Keywords: generative communication, rural development programme, landscape, participation
Parole chiave: comunicazione generativa, programma di sviluppo rurale, paesaggio, partecipazione
JEL: I2, I3, O1, O3
This essay deals with the concepts of wellness and landscape, analyzing the role of landscape in defining the life quality of rural areas inhabitants on the base of the results of the "Scientific collaboration between Communication Strategies Lab (CSL) of the University of Florence and Tuscany Region for the introduction of generative communication in the Rural Development Programme 2014-2020". The scientific collaboration represented a valuable opportunity to study and test communication strategies in order to improve life quality in rural areas, and to confirm the generative communication paradigm (Toschi 2011) as an operative model that is able to promote circular relations between man and its territory.
Questo1 saggio affronta il concetto di benessere, approfondendo l'apporto che ad esso può dare il paesaggio ed il ruolo di quest'ultimo nella definizione della qualità della vita degli abitanti dei territori rurali, alla luce dei risultati del recente progetto di collaborazione scientifica tra il Communication Strategies Lab (CSL) dell'Università di Firenze e la Regione Toscana per l'Introduzione della comunicazione generativa nel Programma di Sviluppo Rurale 2014-2020.
Secondo la letteratura più recente, il benessere è un concetto multidimensionale e soggettivo. È legato alla felicità e a molteplici altri fattori, non dipende direttamente dalla ricchezza dei soggetti osservati e non si può misurare esclusivamente in relazione al PIL. Contro ogni tendenza al riduzionismo, infatti, negli ultimi anni si stanno sviluppando una serie di progetti volti alla misurazione del benessere che si basano sugli indicatori più vari: la salute, il livello di istruzione, il rispetto per l'ambiente, la qualità del paesaggio, l'articolazione delle relazioni sociali.
Sul piano intergenerazionale, inoltre, il concetto di benessere non può essere disgiunto da una gestione sostenibile dell'ambiente e del paesaggio, che «svolge importanti funzioni di interesse generale, sul piano culturale, ecologico, ambientale e sociale» e rappresenta, al tempo stesso, «un elemento importante della qualità della vita delle popolazioni: nelle aree urbane e nelle campagne, nei territori degradati, come in quelli di grande qualità [...]» (Convenzione Europea del Paesaggio).
In una prospettiva che interpreta il paesaggio come testo sociale scritto collettivamente, il cittadino/contadino, esercitando il proprio diritto alla cittadinanza e partecipando con il proprio impegno/lavoro alla trasformazione del paesaggio urbano/rurale, avvia modifiche su tutto il territorio che finiscono per influenzare - in termini sociali e culturali - il suo vissuto quotidiano e la qualità della sua vita.
In questo scenario, la comunicazione generativa (Toschi 2011) si pone come modello, come una forza progettuale che meglio interpreta la necessità di rappresentare e promuovere la circolarità delle relazioni tra l'uomo e il territorio, superando l'idea anti-democratica di un paesaggio che si trasforma all'insaputa di chi lo abita. Questo particolare approccio, riconoscendo la partecipazione e la condivisione di un obiettivo comune a tutti i soggetti coinvolti (dalle istituzioni, alle imprese, ai cittadini) come elementi fondamentali per la progettazione, contribuisce non solo a migliorare e a proteggere la diversità culturale, l'ambiente sociale e naturale del territorio stesso, ma anche, in un'ottica di sviluppo economico, a rafforzare le relazioni tra portatori d'interesse di diversa provenienza e, quindi, a ri-attivare il sistema imprenditoriale ed il sistema dell'innovazione.
Nello specifico, quindi, l'obiettivo della collaborazione tra il CSL e la Regione Toscana si può riassumere nella costruzione di una "buona" comunicazione fra la Regione, che definisce le linee politiche e strategiche d'intervento nel settore dello sviluppo rurale, e coloro che, a vario titolo, costituiscono la platea degli interlocutori: dagli imprenditori agricoli alle associazioni di categoria, dai professionisti del settore alla comunità scientifica, fino alla cittadinanza nel suo complesso.
L'intervento del CSL - considerando il PSR non tanto come un oggetto da comunicare il più efficacemente possibile, ma piuttosto come uno strumento di comunicazione e di scrittura condivisa del paesaggio, dell'economia e della socialità rurale - ha messo in moto un sistema complesso di relazioni e di interessi accomunati dalla volontà di rilanciare un territorio, le cui ricadute sull'economia, ma anche sull'ambiente, sulla cultura, sul tessuto sociale e, quindi, sul benessere e sulla qualità della vita degli abitanti possono recare beneficio all'intero sistema territoriale.
L'articolo è suddiviso in tre parti: nella prima si introduce il concetto di benessere in relazione ai più recenti contributi di economisti, sociologi e politologi, inquadrandone la multidimensionalità attraverso la trattazione di alcuni progetti finalizzati alla definizione di set di indicatori che ne restituiscano l'effettiva complessità. La descrizione evidenzia la rilevanza degli aspetti ambientali/paesaggistici in ambito nazionale e internazionale.
La seconda parte approfondisce il concetto di paesaggio - inteso nella particolare accezione di testo sociale condiviso - in relazione al dibattito sul diritto alla partecipazione della cittadinanza alla gestione e allo sviluppo del territorio. La Convenzione Europea del Paesaggio ribadisce l'importanza del paesaggio per il benessere delle popolazioni e il diritto di queste di partecipare alla sua definizione: da questo argomento si sviluppano alcune considerazioni sul paesaggio rurale come risultato della complessa intersezione tra le azioni materiali degli uomini - che modificano lo spazio geografico - e le dimensioni simboliche dei vari ambiti spaziali - che rispecchiano la vita, la cultura, la visione, l'identità di una determinata società -, sottolineando l'importanza, per i soggetti che lo agiscono, di svolgere un ruolo attivo nella trasformazione del territorio.
Infine la terza parte, attraverso la descrizione dettagliata del progetto per l'Introduzione della comunicazione generativa nel Programma di Sviluppo Rurale 2014-2020, riporta i risultati di una sperimentazione che il CSL ha avuto l'opportunità di svolgere sugli argomenti trattati in precedenza. La costruzione, attraverso il PSR, di un ambiente di comunicazione generativa inteso come luogo di partecipazione, riconoscimento e rafforzamento reciproco da parte di tutti i soggetti coinvolti nel progetto, ha reso possibile l'abbattimento della tradizionale separazione tra Istituzione e portatori d'interesse, contribuendo alla costituzione di una comunità di interesse e di pratica funzionale al rafforzamento dell'imprenditoria e del sistema economico attraverso la tutela del paesaggio e dell'agroecosistema, la difesa dell'ambiente e la riduzione di emissioni di carbonio e, quindi, attraverso il miglioramento della qualità della vita della popolazione rurale.
1. Benessere: un concetto multidimensionale
Quella in cui viviamo viene (veniva?) da più parti definita società del benessere. Eredità, in buona parte consumata, dei "Gloriosi 30". Si tratta di quei tre decenni seguenti la Seconda Guerra Mondiale, in cui le società industriali hanno visto uno sviluppo economico e un aumento di benessere materiale e di giustizia sociale senza precedenti nella storia. Sembrava un processo illimitato, fino a che la crisi energetica degli anni '70, il dilagare del neoliberismo degli anni '80 (la società non esiste, diceva la Lady di ferro), la bolla della new economy a cavallo tra gli anni '90 e l'inizio del millennio e la crisi strutturale iniziata nel 2008 hanno messo in crisi questa accezione illuministica del progresso economico e sociale.
La domanda da porsi, allora, è: cosa si intende - e come si misura - il benessere? E poi, quali relazioni intercorrono tra questo e la felicità, uno dei concetti portanti della ricerca filosofica, sociale e - negli ultimi decenni - economica? E infine, che ruolo ha il paesaggio nella percezione del benessere?
Iniziamo affrontando il tema del benessere, su cui c'è in letteratura un generale consenso circa la natura multidimensionale e la necessità di non limitarsi, nella sua misurazione, ai soli aspetti monetari (Rawls 1971; Sen 1985; Nussbaum 2000). Il benessere è anche un concetto eminentemente soggettivo e relazionale, che proprio per questo rischia di perdere parte del suo valore analitico quando viene ingabbiato in una serie di indicatori. Esso, infatti, è strettamente legato alla felicità, che però non dipende in maniera diretta dal mero benessere economico.
Infatti, la non linearità e causalità nel rapporto tra benessere economico, felicità e benessere materiale è evidenziata dal "paradosso della felicità" di Richard Easterlin (1974a, 1974b). L'economista americano ha osservato alcuni elementi non immediatamente intuitivi, tra cui il fatto che all'interno di un paese non sempre le persone più ricche sono anche le più felici, che questo vale anche nel confronto tra paesi più ricchi e paesi più poveri e che, infine, la variazione di felicità nel corso dell'esistenza umana non dipende direttamente dalle mutate condizioni di reddito. Ne deriva che non sempre all'aumento della ricchezza e delle condizioni di benessere materiale corrisponde un aumento della felicità. Se la ricchezza di partenza è molto bassa, ad ogni aumento corrisponde effettivamente un aumento della felicità, ma oltre una certa soglia questa correlazione cessa di essere significativa o addirittura si inverte.
Un ulteriore fenomeno correlato a quello appena esposto è quello che gli economisti chiamano "effetto posizionale" (Bruni 2011): il benessere che possiamo trarre dalle nostre azioni di consumo è relativo e dipende da quanto il nostro livello differisce da quello degli altri con cui ci confrontiamo. Inoltre, all'aumento del benessere economico corrisponde un aumento delle aspettative in merito ai livelli di consumo di prodotti e servizi. Per soddisfare queste aspettative sono quindi necessarie più risorse (Stiglitz 2012, pp. 170-171). Quello oggetto di queste riflessioni non è certamente un fenomeno recente, visto che già Thomas Hobbes nel Diciassettesimo Secolo affrontava l'argomento nel suo famoso Leviatano.
Liu (1975) ha proposto un modello di benessere secondo cui il suo livello è dato dalle quantità relative di fattori fisici (PH) - beni materiali e servizi pubblici - e di fattori psicologici (PS), elementi immateriali come l'autostima e la dignità. Adottare un approccio di questo genere conduce ad un ripensamento radicale dei concetti di sviluppo economico e progresso, sulla scorta anche della riflessione operata, come al solito con spietata lucidità, da Pier Paolo Pasolini (1975) sulla dicotomia esistente, appunto, tra sviluppo e progresso.
Il legame che lega benessere materiale e benessere soggettivo è dunque labile e per nulla causale. La conferma al fatto che i binari su cui viaggiano questi due elementi siano ormai divergenti arriva anche da un'importante ricerca di Robert Lane (2000) sulla perdita di felicità nelle market democracies (e alla stessa conclusione è giunto, sempre nel 2000, Robert Putnam nel suo Bowling Alone).
Usare il Prodotto Interno Lordo come indicatore del livello di benessere, oltre che di ricchezza, è quindi una strategia fuorviante, a causa dei molti limiti di questo indice. Questi, come già faceva notare Robert Kennedy nel 1968, si dividono in due categorie principali: da un lato il PIL esclude alcune variabili fondamentali per misurare il benessere e, al contrario, ne include altre che incidono negativamente sui livelli di benessere della popolazione. In breve, esso misura al tempo stesso troppo e troppo poco.
È allora evidente che manipolare concetti per loro natura multidimensionali come quelli di banessere e felicità secondo una prospettiva che potremmo definire di riduzionismo economicistico è inadeguato e, in ultima analisi, inutile e dannoso. Già Max Weber (1922), d'altra parte, sosteneva che «la riduzione esclusiva a cause economiche non è in qualsiasi senso esauriente in nessun campo dei fenomeni culturali, e neppure in quello dei processi economici». Lo stesso Simon Kuznets, che è considerato l'inventore del PIL, nel 1934, durante un suo intervento al Senato degli Stati Uniti ebbe modo di sostenere «the welfare of a nation can scarcely be inferred from a measurement of national income as defined above».
Che poi il modello di sviluppo che caratterizza le società occidentali non sia sostenibile nel medio-lungo periodo lo sappiamo almeno dal 1972. In quell'anno, infatti, furono pubblicati i risultati della ricerca commissionata dal Club di Roma agli studiosi del MIT di Boston su I limiti dello sviluppo (Meadows et alii 1972). Sono passati più di quarant'anni da quando gli esperti ci avvisavano che se la crescita di popolazione, industrializzazione, inquinamento, produzione di alimenti e consumo di risorse naturali fosse continuata a quei livelli il limite allo sviluppo sarebbe stato raggiunto e superato entro un secolo. Un superamento che avrebbe avuto delle conseguenze imprevedibili e tragiche, tra cui il brusco declino della popolazione mondiale.
A quei tempi gli autori non sembravano ancora troppo preoccupati per il destino dell'umanità, in quanto si era ancora ampiamente in tempo per adoperare un cambio di rotta. Ma, probabilmente, sovrastimavano la capacità - e la volontà - dei policy maker di attuare politiche globali di salvaguardia basate sulla prudenza e il buonsenso. Gli stessi autori, infatti, vent'anni dopo tornarono sull'argomento (Meadows et alii 1992), con toni questa volta decisamente più allarmanti: il limite era infatti già stato superato. Un terzo aggiornamento (Meadows et alii 2004) ha confermato con altri dati l'ipotesi del superamento del limite.
Dati questi limiti, nel corso dei decenni si sono susseguiti diversi progetti finalizzati al superamento del PIL come indicatore del benessere. Questi possono essere ricondotti a due tipologie:
* la costruzione di un singolo indicatore sintetico (come è il PIL);
* la costruzione di un set di indicatori.
Entrambe le soluzioni hanno vantaggi ma anche svantaggi: quelli dell'indice sintetico sono dello stesso tipo di quelli del PIL (facile comprensione e appeal comunicativo i pro, perdità di profondità, arbitrarietà, limitato carico informativo i contro). I set di indicatori, al contrario, sono più adatti ad un concetto complesso e multidimensionale come quello di benessere, ma perdono in comprensibilità e immediatezza.
Alla categoria degli indici sintetici appartiene lo Human Development Index (HDI), elaborato dal Programma di Sviluppo delle Nazioni Unite nel 1990 e ispirato alla teoria delle capacitazioni di Amartya Sen (Sen 1985; 1999; 2006; 2011; Nussbaum 2011). Questo indice combina il PIL con il livello della sanità e quello dell'istruzione. Dal 1997 è stato poi sviluppato lo Human Poverty Index, che misura accesso all'istruzione, all'alimentazione, all'acqua potabile e all'assistenza sanitaria. Altri indici sintetici sono il Genuine Progress Indicator promosso dal Center for Sustainable Economy e dall'Institute for Policy Studies (Talberth et alii 2013), l'Ecological Footprint ideata da William E. Rees e Mathis Wackernagel e l'Index of Sustainable Economic Welfare messo a punto da Herman Daly e John Cobb (Daly and Cobb 1989).
Al secondo tipo di soluzioni appartiene - tra gli altri - il Better Life Index (OECD 2011; 2013; 2015; van Zanden et alii 2014), un set di indicatori organizzati intorno a undici dimensioni promosso dall'OECD e ideato da Anthony Gooch.
Un importante lavoro recente nella direzione della definizione e delle strategie di misurazione del benessere è quello svolto dalla Commissione Stiglitz, il cui report finale individua le seguenti variabili da prendere in considerazione per la misurazione del livello di benessere di una società (Stiglitz et alii 2009, pp. 14-15):
1. Material living standards (income, consumptiom and wealth);
2. Health;
3. Education;
4. Personal activities including work;
5. Political voice and governance;
6. Social connections and relationship;
7. Environment (present and future conditions);
8. Insecurity, of an economic as well as a physical nature.
Qualità dei rapporti sociali, salute, istruzione, tipologie di stili di vita sono allora elementi che, se non possono sostituire in toto gli indicatori economici nella definizione dei livelli di benessere e di felicità, certamente devono essere presi in considerazione quando si ha a che fare con questi concetti.
Tra le variabili considerate nella proposta formulata dalla Commissione Stiglitz - e da diverse di quelle precedentemente elencate - particolarmente interessante ai fini di questo lavoro è l'ambiente, considerato nella prospettiva di uno sviluppo che sia sostenibile anche per le generazioni future. Dal risultato dei lavori della Commissione Stiglitz prende le mosse anche un'importante iniziativa italiana promossa dall'ISTAT e dal CNEL: l'indice di Benessere Equo e Sostenibile (BES), uno strumento giunto ormai alla terza edizione (i report disponibili sono relativi agli anni 2013, 2014 e 2015) attraverso il quale l'Istituto Nazionale di Statistica fa il punto sui principali fenomeni sociali, economici e ambientali che meglio descrivono la situazione italiana, partendo da una concezione multidimensionale del benessere basata su un ventaglio di 12 indicatori, in parte ripresi dagli 8 della Commissione Stiglitz.
Tra i quattro indicatori "nuovi", quello che interessa qui ricordare è, caso unico a livello internazionale, il paesaggio, ricompreso nella più ampia categoria di "Paesaggio e patrimonio culturale". Le motivazioni che hanno portato all'inserimento del paesaggio - declinato in termini sia urbani che rurali - tra gli indicatori del BES rimandano da un lato al valore identitario che questo assume nel contesto italiano2, da un altro alla cruciale importanza che, al tempo stesso, ricopre per il paese a livello non solo estetico, ma anche sociale ed economico (basti pensare ai temi del turismo o del Made in Italy e all'immedesimazione tra prodotto e territorio).
Ciò che manca invece - almeno al livello esplicito - è il ruolo che può e deve essere attribuito all'ambiente comunicativo in cui l'individuo quotidianamente agisce. Ambiente comunicativo che si compone di diversi livelli tra loro interagenti: la comunicazione intrapsichica, la comunicazione personale che avviene all'interno della cerchia sociale più prossima all'individuo e la comunicazione che potremmo definire sociale, quella cioè che intercorre tra l'individuo e i diversi attori sociali e istituzionali con cui direttamente o - sempre più spesso - attraverso forme di comunicazione mediate da canali digitali, l'individuo si trova a interagire. È in questo ambiente che prendono forma e si attualizzano le grammatiche e i testi sociali, e soprattutto il terzo elemento, quelle relazioni (Toschi 2011) che interagendo con gli altri due elementi - essendone plasmate e plasmandoli al tempo stesso - incidono in maniera rilevante sui livelli di benessere individuale e collettivo. Come dire, una 'buona' comunicazione è uno degli elementi fondamentali - in concorso con gli altri già individuati - per l'innalzamento dei livelli di benessere e tutti gli interventi che mirano al raggiungimento di questo obiettivo dovrebbero tenerne conto. Di sicuro questo elemento era ben presente all'attenzione del gruppo di lavoro del Communication Strategies Lab che ha condotto il progetto di ricerca finalizzato all'introduzione della comunicazione generativa nel Programma di Sviluppo Rurale Toscano 2014-2020.
2. Il paesaggio della partecipazione
Proprio il paesaggio - inteso nella particolare accezione di testo sociale condiviso e, quindi, elemento di relazione tra la società ed il territorio (Toschi et alii 2016) - fornisce interessanti spunti di riflessione su questo tema, soprattutto in merito al più complesso dibattito sul diritto e sulle nuove forme di partecipazione della cittadinanza alla gestione sostenibile dell'ambiente.
Il ruolo sociale del paesaggio è stato ribadito già dalla Convenzione Europea del Paesaggio, adottata dal Consiglio d'Europa nel luglio del 2000 e firmata dagli Stati membri a Firenze il 20 ottobre dello stesso anno. Nel primo articolo di quel testo si legge che il paesaggio
designa una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall'azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni.
Il paesaggio individua «una determinata parte di territorio» attraverso il punto di vista dell'uomo: non coincide, quindi, con il territorio tout court, ma stabilisce relazioni profonde, costituendo una sorta di filtro, tra la società ed il territorio - «palinsesto della storia» (Corboz 1985) - quale ambito spaziale e temporale di scala più ampia.
Per il Consiglio d'Europa il paesaggio è la sede - in continua trasformazione - di complesse relazioni tra fattori umani e naturali: è un luogo naturale, ma al tempo stesso costruito e coltivato, è una modalità attraverso la quale si percepisce, si rappresenta e di conseguenza si organizza lo spazio geografico, ma è anche frutto di un progetto culturale, sociale e ideologico che affonda le proprie radici nella storia ed è espressione delle visioni di una determinata comunità.
Il paesaggio attuale, inteso come testo storico, distintivo e sociale è il risultato di un progetto comune che raccorda caratteri naturali (le forme del suolo, la flora e la fauna) e caratteri antropici (gli insediamenti, le coltivazioni, le infrastrutture, etc.). Al tempo stesso, tuttavia, il paesaggio è un agente capace di condizionare il presente ed il futuro delle popolazioni che lo abitano attraverso i caratteri simbolici che custodisce, espressione della storia e delle risorse sedimentate nelle proprie trame. Basti pensare al concetto di Genius Loci e ai valori identitari del luogo antropologico (Norberg-Schulz 1979), ma anche alle rappresentazioni simboliche che gli uomini utilizzano per orientarsi (Lynch 1960) e per riconoscersi in un dato paesaggio, con le inevitabili problematiche che sorgono quando tali coordinate vengono smarrite (de Martino 1977; La Cecla 2000).
Nella stessa Convenzione Europea del Paesaggio si ribadisce l'importanza del paesaggio per quanto riguarda il benessere dell'uomo: nelle considerazioni riportate nel preambolo alla Convenzione vera e propria si legge, infatti, che
il paesaggio rappresenta un elemento chiave del benessere individuale e sociale, e la sua salvaguardia, gestione e pianificazione comportano diritti e responsabilità per ciascun individuo.
In altre parole, ciascun individuo ha il diritto di vivere in un ambiente che sia compatibile con il benessere e la salute della popolazione.
Il Consiglio d'Europa, quindi, ribadisce la stretta relazione tra diritti umani e diritti ambientali, non dimenticando un richiamo alla responsabilità personale - non solo diritti, ma anche doveri - per quanto riguarda l'impegno collettivo nella salvaguardia, gestione e pianificazione del paesaggio, inteso come bene comune.
La Convenzione si inserisce a pieno titolo nel dibattito sul diritto allo sviluppo sostenibile, dichiarando tra le proprie fonti ispiratrici i testi giuridici esistenti a livello internazionale nei settori della salvaguardia e della gestione democratica - cioè partecipata - del patrimonio naturale e culturale: dalla Convenzione relativa alla conservazione della vita selvatica e dell'ambiente naturale d'Europa (Convenzione di Berna, 1979) alla Convenzione relativa all'accesso all'informazione, alla partecipazione del pubblico al processo decisionale e all'accesso alla giustizia in materia ambientale (Convenzione di Aarhus, 1998), passando per la Convenzione sulla biodiversità (Summit della Terra di Rio, 1992).
Tra i temi affrontati, particolare rilevanza assume quello della partecipazione della cittadinanza ai processi decisionali che riguardano il paesaggio e, più in generale, l'ambiente. Come si legge al punto 23 della Relazione esplicativa della Convenzione, il paesaggio
contribuisce in modo molto rilevante al benessere dei cittadini europei che non possono più accettare di "subire i loro paesaggi", quale risultato di evoluzioni tecniche ed economiche decise senza di loro. Il paesaggio è una questione che interessa tutti i cittadini e deve venir trattato in modo democratico, soprattutto a livello locale e regionale.
L'aspetto che interessa maggiormente sottolineare qui è che non si può concepire uno sviluppo che sia veramente sostenibile in termini sociali, economici e ambientali senza coinvolgere i portatori d'interesse - siano essi cittadini, agricoltori, allevatori o imprenditori - nelle dinamiche di progettazione e di gestione dei paesaggi e, a partire da questi, dei territori.
Questo dato assume ulteriore concretezza spostando il discorso sul mondo agricolo e rurale, nell'ambito del quale una stretta relazione tra la vita, il lavoro e la modifica collettiva del territorio (tra ambito sociale, economico e ambientale, appunto) assume un carattere essenziale. A questo proposito merita ricordare la celebre definizione con cui si apre il libro Storia del paesaggio agrario italiano di Emilio Sereni, secondo il quale il paesaggio agrario è
quella forma che l'uomo, nel corso ed ai fini delle sue attività produttive agricole, coscientemente e sistematicamente imprime al paesaggio naturale. (Sereni 1961, p. 29)
Nel libro, Sereni dimostra come in Italia paesaggio e agricoltura siano indissolubilmente legati, tanto quest'ultima ha contribuito, in varie forme e attraverso i secoli, a modificare, trasformare, organizzare il paesaggio nazionale, con tutte le ricadute di ambito cognitivo, identitario, simbolico che questo complesso concetto porta con sé.
Il paesaggio agricolo, quindi, può essere considerato come un campo di relazioni dinamico e conflittuale, in cui l'azione e la creatività (Strassoldo 1996) dell'uomo/agricoltore si misurano e si intrecciano con spinte naturali, storiche, economiche, culturali e sociali producendo un senso: una trama di racconti in nuce, ancora non raccontati, a volte impliciti, ma comunque presenti, e funzionali a definire senso d'identità e d'appartenenza alla società.
Da tempo una parte della ricerca economica e sociologica di ambito agricolo e rurale ha spostato il focus della propria indagine verso i sistemi locali, studiando il duplice ruolo, produttivo e socio-culturale, dei territori. E si è iniziato a pensare, secondo una prospettiva che vede la multifunzionalità come caratteristica dell'agricoltura europea (Henke 2004; Casini 2009), che l'attività agricola genera una serie di "esternalità positive", interrelate con la funzione primaria (la produzione di cibo e altri beni), secondo legami più o meno forti: tra queste esternalità si trovano aspetti cruciali per il benessere e per la qualità della vita delle popolazioni che abitano e agiscono il territorio, come la trasformazione e la gestione del paesaggio, la tutela dell'ambiente e lo sviluppo del patrimonio sociale e culturale.
In questo particolare momento storico, il dibattito sullo sviluppo locale (Becattini 1987), sul progetto locale (Magnaghi 2000) e sulle nuove forme di economia improntate alla decrescita (Latouche 2005) iniziano a generare proposte alternative per lo sviluppo rurale, basate su un tipo di agricoltura sostenibile in termini economici e sociali, organizzata secondo il modello di produzione contadino (van der Ploeg 2009), o comunque centrata sull'imprenditore agricolo visto come centro del sistema rurale (Pèrez-Vitoria 2007): un sistema rurale basato sulla cooperazione e, quindi, su una relazione più armonica e stretta tra natura e società, tra creatività individuale e sistema socio-economico.
Questi modelli alternativi - contrapposti allo sfruttamento del territorio di tipo industriale ma, al tempo stesso, inseriti in un contesto regolato dal mercato - si basano sulla necessità di realizzare prodotti secondo modalità sostenibili per l'ambiente: cioè di produrre senza impoverire le risorse (acqua, terra, semi), come i contadini si preoccupavano di fare un tempo, apportando come valore aggiunto un basso grado di mercificazione, una limitata dipendenza da finanziamenti o da fattori esterni al mondo rurale e, soprattutto, una conoscenza trasmessa localmente, in uno stretto rapporto di continuità tra passato, presente e futuro capace di rafforzare non solo gli aspetti legati alla produzione, ma anche quelli legati alla condivisione, alla cooperazione, alla co-progettazione.
In questa direzione il "distretto biologico", recente evoluzione del concetto marshalliano di distretto produttivo in chiave di filiera biologica, suggerisce spunti interessanti: secondo la definizione dell'Associazione Italiana Agricoltura Biologica (AIAB), che promuove questa pratica innovativa e ne ha definito le linee guida, un distretto biologico è «un'area geografica dove agricoltori, cittadini, operatori turistici, associazioni e pubbliche amministrazioni stringono un accordo per la gestione sostenibile delle risorse locali, partendo dal modello biologico di produzione e consumo (filiera corta, gruppi di acquisto, mense pubbliche bio)». I bio-distretti - il primo è stato attivato nel 2009 e oggi se ne contano 113 - consentono di avviare modelli sostenibili di produzione nell'ambito di uno sviluppo rurale etico, promuovendo da un lato i prodotti biologici, e da un altro il territorio che li produce, con l'obiettivo di generare ricadute positive non solo sul settore agricolo o zootecnico, ma in generale sullo sviluppo locale, con importanti conseguenze non solo in termini monetari, ma anche sulla qualità della vita dei lavoratori e dei cittadini.
Simili iniziative, infatti, vanno nella direzione di recuperare la pratica di un'agricoltura che torni a giocare un ruolo strutturale, riattivando, attorno alle attività agricole, il sistema socio-economico-imprenditoriale che nel frattempo si è progressivamente frammentato. La multifunzionalità dell'agricoltura può aiutare, attraverso la valorizzazione di attività diverse e complementari, a creare un distretto, una nuova rete di relazioni che recuperi il sistema intrecciato di saperi, di conoscenze, di abilità e di economie diffuse sul territorio.
Putroppo l'impostazione del sistema dominante - appiattito su di un paradigma economicistico centrato soprattutto sul campo e sulla produzione - non ha valorizzato, fino ad oggi, la ricchezza di risorse del mondo agricolo. In un contesto di produzione industriale e meccanica - privo di un progetto politico centrato su una visione del territorio rurale come testo sociale condiviso dagli uomini che lo lavorano e lo abitano - l'agricoltore, ridotto a ingranaggio della catena di montaggio, tende a perdere la propria identità e le proprie capacità gestionali, basate sulle conoscenze e sull'abitudine alla sperimentazione.
Sembra che uno sfruttamento intensivo del suolo consenta di creare valore e crescita economica, e che questi fattori possano migliorare la qualità della vita degli uomini. Ma uno sfruttamento illimitato del territorio, improntato a logiche industriali e ad un'innovazione senza controllo - «la divinità davanti a cui tutti sono stati abituati a inchinarsi» (Toschi 2012) - non sembra essere la strada adeguata per assicurare il benessere ad ampie fasce della popolazione nazionale, europea o mondiale. Di che benessere stiamo parlando? E a che costo?
Per quanto riguarda la cura e la tutela del paesaggio agricolo sicuramente le due decadi appena trascorse hanno riportato un segno negativo: secondo gli ultimi Censimenti Generali dell'Agricoltura, alla data del 22 ottobre 2000 sono state rilevate 2.593.090 aziende agricole e zootecniche. Quindi, nel periodo 1990 - 2000, il numero delle aziende è diminuito di 430.000 unità (-14,2%), a fronte di una riduzione di 1,8 milioni di superficie agricola utilizzata (SAU), pari a un -12,2% (ISTAT 2000). A fine 2010, invece, le aziende sono scese a 1.620.844: dal 2000 al 2010 il numero è calato del 32,4%, con la SAU in calo del 2,5% (ISTAT 2010): le conseguenze della perdita di superficie agricola utilizzata si pagano a distanza di anni sotto forma di "erosione" del paesaggio, di dissesto idrogeologico e di altre problematiche legate all'abbandono e alla mancanza di manutenzione.
Ma non solo: le logiche consumistiche che identificano il paesaggio come una risorsa da utilizzare e consumare (sia che si parli di turismo, di sfruttamento agricolo intensivo, o di sprawl), mettono a dura prova le comunità determinando la perdita di valenza identitaria e simbolica degli spazi condivisi, legati alla vita ed al lavoro, e rompendo l'equilibrio tra uomo, campagna e risorse - che nelle aree rurali, come abbiamo visto, è strutturale - in nome di una segmentazione che risponde alla consolidata strategia del divide et impera.
Nel contesto delle società neoliberiste contemporanee - in cui le logiche di sviluppo sia rurale che urbano sono sempre più orientate dal mercato, in un'ottica di mercificazione e speculazione i cui risultati sono sotto gli occhi di tutti - lo spazio fisico tende a perdere quei connotati antropologici che trasmettono ai fruitori caratteri identitari (Lefebvre 1974; Harvey 1990) e riferimento alle tradizioni: gli uomini, ridotti a semplici consumatori, perdono la propria identità di cittadini, di agricoltori, e quindi di creatori del proprio paesaggio.
Il paesaggio agricolo, come ricordato sopra, è il frutto dell'attività di trasformazione dell'uomo, e di conseguenza ne rispecchia la vita, la cultura, la visione del mondo, l'etica e la politica, comunicando costantemente questi dati a chi lo abita e a chi lo attraversa. Le dimensioni simboliche dei vari ambiti spaziali, le relazioni che li definiscono, gli aspetti ecologici o quelli legati alla condizione umana propria delle persone che li vivono fanno parte del patrimonio identitario che una data porzione di territorio comunica alla propria comunità, in un percorso che vede l'uomo esercitare il proprio diritto alla cittadinanza trasformando lo spazio geografico in paesaggi urbani, rurali e agricoli che - in quanto risultati di un processo di partecipazione e di co-progettazione - lo rappresentano e, quindi, incidono sulla qualità della sua vita.
A loro volta tali paesaggi definiscono il territorio di una data regione, che torna ad influenzare l'uomo, le sue attività, le sue relazioni e la sua identità attraverso la ricchezza e la stratificazione dei suoi paesaggi.
Considerando, quindi, il paesaggio agricolo come risultato della complessa intersezione tra l'azione materiale dell'uomo che modifica lo spazio geografico e una miriade di narrazioni di diversa provenienza, tipologia e contenuto, l'importanza che assume una "buona" comunicazione nelle dinamiche di sviluppo di un territorio - sia dal punto vista economico che socio-culturale - è fuori discussione. Chiamiamo "buona" comunicazione quella comunicazione che lavora sull'identità dei soggetti che coinvolge e sugli elementi di conoscenza di cui sono portatori, e che è funzionale a riattivare quei sistemi di relazione che costituiscono il substrato ìdeale per un'agricoltura realmente multifunzionale e per uno sviluppo rurale che torni ad essere inclusivo e partecipato: si tratta, infatti, di una comunicazione generativa di nuove relazioni e, quindi, di nuove risorse, che contribuisce all'avvio di nuovi processi di partecipazione, mirati a riavviare il dialogo tra istituzioni e portatori d'interesse, recuperare le filiere che si sono interrotte, rafforzare i legami tra le parti coinvolte che si sono indeboliti, avviare nuove cooperazioni che vadano a consolidare le convergenze possibili sul progetto comune.
Il peculiare approccio della comunicazione generativa al paesaggio rurale deriva da un'idea di paesaggio che - prendendo le distanze da un'osservazione passiva e da un'idea distorta di tutela - lo identifica come bene che appartiene alla comunità, come bene da scrivere a più mani attraverso strumenti di comunicazione partecipata capaci di far convergere identità e istanze diverse su uno stesso progetto.
Questa idea prende forza dalla volontà di svincolare il paesaggio da ogni approccio di tipo economicistico che, mentre lo svaluta a semplice bene di consumo, non permette di considerarlo in una cornice più ampia: quella di un ambiente generativo di scrittura (cioè di progettazione) della realtà. Nella cornice del paradigma generativo, il paesaggio non esaurisce la propria funzione nella semplice produzione di beni o prodotti, ma si spinge fino alla coltivazione di nuove relazioni tra uomo e ambiente, nell'ottica di un'ingegnerizzazione dei collegamenti (Toschi et alii 2016) che è la strada privilegiata per individuare i rapporti profondi e inattesi tra enti, istituzioni, aziende, cittadini e territorio: relazioni che sono difficili da riconoscere e mettere a sistema, ma che rappresentano il valore aggiunto per un progetto che veramente miri allo sviluppo delle aree rurali e alla riscrittura del paesaggio in chiave sociale, economica e imprenditoriale.
Quella proposta dal paradigma generativo è, quindi, una comunicazione nel paesaggio che ricopre un ruolo di fondamentale importanza per quelle istituzioni che si pongono come obiettivo la riattivazione di un sistema socio-economico-imprenditoriale ricco, vario e al tempo stesso sostenibile e identitario.
3. Strategie di community e qualità della vita nelle zone rurali. L'introduzione della comunicazione generativa nel PSR 2014-2020 della Regione Toscana
Il progetto di ricerca del CSL, orientato all'introduzione della comunicazione generativa (Toschi 2011) nel Programma di Sviluppo Rurale 2014-2020 della Regione Toscana (PSR 2014-2020), ha rappresentato un'occasione preziosa per sperimentare strategie di comunicazione funzionali al miglioramento della qualità della vita nelle zone rurali.
Tale progetto è stato condotto in collaborazione con il settore agricoltura della Regione Toscana e ha previsto interventi di progettazione, di formazione, di dissemination e di creazione di community. Più nel dettaglio, gli interventi di progettazione hanno dato luogo allo sviluppo di oggetti comunicativi per la promozione e la conoscenza dei contenuti del PSR 2014-2020: un sito web dedicato e alcune specifiche funzionalità attivate sulle sue pagine. Gli interventi di formazione sono stati dedicati ai funzionari responsabili della gestione degli oggetti comunicativi di cui sopra (dalla costituzione di una redazione web all'alfabetizzazione ai linguaggi digitali e al digital writing). La dissemination è stata realizzata attraverso strategie di comunicazione che hanno garantito una moltiplicazione dei pubblici e dei portatori di interesse (diverse uscite sul territorio regionale, ad incontrare i giovani imprenditori agricoli, e un workshop dedicato ai mezzi di comunicazione più efficaci per far conoscere le politiche di sviluppo rurale). La costituzione di una community è stata invece il risultato di tutte le azioni appena viste, supportate dalla costituzione di un ambiente di comunicazione orientato alla partecipazione attiva dei portatori di interesse: il sito web come hub per il rafforzamento delle relazioni tra i soggetti coinvolti nel PSR, sia lato istituzioni che lato cittadinanza (dirigenti e funzionari regionali, associazioni di categoria, imprenditori agricoli e portatori di interesse in genere).
Per comprendere a pieno il senso degli interventi di comunicazione realizzati dal CSL è opportuno passare in rassegna i nodi strategici del PSR 2014-2020.
In primo luogo si trova l'obiettivo di produrre e condividere innovazione, che è orientato a colmare il divario tra i risultati della ricerca e l'adozione di nuove pratiche e/o tecnologie da parte degli agricoltori, delle imprese e dei servizi ad esse dedicati, al fine di creare una maggiore integrazione tra il sistema della conoscenza (università, centri di ricerca e servizi di consulenza) e quello della produzione.
In relazione al primo punto, l'obiettivo di incrementare la presenza di giovani nel settore agricolo mira invece all'acquisizione di nuove forze in grado di recepire idee innovative. L'età media degli agricoltori, infatti, lo rileva l'ultimo censimento, è di 62 anni. Ne consegue che, nonostante la media si abbassi se si considerano soltanto gli agricoltori professionali (tra i quali il 48% ha meno di 40 anni), il ricambio generazionale nell'intero tessuto produttivo agricolo rimane la priorità di fondo. In questa direzione, gli incentivi del PSR non devono soltanto favorire e premiare l'insediamento dei giovani agricoltori, ma anche fornire gli strumenti (formazione, consulenza e contributi agli investimenti aziendali) che permettano loro una crescita e uno sviluppo coerenti e allineati con le sfide della modernità.
Non meno importante è l'obiettivo di rafforzare le filiere agroalimentari. Sempre dalle ultime rilevazioni censuarie si apprende che la dimensione media delle imprese è aumentata, tra il 2000 e il 2010, da 7 a 10 ettari, ma per affrontare le sfide del mercato globale rimane ancora troppo bassa e le difficoltà che ne conseguono sono diverse (diseconomie di scala, difficoltà di diversificazione, subalternità alle grandi imprese a valle delle filiere, maggiore vulnerabilità alle variazioni dei mercati) e possono essere affrontare solo con un gioco di squadra coordinato.
Passando a tutt'altro fronte, la tutela dell'agroecosistema a fronte dei repentini cambiamenti climatici rappresenta un ulteriore obiettivo del PSR 2014-2020, che non può esimersi dall'incentivare l'uso efficiente delle risorse e la riduzione delle emissioni di carbonio attraverso specifici interventi orientati al risparmio idrico, alla diversificazione delle fonti di approvvigionamento energetico, al contenimento delle emissioni gassose e all'incremento del sequestro di carbonio. Si tratta di supportare in maniera diffusa interventi di mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici, rafforzando la specifica sostenibilità delle attività agricole: com'è noto i settori agricolo e forestale sono gli unici tra i settori produttivi ad essere in grado, non soltanto di contenere le emissioni di carbonio, ma di accumularne nella vegetazione (boschi e colture) e nel suolo. I boschi toscani, che rappresentano più della metà del territorio regionale, possono contribuire in modo significativo a ridurre il contenuto di CO2 nell'atmosfera: hanno infatti la capacità di assorbire circa 10 Milioni di tonnellate di CO2, a fronte di un livello complessivo di emissioni di gas serra nella Regione pari a circa 33 Milioni di tonnellate di CO2 (stime 2007).
Strettamente connesso a questo tipo di interventi è il sostegno per la tutela del paesaggio rurale: le ricadute più evidenti di questo impegno non si limitano al mantenimento di un buon livello di manutenzione dei territori, che è funzionale a prevenire il dissesto idrogeologico e altre conseguenza dell'incuria o dell'abbandono delle coltivazioni. Gli aspetti più interessanti legati alla tutela riguardano l'individuazione degli elementi caratteristici ed identitari dei paesaggi, che affondano le radici nella storia dei luoghi e delle persone che li hanno lavorati, ed il recupero di colture tradizionali che assicurano biodiversità e, quindi, qualità dell'ambiente.
Ne consegue che le risorse forestali e paesaggistiche rappresentano una leva per lo sviluppo territoriale e per la lotta ai cambiamenti climatici. Ma non solo. Sia i paesaggi rurali che le foreste sono in grado, infatti, di giocare un ruolo fondamentale sia per il raggiungimento degli obiettivi ambientali, sia per ragioni di natura economica e sociale: offrono un prezioso contributo nella transizione verso un'economia a bassa emissione di carbonio e nello stesso tempo rappresentano un elemento strategico per lo sviluppo rurale, in tutti i sensi. E allora, in tal senso, diventano ancora più strategici quegli interventi legati alla gestione dei territori rurali in modo da renderli fruibili socialmente, attraverso la fornitura dei servizi alla persona (da modalità innovative come l'agricoltura sociale all'accesso ad Internet ad adeguata ampiezza di banda) come condizione necessaria per impedire l'esodo dei più giovani.
Ricapitolando rapidamente otteniamo la seguente lista di obiettivi: innovazione; ricambio generazionale; integrazione e rafforzamento della filiera; tutela ambientale; tutela sociale e, quindi, miglioramento della qualità della vita nei territori rurali.
L'ordine di questi nodi strategici è quello in cui compaiono nel documento programmatico che la Regione Toscana ha fornito al CSL come sceneggiatura degli interventi di comunicazione da mettere in piedi nel corso del progetto. Ne sono scaturiti i primi contenuti per il nuovo sito dedicato al PSR 2014-2020, ma, al tempo stesso, hanno anche suggerito le linee guida strategiche che hanno guidato il concept e la realizzazione di tutto il progetto.
È evidente come i cinque obiettivi siano orientati al miglioramento della qualità della vita nei territori rurali, ed è in tal senso che sono stati letti e interpretati dal CSL nel progetto di ricerca per l'introduzione della comunicazione generativa nel PSR 2014-2020: strategie orientate all'innovazione, attraverso il coinvolgimento dell'Università e dei centri di ricerca, come condizione per un adeguato incremento di formazione e di investimenti aziendali, il tutto in un'ottica di integrazione di ruoli e di coordinamento tra i vari attori della filiera, per rafforzare tutto il settore agricolo, contribuire alla riduzione delle emissioni di carbonio, tutelare l'ambiente e garantire territori rurali «con più opportunità per chi ama viverci».
Si capisce ora come, di fatto, tutti gli interventi di comunicazione del PSR siano stati orientati al conseguimento di un macro-obiettivo di benessere rurale, inteso come benessere sociale tout court. In questa prospettiva, infatti, la comunicazione del PSR acquista un valore differente e assume sfaccettature originali, che si fanno generative di prospettive inedite.
Nello specifico il progetto di ricerca condotto dal CSL in collaborazione con la Regione Toscana ha previsto diversi fronti di intervento. Innanzitutto orientati all'analisi: il fronte concernente le nuove tecnologie della comunicazione in relazione alle priorità delle politiche di sviluppo rurale, affinché l'impiego dei media digitali sia funzionale alla definizione di una progettualità coerente con gli obiettivi di progetto; quello relativo all'ambiente sociale che l'agricoltura contribuisce a definire, nella misura in cui si fa portatrice di valori e dinamiche alternative al sistema dominante; quello che indica modalità alternative di "lettura" del paesaggio agricolo, dell'agricoltura stessa e delle politiche di sviluppo rurale. Il tutto come risultato di una sperimentazione sul campo che ha permesso di misurarsi in prima persona con le problematiche e le criticità del settore, studiando e lavorando accanto ai soggetti del territorio rurale della Toscana, da quelli impegnati sul piano istituzionale ai portatori d'interesse primari, fino ad arrivare alla cittadinanza tutta.
Dal punto di vista metodologico-operativo gli interventi del CSL hanno previsto: la riprogettazione del canale di comunicazione istituzionale - il sito web - che la Regione Toscana dedica al proprio PSR; l'elaborazione di una strategia di comunicazione organizzativa interna ai membri della redazione del sito web; la realizzazione di numerosi incontri in tutte le province toscane, destinati a coinvolgere i portatori d'interesse e a creare una rete di sensori sul territorio, al fine di garantire loro diritto di parola e garanzia di ascolto da parte delle istituzioni; l'organizzazione di un evento di riflessione condivisa e di benchmarking per analizzare la consapevolezza d'uso dei mezzi di comunicazione e dei messaggi riservati alle tematiche dello sviluppo rurale; la realizzazione di una serie di interviste ai dirigenti, ai funzionari regionali e ai rappresentanti delle associazioni di categoria coinvolti nella programmazione dello sviluppo rurale per il settennio 2014-2020.
Si tratta di un insieme di iniziative orientate all'ascolto e al coinvolgimento degli imprenditori agricoli, nella convinzione che la partecipazione sia funzionale alla costituzione di una rete attiva di portatori d'interesse, senza la quale non è possibile acquisire elementi di conoscenza funzionali alla ridefinizione della comunicazione del PSR. In tal senso il progetto, attraverso l'attivazione di un ambiente di comunicazione partecipata, ha permesso l'incontro tra portatori d'interesse eterogenei con l'obiettivo di mettere in comune le buone pratiche, di condividere i punti di forza e di analizzare le criticità: un ambiente comunicativo aperto ai rappresentanti delle istituzioni e agli imprenditori agricoli, per sperimentare una forma di progettazione partecipata e condivisa della comunicazione del nuovo PSR 2014-2020.
Si capisce allora il nuovo significato da assegnare alla parola comunicazione, e l'inedita prospettiva, quella generativa, in cui si assiste a un cambio di paradigma: il PSR non è più solo ed esclusivamente l'oggetto della comunicazione, ma acquista una dimensione attiva e funzionale, diventando esso stesso strumento di comunicazione e di conoscenza. La comunicazione del PSR diventa, di fatto, comunicazione attraverso il PSR, con quest'ultimo che si riconfigura come ambiente di comunicazione, di partecipazione e di comunità, intesa come riconoscimento e rafforzamento reciproco da parte di tutti i portatori di interesse, che nelle rispettive distinzioni di ruolo e funzione (dirigenti e funzionari delle istituzioni, agricoltori, associazioni di categoria, imprenditori, cittadinanza) riescono a collaborare in direzione di un obiettivo comune, appunto la costituzione di una comunità di interesse e di pratica per lo sviluppo del territorio.
In quest'ottica il PSR deve essere considerato come strumento di scrittura collettiva del paesaggio fisico, sociale, imprenditoriale: un ambiente di comunicazione inclusivo e multisettoriale capace di sviluppare nuove risorse, nuove relazioni e nuova imprenditoria sul territorio mettendo a sistema settori tradizionalmente separati (agricoltura, beni culturali, sanità, turismo, istruzione) e trovando tra essi logiche di convergenza su un progetto comune di sviluppo rurale.
Attraverso il PSR una "buona" comunicazione deve funzionare come strumento politico di governo e di ri/scrittura condivisa del territorio attraverso l'attivazione di percorsi di inclusione e di partecipazione aperti a portatori d'interesse nuovi e consolidati, secondo un modello che deriva da una cultura di progetto non indirizzata alla definizione di soluzioni definite e chiuse, ma saldamente legata all'idea di processo, all'idea di libertà, di partecipazione, di democrazia. Un modello, quello generativo, che, proprio grazie alla cultura in cui affonda le radici, ha contribuito ad avviare processi realmente collettivi di progettazione, funzionali, tra le tante ricadute positive, a «soddisfare gli auspici delle popolazioni di godere di un paesaggio di qualità e di svolgere un ruolo attivo nella sua trasformazione» e, in questo, efficaci strumenti di miglioramento della qualità della vita di quelle stesse popolazioni.
1 L'articolo è il risultato di una ricerca svolta dal Communication Strategies Lab dell'Università di Firenze ed è stato concepito insieme da tutti gli autori. In sede di stesura sono da attribuire a Luca Toschi il paragrafo introduttivo e la supervisione generale, a Marco Sbardella il paragrafo 1, a Eugenio Pandolfini il paragrafo 2 e a Gianluca Simonetta il paragrafo 3.
2 A questo proposito è importante ricordare come il paesaggio sia oggetto di attenzione perfino nella Costituzione della Repubblica Italiana (art. 9).
3 www.biodistretto.net
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Copyright Firenze University Press Jun 2016
Abstract
This essay deals with the concepts of wellness and landscape, analyzing the role of landscape in defining the life quality of rural areas inhabitants on the base of the results of the "Scientific collaboration between Communication Strategies Lab (CSL) of the University of Florence and Tuscany Region for the introduction of generative communication in the Rural Development Programme 2014-2020". The scientific collaboration represented a valuable opportunity to study and test communication strategies in order to improve life quality in rural areas, and to confirm the generative communication paradigm (Toschi 2011) as an operative model that is able to promote circular relations between man and its territory.
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