Abstract. Sulla scorta delle stide e delle opportunltâ messe in campo dalla cultura digitale, si rende piü che mai necessario indagare sul ruolo dei nuovi strumenti intormatici con l'obiettivo di comprendere come si siano moditicati alcuni scenari propri delle prassi progettuali e della cultura industriale e costruttiva. Il contributo si inserisce nell'ambito delle questioni relative alla costruibilitâ del progetto in relazione all'utilizzo di metodologie di tipo digitale che, tavorendo azioni di tipo collaborativo, di controllo e di previsione, sembrerebbero accorciare in maniera signiticativa le distanze che separano il progetto dalla costruzione.
Parole chiave: processo integrato, cultura digitale, condivisione, costruibilitâ.
La complessitå della cultura progettuale contemporanea ci pone di fronte a condizioni e sfide che modificano radicalmente i modi di pensare al futuro, di definire i bisogni, le abitudini e le attivitå degli uomini, costringendoci alla ricerca di un processo di cambiamento che sappia reinterpretare e costruire, in termini innovativi, le trasformazioni dell'habitat futuro. "Costruire e un atto istintivo espressione e arte della volontå naturale dell'uomo dal momento in cui inizia ad abitare la terra e a riconoscere le sue esigenze primordiali e indispensabili. Lopera costruita va intesa come sintesi tra due componenti primarie: una componente fisica, risultato di un lavoro sulla materia e una componente teorica, esito di attivitå intellettuali e artistiche (Faroldi, 2014)". In questa definizione dell'atto costruttivo sono rintracciabili due componenti fondamentali del processo progettuale, quella immateriale che si lega al sapere teorico e quella materiale, propria dei contenuti del 'fare'. Nell'attuale scenario di cambiamento dei processi che caratterizzano la cultura del costruire non solo edifici, ma anche cittå e territori, e necessario un serio ripensamento delle pratiche tradizionali di progetto e del rapporto tra teorie e prassi, forse uno dei temi pih discussi negli ultimi due secoli di cultura architettonica. Oggi tali temi ruotano intorno a questioni che riguardano modelli aperti, evolutivi, collaborativi e inclusivi che aggiungono nuove importanti variabili al quadro giå complesso delle attivitå di governo del progetto e degli obiettivi di qualitå degli interventi di trasformazione. Tale ricerca della qualitå "si intreccia con la possibilitå, da parte delle persone di soddisfare i propri bisogni, tangibili e intangibili e di raggiungere la felicitå (Lauria 2014)". Sono ormai note le direzioni entro cui e piü che mai necessario operare: ci troviamo di fronte a una realtå che non ammette sprechi, che alla individualitå contrappone la molteplicitå delle relazioni, che richiede dialogo multidisciplinare e partecipazione attiva. In questo quadro l'architetto e chiamato a ripensare al progetto come elemento in continua evoluzione che si occupa dell'ambiente, dello spazio ma anche delle persone e dei loro bisogni quotidiani, con l'obiettivo prioritario di tornare a 'progettare per il mondo reale'1 e per quella 'pubblica felicitå'2 di cui parla Ludovico Muratori sin dai tempi della piena fioritura dell'illuminismo italiano. Un concetto che ha radici antiche ma che si collega a una piü attuale aspirazione al benessere e alla cura, a obiettivi di tutela delle risorse e dei patrimoni, di prevenzione dei rischi, di salvaguardia della cultura materiale dei luoghi e al coinvolgimento della comunitå nelle azioni di programma. Da tempo si e capito quanto gli indicatori oggettivi di benessere non siano piü sufficienti ad esprimere lo star bene della gente, che dipende sempre piü da elementi non monetari quali la qualitå dell'ambiente naturale e delle relazioni sociali. Gli indicatori piü recenti, esprimono nell'urban joy index la misura della gioia di vivere urbana, una misura che non conta le teste (dunque le questioni pro-capite) ma che si fonda sulle caratteristiche dei paesaggi, delle culture, dei flussi, delle energie e che dunque coinvolge il progetto ambientale e sociale, dando luogo a una rinnovata utopia di vita, quella che immagina Eduardo Vittoria quando afferma: "L'utopia che a me piace considerare ... e un'utopia anticonformista, che rida spazio al piacere della vita; la restituzione di questa gioia sensoriale, rientra nei grandi compiti. dell'architetto (Vittoria, 1987)". Il valore della qualita allora, e dunque il risultato del progetto, si traduce in un processo complesso, multidisciplinare e multilivello, in cui gioca un ruolo fondamentale anche l'uomo, habitante, colui che puo contribuire ad alimentare quel bagaglio di conoscenze, di esperienze e di idee che nascono dalla sua appartenenza al luogo. "I grandi prodotti dell'architettura", affermava Victor Hugo, "sono piuttosto opere sociali che opere individuali, piuttosto parto di un popolo in doglia che getti degli uomini di genio; e il sedimento che lascia una nazione, lo strato che formano i secoli, il residuo delle evaporazioni successive della societa umana; e in una parola una specie di formazione geologica' (Hugo, 1904)" Le grandi cattedrali sono lo sforzo congiunto di migliaia di uomini che condividevano tecniche, organizzazione, fatica ma anche specchio di una societa. Le tensioni che riusciamo a leggere attraverso l'organico alternarsi degli archi strutturali, altro non e che la tensione millenaria di un popolo verso l'avanzamento tecnico, la testimonianza della presenza di tutte le figure rappresentanti di uno stato, chiesa, governo, maestranze, popolo e, in ultimo, un modello culturale. La comunicazione fra un cosi grande team di maestranze era assicurato dalla condivisione di un bagaglio di conoscenze comuni e da convenzioni che si erano stabilite nel tempo tra la gente del mestiere: "e come se tutti sapessero gia cosa devono fare. Ogni successiva realizzazione si presenta come una variazione sul tema: la tecnologia convenzionale non ammette salti bruschi, la sua evoluzione e quasi organica, non ci sono grandi invenzioni, ma continui adattamenti del materiale (fisico e conoscitivo) dato. Pero, proprio perché si basa sul lavoro di gente che 'sa cosa deve fare, il suo modello non e rigido, la specificita (del luogo, del committente, dei materiali disponibili) puo sempre essere tenuta in conto e portare, all'interno del campo di possibilita ammissibile, a delle appropriate variazioni (Dupire, Hamburger et al., 1985)" Oggi, la cultura digitale, nuovo 'strumento' a disposizione dell'architetto, puo essere l'occasione per tornare a concepire opere condivise, a patto che se ne comprendano potenzialita e limiti. Una tale possibility deve basarsi necessariamente su strategie di governo della complessita, sulla capacita di coordinamento e di dialogo delle molteplici figure del processo, sulla partecipazione e sulla valorizzazione del capitale umano. Si prospetta una condizione nuova ben descritta, in maniera provocatoria, da Eduardo Vittoria: "Supponiamo di non costruire piu meccanicamente una casa dopo l'altra e di non predeterminare a tutti i costi il paesaggio abitabile nei suoi aspetti piu comunemente noti: strade, piazze, edifici, quartieri; tentiamo di sostituire gli accoppiamenti astratti di categorie urbanistiche, tipi, destinazioni, standards e di formulare un'altra serie di rapporti tra contesto costruito e vita individuale e collettiva. Immaginiamo lo spazio vuoto dell'habitat, cose, nomi, concetti, immagini, che si intersecano e si estrinsecano in processi costruttivi reali differenti, contraddittori; processi sostenuti dal senso creativo della comunita che continuamente li mette in discussione, oltre il mito di una tradizione che ha pietrificato l'architettura in modi di costruire assoluti, in formule divenute oramai símbolo di pregiudizi, convenzioni, abitudini. Un'architettura che e il contrario dell'architettura, dove l'oggettivo, le possibilita tecnologiche, e il soggettivo, la qualita della vita, si affrontino per armonizzarsi in un equilibrio in ogni istante minacciato (Vittoria, 1994)"
Costruire e dunque un"impresa collettiva', come affermava Han nes Meyer e l'architetto diventa 'corale' (Claudel, Ratti, 2014). Il suo ruolo, storicamente individuato, assume oggi connotati ancora diversi su cui e necessario fare una riflessione ulteriore: l'architetto contemporaneo e infatti "continuamente obbligato a essere qualcos'altro da sé stesso, costretto a diventare sociologo, politologo, psicologo, antropologo, semiologo, costretto a trovare modi che mettano in forma sistemi di esigenze su cui non ha potere (Eco, 2015)". La professione amplia sempre piu i suoi confini disciplinari, si confronta con la ricchezza culturale di operatori sempre piu diversificati, diventa, una 'fatica culturale', come ci ricorda Quaroni, che si misura con un costruire sempre piu proiettato nella globalizzazione. "Il carattere ricorsivo dell'attivitå progettuale tende a coincidere con il confronto in tempo reale delle diverse competenze delineando una cultura di progetto che ha come punto di forza il riferimento a ció che nella ricerca sociologica e antropologica e stata recentemente definita come intelligenza collettiva (Campioli, 2005)" che assume i connotati della connessione potenzialmente infinita tra saperi e informazioni diverse3. Si delinea una concezione dell'informazione come 'bene pubblico' il cui valore sta nell'accessibilitå e nella condivisione e l'idea di uno "spazio virtuale delle possibilitå: uno spazio dove , relativamente con poca fatica e poco prezzo, tutto e possibile (Manzini, 1990)".
Virtuale e/e reale
"L'architettura dei modelliquantitå e un fatto creativo complesso, valido sia sul piano della forma che su quello della produzione industriale. Come tale non prevede due categorie di attivitå, la bella e la brutta, la casuale e la progettata (...). L'architettura oggettiva, mezzo per creare il nuovo paesaggio architettonico e non piu simbolo, non e concepibile che su un unico livello, quello della produzione di quantitå elementari con determinati caratteri generali e particolari altamente qualificati. Per ottenere ció e indispensabile avere la possibilitå non solo di progettare, ma di modificare, formare, provare, eseguire il modello considerato prototipo, scala, dimensione base di una piu ampia struttura spaziale (Vittoria, 1966)". L'architettura da sempre si e servita di modelli sia per la verifica di un oggetto reale che per la sua riproduzione, come nel caso dello standard. In quest'ultimo caso il modello non e un oggetto fisico, ma piuttosto la ricerca di modalitå atte a costruire materialmente il prodotto riproducibile. Ritroviamo tracce di una tale concezione per esempio nella cultura costruttiva gotica che aveva trovato nella similitudine geometrica il proprio modello: i segni tracciati sui muri o sui pavimenti delle cattedrali costituiranno, per esempio, la guida per tagliare i conci che conformeranno l'arco. Altro ben noto esempio emblematico e quello di Brunelleschi, che non potendo costruire una centinatura per la costruzione della sua cupola, fece ricorso a un modello concettuale che ha permesso di mettere in opera i conci senza il diretto riferimento ad una impalcatura fisica. Il ponteggio diventa reference frame senza il quale la cupola non si sarebbe potuta costruire. Le parole di Eduardo Vittoria e gli esempi proposti, ci fanno comprendere quanto da sempre la conoscenza teorica e la possibilitå di immaginare, componenti immateriali del progetto, abbiano costituito il fondamentale presupposto alla realizzazione di oggetti reali (infrastrutture, edifici, sistemi costruttivi, prodotti) e l'importanza, nel progetto, di attivitå di previsione e di controllo. Quello che cambia oggi, non sono tanto le necessitå quanto gli strumenti che supportano le dette attivitå. La cultura digitale mette in campo enormi potenzialitå in que sta direzione, modificando in maniera rivoluzionaria l'ambito operativo del progetto di architettura, gli scenari organizzativi e di comunicazione fra gli operatori del processo, dei luoghi e della struttura di tale comunicazione, dei modi di trasmettere e di utilizzare la conoscenza. In tale tipo di cultura si sostituisce al termine immateriale il termine virtuale, cioe l'ambiente operativo creato dal computer, uno spazio intermedio tra le idee e la materia in cui sono possibili nuovi livelli di sperimentazione, dove la quantitå (di conoscenza, di dati, di calcoli, di controllo, di possibilitå di modifica in tempo reale), diventa la qualitå del progetto e dove il tempo (la velocizzazione del calcolo) ne diventa parametro determinante. Le tecniche di simulazione bim, per esempio, stanno sostituendo giå da tempo le modalitå di modellizzazione dal vero, introducendo, nelle pratiche di progetto, il concetto di simulazione che piu dei sistemi tradizionali si presta alla rappresentazione e al governo della complessitå dei processi progettuali contemporanei. Il termine simulazione discende dal termine latino similis e ha il significato di 'rendere simile, ovvero, nel caso dell'uso di applicativi digitali, creare un ambiente artificiale riferito a una realtå. Il problema di un tale modo di 'rappresentare' la realtå, sta nella capacitå dei diversi operatori che collaborano al processo di definizione del modello di "generare una conoscenza di tipo operativo (Argiolas et al., 2015)". Le tecnologie bim, nascono infatti con la duplice finalitå di favorire la collaborazione e l'integrazione multidisciplinare e consentire una progettazione in cui l'edificio viene costruito prima della sua costruzione entro un ambiente virtuale (Fig.1). Questa fondamentale caratteristica di previsione consente di accorciare (azzerare?) le distanze che separano la fase di ideazione da quella della costruzione e di risolvere molte delle inefficienze della fase cantieristica. Si apre una relazione nuova tra progetto e prassi realizzative ovvero tra operare teorico e operare pratico, in una sintesi che non vede piu scollegato il momento di formulazione delle idee da quello in cui si materializzano ma che, al contrario, determina un concerto reale tra chi 'disegna' l'opera e chi guida l'attrezzo per costruirla. In un tale scenario diventano fondamentali le organizzazioni di processo che, a differenza di quelle legate ai modelli tradizionali, sono caratterizzate da interoperabilitå e da modelli aperti.
Verso un'architettura open source
Nel 1923 Le Corbusier pubblica Vers une architecture, un libro 'manifesto' che fonda le basi di una nova architettura. E giå l'idea di una architettura liberata dal protagonismo dell'architetto a favore di una architettura condivisa e piu vicina ai bisogni della collettivitå, una architettura che, quarant'anni piu tardi, porterå ancora Eduardo Vittoria ad affermare: "... l'aver trasformato un ipotetico patrimonio di pochi in un possibile patrimonio collettivo, rappresenta uno dei piu originali avvenimenti della societå nella quale viviamo e operiamo (Vittoria, 1966)". La strada sembra tracciata e l'architettura si avvia verso il progetto open source, una piattaforma di collaborazione aperta mai sperimentata prima, ma che, nella sostanza, fonda le basi sulla nascita del teamwork ad opera di Walter Gropius che assegna all'architetto il ruolo complesso di coordinator by vocation. Per Gropius il lavoro di gruppo, nella pratica dell'architettura, ha un valore sociale e rispecchia gli ideali di una societå democratica: spirito di collaborazione, assenza di competizione, riconoscibilitå dei contributi pur nell'ambito della discussione collettiva dei progetti. E la nuova visione operativa che, piu tardi, Arup ci consegnerå attraverso Formai noto Key Speech pronunziato agli inizi degli Anni Settanta (Arup, 1970). Lopen source si basa su processi modificabili e dinamici, su network e sistemi informatici. "I suoi sostenitori riconoscono una chiara dominanza del codice sulla materia, dei sistemi relazionali sulla composizione architettonica, dei network sulle griglie strutturali, della capacita di adattarsi sulla statica, della vita stessa rispetto alla pianificazione. Il suo fine e di trasformare l'architettura da un meccanismo produttivo immutabile, dall'alto verso il basso, in un sistema trasparente ed ecologico, inclusivo, dal basso verso l'alto (Grima, Ratti et al., 2011)" rivoluzionando ogni forma di processo tradizionale, fondando l'interesse sulle strategie e sulla capacita di governo del progetto passando da un'idea conclusa all'idea di un progetto possibile (Fig. 2). In questa filosofia operativa la rappresentazione del progetto alle diverse scale, dalla generale fino a quella della costruzione, diventa patrimonio integrante della vita delledificio e ogni futura trasformazione avra in quel patrimonio il suo potenziale rigenerativo e di trasformazione: ledificio diventa cosi 'evolutivo', trasformabile, gestibile. Siamo di fronte a una nuova idea di processo in cui gli operatori possono moltiplicarsi all'infinito uniti da piattaforme informatiche, il nuovo mezzo capace di consentire l'amplificarsi del dialogo. Ci chiediamo allora se ci troviamo di fronte al rischio di una nuova Babele e se questi cambiamenti epocali metteranno ancora una volta a dura prova la cultura del costruire che da sempre si muove sul doppio binario dell'innovazione che avanza veloce e della tradizione che oppone inesorabilmente resistenza ai cambiamenti. 'Internet non si addice all'architettura' ci avverte Renato De Fusco. "Che la tecnologia digitale sia cosa di grande rilievo, tale da modificare leconomia, il lavoro, i rapporti sociali, il costume, il nostro stesso modo di pensare, e idea universalmente diffusa e accettata. (...) Bisogna contrapporsi a chi si oppone al costruire, a chi vede in ogni nuovo edificio una minaccia per lambiente preesistente, a chi vede nel mercato delle costruzioni solo lespressione della speculazione edilizia, a quegli urbanisti che riducono tutto il problema dell'architettura a un rapporto di indici, a quegli statistici che sostengono, in fatto di residenza, che i vani costruiti sono in esubero rispetto al numero degli abitanti, a tutti i conservatori di vario ordine e grado. Se a queste difficolta ideologiche, politiche, amministrative, burocratiche che sono contro il costruire aggiungiamo le teorie di questi utopisti dell'anti-spazio, della virtualita, dell'immaterialita, ecc., diamo sostegno alla politica del non-fare, peraltro avallato da una tecnologia che in altri campi sta dando prove meravigliose. Ecco perché riteniamo che Internet, assunta come lemblema dell'apparato informatico, sia fenomeno di enorme rilievo, ma che ciononostante non s'addica all'architettura (De Fusco, 2001)". Quanto l'architettura open source sapra entrare a giusta ragione nel novero delle buone pratiche del progetto lo vedremo nel tempo, sappiamo pero sin dora che occorrera percorrere una difficile strada e agli architetti occorrera essere ricettivi, prensili, agili, rapidi nell'immaginare, fulminei nel trasformare un sintomo, come raccomandava De Carlo. Sicuramente una cosa positiva la vicenda di Babele ce la insegna: il peccato piu grande e l'ambizione e il narcisismo, il desiderio autorigenerativo di un solo popolo, una sola lingua, un solo edificio, la soppressione delle differenze, la massificazione e lomologazione. Larchitettura oggi ci impone di pensare a un modello culturale e operativo in cui si riscoprono le diversita pur nella piena consapevolezza della validita di riferimento a un campo allargato di possibilita cui attingere, a strumenti di governo prima non pensabili, un modello che sappia fare propri i caratteri dei luoghi, dell'ambiente, delle societa e delle culture secondo un programma austero che guardi alle risorse come un patrimonio finito e di cui avere cura, e che guardi alledificio come un oggetto resiliente, trasformabile, rigenerabile. Cio che rende possibile una tale pratica e l'idea che il progetto sia espressione di una coerente realizzabilita tecnica e che non dimentichi gli originari caratteri dell'attivitå costruttiva espressi in maniera mirabile nella mėtis dei Greci: "Avvisato dalla mėtis che lo pervade di tutto cio che si prepara per lui di buono e di cattivo, Zeus non conosce pih distanze tra progetto e realizzazione: distanze dalle quali sorgono, nella vita degli altri Dei e delle creature mortali, i tranelli dell'imprevisto (Dupire, et al., 1981)". La cultura digitale attribuisce un valore trasformativo profondo all'attivitå progettuale facilitando il governo dei processi decisionali, dinamici e complessi, che la caratterizzano e riducendo le distanze che separano la pratica del costruire dai fondamenti teorici che stanno alla radice del progetto. La necessaria anticipazione di molti contenuti del progetto, dal livello definitivo a quello della fattibilitå tecnico-economica, e resa possibile proprio dallevoluzione degli strumenti di modellazione informativa tradizionali verso strumenti in grado di offrire simulazioni che coinvolgono sin dall'inizio tutti gli operatori del processo, compresi i potenziali utenti. Un approccio innovativo che si lega ai concetti di previsione, collaborazione, coordinazione, integrazione, dialogo, partecipazione, che possono essere assunti come nuovi paradigmi del costruire contemporaneo, un costruire che deve affrontare in termini culturali nuovi le sfide poste ai progettisti: razionalizzare i processi, ridurre gli spechi, ottimizzare le risorse (Fig. 3).
NOTE
1 Cfr. Papanek V. (1973), Progettare per il mondo reale, Mondadori, Milano.
2 Si fa riferimento al saggio Della pubblica felicita, scritto da Ludovico Muratori nel 1749.
3 Cfr. Derrick De Kerckhove, Universita di Toronto, http://www.utoronto. ca/mcluhan.
REFERENCES
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The culture of designing and the culture of doing. The digital approach as the innovative dimension of process
Abstract. Due to the challenges and opportunities ottered by the digital culture, it is necessary to study the role ot the new information tools to understand how some ot the scenarios belonging to the design practices and industrial and building culture have changed. This paper deals with the issues about the design constructability, with reterence to the use ot digital methodologies that encouraging collaborations, control and previsions, seem to shorten signiticantly the distances between design and construction.
Keywords: integrated process, digital culture, sharing, constructability.
The complexity of the contemporary design culture confronts us with conditions and challenges that radically change the ways we think the future, define needs, habits and men's activities, forcing us to search for a process of change that can interpret and build the transformations of the future habitat innovatively. "Building is an instinctive action which is expression and art of the man's natural will from the moment he starts living the world and recognizing his primordial and essential needs. The built work is a synthesis of two primary components: the physical component, the result of working the matter and a theoretical component, the result of intellectual and artistic activities (Faroldi, 2014)". In this definition of the act of constructing there are two fundamental components of the design process, the immaterial one that is linked to the theoretical knowledge and the material one that belongs to the contents of 'doing'. In the current scenario of process change that characterizes the culture of constructing buildings as well as cities and lands, it is necessary to seriously rethink the traditional design practices and of relationship between theory and practice that is probably one of the most discussed themes in the last two centuries of architectural culture. Today these themes revolve around issues that refer to models that are open, evolving, collaborative and inclusive and that add new important variables to the already complex picture of design governance activities and of the quality objectives of transformation works. Such a search for quality "is intertwined with the individuals' possibility to fulfil their own needs, tangible and intangible, and to reach happiness (Lauria 2014)". It is common knowledge the direction we need to go to: we face a reality that doesn't allow waste, that sets multiplicity of relationships against individuality, that requires multidisciplinary dialogue and active participation. In this picture, the architect is called to rethink the design as a con- stantly evolving element that cares of the environment, the space as well as of individuals and their daily needs with the priority objective of getting back to 'design for the real world'1 and for that 'common happiness'2 Ludovico Muratori speaks of since the time of the Italian Enlightment. The concept has ancient roots but is linked to the current search for welfare and care, to resources and heritage protection objectives, risk prevention, preservation of the material culture of places and to the community engagement in programme actions. We've known for a long time how much the objective welfare indicators can't express sufficiently people's well-being that increasingly depends on non-monetary factors such as the quality of natural environment and social relationships. The latest indicators express the urban joy index that doesn't count heads (per-capita issues) but focuses on the features of landscapes, cultures, flows, energies and therefore involves the environmental and social design, generating a renewed utopia of life, the one that Eduardo Vittoria imagines when stating: " The utopia I love to consider. is a nonconformist utopia that gives back space to life; gaining back the sensorial joy belongs to the great tasks. of an architect (Vittoria, 1987)". The value of quality, and consequently the design result, becomes a complex process, which is multidisciplinary and multilevel and where man also, the inhabitant, plays an essential role, as he is the one that can fuel the stock of knowledge, experiences and ideas that generate from his belonging to the place. "The big products of architecture" Victor Hugo stated, "are social works rather than individual works, the delivery of a population in labour producing men of genius; it is the sediment of a nation, the layers forming the centuries, the residue left by the subsequent evaporation of human society; in one word, it is a sort of 'geological formation' (Hugo, 1904)". The big cathedrals are the joint effort of thousands of men that shared techniques, organization and fatigue and also the mirror of society. The tensions that we see through the organic alternation of the structural arches is nothing more than the millenary tension of a population towards the technical progress, the proof of the presence of all the figures representing state, church, government, workforce, population and finally a cultural model. The communication in such a big team of workforce was ensured by sharing a common stock of knowledge and uses that had been set out over time among technicians: "it is like everybody knows what to do. Each work that followed is a variation on the theme: conventional technology doesn't allow sudden moves, its evolution is almost organic, there are ongoing adaptations of given materials (physical and exploratory) rather than big inventions. However, just because it is based on the work of people who know 'what to do', its model is not rigid, the specificity (of place, contractor and available materials) can be taken into account and lead to suitable variations within the field of eligible possibilities (Dupire, Hamburger, et al., 1985)". Today digital culture, a new 'tool' available to the architect, can be the opportunity to go back to conceive shared works, provided that we understand potential and limits. Such opportunity should be based necessarily on strategies to govern the complexity, on the coordination and dialogue abilities of the various process actors, on the participation and optimisation of human capital. A new condition is shaping up that has been described by Eduardo Vittoria provokingly: "Let's assume that we aren't building anymore a house after the other mechanically and that we are not predetermining, no matter what, the living landscape in its most common aspects: roads, squares, buildings, districts; let's try to replace the abstract couplings of urban planning categories, types, zonings, standards and to develop another series of relationships between the built context and the individual collective life. Let's imagine the habitat's empty space, things, names, concepts, images that intersect and express themselves in constructive processes that are real, different and contradictory; processes that are supported by the creative sense of the community that challenges them over and over again, beyond the myth of the tradition that has petrified architecture into absolute ways of building, into formulae that have now become the symbol of prejudice, conventions and habits. An architecture that is the contrary of architecture, where what's objective, the possibilities of technology and what's subjective, the quality of life, face each other to harmonize in a balance that is threatened any minute (Vittoria, 1994)".
Building is a 'collective enterprise, as Hannes Meyer stated and architects become 'choral' (Claudel, Ratti, 2014). Today their historically determined role becomes something different, deserving a further thought: the contemporary architect is "continuously forced to be someone else, forced to be sociologist, political scientist, psychologist, anthropologist, semiologist, forced to find ways to shape systems of needs he can't control (Eco, 2015)". The profession keeps widening its disciplinary boundaries, confront the cultural richness of operators that are increasingly diversified and becomes a 'cultural fatigue', as Quaroni reminds us, that contends with a way of building that is more and more projected into globalization. 'The recurring character of the design activity tends to coincide with the real-time comparison of the different skills thus defining a design culture whose strength is referring to what the sociological and anthropological research has defined common intelligence (Campioli, 2005)" that becomes a potentially endless connection between knowledge and different information3. The concept of information as 'public asset' is arising and its value is accessibility and sharing, the idea of a "virtual space of possibilities: a space where everything is possible with relatively small effort and price (Manzini, 1990)".
Virtual and real - Virtual is real
"The architecture of models-quantity is a complex creative fact, which is true both as form and as industrial production. As the last one, it doesn't involve two categories of activities, the beautiful one and the ugly one, the casual one and the designed one (...). The objective architecture, no more a symbol but the means to create the new architectural landscape, can't be meant but at a unique level, the one to produce elementary quantities with defined general characters and highly qualified details. To get this, it is necessary to have the possibility of designing and amending, forming, testing, executing the model considered prototype, scale, basic dimension of a wider spatial structure (Vittoria, 1966)". Architecture has always used models both for testing real objects and reproducing them, as to set the standard. Here the model is not a physical object but the research of modalities suitable for materially constructing the reproducible product. We find traces of this concept for instance in the Gothic building culture that found its model in the geometrical similitude: the signs drawn on the walls or floors of cathedrals are the track to cut ashlars to shape the arch. Another well-known emblematic example is Brunelleschi when he couldn't build a centering to shape his dome and used a conceptual model that allowed him to place ashlars without referring to a physical scaffolding. The scaffold is a reference frame without which the dome could not be built. Eduardo Vittoria's words and the examples mentioned tell us how much theoretical knowledge and imagination, the immaterial components of designing, have always been the fundamental prerequisite for the making of real objects (infrastructures, buildings, construction systems, products) and the importance of forecasting and monitoring activities in designing. What's changing today are the tools supporting the above activities rather than the necessities. Digital culture provides huge potential along this line, changing in a revolutionary way the scope of architectural design, the scenarios of organization and communication among process operators, of the places and structure of such a communication, of the ways of transmitting and using knowledge. This kind of culture replaces the term immaterial with the term virtual, i.e. the operating environment created by computers, a space in between ideas and matter where new levels of experimentation are possible, where quantity (of knowledge, data, calculations, test, possibility of real-time amendments) becomes the quality of design and where time (the speeding-up of calculation) becomes the decisive parameter. The BIM simulation techniques, for instance, have been replacing real modelling by introducing the concept of simulation into the design practices that lends itself to the representation and the governance of the complexity of contemporary design processes much better than traditional systems. The term simulation comes from the Latin word similis and means 'to make similar', that referred to the use of digital applications means to create an artificial environment of a reality. The issue with such a way of 'representing' reality is the ability of the different operators cooperating in the process to define the model of "generating operational knowledge (Argiolas et al., 2015)". BIM technologies developed with the twofold purpose of fostering multidisciplinary cooperation and integration and allowing a way of designing in which the building is constructed in a virtual environment before being constructed in the reality (Fig. 1). This essential prevision feature allows to shorten (reach zero?) the distances between the design stage and the construction one and overcome most of the inefficiencies of the construction site stage. A new relationship arises between design and operational practice, that is between working on theory and working on practice that merge into a synthesis where the moment of the formulation of ideas is no more detached from the one when ideas materialize and thus determining a real concert between who 'draws' the work and who drives the tool to build it. In such a scenario, the ways of organizing the process are crucial and are characterized by interoperability and open models, unlike those ways linked to traditional models.
Towards open source architecture
In 1923 Le Corbusier publishes Vers une architecture, a book which is the manifesto of a new architecture. It is already an idea of architecture free from the leading role played by the architect in favour of a shared architecture which is closer to the community's needs, an idea of architecture that forty years later leads Eduardo Vittoria to state: "... having transformed the hypothetical heritage of a minority into a possible collective heritage, is one of the most original event of the society that we live and work in (Vittoria, 1966)". The course is clear and architecture moves towards open source design, a platform for open collaboration that has never been experimented before and that is based essentially on the teamwork idea by Walter Gropius who appoints the architect with the complex role of coordinator by vocation. Gropius believes that teamwork in the practice of architecture has a social value and reflects the ideals of a democratic society: spirit of cooperation, no competition, recognition of the contributions within the collective discussion of designs. This is the new operational vision that later Arup shares in the well-known Key Speech that he made at the beginning of the '70s (Arup, 1970). Open source is based on dynamic and modifiable processes, on networks and information systems. "Its supporters acknowledge a clear dominance of code over matter, of relational systems over architectonical composition, of networks over structural grids, of adaptation ability over statics, of living over planning. Its purpose is transforming architecture from an immutable top-down production mechanism, into a transparent and ecological system that is inclusive and down-top (Grima, Ratti et al., 2011)", revolutionising every form of traditional process by focusing the interest on strategies and abilities of design governance and switching from a finished idea to the idea of a possible design (Fig. 2). Within this operational philosophy, the representation of the design at different scales, from the general one to the construction one, becomes an integral heritage of the building's life and every future transformation finds in that heritage the potential for regenerating and transforming: therefore, the building becomes 'evolutive', transformable, manageable. We're facing a new idea of process in which the operators can increase in number endlessly, linked through IT platforms, the new tool that allows the dialogue to magnify. We wonder whether we are risking another Tower of Babel and whether these momentous changes will challenge again the culture of constructing that historically moves along the double-track of innovation that runs fast and of tradition that inevitably resists change. 'Internet doesn't suit architecture' warns Renato De Fusco. "The idea that digital technology is something of such a great importance to change economy, labour, social relationships, customs, our way of thinking, is universally accepted and diffused. (...) We should oppose those who refuse constructing, those who see a threat to the existing environment in every new building, those who see the building market only as the expression of property speculation, those city planners who reduce the architectural issue to an index ratio, those statisticians who believe that there is a surplus of built rooms compared to the number of inhabitants, all conservatives at any level. If to these ideological political administrative and bureaucratic difficulties that oppose constructing, we add the theories of the utopians of anti-space, virtuality and immateriality etc., we support the policy of not doing, which is nonetheless endorsed by a technology that has been proving fantastic in other fields. Therefore, we believe that Internet, as the emblem of the IT system, is an extremely relevant phenomenon that however doesn't suit architecture (De Fusco, 2001)". Time will tell us to what extent open space architecture is quite rightly part of the design's good practices, however we already know that the way a head is difficult and architects must be responsive, prehensile, agile, quick in imagining, meteoric in transforming a symptom, as De Carlo recommended. The story of Babel teaches this for sure: the worst sins are ambition and narcissism, the auto-regenerative desire of a single population, one language and one building, the deletion of differences, standardization and homologation. Today architecture makes it our responsibility to think of a cultural and operational model to rediscover diversities being fully aware of the validity of referring to a wide field of possibilities to draw from, of governance tools that were previously unthinkable, of a model that can adopt the characters of places, environment, societies and culture following an austere programme that considers resources as a limited heritage to care for and that looks at the building as a resilient, transformable and renewable object. What makes such a practice possible is the idea that design is the expression of a consistent technical feasibility that doesn't forget the original characters of the construction activity that have been wonderfully conveyed by the métis of the Greeks: "Warned by the métis that pervades him of all good and bad things in store for him, Zeus doesn't know any distance between design and implementation: distance from which the traps of the unexpected arise in the lives of other Gods and mortal creatures (Dupire, et al., 1981)". Digital culture assignes to the project a deep transformative value. It facilitates the processes of decision-making and reduces the distances between the theory and the practice in the project. The necessary anticipation of many contents of the project is made possible exactly by the evolution of the traditional information modeling tools towards tools that offer simulations that involve operators from the beginning, including potential users. This innovative approach is linked to the concepts of prediction, cooperation, coordination, integration, dialogue and participation that can be adopted as new paradigms of contemporary building: a building able to face the new challenges in order to make processes more efficient, reduce waste, optimize resource (Fig.3).
NOTES
1 Cfr. Papanek V. (1973), Design for the Real World
2 Referring to the essey Della pubblica felicità, written by Ludovico Antonio Muratori in 1749.
3 Cfr. Derrick De Kerckhove, Università di Toronto, http://www.utoronto.ca/ mcluhan.
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Copyright Firenze University Press 2017
Abstract
A new condition is shaping up that has been described by Eduardo Vittoria provokingly: "Let's assume that we aren't building anymore a house after the other mechanically and that we are not predetermining, no matter what, the living landscape in its most common aspects: roads, squares, buildings, districts; let's try to replace the abstract couplings of urban planning categories, types, zonings, standards and to develop another series of relationships between the built context and the individual collective life. If to these ideological political administrative and bureaucratic difficulties that oppose constructing, we add the theories of the utopians of anti-space, virtuality and immateriality etc., we support the policy of not doing, which is nonetheless endorsed by a technology that has been proving fantastic in other fields. [...]we believe that Internet, as the emblem of the IT system, is an extremely relevant phenomenon that however doesn't suit architecture (De Fusco, 2001)". Today architecture makes it our responsibility to think of a cultural and operational model to rediscover diversities being fully aware of the validity of referring to a wide field of possibilities to draw from, of governance tools that were previously unthinkable, of a model that can adopt the characters of places, environment, societies and culture following an austere programme that considers resources as a limited heritage to care for and that looks at the building as a resilient, transformable and renewable object. What makes such a practice possible is the idea that design is the expression of a consistent technical feasibility that doesn't forget the original characters of the construction activity that have been wonderfully conveyed by the métis of the Greeks: "Warned by the métis that pervades him of all good and bad things in store for him, Zeus doesn't know any distance between design and implementation: distance from which the traps of the unexpected arise in the lives of other Gods and mortal creatures (Dupire, et al., 1981)".
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1 Dipartimento di Architettura, Universita degli Studi di Napoli Federico Il, Italia