Giuseppe Di Benedetto, Maria Luisa Germana,
Dipartimento di Architettura, Università di Palermo, Italia
Abstract. Per gran parte del Novecento gli interventi architettonici nei contesti storici sono stati ricondotti entro i poli della conservazione e trasformazione. In Italia gli anni Ottanta hanno segnato una tappa decisiva nel percorso teorico, metodologico e operativo verso l'approccio richiesto dalle attuali e futuribili condizioni delle aree urbane di antico impianto: guidato da strategie a lungo termine; più responsabile; multiscalare e includente l'intera città contemporanea. L'esperienza di Culotta e Leone nel centro storico di Cefalù, pur costituendo un unicum per il loro ancoramento alla realtà sociale del luogo, fornisce un interessante esempio di continuità tra piano, progetto e attuazione che ha dato corpo a soluzioni progettuali in continuità evolutiva con le preesistenze storiche.
Parole chiave: Processo edilizio, Progetto architettonico, Città storica, Multiscalarità, Teoria dell'architettura
Architettura contemporanea e città storica: perimetrazione ed evoluzione del tema
La distinzione tra architettura contemporánea e contesti storici ha fatto si che intenzioni ed esiti di ogni intervento siano stati interpretati in termini di continuità o frattura, per gli aspetti morfologici e tipologici, e in termini di conservazione o trasformazione, per gli aspetti materiali. Cause oggettive (sostanziali variazioni nellentità e nella tempistica dei processi produttivi) sono allorigine di tale distinzione e la rendono inconfutabile. Guardando pero agli effetti che essa ha prodotto nella progettazione architettonica, è possibile individuare altri condizionamenti, dai confini più sfumati e di natura immateriale (posizioni teoriche; specifici quadri procedurali e normativi; condizioni socio-economiche), che si sono evoluti nel tempo, manifestandosi nelle varie aree culturali secondo differenti espressioni. È soprattutto levoluzione di questi ultimi fattori ad aver segnato la storia intensa degli ultimi cent'anni, costellata di esperienze variegate che hanno contribuito ad animare un dibattito continuo e, a tratti, polemico.
La dimensione multiscalare dell'architettura si coglie anche nel rapporto con i contesti storici, dal materiale costruttivo del singolo edificio al paesaggio. La scala intermedia di tale rapporto, negli ultimi anni diffusamente focalizzata a livello internazionale (UNESCO, 2005; UNESCO, 2011; ICOMOS, 2011; Bondarin and Van Oers, 2012), è considerabile cruciale: non solo perché include gli episodi edilizi e si relaziona al circostante ambiente costruito, ma soprattutto in quanto gli insediamenti urbani, da sempre poli di attrazione e propulsione della vita economica ed espressione della società, danno sostanza alla sfera pubblica e collettiva (Mumford, 1961). In aggiunta, secondo molte previsioni, la loro rilevanza è destinata ad accrescersi, al punto da far definire «Century of the City» il XXI secolo (UN-HABITAT, 2008 XII). Cio rinnova l'interesse del rapporto che l'architettura contemporanea potrà ancora intrecciare con i segni del passato, a partire dalla messa a fuoco degli interrogativi fondamentali sul ruolo e sui significati della città storica, che tenderanno a differenziarsi ancora di più su scala globale, senza comunque mai prescindere dai legami con la città nel suo insieme.
Guardando all'area mediterranea, nonostante le gravi minacce derivanti dal quadro geo-politico (guerre, terrorismo, fenomeni migratori), il patrimonio architettonico, cosi come la città storica che ne è peculiare manifestazione, difficilmente potrà smarrire quella caratteristica di fattore identitario, condiviso e radicato, che deriva dalla permanenza umana negli stessi luoghi, che si offrono alla contemporaneità pregna di significati sovrapposti, resi possibili da continui e millenari processi di aggiunzione e modificazione, improntati da contaminazioni culturali. Allo stesso tempo, i Paesi mediterranei sono investiti da una generale e strutturale crisi finanziaria che, tra l'altro, ha ridimensionato settore edilizio e mercato immobiliare, esaltando l'orientamento alla qualità e aggiungendovi più ampie accezioni di valenza sia teórica sia operativa. In questo quadro, per indirizzare le scelte future diventa strategica la riflessione sulle esperienze realizzate da qualche decennio, come quella che sarà descritta nel presente articolo.
La tendenza a rigidità ideologiche e a fughe utopistiche nel Novecento ha contraddistinto il rapporto con la città storica, tendenzialmente soppiantata da modelli alternativi, considerati formalmente e sostanzialmente più consoni ai tempi nuovi (Choay, 1965). Anche senza esplicitare lenfasi di Antonio Sant'Elia (per cui «ogni generazione deve costruire la sua città», 1914) e di Le Corbusier (insofferente verso la città antica, considerata alla stregua di un «ossario, ricoperto dai detriti di epoche morte», 1925) nei fatti a tutte le scale l'architettura contemporanea a lungo ha ignorato i contesti storici, sovrapponendosi o affiancandoli, determinandone la cancellazione nel primo caso e l'imbalsamazione nel secondo1.
Guardando alla cultura architettonica italiana, i controversi anni tra le due guerre da un lato rafforzarono la contrapposizione tra nuovo e antico, dallaltro assistettero ai primi sviluppi di una posizione «intermedia», che introduceva il principio della coesistenza di questi due poli, attraverso «spiccioli provvedimenti locali e non con grandi mezzi, liberando senza aggiungere, migliorando senza trasformare radicalmente» (Giovannoni, 1931). Tale approccio, fuori coro perché piuttosto animato da buon senso e realismo, negli anni del dopoguerra non ebbe modo di svilupparsi, per l'incalzare di altre priorità. Infatti, le rovine dei bombardamenti prima e i disequilibri speculativi della ricostruzione poi enfatizzarono lemergenza della salvaguardia della antica città, contribuendo ad accentuare le distanze con l'architettura contemporanea e spingendo a circoscrivere le aree urbane di antico impianto all'interno dei «centri storici»: una locuzione ormai entrata nel frasario comune, che continua a essere utilizzata nonostante essa non corrisponda quasi mai a unentità fisica precisamente identificabile e si possa considerare culturalmente obsoleta.
Al tema «centri storici» in Italia negli ultimi sessant'anni sono riconducibili dibattiti, esperienze di pianificazione, sviluppi legislativi e interventi architettonici puntuali. LAssociazione Nazionale Centri Storico-Artistici (ANCSA), sorta nel 1960 a seguito del convegno in cui si ratificó la «Carta di Gubbio», ha il merito di aver promosso molti approfondimenti, fornendo una stabile base comune per il confronto sia teorico che operativo a livello nazionale (Cannarozzo, 2010). Sin dagli esordi, seguendo la lezione di Giovanni Astengo, l'ANCSA ha evidenziato la necessità di superare una visione puntiforme di salvaguardia, agendo sui legami con il territorio all'interno di previsioni di piano e tenendo presente che ogni intervento contemporaneo nella città storica deve confrontarsi con molteplici variabili (sociali, giuridiche, finanziarie e tecniche). Negli anni Settanta gli sviluppi del dibattito hanno tratto spunto dalla verifica delle prime attuazioni, giudicate critiche per l'insufficiente quota d'investimento pubblico, per la tendenza a recuperi troppo trasformativi e quindi onerosi, per il gap normativo tra urbanistica e politiche per la casa. I già emersi problemi specifici dell'intervento progettuale nei centri storici prendono corpo negli anni Ottanta, decennio decisivo per l'avvio di una ricucitura tra architettura contemporanea e città storica, attraverso il «progetto della città esistente» (Fontana, 1986). Oltrepassando la scissione scalare tra piano e progetto e la logica di mera sommatoria di interventi puntuali, si inizia a perseguire una visione d'insieme della città, dove aspetti materiali (edifici e spazi pubblici) e immateriali (forme d'uso e identificazione di significati) trovino una sintesi técnicamente attendibile, i cui esiti siano verificabili e migliorabili.
Le sperimentazioni progettuali degli ultimi decenni del Novecento, specie quelle cui ha fatto seguito un'attuazione come quelle descritte più avanti, possono essere rilette come prodromiche di un atteggiamento più maturo e consapevole verso la città storica. Conservazione e trasformazione non sono più antitetiche posizioni aprioristiche o pregiudiziali, ma piuttosto attività che coesistono necessariamente, rispetto cui orientare le scelte con approccio flessibile e realistico, tenendo conto della vastità e complessità delle variabili in gioco (Di Battista, 2006 p. 196 e pp. 237-240).
Il PPE per il centro storico di Cefalù
Pasquale Culotta e Giuseppe (Bibi) Leone sono stati protagonisti per oltre tre decenni del rinnovamento dell'architettura in Sicilia2. Il loro impegno culturale, professionale e didattico, dalla fine degli anni Settanta ha contribuito a diffondere architetture di qualità su tutto il territorio insulare: ai due architetti si deve la capacità di aver saputo coagulare attorno alla «Scuola di Cefalù» le nuove generazioni di architetti siciliani, con lobiettivo dichiarato di costruire «una nuova cultura del progetto che, al di là di ogni regionalismo, [ha saputo] coniugare culture lo cali con i dettami dell'architettura moderna internazionale» (Croset, 1985 p. 26).
Cefalù, località della costa tirrenica siciliana, nota per lo straordinario promontorio e per il duomo3 (Fig. 1) e città natale di Culotta, ha offerto ai due architetti gran parte delle loro «occasioni del progetto» (Culotta and Leone, 1985), non soltanto per l'ubicazione delle architetture realizzate, ma anche per i persistenti legami con il locale contesto, che hanno conferito uno speciale significato alla loro opera:
il profondo ancoramento nella realtà sociale della piccola città di Cefalù corrisponde a una pratica dell'architettura che vede l'architetto agire per così dire senza mediazione, in quanto personaggio pubblico noto a tutti e per questo obbligato a scrivere la sua opera in prima persona, accettando la responsabilità di firmarla a viso aperto e di prestarsi così a tutte le future lodi e biasimi (Croset, 1984 p. 56).
Il Piano Particolareggiato Esecutivo (PPE) per il centro storico (1979-1982) è stato certamente l'episodio centrale della loro vicenda professionale: un piano pensato in continuità con le indicazioni del Piano Regolatore Generale di Giuseppe Samonà4 per la stessa Cefalù, che si presenta ancora come un'esperienza innovativa nel rapporto tra le intuizioni gnoseologiche applicate alla città storica e la conseguente sperimentazione progettuale multiscalare, guidata da una strategica disseminazione urbana di interventi architettonici. Nell'ambito delle relazioni tra progetto contemporaneo e contesti storici, l'attualità di tale esperienza risiede soprattutto nell'intendimento di una pianificazione urbanistica collegata alla concretezza fisica e processuale dell'architettura: ogni questione, a prescindere dalla scala dimensionale di riferimento, è stata intesa essenzialmente nelle sue implicazioni ideative e costruttive. Il centro storico di Cefalù è stato così interpretato come luogo privilegiato di una «centralità diffusa» (Samonà, 1981 p. 133), attuabile mediante la localizzazione strategica e la distribuzione di servizi nell'intento (riuscito) di far risaltare l'orditura del tessuto urbano, esposto, nelle aree più interne, a fenomeni di abbandono e degrado.
Il PPE per Cefalù trova riscontro in coeve esperienze analoghe, condotte su piccole e medie città soprattutto del centro e del nord dell'Italia. In particolare, è possibile trovare rimandi ai piani per i centri storici di Urbino (1966-1979), Rimini e borgo San Giuliano (1972), progettati da Giancarlo De Carlo, o con il piano per Pesaro di Carlo Aymonino (1971-1974), o ancora con quelli di Giuseppe Samonà per il centro storico di Montepulciano (Siena) e di Sciacca (Agrigento), entrambi del 1975, o di Cadoneghe (Padova), del 1980. È tuttavia il Piano Programma per il centro storico di Palermo (1979-1983) ad assumere maggiore rilevanza dal punto di vista del confronto, sul piano metodologico e dei principi. Li accomunano soprattutto l'idea di ricostituire il centro storico come espressione fondamentale di centralità e della conoscenza della città fondata sull'analisi morfologica e sulla nozione di «icona» come strumento di un'esaustiva comprensione della forma urbana delle architetture, raggiunta attraverso progressive decodificazioni e ricodificazioni. Da qui l'intuizione della specificità riscontrabile nella città storica mediterranea come insieme non omogeneo, ma strutturato per parti morfologicamente differenziate e tra loro relazionate, che ha reso problematico e inapplicabile il sistema di molte nozioni e metodologie adattato ad alcuni centri storici italiani.
Va sottolineato che in questa esperienza è esplicito lo spostamento dell'elaborazione progettuale «dalla disciplina urbanistica a quello della disciplina architettonica», privilegiando cioè «un percorso di studio e di decisioni aderente alle specificazioni della materialità dell'ambiente fisico rapportate alla figuratività dello stesso ambiente» (Culotta and Leone, 1982 p. 6). L'indispensabile riorganizzazione del centro storico ha spinto i progettisti a distribuire le funzioni insediative in modo omogeneo in ogni parte del tessuto urbano, sfruttandone la porosità quale condizione connotativa della sua trama. Passare attraverso gli edifici, entrando negli spazi interstiziali, ha costituito la proposta di un comportamento relazionale con la realtà fisica di Cefalù: una diversa modalità dell'abitare cui corrispondono specifiche soluzioni progettuali.
Progetti realizzati nel centro storico di Cefalù
Le previsioni di PPE hanno trovato attuazione in tre opere pubbliche progettate da Culotta e Leone, nelle quali si riconosce un valore di esemplarità metodologica, funzionale e processuale, per l'evidente legame con lo studio della morfologia urbana, dalla cui conoscenza derivano modificazioni mirate a rafforzare la struttura della città nei punti di maggiore debolezza: il progetto per il monastero di Santa Caterina, trasformato in sede del Municipio (1981-1994) (Figg. 2-4); il restauro del complesso di S. Domenico (1989-1999) (Figg. 5-7); i percorsi e le architetture del fronte a mare: dal bastione Capo Marchiafava (1987), alla Porta Pescara (2000), alla Postierla e Mura Megalitiche (restauri dal 1987 al 2004) (Figg. 8-9).
Il complesso del Municipio era luogo di una secolare stratificazione di fabbriche sovrapposte (fra cui almeno tre chiese), dalletà medievale sino agli interventi trasfigurativi attuati in seguito alla secolarizzazione dell'antico monastero di suore benedettine, destinato a distretto militare tra la seconda metà dell'Ottocento e il 1957. Culotta e Leone operano una sapiente lettura dell'architettura preesistente, depurandola da evidenti superfetazioni, integrandola e completandola con corpi aggiuntivi, là dove necessari alla ricostituzione di una forma compiuta, in un incessante dialogo tra nuovo e antico interpretato nel rapporto tra figura e sfondo. Apice del recupero dell'intero intervento è costituito dalla chiesa a pianta ottagonale di Santa Caterina (Fig. 4), destinata a sala consiliare, che con la sua rigonfia spazialità appare come uno straordinario fuori-scala architettonico (Panzarella, 2003). All'intervento sulla sede del Palazzo di Città, sembra fare eco il successivo restauro del convento di San Domenico, sulle pendici dell'incombente Rocca che sovrasta Cefalù allestremità orientale della città storica. Destinato inizialmente a «Centro di studio e ricerca sulle arti liturgiche nel bacino del Mediterraneo» (Sciascia, 1996), costituisce uno degli ultimi interventi dei due progettisti nella città (i lavori saranno ultimati nel 2010), che testimonia la tendenza a consolidare contenuti e valori figurativi della struttura preesistente (il luogo) «proiettandoli e reinserendoli nel processo mutevole della cultura contemporanea» (Culotta and Leone, 1982 p. 6). Nel progetto di recupero di San Domenico rientra anche il restauro e l'adeguamento liturgico della chiesa della SS. Trinità, annessa al convento «seppur figurativamente autonoma» (Sciascia, 2015 p. 82), la cui ultima facies (XVI sec.) è attribuita all'architetto cefaludese Jacopo Del Duca. In entrambe le parti, l'intervento coniuga il consolidamento strutturale con la restituzione di straordinarie qualità spaziali. Basti guardare alla lunga galleria di distribuzione delle celle (Fig. 6) e all'interno della chiesa, dove notevoli sono le soluzioni dell'ambone (Fig. 7), dell'altare e del completamento della cupola ribassata.
Il rapporto con la dimensione storica, ideale prima ancora che materiale, evidente in questi progetti di Culotta e Leone, dimostra la loro distanza dalla diffusa nozione di "autenticità" coincidente con quella di "originarietà". Nella loro opera, infatti, non si riscontra alcun tentativo di reintegro di uno stato presunto originario, ma piuttosto la volontà di inserirsi coerentemente in un processo di progressiva modificazione. Il riuso non è riconducibile a un semplice cambio di destinazione, ma corrisponde a una profonda metamorfosi dell'esistente, che non tradisce la natura figurale, strutturale e organizzativa degli edifici e non impone qualcosa di estraneo, ma piuttosto compenetra il nuovo uso (con il suo corredo di forme, di spazi, di materiali) con le forme, gli spazi, i materiali esistenti, tanto modificando questi ultimi con l'introduzione del nuovo, quanto emblematizzandoli attraverso la dialettica del confronto. Nel riuso cosí inteso (ossia come atto prevalentemente culturale) continuità e discontinuità, storie, autenticità e tempi diversi si compongono senza annullarsi a vicenda, e anzi dando luogo a un intervento compiuto.
Il progetto del fronte a mare, attraverso il recupero degli elementi di fortificazione che cingono a nord la città, sposta invece l'attenzione sul recupero degli spazi aperti di relazione, sottraendoli alla loro condizione di marginalità e di abbandono. Si determina in tal modo un sistema di percorsi, con un forte «senso contemporaneo ed urbano» (Panzarella, 1990 p. 15), che consolida ed esalta il rapporto osmotico tra natura (la scogliera) e artificio (le mura megalitiche e il bastione). Tutti gli interventi sono espressione di una ricerca progettuale che descrive icasticamente l'essenziale ma potente carattere dei luoghi nella loro contemporanea condizione di limen e di limes.
Lesperienza di Cefalù dimostra come lopera di Culotta e Leone si caratterizzi per un relazionismo, sempre scevro dall'assunzione di modelli apriori, che comprende la realtà fisica come organismo e processo. Tale approccio fenomenologico è assunto soprattutto attraverso la lezione di Enzo Paci, Ernesto Nathan Rogers e Vittorio Gregotti (Sciascia, 2013).
Conclusioni
Attraverso il tempo trascorso, le metamorfosi ideate da Culotta e Leone si sono integrate con il centro storico di Cefalù, divenendo elemento qualificante della vita sociale e riferimento per la collettività. Le zone interessate da questi interventi pubblici hanno favorito l'iniziativa privata di micro-riqualificazioni nelle aree limítrofe, con un complessivo miglioramento della città antica, in cui giocano un ruolo determinante la vocazione turistica di elevato livello e il richiamo del notevole interesse storico-artistico delle sue emergenze architettoniche.
Guardando da vicino gli esiti delle realizzazioni, si nota un ordinario quadro di decadimento (tanto di degradi quanto di patologie), imputabile in certa parte a scelte e soluzioni tecniche di dettaglio, e in maggior parte all'assenza di attività manutentive sistematicamente attuate su edifici e spazi pubblici, per le quali l'amministrazione comunale dovrebbe dotarsi di adeguati strumenti finanziari (e, forse soprattutto, amministrativi, organizzativi e culturali).
Questo contribuisce a dimostrare che, ormai superati i conflitti ideologici tra salvaguardia e trasformazione, il rapporto tra architettura contemporanea e città storica dovrebbe soprattutto tendere a un progetto della gestione e del mantenimento, che comprenda la città contemporanea nel suo insieme. Le strategie realistiche e di lungo termine, che sono indispensabili per affrontare criticità ed esigenze riguardanti ogni parte dell'ambiente costruito, devono includere il «patrimonio architettonico» a tutte le scale, a cui accostarsi tenendo conto delle sue peculiarità, in una visione olistica e con un approccio responsabile.
NOTE
1«Non crediamo affatto causale che Le Corbusier e Wright concordassero essenzialmente [...] sul destino da riservare alle testimonianze storiche della città: e si tratta, si noti, di un destino che contempla come unica alternativa alla distruzione radicale la loro imbalsamazione museografica» (Tafuri, 1968 p. 68).
2 Pasquale Culotta (1939-2006) e Bibi Leone (1936-2012), architetti e professori ordinari di Progettazione architettonica e urbana impegnati nella Facoltà di Architettura di Palermo anche in ruoli istituzionali. Il loro sodalizio ininterrotto inizio dai banchi del liceo e proseguí negli anni della formazione universitaria, sino alla laurea nel 1965 conseguita con una comune tesi sperimentale sul recupero del centro storico di Cefalù. Nello stesso anno fu fondato lo studio professionale «Culotta & Leone Architetti Associati».
3 Inserito nella UNESCO World Heritage List nel 2015, nell'ambito del bene «Palermo Arabo-Normanna e le cattedrali di Cefalù e Monreale», il duomo di Cefalù è il fulcro del centro storico e costituisce un polo di straordinaria valenza paesaggistica.
4 Il Piano Regolatore Generale di Cefalù fu redatto tra il 1965 e il 1967 da Giuseppe Samonà, in qualità di capogruppo, insieme ad Antonio Bonafede, Roberto Calandra, Carlo Doglio e Alberto Samonà.
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Architecture of Culotta and Leone for the Historic Centre of Cefalù: plan, project, execution
Abstract. Architectural interventions in historical contexts throughout most of the 20th century were inter-linked by the two extremes of conservation and transformation. In the 1980s, in Italy, an important step forward was taken along the theoretical and operational path towards the approach as demanded by the current and future conditions of historical urban areas: long-term strategy oriented; more responsible; multi-scale and including the entire contemporary urban settlement. The experience of Culotta & Leone in the Historic Centre of Cefalù may well constitute a unicum, as a result of their particular anchoring to the social context, and yet it offers an interesting example of continuity (between plan, architectural design and execution) that gave substance to architectural solutions which may be seen as an evolving continuity of the historical remains.
Keywords: Architectural Design, Architectural Theory, Historic City, Multiscalarity, Building Process
Contemporary architecture and historic urban areas: boundaries and evolution of the theme
The distinction between contemporary architecture and historic urban context has meant that the objectives and the results of every intervention have been interpreted in terms of continuity or discontinuity as regards the morphological and typological aspects, and in terms of conservation or transformation with regard to the material aspects. Certain objective causes, such as the substantial variations in the productive processes, are at the root of this distinction, rendering it irrefutable. However, with an eye to its consequences on the architectural design, one can also find other causes, relatively vague and immaterial: theoretical positions; specific procedural and regulatory framework; socio-economic conditions. The evolution of these latter causes, above all in western culture, marked the last century's intense history, with its wealth of experiences that contributed to fuelling a continuous and often contentious debate.
The relationship of architecture with historical contexts reflects its multiscale dimension, from the building materials of the single construction to the landscape. The urban and district scale of this relationship is considered to be paramount, as it has been widely focused at an international level (UNESCO, 2005; UNESCO, 2011; ICOMOS, 2011; Bondarin and Van Oers, 2012): not only because it includes every single building and is connected to the surrounding built environment, but above all because the urban settlements have always been a magnet and a cata- lyst for economic life and an expressive manifestation of society, being the substance of the public and collective sphere (Munford, 1961). In addition, most estimates indicate the increasing importance of urban settlements, to the extent that the 21st has been defined as the «Century of the City» (UNHABITAT, 2008 p. XII). Therefore, the relationship between contemporary architecture and the signs from the past today rekindles a new interest, in which the role and meanings of the historic urban areas tend to differentiate globally, without ever excluding the links with the urban settlements as a whole. Despite the serious threats emerging from the geopolitical framework (wars; terrorism; migration) in the Mediterranean area, the architectural heritage, as well as the historical urban settlements, which are one of its particular expressions, could hardly lose the characteristic of shared and deep-rooted identity factor deriving from the human permanence of these same places. These have arrived at our contemporary epoch replete with overlapping meanings; this has been made possible by the continuous and thousand-year-old processes of addition and modification, marked by various cultural influences. At the same time the Mediterranean countries have been affected by a structural financial crisis, which has, among other things, led to a downsizing of the building sector and the real-estate market; this has encouraged a shift towards quality and brought a wider range of meanings, both theoretical and operative. In this framework, reflection on the experiences of the last few decades, as described in this article, might be strategic in guiding future choices.
The tendency towards a sort of ideological inflexibility and unrealistic solutions in the twentieth century characterized the relationship with the historical city, which was basically supplanted by alternative models, considered formally and substantially more suited to the new age (Choay, 1965). Even without the explicit emphasis by Antonio Sant'Elia (for which «every generation has to build its city», 1914) and Le Corbusier (intolerant of the ancient city, regarded as a «charnel house, covered by the debris of dead epochs», 1925), contemporary architecture has actually ignored historical contexts on all levels, either overlying them or flanking them, determining their deletion in the first case and their embalming in the second1.
Looking at Italian architectural culture, the controversial years between the two wars, on the one hand, reinforced the contrast between new and old, and, on the other hand, witnessed the early development of a «midway» position, introducing the principle of coexistence of these two poles through «trivial local measures and not with great means, freeing without adding, improving without radically transforming» (Giovannoni, 1931). In the post-war years this novel approach, animated by common sense and realism, had no way of developing, because of pressure from other priorities. In fact, the bombedout ruins, first of all, and the ensuing speculative discrepancies in reconstruction, emphasized the emergence of safeguarding for the ancient city, accentuating the distance from contemporary architecture and enclose the confining historic urban areas within the «historic centres»; this term has now entered common usage and is still used, even though it almost never actually represents a physically identifiable entity and may be considered culturally obsolete.
In Italy, over the last sixty years, there have been studies, debates, planning experiences, legislative developments and precise architectural interventions, dealing with the issue of the «historic centres». The National Association of Historical-Artistic Centres (ANCSA), founded in 1960 in the wake of the conference in which the «Carta di Gubbio» was ratified, has the merit of having fostered extensive in-depth examination, providing a long-term, common basis for theoretical and operative, nationwide comparison (Cannarozzo, 2010). Since the very beginning, following Giovanni Astengo's lesson, ANCSA has highlighted the need to overcome a punctiform vision regarding safeguarding, acting on links with the local territory within the plan's forecasts and bearing in mind that any contemporary intervention in the historic city has to deal with many variables (social, legal, financial and technical). In the seventies, the developing debate drew inspiration from the verification of the first implementations; these were deemed awkward for the following reasons: insufficient public investment, restoration considered too transformative and therefore expensive, the regulatory gap between urban planning and housing policies. In the eighties, a decisive decade in reconciling contemporary architecture with the historical city, the specific problems that had emerged regarding the design intervention in historic centres took shape through the «project of the existing city» (Fontana, 1986). By overstepping the gap in scale between plan and project, and the mere sum logic of precise interventions, one may start to pursue an overview of the city, where material aspects (buildings and public spaces) and immaterial aspects (forms of use and identification of meanings) might achieve a technically reliable synthesis, the results of which might be verifiable and improvable.
The design experiments of the last decades of the twentieth century, especially those followed by implementation (such as the ones described below) may be reinterpreted as prodromal of a more mature attitude and greater awareness with regard to historical urban areas. Conservation and transformation are no longer a priori antithetical or prejudicial positions, but rather activities that necessarily coexist and guide the choices with a flexible and realistic approach, taking into account the breadth and complexity of the variables involved (Di Battista, 2006 p. 196 and pp. 237- 240).
The PPE (Detailed Executive Plan) for the Historic Centre of Cefalù
Pasquale Culotta and Giuseppe (Bibi) Leone were, for more than three decades, protagonists in the regeneration of architecture in Sicily2. Their cultural, professional and educational commitment from the end of the seventies onwards contributed to the spread of quality architecture throughout the island. The two architects had the skill to mold around the «Scuola di Cefalù» new generations of Sicilian architects, with the declared aim of creating «a new vision of the architectural design, which, above and beyond every regionalism, [has been able to] combine local culture with the dictates of modern international architecture» (Croset, 1985 p. 26).
Cefalù, a town on the Tyrrhenian coast of Sicily, also renowned for its extraordinary promontory and the Cathedral3 (Fig. 1) and hometown of Culotta, offered the two architects most of their «projecting opportunities » (Culotta and Leone, 1985), not only because of the location of the existing architecture, but also the prevailing connections with the local context, which conferred an important meaning to their work:
the deep anchoring in the social reality of the small town of Cefalù corresponds to a practice of architecture looking at the architect to act without mediation, as it were, in so far as public figure known to everyone and for this obliged to write his work in person, accepting the responsibility to sign it head-on and to lend himself to the future honors and blames (Croset, 1984 p. 56).
The Detailed Executive Plan (Piano Particolareggiato Esecutivo) for the historic centre (1979-1982) was certainly the main event in their professional collaboration: a plan conceived in accordance with the guidelines of the General Plan for Cefalù by Giuseppe Samonà4. This still represents an innovative experience in the relationship between epistemological insights applied to the historical city and the resulting multiscale design experimentation, guided by a strategic urban dissemination of architectural interventions. As regards the relationship between the contemporary project and historical contexts, the modernity of this experience lies mainly in the goal of urban planning connected to the physical and procedural substance of architecture; every matter, regardless of the size scale of reference, was understood essentially in terms of its ideational and constructive implications. The Historic Centre of Cefalù was interpreted as a privileged place of «widespread centrality» (Samonà, 1981 p. 133), with the feasibility, through its strategic location and distribution of services, of (successfully) revealing the pattern of it urban fabric, exposed, in the inner-urban areas, to neglect and decay.
The PPE of Cefalù is reflected in similar contemporary experiments, conducted in small and medium-sized cities. In particular, one can find references to the plans for the Historic Centres of Urbino (1966-1979), Rimini and Borgo San Giuliano village (1972), designed by Giancarlo De Carlo, the plan for Pesaro by Carlo Aymonino (1971-1974), also those by Giuseppe Samonà for the Historic Centres of Montepulciano (Siena) and Sciacca (Agrigento), both in 1975, or Cadoneghe (Padua), 1980. However, in comparison, in terms of methodology and principles the Program Plan for the Historic Centre of Palermo (1979-1983) assumes greater importance. They all share the idea of reconstituting the Historic Centre as a fundamental expression of centrality and knowledge of the city, founded on morphological analysis and the concept of «icon» as a tool of a comprehensive understanding of the architectural urban form, achieved through progressive decoding and redecoding. Then came the idea of the Mediterranean historical city not as a homogenous whole, but structured through morphologically differentiated parts (related to each other), which rendered the system of multi-concepts and methodologies (until then adapted to some Italian Historic Centres) problematic and unenforceable.
It should be emphasized that in this experience the shifting of the design process «from urban planning to architecture » is explicit, i.e. it favours «a line of study and decisions adhering to the specifications of the materiality of the physical environment related to the figurative nature of the same environment» (Culotta and Leone, 1982 p. 6). The indispensable reorganization of the Historic Centre induced the planners to arrange the settlement system homogenously throughout the urban fabric, exploiting its porosity as a connotative condition of its lay-out. Going through the buildings, entering the interstitial spaces, constituted the proposal for relational behavior linked to the physical reality of Cefalù: a different way of living to which specific design solutions had to correspond.
Project carried out in the Historic Centre of Cefalù
The PPE projections were implemented in three public buildings designed by Culotta and Leone, in which one recognizes the value of methodological, functional and procedural setting of example, because of the obvious connection with the study of urban morphology. Modifications derive from knowledge of the latter, targeted to strengthen the structure of the city at its weakest points: the project for the monastery of Santa Caterina, transformed into a Town Hall (19811994) (Figs. 2-4); the restoration of the S. Domenico complex (1989-1999) (Figs. 5-7); itineraries and architecture looking out on to the sea: from bastion Capo Marchiafava (1987), to Porta Pescara (2000), to the Postierla and Mura Megalitiche (restoration from 1987 to 2004) (Figs. 8-9).
The complex of the Town Hall was situated on the site of a centuries-old stratification of overlapping buildings (including at least three churches), from the Middle Ages until the transfigurations implemented following the secularization of the ancient monastery of Benedictine nuns and its transformation into a military zone, between the second half of the nine-teenth century and 1957. Culotta and Leone executed a skillful interpretation of the pre-existing architecture, cleansing it of obvious superfetations, integrating and supplementing it with additional bodies wherever necessary for the reconstruction of a finished form, in a continuous dialogue between the new and the old, played out in a relationship between figure and background. The highpoint of the entire salvage operation is represented by the octagonal church of Santa Caterina (Fig. 4), destined to become a council chamber, which, with its bulging spatiality, looks like an extraordinary off-the-scale architecture (Panzarella, 2003).
The subsequent restoration of the convent of San Domenico seems to echo the intervention on the head-quarters of the Palazzo di Città, on the hillside below the imposing Rock towering over Cefalù at the eastern end of the historical city. Initially destined as «Centre of Study and Research into the liturgical arts in the Mediterranean basin» (Sciascia, 1996), it is one of the last works by the two architects in the city (completed in 2010), which bears witness to the tendency to consolidate the contents and figurative values of an existing structure (the place) «projecting and re-integrating them into the changing process of contemporary culture» (Culotta and Leone, 1982 p. 6). The project for the restoration of San Domenico also included the restoration and the liturgical modification of the SS. Trinità church, adjoining the convent, «albeit figuratively autonomous» (Sciascia, 2015 p. 82); its last facies is attributed to the architect from Cefalù, Jacopo Del Duca. In both parts, the intervention combines structural consolidation with a return to the extraordinary spatial qualities. One need merely observe the long gallery of distributed cells (Fig. 6) and the interior of the church, where the ambo (Fig. 7), the altar and the completion of the flat vault constitute notable solutions.
The relationship with the historical dimension, ideal rather than material, evident in these projects by Culotta and Leone, shows their distance from the widespread notion of "authenticity" as coinciding with that of "origi- nality". In their work, in fact, we do not see any attempt to reestablish a supposedly original state, but rather a will to fit coherently into a progressive modification process. Re-use is not due to a simple change of use, but corresponds to a deep metamorphosis of the existing, which does not betray the figural, structural and organizational nature of the buildings and does not impose something foreign; instead, it permeates the new use (with its set of shapes, spaces, materials) with the shapes, spaces, existing materials, changing these latter with the introduction of the new, making them into symbols through the dialectic of comparison. In re-use as understood here (i.e. as a predominantly cultural act), continuity and discontinuity, history, authenticity and different epochs combine without deleting themselves, and perhaps even resulting in a completed operation.
The sea-front project, through the recovery of the fortification elements that encircled the city to the north, however, shifts the focus on to the recovery of open meeting spaces, removing them from their condition of marginalization and neglect. In this way, a system of paths is determined, with a strong «contemporary and urban feeling» (Panzarella, 1990 p. 15), which consolidates and enhances the osmotic relationship between nature (the cliff) and artifice (the megalithic walls and the bastion). All interventions are an expression of project research that describes graphically the essential but powerful character of places in their contemporary condition of limen and limes.
The experience of Cefalù shows how the work of Culotta and Leone is marked by a way of relating that never adopts a priori models, and which includes the physical reality as a body and process. This phenomenological approach can principally be acquired through the lessons of Enzo Paci, Ernesto Nathan Rogers and Vittorio Gregotti (Sciascia, 2013).
Conclusions
With the passing of time, the metamorphoses conceived by Culotta and Leone were integrated into the Historic Centre of Cefalù, becoming significant elements in social life and a point of reference for the community. The areas marked by these public interventions have encouraged private initiatives of micro-redevelopment in the surrounding areas, with overall improvements for the ancient city, where the elevated tourist potential and the attraction of its great historical, artistic and architectural features play a considerable role.
Looking closely at the results of these accomplishments, an ordinary framework of decay can be observed (as regards both the deterioration and pathologies), due in part to specific choices and solutions regarding technical details, and, most of all, the lack of systematically implemented maintenance activity on buildings and public spaces, for which the municipal administration should adopt appropriate financial (and, perhaps, above all, administrative, organizational and cultural) policies.
All this may help to demonstrate that (seeing the outdated ideological conflict between preservation and transformation) the relationship between contemporary architecture and historical urban areas should, above all, be aiming at a management and maintenance project, including the contemporary city in its entirety.
Realistic and long-term strategies, which are essential in addressing the critical issues and needs regarding each part of the built environment, must include the «architectural heritage» at all levels, with this approach needing to take into account its specific features, from a holistic perspective and applying a responsible approach.
NOTES
1 «We do not believe at all that it is a coincidence that Le Corbusier and Wright essentially concurred [...] on the fate to be reserved for historical testimonies of the city: and it is a destiny that includes as the only alternative to the radical destruction their museological embalming» (Tafuri, 1968 p. 68).
2 Pasquale Culotta (1939-2006) and Bibi Leone (1936-2012), architects and full professors of Architectural and Urban Design worked in the Faculty of Architecture of Palermo, also in institutional roles. Their unbroken partnership started at high school and continued during their university years, until graduation in 1965, with a joint thesis on the recovery of the historical centre of Cefalù. In the same year, the professional studio «Culotta Leone & Associates Architects» was founded.
3 Included in the UNESCO World Heritage List in 2015, as part of the assets of «Arab-Norman Palermo and the cathedrals of Monreale and Cefalù», the cathedral of Cefalù lies at the hub of the Historic Centre and represents an extraordinary landscape value.
4 The General Plan of Cefalù was drawn up between 1965 and 1967 by Giuseppe Samonà, as head, along with Antonio Bonafede, Roberto Calandra, Carlo Doglio and Alberto Samonà.
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