Riassunto
Riesame delliscrizione di Roma CIL, VI 21521 = 34137 (CLE 1109) sotto il profilo epigráfico, letterario e metrico; il testo, seppur non privo di una sua originalita, sembra attingere a un ricco serbatoio di riferimenti poetici, che spaziano da Lucrezio, a Virgilio, Orazio e Ovidio e racconta lapparizione di un giovane defunto, ormai accolto tra gli dei, a un suo parente.
Parole chiave
Carmina Latina epigraphica; Epigrafia latina; Roma; Lucrezio; Virgilio; Orazio; Ovidio.
Abstract
Review of the Rome inscription CIL, VI 21521 = 34137 (CLE 1109) from epigraphic, literary, and metrical point of view. The text, although not devoid of a certain originality, seems to draw upon a rich repertoire of poetic references, which ranges from Lucretius, to Virgil, Horace, and Ovid: it tells the appearance of a deceased young man, now risen among the gods, to his relative.
Keywords
Carmina Latina epigraphica; Latin Epigraphy; Rome; Lucretius; Virgil; Horace; Ovid.
1.PREMESSA
Nella Galleria Lapidaria dei Musei Vaticani si conserva parte di una lunga iscrizione metrica, rinvenuta a Roma fuori Porta Portese e nota nella sua interezza grazie alla trascrizione che ne fece Giovanni Zaratino Castellini (1570-1641), erudito dotato di una vasta cultura storico-epigrafica e collezionista di iscrizioni4. Questa epigrafe, edita in CIL, VI 21521 = 34137, e stata pubblicata anche in CLE 1109 essendo scritta in distici elegiaci a partire dalla seconda riga (Fig. 1)5. Seppure ci sono stati negli anni edizioni, citazioni e commenti6, manca finora, forse anche per la complessita del testo, un'analisi complessiva di tipo sia storico-antiquario, sia filologico-letterario e metrico.
ll testo, per la vicenda che narra, ha senz'altro una sua originalita nel panorama dell'epigrafia funeraria di Roma e merita pertanto di essere trascritto nella sua interezza, con le integrazioni solitamente proposte per le righe 34-47, e tradotto:
Memoriae M(arci) Luccei M(arci) f(ilii) Nepotis Sex(tus) Onussanius Sex(ti) f(ilius) Com[-].
Quum (!) praematura raptum mihi morte Nepotem
flerem, Parcarum putria fila querens
et gemerem tristi damnatam sorte iuventam
versaretque novus viscera tota dolor, 5
me desolatum, me desertum ac spoliatum
clamarem, largis saxa movens lacrimis,
exacta prope nocte suos quum (!) Lucifer ignes
spargeret et volucri roscidus iret equo,
vidi sidereo radiantem lumine formam 10
aethere delabi. Non fuit illa quies,
sed verus iuveni color et sonus, at status ipse
maior erat nota corporis effigie.
Ardentis oculorum orbes umerosq(ue) nitentis
ostende(n)s, roseo reddidit ore sonos: 15
adfinis memorande, quid o me ad sidera caeli
ablatum quereris? Desine flere deum,
ne pietas ignara superna sede receptum
lugeat et laedat numina tristitia.
Non ego Tartareas penetrabo tristis ad undas, 20
non Acheronteis transvehar umbra vadis,
non ego caeruleam remo pulsabo carinam
nec te terribilem fronte timebo, Charon,
nec Minos mihi iura dabit grandaevus et atris
non errabo locis nec cohibebor aquis. 25
Surge, refer matri ne me noctesque diesque
defleat ut maerens Attica mater Ityn.
Nam me sancta Venus sedes non nosse silentum
iussit et in caeli lucida templa tulit.
Erigor et gelidos horror perfuderat artus, 30
spirabat suavi tinctus odore locus.
Die Nepos, seu tu turba stipatus Amorum
laetus Adoneis lusibus insereris,
seu grege Pieridum gaudes seu Palladis [arte],
omnis caelicolum te chor[u]s exc[ipiet]. 35
Si libeat thyrsum gravidis aptare co[rymbis]
et velare comam palmite Liber [eris].
Pascere si crinem et lauro redimire [placebit?],
arcum cum pharetra sumere, Ph[oebus eris].
Indueris teretis manicas, Phrygium [decus, Attis?]; 40
non unus Cybeles pectore vivet a[mor].
Si spumantis equi libeat quatere ora [lupatis?],
Cyllare, formosi membra vehes e[quitis].
Sed quicumque deus, quicumque vocaber[is heros?],
sit soror et mater, sit puer incolu[mis]. 45
Haec dona unguentis et sunt potiora c[orollis?],
quae non tempus edax, non rapi[t ipse rogus?].
righe 2-47: distici elegiaci.
righe 1; 8: quum pro cum, per un intenzionale arcaísmo; in letteratura essa si riscontra piuttosto tardi7, mentre nelle iscrizioni e presente, sia pure di rado, anche prima8.
Traduzione: Alla memoria di M(arcus) Lucceius Nepos figlio di M(arcus), Sex(tus) Onussianus Com[-], figlio di Sex(tus). Mentre piangevo Nepos, strappatomi da una morte prematura, lamentando i putridi fili delle Parche, mentre gemevo per la gioventu condannata da una triste sorte, mentre un dolore nuovo turbava tutte le viscere, mentre mi proclamavo desolato, abbandonato, depredato!, muovendo i sassi con abbondanti lacrime, mentre Lucifero, a notte quasi finita, spargeva i suoi raggi e bagnato andava sul cavallo alato, vidi una figura, brillante di luce siderea, scendere dal cielo. Quella non fu un sogno, ma il giovane aveva un colore e una voce reale, mentre la statura era piu grande rispetto alla nota immagine del corpo. Mostrando le ardenti orbite degli occhi e le spalle splendenti, diede dalla bocca rosea queste parole: «Mio nobile parente, perché ti lamenti per causa mia, che sono stato portato alle stelle del cielo? Smetti di piangere un dio e la tua devozione, ignara, non pianga uno che e stato accolto in una sede superiore, né la tristezza danneggi gli dei. lo non andró, triste, nelle onde del Tartaro, non saro trasportato come un'ombra per le onde dell'Acheronte, non spingero con il remo l'azzurra barca, né avro paura di te, Caronte, terribile d'aspetto, né il vecchio Minosse mi giudichera, non errero nei luoghi oscuri, né saro rinchiuso nelle acque. Alzati, di' alla madre che non mi pianga giorni e notti come la madre Attica (= Procne), che si doleva per ltys. lnfatti la santa Venere ha ordinato che io non conoscessi le sedi dei morti, ma mi ha portato nei templi splendenti del cielo». Mi alzo e il terrore mi aveva invaso le gelide membra; il luogo era profumato, impregnato di un odore soave. 'O divino Nepos, sia che tu, attorniato dalla folla degli Amores, lieto prendi parte ai divertimenti di Adone, sia che godi del gregge delle Pieridi o dell'arte di Pallade, tutto il coro degli dei ti accogliera. Se ti piacera attaccare il tirso ai pesanti corimbi e coprire i capelli con la vite, sarai Liber; se ti piacera far crescere la chioma e incoronarla di alloro e prendere l'arco con la faretra, sarai Febo. Potresti indossare le maniche ben fatte dei Frigi [come Attis?]; non un solo amore vivra nel petto di Cibele. Se ti piacera scuotere la bocca di un cavallo spumante [con le briglie], Cillaro, porterai le membra di un bel cavaliere. Ma qualunque dio, qualunque eroe sarai chiamato, siano la madre, la sorella e il figlio sani e salvi'. Questi doni sono piu grandi di corone e unguenti: né il tempo vorace, né [-] li portano via.
2.COMMENTO EPIGRAFICO
L'iscrizione, di carattere funerario, fu dedicata da Sex(tus) Onussianus Com[-] alla memoria del suo parente M(arcus) Lucceius Nepos. Del testo, interamente metrico al di fuori di riga i (con l'onomastica del dedicante e del defunto, difficilmente inseribile in una sequenza metrica), sopravvive oggi solo la prima parte delle righe 2-13, incise all'interno di un campo epigrafico delimitato da una semplice linea, con un uso abbastanza irregolare dei segni d'interpunzione e rubricate non sempre correttamente in tempi moderni. Il carme e organizzato in tre sezioni di 14 righe ciascuna (le righe 44-47 fungono da clausola) e racconta l'apparizione notturna del defunto al suo congiunto: nelle righe 2-15 Onussianus descrive una visione, avvenuta sul finire della notte, quando si riteneva che i sogni fossero piu veritieri9; alle righe 16-29 prende poi la parola Nepos, il quale esorta ľadfinis a non stare in pena per lui, che, ormai accolto nelle sedi degli dei, si trova in una condizione sovrumana; nella terza sezione (righe 30-43) Onussianus elenca a sua volta alcune figure divine con cui il defunto puo essere assimilato (Adone, conteso fra Venere e Proserpina, Libero, Apollo, Attis e Castore, qui richiamato tramite il suo cavallo Cillaro).
Sotto il profilo onomastico va osservato che il gentilizio Lucceius e piuttosto comune in generale, ma a Roma ricorre soprattutto con il prenome Marcus, come nel nostro caso; proporzionalmente pochi sono i Lucceii noti di nascita libera e tra questi va annoverato il nostro Nepos. Il suo cognome e abbastanza frequente nell'Urbe, con piu di venti attestazioni10. Il secondo individuo, legato a Nepos da un non meglio definito grado di parentela (probabilmente acquisito tramite matrimonio, come suggerisce il termine adfinis alla riga 16)11, si chiamava Sex(tus) Onussanius: il suo gentilizio nei dintorni di Roma e presente solo a Tusculum, con un Sex(tus) Onussanius S(exti) f(ilius) Nepotianus, forse imparentato con i nostri personaggi per via dello stesso prenome e gentilizio del dedicante e del cognome Nepotianus, derivato dal cognome Nepos del defunto12. Il cognome del dedicante, giunto mutilo, potrebbe essere integrato con Com[modus] o Com[munis], stando ai cognomi piu attestati nelle iscrizioni13.
Per quanto riguarda i confronti epigrafici, essi non sembrano né numerosi, né per la verita molto significativi; il carme ha pertanto nel panorama dell'epigrafia metrica urbana una sua originalita, da attribuire probabilmente piuttosto al committente che al lapicida. Al contrario, il fenomeno qui evocato della consecratio in formam deorum del defunto, nel caso specifico non ristretto a una sola divinita, e ampiamente attestato in eta imperiale, sia nelle iscrizioni, sia nelle arti figurative14. L'iscrizione di Nepos, con i numerosi modelli divini evocati, sembrerebbe risentire di una visione escatologica della morte e dell'aldila, dietro la quale si potrebbe cogliere una qualche forma di sincretismo religioso influenzata forse dalla tradizione orfica, per la quale il morto diventava un essere divino e come tale non condannato ad abitare negli inferi, bensi tra gli dei del cielo, associato a figure mitiche e divine, secondo la confortante visione di un aldila felice15.
Volendo ora segnalare qualche raffronto con altri epitaffi metrici, ci limitiamo a richiamare per la iunctura di riga 2 (raptus morte) CLE 400 (morte gravi raptus...); alla riga 6 l'espressione me desolatum ricorre anche in una tarda iscrizione cristiana della Lusitania (HEp 1995, 949: eu me desolatum); alla riga 13 corporis effigies ricorda CLE 849 (perspicua corporis inest effigies numinis); alla riga 17 la iunctura desine flere ha altri sei confronti, due dei quali da Roma (AE 1990, 95 e CLE 2177)16; alla r. 18 sede receptus torna in CLE 1589 (... aeterna sede receptus silet); l'espressione della riga 26 noctesque diesque e presente in altre due epigrafi metriche (CLE 654, 1950); alla riga 27 l'associazione di maerens con mater ritorna soltanto in CIL, VI 2866 e CLE 153; infine segnaliamo che per l'appellativo sancta attribuito in riga 28 a Venus si hanno pochissimi riscontri sia epigrafici sia letterari e che rara si rivela la stessa natura funeraria della dea17.
Dunque a differenza di altri componimenti metrici che appaiono piu convenzionali, veri e propri centoni, espressione di un «comune sentire», il nostro carme non puo definirsi, sotto l'aspetto epigrafico, un semplice innesto di espressioni stereotipe, come riscontriamo spesso nel contesto di lamentazioni o consolazioni funebri giunteci per via epigrafica18.
Quanto alla sua datazione, la paleografia (in particolare si considerino il modulo rettangolare delle lettere e le lettere E, F, T con i tratti orizzontali corti e svettanti verso l'alto), l'onomastica dei due personaggi ancora completa di tria nomina e lo stesso tipo di dedica rivolta alla memoria del defunto sembrano orientare verso la fine del 11 o gli inizi del 111 secolo d.C.19.
(G.L.G.)
3.COMMENTO LETTERARIO
Come si e gia accennato, la nostra iscrizione ha un'indubbia originalita nel panorama dell'epigrafia funeraria, non soltanto per il modo di sviluppare l'elogio del defunto, ma anche perché si tratta di uno dei casi piu eclatanti di convergenza tra poesia letteraria ed epigrafica alla luce delle non poche citazioni attinte dalla letteratura 'ufficiale'20. Le corrispondenze di immagini e lessico lasciano immaginare che l'autore del testo inciso abbia utilizzato un serbatoio di linguaggio poetico, alimentato, come si vedra, da Lucrezio e dai piu noti poeti di eta augustea: Virgilio, Orazio e Ovidio21. Non sono effettivamente pochi, nell'epigrafia metrica (quantomeno latina), i casi in cui si possano riconoscere «coincidenze di espressioni (non generiche o banali) con documenti letterari»22, che a loro volta lasciano ipotizzare un influsso diretto dell'ambiente scolastico sui testi incisi: si tratta di quella 'trasfusione di codici' che permette all'autore di questo o quel carme di ricorrere a espressioni poetiche evidentemente entrate in circolazione, perlomeno in ambienti culturali medio-alti. E questo anche il caso del carme di Onussiano, che risulta infatti costituito da una vera e propria collezione di innesti poetici: dietro ciascun intarsio si scorge un poeta, la cui opera godeva verosímilmente di ampia circolazione in area urbana almeno nel II-III secolo (ma certamente anche prima). Chi ha composto il testo era evidentemente istruito, il che gli permetteva di riutilizzare, probabilmente citando a memoria, passi e inserti amati (da lui, ma forse pure da altri) e divenuti ormai di diffusione ricorrente.
La fortuna su pietra dei poeti Augustei (Virgilio soprattutto, ma anche Orazio e Ovidio)23 e cosa ben nota agli studiosi. Ancora da indagare negli studi di tradizione letteraria nell'epigrafia metrica e invece la figura di Lucrezio24. Il suo poema dovette riscuotere presto non poco successo, come testimoniano gli oltre quindici casi di reminiscenze epigrafiche25: le testimonianze si concentrano principalmente a Roma (almeno quattro), Pompei e in Africa (non meno di tre) e si datano per 10 piu al I secolo d.C. e poi, curiosamente, solo in eta cristiana. Vediamo ora in dettaglio la presenza della poesia 'ufficiale' nel carme di Onussiano.
-Lucrezio. Si tratta certo del caso piu intrigante di interazione tra auctores e CLE 1109 per via del netto contrasto, in tema di vita dopo la morte, tra le rassicurazioni di Nepos e l'ideologia epicurea veicolata da Lucrezio. Il discorso del defunto, rivolto a Onussiano ma indirizzato soprattutto alla madre che lo piange, si conclude alle righe 28-29: dopo l'iniziale apostrofe all'ad^nis memorandus (righe 16-17) e una lunga serie di anafore negative, con funzione di netto rifiuto di qualsivoglia motivo di dolore per la sua morte (righe 20-25), Nepos riprende e spiega quanto detto in fase di 'presentazione', quando si era definito ad sidera caeli ablatum e deum. La rassicurazione e il conforto sono incentrati sulla sua condizione ultraterrena: Venere non gli ha ordinato di scendere nelle sedi infernali, gli ha invece garantito un posto tra gli dei conducendolo negli splendenti templi del cielo. L'esplicitazione della propria consecratio in formam deorum e veicolata dall'espressione in caeli lucida templa, che e ripresa esatta di Lucr. 1.1014 (nec mare nec tellus neque caeli lucida templa) e 2.1039 (suspiciere in caeli dignatur lucida templa). Per quanto il contesto dei passi lucreziani non si sovrapponga esattamente a quello epigrafico (in 1.1014 il poeta spiega che materia e vuoto interagiscono tra loro e si limitano a vicenda, facendo si che il mare, la terra, la luminosa volta del cielo, gli uomini e gli stessi dei possano continuare a esistere, mentre in 2.1039 egli si immagina quanta meraviglia provocherebbe il poter guardare per la prima volta il cielo, le stelle, la luna e il sole, che invece per abitudine l'uomo non degna piu di attenzione), l'unicita dell'espressione rende verosimile che l'autore del testo inciso l'abbia utilizzata a riga 29 come consapevole citazione dal De rerum natura. Di indubbio interesse, oltre alla citazione lucreziana in sé, si rivela anche
11 contesto in cui essa e inserita. Come detto, il contrasto tra il messaggio del testo epigrafico (c'e vita dopo la morte e, in particolare, la vita ultraterrena di Nepos non e affatto come la madre in terra temeva) e la concezione materialista del poema epicureo (corpo e anima non sopravvivono dopo la morte, che pertanto non e da temere) e oltremodo evidente: la divergenza ideologica si rivela ancor piu marcata considerando l'insegnamento lucreziano veicolato in 4.55-69^, dove il poeta, dopo aver illustrato la natura dell'animo umano e come questo riesca a vivere in unione col corpo, esorta a non credere che l'uno o l'altro possano sopravvivere in eterno. Vale la pena trascrivere l'intera sezione del poema:
nunc agere incipiam tibi, quod uehementer ad has res 55
attinet esse ea quae rerum simulacra uocamus,
quod speciem ac formam similem gerit eius imago,
cuius cumque cluet de corpore fusa uagari;
quae quasi membranae summo de corpore rerum
dereptae uolitant ultroque citroque per auras, 60
atque eadem nobis uigilantibus obuia mentes
terrificant atque in somnis, cum saepe figuras
contuimur miras simulacraque luce carentum,
quae nos horrifice languentis saepe sopore
excierunt ne forte animas Acherunte reamur 65
effugere aut umbras inter uiuos uolitare
neve aliquid nostri post mortem posse relinqui,
cum corpus simul atque animi natura perempta
in sua discessum dederint primordia quaeque
Le visioni notturne, che certo possono fuorviare, sono descritte con immagini e concetti che molto si avvicinano al discorso di Onussiano: visioni, spiega Lucrezio, che volteggiano nell'aria e atterriscono gli uomini. Nel sonno, in particolare, capita di vedere cari defunti che terrorizzano e svegliano chi li sogna: non si deve pero credere che le anime possano fuggire dall'Acheronte e volteggiare tra i vivi, poiché nulla - ammonisce il poeta - puo durare dopo la morte. A ogni modo, nonostante il gia dichiarato contrasto tra l'ideologia epicurea e quella che permea il testo in esame, resta il fatto che quest'ultimo, di certo posteriore a Lucrezio, ne cita uerbatim una frase: l'originalita lucreziana dell'espressione in caeli lucida templa trova infatti conferma, pur con la dovuta cautela, nel fatto che essa non si ritrova altrove in letteratura e in epigrafia.
-Virgilio. Non sorprende di certo trovare Virgilio tra gli auctores utilizzati dall'autore del nostro testo: circolazione, fortuna e utilizzo della poesia del Mantovano iniziarono, come noto, ben prima della sua morte ed egli risulta il poeta piu rappresentato nei carmina Latina epigraphica2. L'influenza di Virgilio su CLE 1109 si coglie gia nell'espressione ardentis oculorum orbes (riga 14), che e citazione esatta di Aen. 12.670 (ardentis oculorum orbes ad moenia torsit, detto di Turno). In generale, l'apparizione di Nepos a Onussiano (righe 10-15) richiama da vicino la descrizione virgiliana di Venere che appare al figlio (Aen. 2.590-594) e le sue rassicurazioni all'adfinis Onussiano ancora in vita ricordano quelle di Anchise al figlio Enea (Aen. 5.733-735: non me impia namque / Tartara habent, tristes umbrae, sed amoena piorum / concilia Elysiumque colo). Dopo le parole di Nepos, il suo parente descrive il timore che 10 assale al risveglio (righe 30-31) in modo assai simile a come Virgilio aveva descritto 11 risveglio di Turno in seguito alla visione di Aletto (Aen. 7.458-459: olli somnum ingens rumpit pauor, ossaque et artus / perfundit toto proruptus corpore sudor). Nei versi dedicati alla reazione di Onussiano per l'apparizione notturna si elencano le possibili trasformazioni divine di Nepos. Le espressioni uelare comam (riga 37), riferita a Liber, e pascere... crinem (riga 38), che invece assimila Nepos a Phoebus, sembrano avere ascendenza virgiliana: esse potrebbero infatti essere tratte rispettivamente da Aen. 3.405 (purpureo uelare comas adopertus amictu, detto da Eleno al divino Enea, invocato qualche verso prima come nate dea) e Aen. 7.391 (te lustrare choro, sacrum tibi pascere crinem, in riferimento a Lavinia, ritenuta degna di unirsi solo al tiaso bacchico). Anche Yincipit di riga 42, nella medesima sezione testuale, sembra attingere da Virgilio (Aen. 6.881: seu spumantis equi foderet calcaribus armos, detto di Marcello che Anchise immagina in guerra prima come fante e poi a cavallo)28.
-Orazio. Anche Orazio, che pure non risulta molto attestato nell'epigrafia metrica29, partecipa alla tessitura letteraria del carmen iscritto. Praticamente l'intera riga 44 e citazione esatta e l'oraziano ne quicumque deus, quicumque adhibebitur heros (ad Pis. 227) diventa sed quicumque deus, quicumque uocaber[is heros], seppure in contesto ben diverso. Orazio sta infatti ragionando su come tramutare il carattere tragico del deus o dell'heros in un personaggio del dramma satiresco (uertere seria ludo, dichiara al verso 226), senza pero che l'uno o l'altro debbano scadere nel volgare (229: migret in obscuras humili sermone tabernas) o, proprio per evitare cio, vengano tacciati di inverosimiglianza (230: dum uitat humum, nubes et inania captet): Onussiano, invece, usa l'espressione per concludere l'elenco di divinita ed eroi cui Nepos potrebbe essere assimilato.
-Ovidio. Il fatto che tante espressioni del nostro testo si possano riconoscere come típicamente ovidiane certifica che il Sulmonese e la fonte piu conosciuta e utilizzata dall'anonimo compositore, la principale ispirazione poetica per adornare ed elevare in termini di cultura letteraria l'elogio di Nepos. Intarsi ovidiani si trovano sin dall'inizio: per meglio definire il momento della visione, Onussiano usa l'espressione Lucifer ignis (riga 8), il cui unico confronto poetico e offerto proprio da Ovidio (met. 4.629, peraltro con lo stesso valore cronologico: exiguamque petit requiem, dum Lucifer ignes)30. Il racconto di Nepos e introdotto poche righe piu tardi (riga 15) dalla perifrasi reddidit ore sonos, che trova un esatto riscontro nel solo Ovidio, dove per di piu compare nella stessa sede metrica (fast. 6.426: hos non mentito reddidit ore sonos). Il defunto poi spiega che, in quanto accolto nelle sedi celesti, non deve esser pianto né compatito dalla madre ancora in vita: l'espressione superna sede receptum (riga 18) sembra ancora tratta da Ovidio, che ne doveva aver standardizzato la clausola (come si vede da met. 3.504: tum quoque se, postquam est inferna sede receptus e Pont. 3.5.53: tum me, siqua fides, caelesti sede receptum, oltre che am. 2.6.57 Psittacus has inter nemorali sede receptus). A cio fa seguito l'invito rivolto a Onussiano ad alzarsi per esortare la madre a non piangere la morte del figlio (riga 27: defleat ut maerens Attica mater Ityn), probabilmente ispirato da tr. 2.390 (quaeque suum luget nunc quoque mater Ityn), dove la clausola si ritrova identica e associata a un verbo di significato affine. Non c'e motivo di dolersi per la propria morte, aggiunge il defunto poco oltre, perché sancta Venus sedes non nosse silentum (riga 28): l'espressione sedes ... silentum proviene da met. 15.772 (iactarique freto sedesque intrare silentum), dove e ugualmente attribuita, peraltro nella stessa sede metrica e in un contesto molto simile, a Venere (che si duole di dover assistere inerme alla morte del suo discendente Cesare, peraltro definito natum dalla stessa dea al verso precedente). La paternita ovidiana dell'espressione e confermata dalla sua unicita (si trova solo nel Sulmonese e, appunto, nel nostro carme). L'inizio della riga successiva, legato alla precedente da enjambement, ne condivide la matrice ovidiana: iussit et si ritrova infatti nella medesima posizione e in contesto analogo in ars 3.44 (dove si riferisce a Venere, come d'altronde nella nostra iscrizione: sed me Cytherea docere / iussit et ante oculos constitit ipsa meos). Finalmente l'apostrofe al congiunto termina e Onussiano si sveglia dal sogno rivelatore: l'ascendenza ovidiana del formulario tuttavia non cambia. L'intero contesto di her. 14.44-45 (excussere metum uiolenti iussa parentis / erigor et capio tela tremente manu, in cui Ovidio descrive la titubanza di lpermestra nell'obbedire all'ordine del padre di uccidere il marito Linceo) e riproposto dall'autore del testo inciso, che in modo non dissimile racconta lo spavento di Onussiano in seguito all'apparizione notturna (riga 30: erigor et gelidos horror perfuderat artus, il cui incipit erigor et si ritrova in met. 13.234 e nel passo menzionato di heroides). La descrizione di Onussiano sconvolto al suo risveglio dopo il dialogo con Nepos richiama un altro passo ovidiano, ancora tratto dalle metamorfosi (10.423-424: gelidos nutricis in artus / ossaque (sensit enim) penetrat tremor)31, che sembra aver costituito il serbatoio di contenuto e lessico per l'espressione epigrafica gelidos horror perfuderat artus (riga 30). Anche la scena descritta da Ovidio in met. 4.320-321 (tum sic orsa loqui: 'puer o dignissime credi / esse deus, seu tu deus es, potes esse Cupido') potrebbe essere stata tenuta presente dall'anonimo compositore del carme: come il poeta racconta la reazione della Naiade Salmacide all'apparizione del bellissimo puer Ermafrodito, cosi il nostro testo descrive Onussiano che si rivolge (ormai in absentia) al defunto testé apparsogli, apostrofandolo come divus e immaginandolo turba stipatus Amorum (met. 3.186: turba stipata suarum potrebbe costituire un modello espressivo per il testo epigrafico)32. La descrizione seguente della fragranza del divinizzato Nepos rimasta nel luogo dell'apparizione (riga 31: spirabat suaui tinctus odore locus) potrebbe richiamare l'intero contesto di fast. 5.375-376, dove e Flora che scomparendo lascia il proprio odore: omnia finierat: tenues secessit in auras, / mansit odor; posses scire fuisse deam. Uno dei gesti che Onussiano immagina per Nepos e quello dell'acconciatura dei capelli: lauro redimire (riga 38) e locuzione típicamente ovidiana, peraltro qui utilizzata nella stessa sede metrica del Sulmonese (am. 1.11.25: non ego uictrices lauro redimire tabellas). E ancora: le clausole integrate di righe 39 e 42 si ritrovano rispettivamente in Ov. her. 15.188 (et forma et meritis tu mihi Phoebus eris) e am. 1.2.15 (asper equus duris contunditur ora lupatis)33, mentre l'espressione epigráfica sit soror et mater (riga 45) probabilmente risente dell'ovidiano et soror et mater (am. 1.8.91 e rem. 637, in entrambi i casi a inizio di verso)34. Se in fine di carme la promessa di Onussiano che haec dona (verosímilmente riferiti non solo alla salvezza dei congiunti sopra menzionata, ma pure al sepolcro) non saranno scalfiti dal tempo vorace ricorda V exegi monumemtum aere perennius oraziano35, il sintagma stesso tempus edax (riga 47) potrebbe essere di ascendenza ovidiana: le sole attestazioni letterarie dell'espressione sono infatti in Pont. 4.10.7 e met. 15.234.
In breve questo testo sembra documentare meglio di altri, tramite il suo fitto bagaglio di rimandi letterari, che sul finire del II e agli inizi del III secolo gli autori che erano entrati nel canone letterario come esponenti della cultura ufficiale e codificata erano ancora oggetto di studio e di citazioni, secondo una moda che si perpetuera fino a epoca tarda. Invertendo la tendenza dell'epigrafia metrica a vedere in Virgilio l'autore piu utilizzato e citato ad uerbum, Ovidio si presenta come la fonte privilegiata per il racconto di Onussiano36, andando a fornire espressioni e stilemi particolarmente numerosi in questo poetico resoconto su pietra.
(G.B.)
4.COMMENTO METRICO
L'iscrizione si segnala per la lunghezza della composizione in distici elegiaci e la correttezza dei versi, segno della virtuosita poetica dell'autore del testo inciso37. L'analisi di alcuni aspetti metrici permette un confronto con la pratica poetica degli autori 'canonici', recentemente studiata da Ceccarelli38 e, in particolare, con il modello ovidiano, che pure non risulta essere l'unico accostabile al nostro testo39.
Prima di tutto, si noti la grande varieta degli schemi esametrici: il gioco delle sostituzioni tra dattili (D) e spondei (S) raggiunge ben dodici delle sedici possibility esistenti per un totale di 23 versi. In queste variazioni, i dattili sono nell'insieme meno rappresentati degli spondei; questo fatto in particolare aiuta a comprendere la relazione del carmen con la poesia elegiaca, il cui sviluppo, da Catullo a Ovidio, presenta un incremento significativo e costante dei dattili, mentre dopo Ovidio assistiamo a un nuovo aumento o, per cosí dire, una maggiore liberta nell'uso degli spondei. Con una percentuale del 46.74% il nostro testo si avvicina quindi alla prassi di Tibullo (47.95%) e soprattutto di Marziale (46.85%)40. Questo carattere 'periovidiano', piu spondaico, potrebbe anche essere dovuto al tono solenne dell'epitaffio, riconducibile alla lamentazione: «me desolatum me desertum ac spoliatum» (riga 6). Tra le preferenze di struttura41, si ritrovano DSSS, DDSS e DSDS, i tre tipi piu usati dagli autori; ma quella piu frequente SDDS (4 casi) e per lo piu rara nelle composizioni in distici elegiaci (in particolare dopo Marziale), cosí come SDDD (2 casi). Poco usati in generale, SSDS e SSDD sono presentí nel carmen, cosí come DDSD, che e invece la quarta struttura piu frequente negli autori canonici42. Di conseguenza, a inizio esametro, la prima sede tende a essere spondaica piu che dattilica nell'epitaffio di Nepos, mentre la sede piu dattilica e la seconda: negli autori canonici invece si osserva una riduzione dei dattili dal primo piede fino al quarto43. In quest'ultimo tuttavia la percentuale dei dattili (34.78%) e di poco inferiore a quella che si riscontra in tutte le opere ovidiane (53.57%-43.19%) e si colloca tra Properzio (31.44%) e Marziale (з8.62%)44.
Rispetto al pentametro, nel primo hemiepes il compositore del nostro carme preferisce strutture contrastive (SD, DS) e in particolare SD, a differenza degli autori canonici; allo stesso modo, nell'epitaffio SS, che contrasta con la seconda parte dattilica fissa, viene usato piu spesso di DD. Questi dati rinforzano il colore spondaico gia evidenziato sopra.
La cesura piu frequente nell'esametro e, come abituale, la semiquinaria (18 occorrenze); seguono la semisettenaria (17) e la semiternaria (13). Quanto alle cesure trocaiche, ne compaiono tre nel secondo piede, quattro nel terzo45 e una nel quarto. La ripartizione globale di queste cesure si avvicina a quella dei distici di Tibullo, ma anche degli esametri di Stazio e dell'Eneide virgiliana46, due modelli di riferimento47. A fine esametro la dieresi bucolica si osserva in poco meno della meta dei versi (10 casi), con due clausole frequentissime negli autori canonici (tipo conde sepulcro [5] e condere gentem [4]), e una terza (tipo si bona norint [1]) favorita da Marziale. Quello che e notevole invece e l'alta proporzione delle clausole che cominciano direttamente dopo la semisettenaria, come pulsabo carinam (riga 22, 5 casi), umerosque nitentis (riga 14, 4 casi) e vocaber[is heros] (riga 44, 2 casi). Le clausole canoniche, ridotte a pochi tipi da Ovidio, dimostrano dunque maggior virtuosita nel nostro carmen, come accade anche in Catullo e come anche accadra piu tardi in Paolino di Nola e Ausonio48.
Nei pentametri si nota la ripartizione tra semiternaria (10 occorrenze) e dieresi dopo la prima sede (8 casi): questi due tipi di pausa hanno la loro importanza nella composizione del verso, o per l'abitudine di costituire Yhemiepes come la prima parte di un esametro con cesura semiternaria, o per contrastare un elemento (dattilo o spondeo) nella prima sede con un altro di natura diversa nella seconda. La scelta di far corrispondere frequentemente le parole con i piedi e un tratto non solo di Catullo, ma anche della prassi epigrafica49, come lo e strutturare i versi con le cesure50. A livello verbale, come anticipato, nessun monosillabo finale compare nella prima né nella seconda parte del pentametro, come di regola51. Di nuovo, l'influenza degli autori canonici non e univoca: il compositore epigrafico usa quindici bisillabici finali secondo un modello ovidiano, ma anche due trisillabi anapestici e cinque tetrasillabi coriambici - soluzioni rigorosamente evitate dal Sulmonese. Da queste tendenze si puo dedurre una prassi di composizione analoga a quella evidenziata per la prima parte del pentametro, dove la semiternaria o la dieresi lasciano un spazio simile per ordinare parole di tre o quattro sillabe. L'autore esibisce ancora un tocco ovidiano52 quando evita sistematicamente un ultimo elemento a sillaba breve aperta nel pentametro: non vi e in effetti nessun caso nel nostro testo.
Infine, non si riscontra nessuno iato - come succede tante volte nei CLE - e possiamo contare sei occorrenze di elisione, tutte negli esametri. Comuni nella prassi epigrafica, la loro percentuale qui si avvicina all'uso di Properzio o di Paolino di Nola, che fanno un uso abbastanza alto dell'elisione negli esametri53.
Queste caratteristiche e i loro accostamenti con la prassi canonica dimostrano, con la dovuta cautela, che la costituzione dei versi non punta a un unico modello di tipo ovidiano - quello piu riconoscibile nella poesia elegiaca54 - o almeno non direttamente, anche se ovidiani sono la ricerca dei bisillabici finali e il trattamento delle sillabe aperte finali. Il carattere spondaico del carmen, le sue strutture piu usate, la ripartizione delle cesure esametriche e l'elisione rinviano anzitutto a Tibullo e poi a Catullo e Properzio, ma anche a Marziale e ad autori posteriori, come Paolino di Nola, ma non manca una certa influenza degli esametri di Virgilio e di Stazio. Nel carmen sono da rilevare pure il ricorso a cesure e dieresi per strutturare il testo, l'assenza di elisioni nei pentametri e la varieta delle strutture e delle clausole scelte. L'autore dell'epitaffio dimostra un'indubbia capacita di comporre versi elegiaci sotto l'influenza degli autori canonici e delle tendenze della letteratura ufficiale, ma senza rispettare un modello oppure un poeta unico, come abbiamo visto anche negli stilemi letterari analizzati in precedenza. Nella tensione fra modello canonico e carmen inciso intervengono non solo la moda letteraria del tempo55, ma anche gli usi della prassi epigrafica (cesure strutturanti, corrispondenza parola-piede), il cui rapporto preciso con la metrica degli autori rimane ancora da scoprire. Infine, e come sempre, hanno la loro importanza nella composizione le preferenze personali, lo slancio poetico e l'originalita dell'autore.
5.PROPOSTA D'INTERPRETAZIONE: LEGGERE L'ISCRIZIONE DI NEPOS
Vorremmo proporre in questa sede qualche riflessione sulla funzione di quest'epitaffio poetico insieme a una possibile interpretazione della visione notturna (o, piuttosto, mattinale) di Nepos, mettendoci nei panni dei passanti che leggevano l'iscrizione.
Come gia detto, il racconto e reso cosi vivo dall'uso della prima persone e dai due discorsi diretti, paralleli e simili in lunghezza - uno del defunto (righe 16-29), l'altro del congiunto (righe 32-45). Facendo incidere questo testo sulla pietra, il committente fa (ri)vivere per l'eternita a ogni lettore la sua visione, e mette a confronto il passante con l'immagine divina di Nepos, nel processo stesso di commemorazione. La retorica del sogno (riga 11: non fuit illa quies) evoca passi ben conosciuti della letteratura latina, in particolare il sesto canto dell'Eneide, che fornisce anche una descrizione complessiva degli Inferi in ambito romano56. Nel nostro testo, quest'ultima, poco comune negli epitaffi57, si realizza attraverso l'evocazione di luoghi (Tartaro, Acheronte, paludi) e figure mitologiche (Caronte, Minosse) in una serie di anafore negative (righe 20-25: non ego; non; nec), poi contrastate da un'altra serie di anafore (righe 32-43: seu; si) che menzionano i cieli in cui potrebbe vivere Nepos. Di particolare interesse sono le figure scelte per abitare i luoghi celesti: eroi mitologici che intrattengono una relazione speciale con la gioventu e la morte (Adone, Attis, i Dioscuri)58, dei che rappresentano la vittoria sulla morte (Liber, Phoebus), o dee della memoria, anche poetica (Pieridi e Pallade).
La memoria e precisamente la funzione piu importante di un monumentum e della sua iscrizione. La prima parola, memoriae (riga 1), esplicita fin dall'inizio questa funzione, ma le ultime parole sembrano anche far riferimento al monumento e al potere del testo inciso: haec dona ... sunt potiora (riga 46). Piu delle corollae o degli unguenti, il testo su pietra di questo monumentum perenne (riga 47: quae non tempus edax) fa parte della commemorazione, non solo di Onussiano, ma di qualsiasi lettore che rinnova la memoria di Nepos (e coinvolge l'immagine del defunto/dio) ad ogni lettura.
I processi enunciativi59 fanno qui parte integrante di questa commemorazione: il discorso del defunto e del committente sono entrambi messi in scena nel testo in discorso diretto. Leggendo - ad alta voce60 - le parole dell'uno e dell'altro, il lettore s'identifica, fin dall'inizio, nel congiunto di cui pronuncia il discorso in prima persona. Quest'identificazione e espressa con un termine poco comune: adfinis memorande (riga 16). Da un punto di vista etimologico, oltre al senso metaforico, secondario, di 'parente', adfinis significa prima di tutto 'vicino al confine', sottintendendo una relazione di prossimita fisica o spaziale all'iscrizione. Adfinis allude quindi anche a colui che e presente: ľhospes che sta leggendo l'iscrizione, la cui funzione e confermata dall'aggettivo memorandus, che rinvia al processo di commemorazione61. La lettura diviene allora una performance la cui esperienza sensoriale implica, oltre a una lettura espressiva richiesta dell'esclamazione me desolatum me desertum ac spoliatum! (riga 6), l'ascolto di parole (riga 12: sonus; 15: reddidit sonos), la visione (righe 10-15: vidi, ostende(n)s), l'olfatto (riga 31 spirabat suavi tinctus odore locus), elementi di rituale (riga 32: Die Nepos; riga 46: unguentis, corollis), e varie reazioni fisiche (righe 3-7: flerem, querens, gemerem, dolor, clamarem, lacrimis; riga 30: erigor, horror)62. Cosi, nella prima parte, il lettore puo condividere il lutto, rinnovandone il dolore (riga 5). Poi ľadfinis da voce al defunto pronunciando le sue parole. Questo discorso ha un certo potere: l'ordine surge! (riga 26) diviene erigor (riga 30). A questo punto, il lettore, stupito dalla visione, ritrova la sua capacita di agire e poi comincia a parlare (riga 32) terminando, in risposta alla domanda refer matri (riga 26), con una formula di saluto per la madre, la sorella e il figlio (riga 45). Quest'espressione richiama sentenze come sit tibi terra levis tradizionalmente indirizzate al defunto. Siamo quindi chiamati a riflettere sul senso commemorativo del testo: ora Nepos e un dio e non puo quindi essere onorato come uno dei Manes63, ció che nel testo viene tematizzato attraverso l'opposizione tra Inferi e cielo.
In conclusione, l'epitaffio poetico di Nepos fornisce materiale ricco sia dal punto di vista epigrafico che letterario, tanto in relazione alla metrica quanto per questioni piu di carattere antropológico, come quella della lettura e della commemorazione dei defunti. Il contenuto mitologico ci informa sulle rappresentazioni degli Inferi nella poesia epigrafica, mentre i dispositivi di enunciazione presentí nei due discorsi dimostrano il potere del testo sul lettore, svelandoci ancora oggi la memoria vivente della visione del divino Nepos.
(D. B.)
Recibido: 31/05/2020 · Aceptado: 05/07/2020
DOI: http://dx.doi.org/10.5944/etfii.33.20209.27618
4. Ferrua, Antonio: «Giovanni Zaratino Castellini raccoglitore di epigrafi», Epigraphica, 20 (1958), pp. 121-160; Palma, Marco: «Castellini, Giovanni Zaratino», Dizionario biográfico degliitaliani21, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1978, ad vocem.
5. L'apografo che si pubblica in luogo della foto - quest'ultima e presente nell'Epigraphik-Datenbank Clauss/ Slaby EDCS-12600586 - e del maestro calligrafo e incisore Andrea Arcangeli (ideatore dello Scriptorium Paulinum).
6. Vermaseren, Maarten Jozef: Corpus cultus Cybelae Attidisque (CCCA). III, Italia - Latium, Leiden, E.J. Brill, 1977, n. 334; Courtney, Edward: Musa Lapidaria: A Selection of Latin Verse Inscriptions, Oxford, Oxford University Press, 1995, pp. 381-384, n. 183; Reed, Jay: «At Play with Adonis», in Miller, John F.; Damon, Cynthia; Myers, K. Sara: Vertis in usum. Studies in Honor of Edward Courtney, München, Leipzig, K.G. Saur, 2002, pp. 219-229; CuGusi, Paolo: Per un nuovo corpus dei Carmina Latina epigraphica. Materiali e discussioni, Roma, Bardi, 2007, pp. 119, 167.
7. Traína, Alfonso, Bernardi Perini, Giorgio: Propedeutica al latino universitario, Bologna, Patron Editore, 1996, p. 63.
8. Forse ancora del I secolo d.C.: AE 1969/70, 121 (Itri/Formia): P(ublius) Umidius P(ubli) l(ibertus) Strato. / Fide qum magna vixit. Bonus / atque benignus copo; rem quaesivit; ea / re usus est qum hospitibus atque et ami/cis tamen et quum mors obiet rem quaesi/ta(m) reliquit; il(l)e homo fecit qua(m) ob rem hospites et amici benedicere pos(s)i(n)t; d'epoca tarda e invece l'iscrizione edita da Zilliacus, Henricus: Sylloge Inscriptionum Christianarum Veterum Musei Vaticani, Helsinki, Akateeminen Kirjakauppa, 1963, n. 237 (Roma): [-]vo / [-]iae Grap/teni coi(u)ci su/ae, quum qua vi/xit annis XXIII, / me(n)sibus duob/us, diaebus VII.
9. Sull'atteggiamento dei Romani nei confronti dell'interpretazione dei sogni: Salvo, Davide: «Sull'oniromanzia nel mondo greco e romano», üp^oç, 9 (2007), pp. 313-319.
10. Cfr. Kajanto, Iiro: The Latin Cognomina, Helsinki, Societas Scientiarum Fennica, 1965, p. 304.
11. TLL, I, cc. 1217-1218.
12. CIL, XIV 2696. Una seconda attestazione, per noi meno significativa, proviene da Interamna Nahars, in Umbria: CIL, XI 4202 (Onussana Proba).
13. Cfr. Kajanto, Iiro: op. cit. p. 256 (Communis e molto piu attestato).
14. Wrede, Henning: Consecratio in formam deorum. Vergöttliche Privatpersonen in der römischen Kaiserzeit, Mainz am Rhein, Philip von Zabern, 1981, in particolare pp. 106-107 e nt. 403; Henriksen, Christer: «Dignus maiori quem coleret titulo. Epigrammata longa in the carmina Latina epigraphica», in Morelli, Alfredo Mario: Epigramma longum da Marziale alla tarda antichita, II, Cassino, Edizioni dell'Universitå degli Studi di Cassino, 2008, pp. 696-701. In alcuni casi questa trasfigurazione si manifesta non nel testo, ma la si percepisce a livello iconografico: si veda per tutti il caso di CIL, VI 25572=EDR004997, in cui il defunto, un bambino vissuto appena sette mesi, e raffigurato con gli attributi di Mercurio. Cfr. anche infra.
15. Cfr. Farnell, Lewis Richard: Greek Hero Cults and Ideas of Immortality, Oxford, Clarendon Press, 1921, pp. 361-402; Riedweg, Christoph: «Initiation - Tod - Unterwelt: Beobachtungen zur Komunikationssituation und narrativen Technik der orphisch-bakchischen Goldplättchen», in Graf, Fritz (ed.): Ansichten griechischer Rituale. Geburtstag-Symposium fur W. Burkert, Stuttgart, Leipzig, B.G. Teubner, 1998, pp. 359-398; Graf, Fritz ; Johnston, Sarah Iles: Ritual Texts for the Afterlife: Orpheus and the Bacchic Gold Tablets, London, New York, Routledge, 20132; per l'etå imperiale Herrero De Jaúregui, Miguel: Tradición órfica y cristianismo antiguo, Madrid, Trotta, 2007. Ringrazio l'amico Panagiotis Yfantis con cui ho discusso questo particolare aspetto dell'iscrizione.
16. Cfr. Hernández Pérez, Ricardo: Poesía latina sepulcral de la Hispania Romana. Estudio de los topicosy sus formulaciones, Valencia, Universitat de Valencia, 2001, p. 85 e nt. 347, per una possibile eco di Catull. 61, 86.
17. Per i primi vd. CIL, VI 36833 (Venus Lucilliana / Sancta ex viso posita); VIII 20574 (Veneri Sanctae deae Quintus Iulius Gemellinus lecticarius votum solvit); cfr. Laubry, Nicolas: «Sepulcrum, signa et tituli: quelques observations sur la «consecratio in formam deorum» et sur l'expression du statut des morts dans la Rome imperiale», in Agusta-Boülarot, Sandrine & Rosso, Emmanuelle: Signa et tituli. Monuments et espaces de répresentation en Gaule méridionale sous le regard croisé de la sculpture et de l'épigraphie, Paris, Editions Errance, 2015, p. 169 e nt. 32.
18. Cfr. in generale su questi temi ricorrenti Lattimore, Richmond: Themes in Greek and Roman Epitaphs, Urbana (Ill.), The University of Illinois Press, 1942; Massaro, Matteo: «Radici orali di convergenze tra epigrafia e letteratura nel linguaggio funerario (poetico o affettivo)», in Fernández Martínez, Concepción et alii: Ex officina. Literatura epigráfica en verso, Sevilla, Secretariado de Publicaciones Universidad de Sevilla, 2013, pp. 253-274; Schmidt, Manfred G.: «Carmina Latina epigraphica», in Bruun, Christer & Edmonson, Jonathan: The Oxford Handbook of Roman Epigraphy, Oxford, Oxford University Press, 2015, pp. 764-782.
19. Per quest'ultimo aspetto: Ricci, Cecilia: «Sepulcrum e(s)t memoria illius. Una riflessione sull'impiego del termine «memoria» negli epitaffi latini di Roma», Scienze dell'Antichita, 16 (2010), pp. 163-180. Diversamente Cugusi, Paolo (2007): op. cit. p. 119 e Cugusi, Paolo & Sblendorio Cugusi, Maria Teresa: Versi su pietra: studi sui Carmina Latina Epigraphica: metodologia, problemi, tematiche, rapporti con gli auctores, aspetti filologici e linguistici, edizione dei testi: quaranta anni di ricerche, Faenza, Fratelli Lega, 2016, p. 566 propongono, sia pure dubitativamente, una datazione a etå flavia o di poco posteriore, ma comunque nel I secolo d.C. Alla seconda metå del I secolo d.C. pensa anche Hernández Pérez, Ricardo: op. cit. p. 80.
20. L'influsso di stilemi epigrafici sugli auctores e ben documentato nei lavori di Bettenworth, Anja: «Hocsatis in titulo». Studien zu den Inschriften in der römischen Elegie, Münster, Aschendorff Verlag, 2016; Massaro, Matteo: «Una terza via: epigrafia e letteratura in parallelo (l'Alcesti di Euripide e i CLE)», in Gómez Font, Xavier; Fernández Martínez, Concepción; Gómez Pallares, Joan: Literatura epigráfica. Estudios dedicados a Gabriel Sanders, Zaragoza, Cometa S.A., 2009, pp. 225-253. Un caso simile di trasfusione del codice letterario in un testo su pietra e il famoso e studiatissimo epitaffio di Allia Potestas, iscrizione urbana databile alla prima meta del I secolo d.C., ugualmente pervasa di richiami e citazioni ad uerbum tratti dal repertorio poetico e in particolare da Ovidio (vd. da ultimo CuGusi, Paolo & Sblendorio CuGusi, Maria Teresa: op. cit., pp. 238-241).
21. La sezione testuale dedicata al sogno di Onussiano risente anche del contesto di Prop. 4.7 (CuGusi, Paolo & Sblendorio Cugusi, Maria Teresa: op. cit., p. 242). La presenza di vari auctores nel carme di Onussiano e stata messa in luce gia nell'edizione del Bücheler e in seguito da Bömer, Franz: «Der klassicher Ovid. Bemerkungen zu CE 1109», Acta Antiqua Academiae Scientiarum Hungaricae, 30 (1982-1984), pp. 275-281; Courtney, Edward: loc. cit.; Fernández Martínez, Concepción: Poesía epigráfica latina, 1, Madrid, Gredos Editorial S.A., 1999, pp. 506-508 (con note di commento alla traduzione spagnola del carme); Cugusi, Paolo (2007): op. cit. pp. 119-120.
22. Massaro, Matteo (2009): art. cit. p. 253.
23. Su Ovidio in particolare e in preparazione da parte di Bianchini, Gianmarco & Gregori, Gian Luca uno studio complessivo sulle citazioni epigrafiche a Roma.
24. Nonostante qualche riferimento in Butterfield, David: The Early Textual History of Lucretius' De rerum natura, Cambridge, Cambridge University Press, 2013 e Gatzeimeier, Susanne: Ut ait Lucretius. Die Lukrezrezeption in der lateinischen Prosa bis Laktanz, Göttingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 2013, un'indagine sistematica su questo particolare aspetto della tradizione indiretta lucreziana e ancora assente. Utili accenni a Lucrezio epigrafico si trovano in relazione ad alcune inscrizioni in Sanders, Gabriel: Lapides Memores. Paiens et chrétiens face a la mort: le témoignage de l'épigraphie funéraire latine, Faenza, Fratelli Lega, 1991, p. 378; Cugusi, Paolo: Aspetti letterari nei Carmina Latina Epigraphica, Bologna, Patron, 1996, pp. 170-171, 345; Wolff, Étienne: La poésie funéraire épigraphique a Rome, Rennes, Presses Universitaires de Rennes, 2000, pp. 99-114. Si veda ora Bianchini, Gianmarco: «Epicureanism in Latin Verse Inscriptions», contributo per il Meeting of the Classical Association of Atlantic States (9 ottobre 2020).
25. Secondo CuGUSi, Paolo (1996): op. cit. p. 171 «i versificatori epigrafici possedevano una discreta conoscenza di Lucrezio».
26. Courtney, Edward: op. cit. p. 381 rimanda genericamente a 4.26 ss.
27.Resta ancora valido Hoogma, Robert P.: Der Einfluss Vergils auf die Carmina Latina Epigraphica, Amsterdam, North-Holland publishing Company, 1959, da aggiornare almeno con il contributo di Solin, Heikki: «Epigrafia», in Della Corte, Francesco: Enciclopedia Virgiliana, II, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1985, pp. 332-340.
28. Vd. da ultimo CuGusi, Paolo & Sblendorio CuGusi, Maria Teresa: op. cit. p. 243.
29. Da un rapido controllo degli indici di Bücheler e Lommatzsch risulta che i casi di riprese oraziane nei carmina Latina epigraphica sono poco meno di trenta: manca pero ancora una verifica sistematica.
30. Simile e anche il contesto descritto in Ov. her. 16.133-136.
31. Che sara poi ripreso da Sen. Oed. 659: et ossa et artus gelidus inuasit tremor. Cfr. anche Ov. her. 16.67 Per un contesto anche lessicalmente simile al nostro: obstipui, gelidusque comas erexerat horror.
32. Ma la stessa espressione turba stipatus si ritrova anche in Luc. 4.208: excitat atque hostis turba stipatus inermes.
33. Ma cfr. anche Stat. Theb. 4.737: siccis inlidunt ora lupatis. Su riga 42 vd. da ultimo CuGusi, Paolo & Sblendorio CuGusi, Maria Teresa: op. cit. p. 242.
34. Per quanto non si tratti di un'espressione particolare e fuori dal comune linguaggio (anche prosaico), non si trovano altri confronti poetici (letterari stricto sensu e su pietra).
35. Hor. carm. 3.30.1.
36. CuGusi, Paolo & Sblendorio CuGusi, Maria Teresa: op. cit. p. 242 parlano di «densa presenza di Ovidio che s'accompagna a densa presenza di Virgilio».
37. Sugli aspetti relativi all'ordinatio dell'iscrizione, con una costante corrispondenza tra versi e righe di scrittura, e sul regolare rientro dei pentametri (che trova frequenti confronti nell'epigrafía urbana), per favorire la scansione del ritmo da parte del lettore, vd. Limón Belén, María: La compaginación de las inscripciones latinas en verso. Roma e Hispania, Roma, «L'Erma» di Bretschneider, 2014, pp. 68-74, 145, 147.
38. Ceccarelli, Lucio: Contributions to the History of the Latin Elegiac Distich. Turnhout, Brepols, 2018. Di particolare aiuto sono tutte le tabelle con i vari dati alle pp. 251-356. Altro contributo piu datato ma utilissimo per il distico elegiaco, quello di Platnauer, Maurice: Latin Elegiac Verse: Study of Metrical Uses of Tibullus, Propertius and Ovid, Cambridge, CUP, 1951.
39. Per la metrica dei carmina in relazione agli autori canonici si veda Carande Herrero, Rocío: «Huellas del estilo métrico», Habis, 33 (2002), pp. 599-614, in particolare pp. 605-606 e per gli sviluppi repubblicani, Massaro, Matteo: «Metri e ritmi nella epigrafía latina di eta repubblicana», in Kruschwitz, Peter: Die metrischen Inschriften der römischen Republik, Berlin, New York, De Gruyter, 2007, pp. 121-167.
40. Ceccarelli, Lucio: op. cit. p. 27.
41. Nell'analisi dei versi, la forma e l'astrazione metrica (lo schema metrico), mentre la struttura e la variante effettiva adottata dal ritmo in accordo con la forma (alternanza dei dattili e spondei), cfr. Luque Moreno, Jesús: «Niveles de análisis en el lenguaje versificado», in Bernabé, Alberto et al.: Athlon. Satura grammatica in honorem Francisci R. Adrados, I, Madrid, Gredos, 1984, pp. 287-299, in particolare 287-288.
42. Ceccarelli, Lucio: op. cit. pp. 262, 310.
43. Ceccarelli, Lucio: op. cit. pp. 32-36.
44. Ceccarelli, Lucio: op. cit. p. 253.
45. Nei versi delle righe 8, 16 e 18 queste cesure in particolare individuano unita sintattiche e il loro rilievo significativo per il carmen: nocte (riga 8), memorande (riga 16), ignara (riga 18).
46. Ceccarelli, Lucio: op. cit. pp. 327-329.
47. Per la Tebaide come modello dell'esametro post-virgiliano, si veda Ceccarelli, Lucio: op. cit. p. 130.
48. Ceccarelli, Lucio: op. cit. p. 339.
49. Carande Herrero, Rocío: art. cit. p. 605.
50. Per altri esempi in cui le cesure hanno un ruolo strutturante, vedere in particolare CLE 1142 = CIL, VI 25427 (cfr. p. 3532) (Roma, II secolo); CLE 1223 = CIL, VI 25128 (cfr. p. 3531) = 34156 (Roma); CLE 1280 = CIL, IX 3009 (cfr. p. 1250) (Lanciano): tutti questi carmina ne fanno un uso estensivo e presentano piu volte versi con lo stesso schema di cesure.
51. Su questo punto, vedere Harkness, Albert Granger: «The Final Monosyllable in Latin Prose and Poetry», The American Journal of Philology, 31-2 (1910), pp. 154-174, in part. 171-173.
52. Ceccarelli, Lucio: op. cit. p. 65.
53. Ceccarelli, Lucio: op. cit. p. 345.
54. Ceccarelli, Lucio: op. cit. p. 227.
55. Carande Herrero, Rocío: art. cit. p. 599.
56. Altri passi che sviluppano elementi del mondo infernale sono le Metamorfosi ovidiane (6.432-463; 10.1-85) e le elegie di Properzio (4.11, 15-25) e di Tibullo (1.3).
57. Per una discussione piu ampia della rappresentazione degli Inferi negli epitaffi, si veda Bovet, Dylan: «Enfers romains, Enfers grecs: lecture en catabase dans les inscriptions latines versifiées», Fabula, 2020 <https:// www.fabula.org/colloques/fn preparazione>, in preparazione.
58. Su queste figure, si veda González Serrano, Pedro: «Catábasis y Resurrección», Espacio, Tiempo y Forma. Serie II. Historia Antigua, 12 (1999), pp. 129-179, in particolare 169-171.
59. Si tratta di un aspetto poco studiato dei carmi epigrafici. Si veda Belloc, Hervé: «Mater tua rogat te ut me ad te recipias: une nouvelle approche de l'énonciation des Carmina Latina Epigraphica», in Toulze-Morisset, Françoise: Formes de l'écriture, figures de lapensée dans la culture gréco-romaine, Lille, Presses de l'Université Charlesde-Gaulle, 2009, pp. 87-100.
60. Valette-Cagnac, Emmanuelle: La lecture a Rome. Rites et pratiques, Paris - Belin, 1997, pp. 81, 108.
61. Il senso di memorandus e duplice: ľadfinis e degno di memoria perché realizza un atto di commemorazione per il defunto, cfr. Valette-Cagnac, Emanuelle: op. cit. p. 87.
62. Questi elementi sensoriali della lettura di iscrizioni funerarie sono giå stati evidenziati da Kruschwitz, Peter: «How the Romans Read Funerary Inscriptions: Neglected Evidence from the Querolus», Habis, 50 (2019), pp. 341-362, in part. 359-362.
63. Per la distinzione - o l'opposizione - tra dei Manes e dei (uomini divinizzati), di cui culto e rituali non possono essere assimilati, si veda la discussione in Scheid, John: Quand faire cest croire: les rites sacrificiels des Romains, Paris, Aubier, 2005, pp. 206-209.
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© 2020. This work is published under https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ (the “License”). Notwithstanding the ProQuest Terms and Conditions, you may use this content in accordance with the terms of the License.
Abstract
The text, although not devoid of a certain originality, seems to draw upon a rich repertoire of poetic references, which ranges from Lucretius, to Virgil, Horace, and Ovid: it tells the appearance of a deceased young man, now risen among the gods, to his relative. Non ego Tartareas penetrabo tristis ad undas, 20 non Acheronteis transvehar umbra vadis, non ego caeruleam remo pulsabo carinam nec te terribilem fronte timebo, Charon, nec Minos mihi iura dabit grandaevus et atris non errabo locis nec cohibebor aquis. 25 Surge, refer matri ne me noctesque diesque defleat ut maerens Attica mater Ityn. Nam me sancta Venus sedes non nosse silentum iussit et in caeli lucida templa tulit. Questi doni sono piu grandi di corone e unguenti: né il tempo vorace, né [-] li portano via. 2.COMMENTO EPIGRAFICO L'iscrizione, di carattere funerario, fu dedicata da Sex(tus) Onussianus Com[-] alla memoria del suo parente M(arcus) Lucceius Nepos.
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1 University of Toronto
2 Université de Lausanne
3 Sapienza Universita di Roma