calore (si vedano θερµαίνων e πυρί al v. 358, δίψιος al v. 361) e si creano forti effetti visivi e acustici60. Il Leone e il Cancro nei Fenomeni sono descritti uno dopo l'altro come ubicati entrambi sotto l'Orsa Maggiore (vv. 147-148) e menzionati insieme (vv. 491 e 54561). Ma anche la Vergine, citata nel passo nonniano subito dopo il Leone come vittima delle sue frustate (vv. 360-363), in Arato è associata al Leone e al Cancro (Phaen. 49162). Allo stesso modo Boote, menzionato subito dopo la Vergine da Nonno (v. 362), nella prima parte del poema arateo, quella cioè dedicata alla presentazione delle varie costellazioni, viene localizzato sopra la Vergine (Phaen. 96-9763) e descritto immediatamente prima di questa. Al Cane, ritratto nel momento in cui il Leone ruggisce verso di lui, viene attribuito il participio σειριάοντι al v. 357, probabile allusione al gioco etimologico con cui Arato applica il verbo σειριάω alla stella Sirio per esprimerne lo splendore (Phaen. 329-332)64:
...
La punta
del muso gli si protende con una stella straordinaria65, che moltissimo 330
splende in maniera accecante e la chiamano gli uomini
Sirio.
Considerato che Nonno impiega più termini in relazione all'idea di lucentezza66, la scelta dello stesso verbo cui ricorre Arato non sembrerebbe casuale. D'altronde al poeta delle Dionisiache sono particolarmente cari i giochi etimologici67: qui la conoscenza della fonte appare indispensabile alla riuscita del gioco poiché non si parla di Sirio, ma del Cane e il riferimento all'astro specifico rimane allusivamente sottinteso, nascosto dalla sineddoche. Anche l'epiteto attribuito alla Vergine al v. 362 (πτερ?εσσα, «alata») sembra una deduzione da Arato68, il quale nei Fenomeni la rappresenta nell'atto di volare (v. 134 ?πταθ? ?πουρανίη) e ne menziona un'ala (v. 138 δεξιτερ? πτέρυγι). Nel poema arateo la Vergine è collocata vicino a Boote (v. 136 Παρθένος ?γγ?ς ?ο?σα πολυσκέπτοιο Βο?τεω)69, per cui Nonno può descriverla nell'atto di slanciarsi oltre il Bovaro (παρα?ξασα Βο?την) e di unirsi al Carro, cioè all'Orsa Maggiore (v. 363). Sirio, invece che alla Lepre (come in Phaen. 339-34170), punta all'Orsa, riuscendo ad afferrarla (v. 367 ?δράξατο): ecco dunque che nel testo nonniano Sirio passa dall'inseguimento della Lepre alla cattura dell'Orsa, azione, quest'ultima, cui nel testo arateo la costellazione semplicemente tende. Peraltro il fatto che il soggetto sia specificamente Sirio (v. 367 cf. Phaen. 34071) e non il Cane, il quale sarebbe stato più adatto a un contesto dominato da costellazioni zoomorfe, conferma l'intenzione di Nonno di alludere al poeta ellenistico. Anche in questo caso dunque l'ordine arateo è esplicitato e poi stravolto. Questo confronto diretto tra la situazione finale di caos e la situazione iniziale di ordine è, in un certo senso, un'altra veste che assume la σ?γκρισις (ζ?λος) tra l'autore e il suo modello, in cui viene sfruttato il contrasto tra dinamismo e staticità per rendere la narrazione maggiormente efficace e di impatto, oltre che per conferirle un'impronta originale. Il tutto rientra perfettamente negli schemi del paradosso, che nella descrizione di uno stravolgimento trova terreno fertile. L'Orsa, citata come inusuale vittima di Sirio, è definita «assetata» sempre sulla base di Arato (Phaen. 48) anche - come nota Agosti72 - per l'inconsueta vicinanza a «l'ardente Sirio»: si tratta della risemantizzazione di un epiteto che nel modello allude al mancato tramonto della costellazione nell'Oceano.
Ai vv. 368-370 l'attenzione del poeta si appunta sui Pesci, descritti in Phaen. 239-241:
...
Ancora più avanti di questo, ancora più alle soglie di Noto
stanno i Pesci. Ma sempre uno è più scintillante73 dell'altro 240
e sente di più Borea quando inizia a scendere.
Dal passo arateo apprendiamo che i Pesci sono orientati in due direzioni differenti: uno a sud (designato da Noto come nel passo nonniano), l'altro più a nord (designato da Borea come nel passo nonniano). Questa informazione sta alla base della precisazione, perfettamente in linea con la σ?γκρισις alla quale abbiamo accennato poc'anzi, delle posizioni che i due Pesci abbandonano saltando sull'Olimpo (sinonimo di «cielo» qui come in D. 1.165). Se da un lato anche Eratostene (Cat. 2174) mette in chiaro la diversa collocazione dei Pesci, dall'altro la scelta di Arato come fonte è a mio avviso provata dalla ripresa di una iunctura da un'altra sezione dei Fenomeni in cui sono menzionati i Pesci (secondo un modus operandi frequente in Nonno): ?χθ?ες ?στερ?εντες al v. 369 (=Phaen. 54875). L'opera del poeta di Soli funge poi nuovamente da ipotesto nella disposizione delle costellazioni. In Phaen. 546-548 i Pesci sono localizzati vicino all'Acquario (citato da Nonno al v. 370) oltre che al Capricorno e allo Scorpione (citati da Nonno rispettivamente al v. 371 e 373):
...
E su questo (Zodiaco) stanno le Chele e lo Scorpione stesso
e il Sagittario, il Capricorno e, dopo il Capricorno,
l'Acquario e dopo questo i due Pesci astrali.
Si ricorda, tra l'altro, che Pesci, Acquario e Capricorno sono segni invernali, associati altresì in D. 1.178-180, sulla base di Phaen. 282-286. Il Delfino, accoppiato nel passo nonniano al Capricorno (v. 371), è rappresentato da Arato nell'atto di correre sopra a quest'ultimo, in Phaen. 316: Δελφ?ς δ? ο? µάλα πολλ?ς ?πιτρέχει Α?γοκερ??. Qui si vede ancora meglio come Nonno parta dal modello per stravolgerlo, sostituendo al verbo ?πιτρέχω l'aggettivo σ?νδροµος, che mantiene in sé l'idea del correre, ma indica la conseguenza delle movimentate danze del Delfino, le quali, per così dire, vanno a intaccare la quiete aratea76. Da notare che la clausola κυβιστητ?ρι δ? παλµ? (v. 370) è la medesima in D. 2.193, dove si riferisce al lampo che prepara l'entrata in campo di Zeus contro Tifeo; qui il termine κυβιστητήρ si adatta in modo particolare al contesto, in quanto indica i volteggi realizzati tipicamente dai delfini77, dettaglio che Nonno aggiunge per accentuare il dinamismo della scena.
Nel complesso mi pare che nel passo appena esaminato si assista all'emergere dei primi segni di un'astronomia «dionisiaca» (peraltro le azioni del saltare e del danzare, attribuite rispettivamente ai Pesci e al Delfino, sono elementi essenziali del rito dionisiaco), che va profilandosi nel contesto di una sfida sempre più aperta con il modello, sempre più indirizzata verso un'affermazione di indipendenza poetica, confermata dal fatto che nella breve descrizione del ripristino dell'ordine a opera di Zeus (vv. 410-434) non si riscontrano sicuri richiami ad Arato.
4. LA PROMESSA AD ARIANNA: UN CATASTERISMO «DIONISIACO»
Spostiamoci ora al canto 47, dove si narra l'incontro tra Dioniso e Arianna, e consideriamo, per concludere la nostra indagine, i versi in cui il dio promette alla fanciulla una costellazione che la ricorderà in aeternum (448-452):
...
Cassiopea non potrà eguagliarti
per l'ornamento olimpio di sua figlia: celesti
catene ad Andromeda anche tra gli astri diede Perseo. 450
Ma per te un'astrale corona farò, affinché tu sia chiamata
sposa splendente di Dioniso amante delle corone.
La promessa è tratta dal primo discorso rivolto da Dioniso ad Arianna al fine di convincerla a sposarlo. Essa si riallaccia alla σ?γκρισις tra il dio e Perseo, che qui risulta funzionale ai propositi del primo: il futuro catasterismo di Arianna viene infatti confrontato con quello di Andromeda al fine di sancirne la superiorità. Il passo si apre con una ripresa omerica79 che, visto il contesto completamente differente del modello, mi pare si limiti a conferire una certa epica solennità alla promessa. Per il resto sono rintracciabili alcuni richiami ad Arato. Il più vistoso è sicuramente l'espressione κα? ?ν ?στρ?σιν al v. 450, imitatio cum variatione di Phaen. 203 κα? ?ν ο?ραν?80, che sottolinea la persistenza della prigionia di Andromeda anche nel cielo e che abbiamo già rintracciato nel lamento della fanciulla in D. 25.130 (in relazione alle catene proprio come in questo passo); esso ricorre in quanto costituisce un dato astrale che diviene senza dubbio uno dei più forti argomenti a detrimento della figura di Perseo. Ma anche la iunctura παιδ?ς ??ς δι? κ?σµον ?λ?µπιον al v. 449, che, se non è ricollegata a nessuna fonte, suona francamente un po' bizzarra, potrebbe forse essere un rimando all'α?ν?ν ?γαλµα / ?νδροµέδης ?π? µητρ? κεκασµένον di Phaen. 197-19881: si noti - tenendo presente l'importanza dell'elemento acustico per Nonno, inscindibile dalle modalità di fruizione della sua opera - una certa assonanza tra κ?σµον e κεκασµένον, oltre all'espressione «di sua figlia», che potrebbe essere stata ispirata dall'arateo «sotto la madre» (entrambi i nessi sottolineano la parentela tra le due costellazioni).
In ... al v. 451 è stata avvertita un'eco di A. R. 3.1003 ..., dove il mito di Arianna funge da exemplum addotto da Giasone a garanzia della ricompensa che spetterà a Medea per il suo decisivo aiuto nell'impresa. È vero che il contesto è simile, per cui non intendo negare del tutto il valore di questo parallelo. Tuttavia mi sembra che Nonno in questo passo sostanzialmente si autociti, nell'intento di riallacciarsi a 33.373-374 ε?τε τελέσσ? / ?στερ?εν µέγα σ?µα Κυδωναίης ?ριάδνης83, modificando però alcuni elementi chiave, in particolare quelli che possono rimandare ad Arato, nello specifico il vocabolo σ?µα (che si riferisce alla Corona in Phaen. 72) e la iunctura Κυδωναίης ?ριάδνης (variazione di Phaen. 72 ?ποιχοµένης ?ριάδνης), nell'ottica della messa a fuoco della propria poetica, ormai sempre più nitida: non dimentichiamo che qui a parlare è il protagonista del poema, il quale, nell'appropriarsi di una prerogativa divina che poi questa volta effettivamente eserciterà (a differenza di quanto accade, per esempio, nel canto 16, dove il dio promette al suo cane un catasterismo che non realizzerà), intende, per così dire, scostarsi dalla tradizione o meglio rielaborarla alla propria maniera, esibendo la propria indipendenza dal modello-padre Arato-Zeus84. Peraltro, a conferma della volontà nonniana di autocitarsi per creare una rete di collegamenti tra i passi inerenti alla Corona mi sembra stia la clausola del v. 452, φιλοστεφάνου Διον?σου, ripresa da D. 25.147. In fondo il catasterismo di Arianna è fondamentale nel disegno dell'opera, costituendo l'ultimo atto compiuto da Dioniso prima dell'apoteosi, in 48.969-973, dove esso è descritto senza riferimenti ad Arato a eccezione della clausola del v. 971, ..., ripresa solo qui da Phaen. 72.
CONCLUSIONI
Abbiamo dunque cercato di tracciare, attraverso i testi selezionati, un percorso dal quale potesse emergere il duplice atteggiamento adottato da Nonno nei confronti di Arato: da una parte semplice variatio in imitando, quando il riferimento al modello sia necessario per la sua autorevolezza, dall'altra totale ribaltamento, quando l'autore voglia porsi in aperta competizione con il modello approfittando dell'opportunità offertagli da quest'ultimo di dare vita a un'astronomia paradossale. Questa duplicità si risolve in un progressivo allontanamento dal poeta alessandrino85, che si esplica sul piano narrativo in un'attenzione costante alla figura di Dioniso86 e al suo ruolo universale e su quello metaletterario in un mimetismo sempre più esasperato, e che approda alla descrizione di un catasterismo pienamente dionisiaco (quello di Arianna). Tale catasterismo rappresenta il momento estremo di conciliazione di ordine e disordine, il punto di riassorbimento della molteplicità (ποικιλία) nell'unità87; da un altro punto di vista esso può essere considerato il mezzo attraverso il quale Nonno dona alla propria poesia, oltre che al proprio protagonista, l'eternità, tema collegato al ruolo salvifico di Dioniso. Si tratta, insomma, di uno dei simboli della poesia nonniana, interpretabile alla luce del suo sfondo filosofico. La descrizione delle costellazioni si collega infatti a uno dei motivi portanti delle Dionisiache, di ispirazione neoplatonica, ovvero il rapporto tra l'originale e la copia: d'altronde l'opera del Panopolitano, come le costellazioni da lui descritte, ambisce a essere una grande copia della realtà, a essa il più possibile fedele; ma dietro all'attenzione a questo tipo di descrizione si può intravvedere altresì un'aspirazione all'eternità, concetto fondamentale nel Neoplatonismo quanto nel poema di Nonno88.
2. Le due discipline anche in Nonno si confondono: Feraboli, S.: «Astrologica in Nonno», Corolla Londinensis, 4 (1984), pp. 43-55. Tuttavia si fa notare che la parte aratea è quella più propriamente astronomica.
3. Stegemann, V.: Astrologie und Universalgeschichte. Studien und Interpretationen zu den Dionysiaka des Nonnos von Panopolis, Leipzig und Berlin, Teubner, 1930. La monografia dello studioso è incentrata sostanzialmente sulle sezioni più propriamente astrologiche del poema e prende dunque in considerazione fonti di tipo astrologico che in questa sede non saranno considerate: tra queste spiccano Doroteo, Manetone e Massimo di Tiro, sebbene nel caso di quest'ultimo lo studioso sottolinei (pp. 8-9) che per lo più non è possibile stabilire se Nonno attinga direttamente alla sua opera (della quale si veda la recente edizione curata da N. Zito per Les Belles Lettres) o ai poemi astrologici orfici.
4. Feraboli, S.: op. cit. p. 46.
5. Sugli autori che scrissero poesia astronomica prima di Arato: Gallego Real, A. L.: «En busca de progymnasmata astronómicos. El modelo arateo», Escuela y literatura en Grecia antigua. Actas del Simposio Internacional Universidad de Salamanca, 17-19 noviembre de 2004, FernÁndez Delgado, J. A.; Pordomingo, F.; Stramaglia, A. (eds.), Cassino, Edizioni dell'Università degli Studi di Cassino, 2007, p. 238.
6. Calderón Dorda , E.: Arato. Fenómenos - Gémino. Introducción a los Fenómenos, Madrid, Biblioteca Clásica Gredos, 1993, p. 32: «a lo largo de la Antigüedad clásica y en la Edad Media cristiana y árabe, el espléndido y sorprendente poema astronómico de Arato de Solos fue considerado como un modelo de poesía didáctica, una fuente de sabiduría y de ciencia».
7. Emblematico della fama di cui Arato godeva a Roma è il seguente verso di Ovidio (Am. 1.15.16): cum sole et luna semper Aratus erit. Sempre Ovidio ammette che il poeta di Soli istruì il suo popolo circa temi che prima di lui per lo più ignorava (Fast. 3.101-110).
8. Marti n, J.: Histoire du texte des Phénomènes d'Aratos, Paris, C. Klincksieck, 1956, p. 5.
9. Su queste traduzioni si veda Lewis, A. M.: «Rearrangement of Motif in Latin Translation. The emergence of a Roman Phaenomena», en Deroux, C. (ed.): Studies in Latin Literature and Roman History, Bruxelles, Latomus, 1986, vol. IV, pp. 210-233.
10. Il commento ipparcheo è l'unico conservatosi integralmente: Fantuzzi, M. y Hunter, R.: «The Phainomena of Aratus», en Iidem (eds.): Tradition and Innovation in Hellenistic Poetry, Cambridge, Cambridge University Press, 2004, p. 226.
11. Calderón Dorda , E.: op. cit. p. 34: «no obstante, estos comentarios científicos nunca tuvieron la popularidad del poema de Arato o de los Catasterismos de Eratóstenes, obras rebosantes de seductora mitología».
12. Per quanto concerne l'influenza di Arato sullo studio scolastico dell'astronomia: Gallego Real, A. L.: op. cit. pp. 237-250.
13. Della vasta e varia produzione letteraria di Eratostene sopravvivono, oltre a due epitomi (i Catasterismi e La misura della Terra), alcuni frammenti di due poemetti mitologici (e astronomici), l'Hermes e l'Erigone, cui Nonno nelle D. sembra alludere.
14. Agosti, G.: «Immagini e poesia nella tarda antichità. Per uno studio dell'estetica visuale della poesia greca fra III e IV sec. d. C.», Incontri Triestini di Filologia Classica, 4 (2004-2005), pp. 351-374, che studia gli aspetti comuni tra poesia e arti figurative tardoantiche.
15. Sale, W.: «The Popularity of Aratus», The Classical Journal, 61 (1966), p. 160: «The polymath Eratosthenes, given the sobriquet 'Beta' by unkind contemporaries to underline his status in their eyes as someone second best at everything, included among his manifold activities the production of an ancilla to Aratus».
16. Precisiamo che le altre fonti latine non saranno consultate in maniera sistematica, dal momento che è quantomeno azzardato ipotizzare una dipendenza diretta di Nonno da esse. Alcuni paralleli con autori latini sono stati proposti, e. g., da D'Ippolito, G.: Studi nonniani. L'epillio nelle Dionisiache, Palermo, Quaderni dell'Istituto di Filologia Greca dell'Università di Palermo, 1964 e da Idem: «Nonno di Panopoli e i poeti latini», en Sánchez Ostiz, A.; Torres Guerra, J. B.; Mart ínez, R. (eds.): De Grecia a Roma y de Roma a Grecia. Un camino de ida y vuelta, Pamplona, Ediciones Universidad de Navarra, 2007, pp. 311-331, dove sono sviluppati diversi confronti con Ovidio e Virgilio e si accenna alla conoscenza di Claudiano e Nemesiano da parte di Nonno (in tutti questi casi, comunque, si parla di semplice «imitazione celata»). Tuttavia tali paralleli, a mio avviso non del tutto convincenti, sono stati effettivamente messi in discussione per esempio da Agosti, G.: Nonno di Panopoli. Le Dionisiache. Vol. III, Milano, Biblioteca Universale Rizzoli, 2010 (2a ed.), pp. 762-764.
17. Igino compose la sua Astronomia (la cui edizione di riferimento è qui quella di Le Boeuffle, A.: Hygin. L'astronomie, Paris, Les Belles Lettres, 1983) negli ultimi anni del I secolo a. C., con l'intenzione di offrire una descrizione del cosmo più chiara e completa di quella aratea (Praef. 6; 2.2.2; 4.1.1). In realtà è stato giustamente notato che il suo scritto si rifà, più che al poema di Arato, ai Catasterismi di Eratostene.
18. Marti n, J.: op. cit. pp. 95-103. L'edizione più recente dell'Epitome - e dei Fragmenta Vaticana, provenienti da un'altra recensio e scoperti da Albert Rehm alla fine del XIX secolo, che ci tramandano l'opera di Eratostene in modo tendenzialmente (ma non sempre) meno completo rispetto all'Epitome - è quella di Pàmias i Massana, J. y Zucker, A.: Ératosthène de Cyrène. Catastérismes, Paris, Les Belles Lettres, 2013, cui faremo riferimento nel corso del nostro lavoro.
19. L'edizione di riferimento è quella di Vian, F.: Nonnos de Panopolis. Les Dionysiaques. Tome I, Chants I-II, Paris, Les Belles Lettres, 1976.
20. La traduzione, dove non diversamente specificato, è mia.
21. Gigli Piccardi preferisce una traduzione analitica: «la coda del Cane». La traduzione «Cinosura» vuole evidenziare la corrispondenza con Arato.
22. Vian, F.: op. cit. p. 145, che però non spiega il motivo di tale menzione.
23. Kidd, D.: Aratus. Phaenomena, Cambridge, Cambridge University Press, 1997, pp. 10-12, il quale, come Lewis, A. M.: «The Popularity of the Phaenomena of Aratus: a Reevaluation», en Deroux, D.: Studies in Latin Literature and Roman History, Bruxelles, Latomus, 1992, vol. VI, p. 106 e Hunter, R. L.: «Written in the Stars: Poetry and Philosophy in the Phaenomena of Aratus», Arachnion, 2 (1995), p. 4, restringe l'influenza dello Stoicismo al proemio dei Fenomeni, diversamente da altri studiosi - tra cui Effe, B.: Dichtung und Lehre, München, C. H. Beck'sche Verlagsbuchhandlung, 1977, pp. 40-56 e Gee, E.: Ovid, Aratus and Augustus. Astronomy in Ovid's Fasti, Cambridge, Cambridge University Press, 2000, pp. 70-84 - che estendono tale influenza all'intero poema arateo sulla base di vari richiami allo Zeus proemiale da loro individuati. Concorda con Kidd Abry , J. H.: «Manilius and Aratus: Two Stoic Poets on Stars», Leeds International Classical Studies, 6 (2007), p. 2, la quale tuttavia precisa che l'opera di Arato è letta in chiave stoica dagli autori latini della Repubblica e dell'Impero fino al III secolo.
24. Citti, V.: «Lettura di Arato», Vichiana, 2 (1965), p. 162: «la volta celeste si muove in giro come una grande giostra, portando appesi a sé i propri ornamenti rilucenti
25. Il parallelo verbale è proposto anche da Vian, F.: op. cit. p. 145 e Gigli Piccardi , D.: Nonno di Panopoli. Le Dionisiache. Vol. I, Milano, Biblioteca Universale Rizzoli, 2006 (2a ed.), p. 143. D'altronde in altri passi aratei (Phaen. 182 e 227) l'Orsa Minore è designata con il termine Κυνοσουρίς (insieme ad ?ρκτος), proprio come nel passo nonniano in questione (in cui, analogamente e conformemente ad Arato, bisogna sottintendere ?ρκτον, per cui la traduzione letterale sarebbe non «Cinosura», bensì «l'Orsa Cinosuride»).
26. Sulle origini di questo termine: Brown, E. L.:«The origin of the constellation name 'Cynosura'», Orientalia, 4 (1981), pp. 384-402, che, a scapito dell'etimologia greca (κ?ων+ο?ρά), propone per il vocabolo una derivazione sumerica.
27. Aujac , G.:«Sphère céleste et constellations chez Eudoxe, Aratos, Hipparque, Ptolémée», en Bac khouche, B.; Moreau, A.; Turpin, J. (eds.): Les astres et les mythes: la description du ciel, Montpellier, Publications de la Recherche Université Paul Valéry, 1996, vol. I, p. 211 e Marti n, J.: Aratos. Phénomènes. Tome II, Paris, Les Belles Lettres, 1998, p. 168.
28. Infatti così traduce Gigli Piccardi.
29. Agosti ha chiarito che la poesia epica greca in età tardoantica era destinata alla recitazione (da qui la definizione «lettore/ascoltatore»). Tra i contributi più recenti: Agosti, G.: «L'epica greca tardoantica tra oralità e scrittura », en Uglione, R. (ed.): «Arma virumque cano...». L'epica dei Greci e dei Romani, Alessandria, Edizioni Dell'Orso, 2007, pp. 231-259.
30. Sul forte potere evocativo della poesia tardoantica ovvero sul concetto di ?νάργεια: Agosti, G.: op. cit. 2004-2005, pp. 355 sgg.
31. Cat. 1: la fanciulla è violata da Zeus e tramutata in orsa da Artemide, adirata perché la sua protetta ha perso la verginità, e poi catasterizzata. In Hyg. Fab. 177 è Era, folle di gelosia, a tramutare la Ninfa in orsa, mentre in Hyg. Astr. 2.1 sono riportate entrambe le versioni, insieme ad altre differenti.
32. In Eratostene a questo aspetto non si accenna.
33. L'edizione di riferimento è quella di Marti n, J.: op. cit. 1998.
34. Il senso è che il movimento delle Orse parte dalle spalle: Kidd, D.: op. cit. pp. 183-184.
35. Ibidem. Questa interpretazione mi pare preferibile a quella di Martin, che traduce «elles sont emportées en sens contraire, épaules en avant».
36. ...
37. Nonno dimostra una particolare propensione per le corrispondenze: Schmiel, R.: «Nonnus' Typhonomachy: an Analysis of the Structure of Dionysiaca II», Rheinisches Museum für Philologie, 135 (1992), pp. 369-375, che individua, proprio all'interno della Tifonia, una fitta rete di simmetrie di tipo strutturale (Ringkomposition), con riflessi anche sul piano linguistico (ripetizioni verbali) e tematico.
38. Circa il colto pubblico delle Dionisiache: Agosti, G.: «La voce dei libri: dimensioni performative dell'epica greca tardoantica», en Amato , E.; Roduit, A.; Steinrüch, M. (eds.): Approches de la Troisième Sophistique. Hommage à J. Schamp, Bruxelles, Latomus, 2006, pp. 33-60.
39. Su questo fondamentale motivo: Gigli Piccardi , D.: Metafora e poetica in Nonno di Panopoli, Firenze, Università degli Studi di Firenze, 1985, pp. 171 sgg. e 237 sgg.
40. Come specificato anche da Vian, F.: op. cit. pp. 145-146 e da Gigli Piccardi , D.: op. cit. 2006, p. 144.
41. Si descrivono infatti, nell'ordine, il sorgere e il tramontare delle costellazioni ogni notte, le fasi mensili della luna e il percorso annuale del sole lungo l'eclittica
42. Semanoff, M.: «Astronomical Ecphrasis», en Cusset, C. (dir.): Musa docta. Recherches sur la poésie scientifique dans l'Antiquité, Saint-Étienne, Publications de l'Université de Saint-Étienne, 2006, p. 175.
43. L'edizione di riferimento è quella di Vian, F.: Nonnos de Panopolis. Les Dionysiaques. Tome IX, Chants XXVXXIX, Paris, Les Belles Lettres, 1990.
44. Questo parallelo e gli altri due sono indicati da Vian, F.: op. cit. 1990, pp. 246-247. L'ultimo di quelli qui elencati non risulta invece segnalato.
45. Si pensi anche a Phaen. 197-198: ..., come spiegato da Kidd, D.: op. cit. p. 256 (il quale pure si contraddice traducendo «awesome»). In questo senso l'intende anche Martin.
46. Vian, F.: op. cit. 1990, p. 247.
47. Nell'Iliade (e. g. 5.96) il verbo significa spesso «turbare».
48. La ripresa è individuata anche da Vian, F.: op. cit. 1990, p. 246.
49. In uno scolio (in Arat. 251, Maass, E.: Commentariorum in Aratum Reliquiae, Berolini, Weidmannos, 1958 (2a ed.), p. 385 = Marti n, J.: Scholia in Aratum Vetera, Stuttgartiae, Teubner, 1974, p. 200) si legge che Perseo appare in cielo con la testa di Medusa in mano, anche se Arato non accenna a questo elemento: θεωρε?ται δ? ?ν το?ς ?στροις τ?ν Γοργ?νος κατέχων κεφαλήν (il soggetto sottinteso è Perseo).
50. Vian, F.: op. cit. 1990, p. 246.
51. Cat. 22: ...
52. Astr. 3.11.1: et falx sine sideribus apparet.
53. Personalmente, concordo con l'interpretazione dei calzari alati come allusione al mancato arrivo di Perseo, fornita da Agosti, G.: op. cit. 2010 (2a ed.), p. 87. Vian, F.: op. cit. 1990, p. 247 individua invece un riferimento alla versione mitica che attribuisce la sconfitta del mostro marino ai calzari di Perseo e non alla testa di Medusa.
54. Lo stesso processo è attivo nella Tifonia.
55. Gigli Piccardi , D.: «Il Perseo nonniano: osservazioni per uno studio dell'ironia nelle Dionisiache», Prometheus, 7 (1981), p. 177.
56. I due eroi sono già associati nell'Iliade, nella ..., per mezzo delle rispettive madri, Danae e Semele, incluse nel catalogo delle donne cui Zeus si è unito (1.319-320 e 325).
57. L'edizione di riferimento è quella di Simon, B.: Nonnos de Panopolis. Les Dionysiaques. Tome XIV, Chants XXXVIII-XL, Paris, Les Belles Lettres, 1999.
58. La traduzione di Agosti, «Serpente», farebbe pensare alla costellazione del Serpente, ma qui si tratta del Dragone che sta tra le due Orse.
59. Arat . Phaen. 147-149: ...
60. Sull'importanza dell'elemento sonoro nelle D.: Newbold, R. F.: «The Power of Sound in Nonnus' Dionysiaca», en Accori nti, D. y Chuvin, P. (eds.): Des Géants à Dionysos: Mélanges de mythologie et de poésie grecques offerts à Francis Vian, Alessandria, Edizioni Dell'Orso, 2003, pp. 457-468.
61. ...
62. ...
63. ...
64. Il parallelo è segnalato anche da Simon, B.: op. cit. p. 217
65. Per la sua luminosità: a questo proposito si veda Negri, M.: «Stelle spaventose o stelle luminose? Una nota su ... in Arato», Athenaeum, 89 (2000), pp. 277-280.
66. Due esempi sono ...
67. Si ricordi il caso di Cinosura.
68. La deduzione è segnalata anche da Simon, B.: op. cit. p. 218, ma senza la precisa indicazione dei passi aratei.
69. Il parallelo è segnalato anche ibidem.
70. Il confronto con il passo arateo è proposto anche da Simon, B.: op. cit. p. 218.
71. Il nome «Sirio» è tra l'altro posto dai due poeti in posizione enfatica, a inizio verso.
72. Agosti, G.: op. cit. 2010, p. 818.
73. Schol. in Arat. 240 (Maass, E.: op. cit. p. 382 = Marti n, J.: op. cit. 1974, p. 194): ...
74. Si trascrive il testo dell'Epitome: ... Si veda anche Hyg. Astr. 3.29.
75. Ripresa segnalata anche da Simon, B.: op. cit. p. 218. La iunctura è peraltro posta da entrambi i poeti in sede metrica enfatica (in chiusura del verso da Arato e in apertura del verso da Nonno).
76. Si puntualizza che Eratostene (Cat. 31) non accenna alla posizione del Delfino: il dato è dunque puramente arateo. Igino (Astr. 3.16), per localizzare la costellazione, prende altri punti di riferimento: Delphinus non longe ab Aquilae signo figuratus, incurvatione caudae novissimae tangit aequinoctialis circuli circumductionem, capite prope coniungens Equi Pegasi rostrum. Hic exoritur cum Sagittarii posteriore parte; occidit autem cum Virgo exorta est a capite.
77. Simon, B.: op. cit. p. 218.
78. L'edizione di riferimento è quella di Faya nt, M. C.: Nonnos de Panopolis. Les Dionysiaques. Tome XVII, Chant XLVII, Paris, Les Belles Lettres, 2000.
79. Il. 6.101 ... il soggetto è Diomede, ritenuto ineguagliabile da Eleno. La ripresa è individuata da Faya nt, M. C.: op. cit. p. 176 e da Accori nti, D.: Nonno di Panopoli. Le Dionisiache. Vol. IV, Milano, Biblioteca Universale Rizzoli, 2006 (2a ed.), p. 558.
80. Il parallelo è segnalato anche da Faya nt, M. C.: op. cit. p. 176.
81. Il richiamo non risulta notato.
82. Faya nt, M. C.: op. cit. p. 176 e Accori nti, D.: op. cit. p. 558.
83. ...
84. Non è secondo me casuale che ciò accada proprio in questo passo, dove l'allusione alla Corona, essendo una promessa che verrà poi mantenuta, si allinea con il tempo della narrazione, mentre nei canti precedenti delle D. appare come un anacronismo (seppure da inquadrare nella logica tipicamente nonniana di disinteresse per la coerenza).
85. Simile allontanamento da Omero individua Shorrock, R.: The Challenge of Epic. Allusive Engagement in the Dionysiaca of Nonnus, Leiden-Boston, Brill, 2001, pp. 189-205.
86. I passi qui proposti sono connessi, più o meno direttamente, a Dioniso: la Tifonia in quanto un antenato del dio, Cadmo, permetterà la sconfitta del Gigante, il lamento di Andromeda in quanto si inserisce nella σ?γκρισις volta a esaltarlo, lo sconvolgimento di Fetonte in quanto anticipa la sua vittoria sul tracotante Deriade e la promessa ad Arianna in quanto è un episodio che lo coinvolge in prima persona.
87. Gigli Piccardi , D.: «Nonnus' Poetics», en Accori nti, D. (ed.): Brill's Companion to Nonnus of Panopolis, Leiden-Boston, Brill, 2016, p. 423. La Corona di Arianna ha forma circolare e l'insistenza sulla circolarità nelle D. rimanda al Neoplatonismo: Hernández de la Fuente, D.: «The One and the Many and the Circular Motion: Neo-Platonism and Poetics in Nonnus of Panopolis», en Idem (ed.): New Perspectives on Late Antiquity, Newcastle, Cambridge Scholars Publishing, 2011, pp. 318-325.
88. Per conclusioni più dettagliate, sostenute da un'analisi completa dei paralleli con Arato, rimando al mio lavoro di tesi.
BIBLIOGRAFIA
Abry, J. H. 2007: «Manilius and Aratus: Two Stoic Poets on Stars», Leeds International Classical Studies, 6: 1-18.
Accorinti, D. 2006 (1a ed. 2004): Nonno di Panopoli. Le Dionisiache. Vol. IV, Biblioteca Universale Rizzoli, Milano.
Agosti, G. 2004-2005: «Immagini e poesia nella tarda antichità. Per uno studio dell'estetica visuale della poesia greca fra III e IV sec. d. C.», Incontri Triestini di Filologia Classica, 4: 351-374.
Agosti, G. 2006: «La voce dei libri: dimensioni performative dell'epica greca tardoantica», en Amato, E.; Roduit, A.; Steinrüch, M. (eds.): Approches de la Troisième Sophistique. Hommage à J. Schamp, Latomus, Bruxelles: 33-60.
Agosti, G. 2007: «L'epica greca tardoantica tra oralità e scrittura», en Uglione, R. (ed.): «Arma virumque cano...». L'epica dei Greci e dei Romani, Edizioni Dell'Orso, Alessandria: 231-259.
Agosti, G. 2010 (1a ed. 2004): Nonno di Panopoli. Le Dionisiache. Vol. III, Biblioteca Universale Rizzoli, Milano.
Aujac, G. 1996: «Sphère céleste et constellations chez Eudoxe, Aratos, Hipparque, Ptolémée», en Backhouche, B.; Moreau, A.; Turpin, J. (eds.): Les astres et les mythes: la description du ciel, Publications de la Recherche Université Paul Valéry, Montpellier, vol. I: 209-226.
Brown, E. L. 1981: «The origin of the constellation name 'Cynosura'», Orientalia, 4: 384-402. Calderón Dorda, E. 1993: Arato. Fenómenos - Gémino. Introducción a los Fenómenos, Biblioteca Clásica Gredos, Madrid.
Citti, V. 1965: «Lettura di Arato», Vichiana, 2: 146-170.
D'Ippolito, G. 1964: Studi nonniani. L'epillio nelle Dionisiache, Quaderni dell'Istituto di Filologia Greca dell'Università di Palermo, Palermo.
D'Ippolito, G. 2007: «Nonno di Panopoli e i poeti latini», en Sánchez Ostiz, A.; Torres Guerra, J. B.; Martínez, R. (eds.): De Grecia a Roma y de Roma a Grecia. Un camino de ida y vuelta, Ediciones Universidad de Navarra, Pamplona: 311-331.
Effe, B. 1977: Dichtung und Lehre. Untersuchungen zur Typologie des antiken Lehrgedichts, C. H. Beck'sche Verlagsbuchhandlung, München.
Fantuzzi, M. y Hunter, R. 2004: «The Phainomena of Aratus», en Iidem (eds.): Tradition and Innovation in Hellenistic Poetry, Cambridge University Press, Cambridge: 224-245.
Fayant, M. C. 2000: Nonnos de Panopolis. Les Dionysiaques. Tome XVII, Chant XLVII, Les Belles Lettres, Paris.
Feraboli, S. 1984: «Astrologica in Nonno», Corolla Londinensis, 4: 43-55.
Gallego Real, A. L. 2007: «En busca de progymnasmata astronómicos. El modelo arateo», en Fernández Delgado, J. A.; Pordomingo, F.; Stramaglia, A. (eds.), Escuela y literatura en Grecia antigua. Actas del Simposio Internacional Universidad de Salamanca, 17-19 noviembre de 2004, Edizioni dell'Università degli Studi di Cassino, Cassino: 237-248.
Gee, E. 2000: Ovid, Aratus and Augustus. Astronomy in Ovid's Fasti, Cambridge University Press, Cambridge.
Gigli Piccardi, D. 1981: «Il Perseo nonniano: osservazioni per uno studio dell'ironia nelle Dionisiache», Prometheus, 7: 177-188.
Gigli Piccardi, D. 1985: Metafora e poetica in Nonno di Panopoli, Università degli Studi di Firenze, Firenze.
Gigli Piccardi, D. 2006 (1a ed. 2003): Nonno di Panopoli. Le Dionisiache. Vol. I, Biblioteca Universale Rizzoli, Milano.
Gigli Piccardi, D. 2016: «Nonnus' Poetics», en Accorinti, D. (ed.): Brill's Companion to Nonnus of Panopolis, Brill, Leiden-Boston: 422-442.
Hernández de la Fuente, D. 2011: «The One and the Many and the Circular Motion: Neo- Platonism and Poetics in Nonnus of Panopolis», en Idem (ed.): New Perspectives on Late Antiquity, Newcastle, Cambridge Scholars Publishing: 318-325.
Hunter, R. L. 1995: «Written in the Stars: Poetry and Philosophy in the Phaenomena of Aratus», Arachnion, 2: 1-34 <http://www.cisi.unito.it/arachne/num2/hunter.html>.
Kidd, D. 1997: Aratus. Phaenomena, Cambridge University Press, Cambridge.
Le Boeuffle, A. 1983: Hygin. L'astronomie, Les Belles Lettres, Paris.
Lewis, A. M. 1986: «Rearrangement of Motif in Latin Translation. The emergence of a Roman Phaenomena», en Deroux, C. (ed.): Studies in Latin Literature and Roman History, Latomus, Bruxelles, vol. IV: 210-233.
Lewis, A. M. 1992: «The Popularity of the Phaenomena of Aratus: a Reevaluation», en Deroux, C. (ed.): Studies in Latin Literature and Roman History, Latomus, Bruxelles, vol. VI: 94-118.
Maass, E. 1958 (1a ed. 1898): Commentariorum in Aratum Reliquiae, Weidmannos, Berolini.
Martin, J. 1956: Histoire du texte des Phénomènes d'Aratos, C. Klincksieck, Paris.
Martin, J. 1974: Scholia in Aratum Vetera, Teubner, Stuttgartiae.
Martin, J. 1998: Aratos. Phénomènes. Tome II, Les Belles Lettres, Paris.
Negri, M. 2000: «Stelle spaventose o stelle luminose? Una nota su ... in Arato», Athenaeum, 89: 277-280.
Newbold, R. F. 2003: «The Power of Sound in Nonnus' Dionysiaca», en Accorinti, D. y Chuvin, P. (eds.): Des Géants à Dionysos: Mélanges de mythologie et de poésie grecques offerts à Francis Vian, Edizioni Dell'Orso, Alessandria: 457-468.
Pàmias i Massana, J. y Zucker, A. 2013: Ératosthène de Cyrène. Catastérismes, Les Belles Lettres, Paris.
SALE, W. 1966: «The Popularity of Aratus», The Classical Journal, 61: 160-164.
Schmiel, R. 1992: «Nonnus' Typhonomachy: an Analysis of the Structure of Dionysiaca II», Rheinisches Museum für Philologie, 135: 369-375.
Semanoff, M. 2006: «Astronomical Ecphrasis», en Cusset, C. (dir.): Musa docta. Recherches sur la poésie scientifique dans l'Antiquité, Publications de l'Université de Saint-Étienne, Saint-Étienne: 157-178.
Shorrock, R. 2001: The Challenge of Epic. Allusive Engagement in the Dionysiaca of Nonnus, Brill, Leiden-Boston.
Simon, B. 1999: Nonnos de Panopolis. Les Dionysiaques. Tome XIV, Chants XXXVIII-XL, Les Belles Lettres, Paris.
Stegemann, V. 1930: Astrologie und Universalgeschichte. Studien und Interpretationen zu den Dionysiaka des Nonnos von Panopolis, Teubner, Leipzig und Berlin.
Vian, F. 1976: Nonnos de Panopolis. Les Dionysiaques. Tome I, Chants I-II, Les Belles Lettres, Paris.
Vian, F. 1990: Nonnos de Panopolis. Les Dionysiaques. Tome IX, Chants XXV-XXIX, Les Belles Lettres, Paris.
You have requested "on-the-fly" machine translation of selected content from our databases. This functionality is provided solely for your convenience and is in no way intended to replace human translation. Show full disclaimer
Neither ProQuest nor its licensors make any representations or warranties with respect to the translations. The translations are automatically generated "AS IS" and "AS AVAILABLE" and are not retained in our systems. PROQUEST AND ITS LICENSORS SPECIFICALLY DISCLAIM ANY AND ALL EXPRESS OR IMPLIED WARRANTIES, INCLUDING WITHOUT LIMITATION, ANY WARRANTIES FOR AVAILABILITY, ACCURACY, TIMELINESS, COMPLETENESS, NON-INFRINGMENT, MERCHANTABILITY OR FITNESS FOR A PARTICULAR PURPOSE. Your use of the translations is subject to all use restrictions contained in your Electronic Products License Agreement and by using the translation functionality you agree to forgo any and all claims against ProQuest or its licensors for your use of the translation functionality and any output derived there from. Hide full disclaimer
Copyright Universidad Nacional de Educacion a Distancia (UNED) 2017
Abstract
Describing the fixed aratean constellations as real creatures, the poet finally outclasses his model through an increasingly emphasized mimetism whose main outcome is a novel and authentic «dionysiac» astronomy: appropriate both to his own stylistic devices (e.g. paradox) and to the underpinning themes of his work, namely the relationship between original and copy. Sale, W.: «The Popularity of Aratus», The Classical Journal, 61 (1966), p. 160: «The polymath Eratosthenes, given the sobriquet 'Beta' by unkind contemporaries to underline his status in their eyes as someone second best at everything, included among his manifold activities the production of an ancilla to Aratus». Phaenomena, Cambridge, Cambridge University Press, 1997, pp. 10-12, il quale, come Lewis, A. M.: «The Popularity of the Phaenomena of Aratus: a Reevaluation», en Deroux, D.: Studies in Latin Literature and Roman History, Bruxelles, Latomus, 1992, vol. Schmiel, R.: «Nonnus' Typhonomachy: an Analysis of the Structure of Dionysiaca II», Rheinisches Museum für Philologie, 135 (1992), pp. 369-375, che individua, proprio all'interno della Tifonia, una fitta rete di simmetrie di tipo strutturale (Ringkomposition), con riflessi anche sul piano linguistico (ripetizioni verbali) e tematico. 38.
You have requested "on-the-fly" machine translation of selected content from our databases. This functionality is provided solely for your convenience and is in no way intended to replace human translation. Show full disclaimer
Neither ProQuest nor its licensors make any representations or warranties with respect to the translations. The translations are automatically generated "AS IS" and "AS AVAILABLE" and are not retained in our systems. PROQUEST AND ITS LICENSORS SPECIFICALLY DISCLAIM ANY AND ALL EXPRESS OR IMPLIED WARRANTIES, INCLUDING WITHOUT LIMITATION, ANY WARRANTIES FOR AVAILABILITY, ACCURACY, TIMELINESS, COMPLETENESS, NON-INFRINGMENT, MERCHANTABILITY OR FITNESS FOR A PARTICULAR PURPOSE. Your use of the translations is subject to all use restrictions contained in your Electronic Products License Agreement and by using the translation functionality you agree to forgo any and all claims against ProQuest or its licensors for your use of the translation functionality and any output derived there from. Hide full disclaimer
Details
1 Università degli Studi di Genova;