1. Politica e utopia. Teoria e prassi pedagogica
Vi è una importante considerazione da porre al cuore dell'impegno di Franco Frabboni nella definizione dei margini di teoreticità e azione della pedagogia. Si tratta, specificatamente, della avvertita esigenza di operare una ricerca che risulti essere quanto più aperta e rispondente ai grandi valori della contemporaneità politica, sociale, etica, economica. Ambiti, tutti questi, di riduzione della complessità umana che si ritrovano interconnessi nella grande questione della trasformatività evolutiva (certo filogenetica ma, nel nostro caso, soprattutto ontogenetica) di ogni uomo e donna o, detto con altre parole, nella grande questione educativa e formativa nella società della transizione accelerata, segnata da perduranti contraddizioni e attraversata da inediti conflitti e nuove emergenze culturali.
Una tensione alla apertura che, in forma teoretica, si è declinata, a seconda dei testi e dei contesti con i quali Frabboni si è confrontato, nell'impegno a diffondere i principi della responsabilità e del dissenso critico in difesa della differenza di ciascun soggetto. E ciò attraverso un dispositivo problematicista (ripreso dal suo maestro Bertin ed epistemologicamente ridefinito) che gli ha permesso di muoversi dialetticamente tra la pluralità dei modi d'essere e di poter-essere, tra le istanze della ragione e della immaginazione, della logica e della fantasia, del vicino e del lontano, della contingenza e del possibile. Approccio problematicista che, in forma pratica, si è concretizzato nella proposta di una flessibile modellistica di riorganizzazione dei saperi nel curricolo, della articolazione dei tempi e degli spazi della classe-interclasse-laboratori e della produttiva mediazione tra tempi e spazi della scuola e del fuori-scuola nella prospettiva di un Sistema Formativo Integrato.
Si è trattato di un impegnativo percorso di pensiero, di scelta e di azione nella ferma convinzione della assoluta indispensabilità di una scuola seria, preparata, dalle alte cifre culturali-cognitive-affettive. Una «scuola ritrovata», come ben rivendica il titolo di un suo lavoro, che sappia rispondere all'urgenza di una alfabetizzazione plurima e duratura, convergente quanto a saperi di base e divergente quanto a potenziali piste meta e fantacognitive.
Una fede pedagogica, quella di Frabboni, che si è rafforzata nel continuo confronto, anche quando conflittuale, aspro e deciso, per la realizzazione degli universali diritti all'istruzione, alla cultura, alla creatività, alla felicità.
Un impegno a difesa della centralità della formazione per restituire dignità a quelle fasce di popolazione deprivate della possibilità di accedere agli strumenti materiali e simbolici, indispensabili per dar corso a un autonomo e originale progetto di vita; per restituire riconoscimento a quei soggetti inferiorizzati, le non-persone da sacrificare alla devastante il-logica del profitto e del consumo. Di qui, l'amore e l'attenzione costante alle «scuole delle briciole», alle scuole del nostro Sud e, insieme, la rabbia e le severe critiche nei confronti di una intellettualità troppo silenziosa e, perciò stesso, complice di fallimentari politiche assistenziali che hanno e continuano ad alimentare familismo e corruzione.
Ma a sud del nostro Mezzogiorno c'è un altro Sud, c'è «l'umanità dell'altra metà del mondo, nera, povera, analfabeta». La pedagogia si trova, per Frabboni, a dover scegliere se rimanere egoisticamente rinchiusa nei confini delle «contrade boreali» o se, al contrario, affrontare la sfida dell'«attraversamento epistemologico» e avventurarsi in un viaggio «pieno di incertezze ermeneutiche per incontrare un mondo altro dell'educazione». Una pedagogia, questa, del possibile e del trascendentale, disponibile alla
[...] contaminazione culturale (la spinta epistemica per andare oltre i confini etnici); [al] rispecchiamento dei meticciati (e la tensione ermeneutica per farsi illuminare da più pelli antropologiche); [alle] ibridazioni epistemiche (e l'amore coraggioso per i tramonti dei dogmatismi, dei fondamentalismi e delle metafisiche).1
Al cuore di questa interpretazione c'è un idea-ideale di formazione capace di fare sistema con il mondo della vita e della storia; di connettere natura e cultura, realtà e utopia; di elevare l'idea di ragione a dispositivo euristico capace di opporsi alla banalità e alla ripetizione dell'identico.
Si tratta, è evidente, di una riflessione pedagogica che implica direttamente impegno e conflitto politico, polemos, diremmo. Una riflessione che deve sempre essere innanzitutto comunicata e comunicabile (come Frabboni ha sempre fatto su campo oltre che attraverso i suoi innumerevoli scritti) per evitare le sempre presenti minacce delle infinite possibili mistificazioni e dei revisionismi teorici, prima che storici, conto i quali si è sempre battuto, ricorrendo all'uso di un originalissimo stile linguistico-letterario, teso a esprimere, nella «compressione» semantica e successiva «esplosione» di senso della metafora, la problematicità dei topoi della formazione.
In tal modo, il rigore logico dell'impianto teoretico si salda, attraverso un linguaggio non convenzionale carico di trasposizioni e slittamenti cognitivi, alla forza creativa dell'immaginazione. Con ciò disvelando una ricchezza di significati tale da poter consentire di meglio proiettare e focalizzare i potenziali riflessivi dei suoi lettori, motivandoli a restare desti e attenti di fronte ai rischi della manipolazione, pronti e attivi a intercettare i segni di cambiamento degli orizzonti di grande respiro culturale, valoriale e, naturalmente, pedagogico - tout court politico - che connotano la nostra attualità.
2. Formazione e forme di vita. Soggettività e socialità
Il pensiero di Frabboni, le sue parole, il suo graffiante grafein hanno contribuito al chiarimento e alla costruzione di detti orizzonti, all'interno dei quali si stagliano due istanze di fondamentale importanza per i destini educativi prima, e civili poi, della nostra società, della nostra cultura, della nostra vita: la soggettività e la socialità. La sua voce resta uno dei più efficaci e convincenti inviti alla critica e alla «veglia» su tutti quegli interventi di «riforma» pedagogico- politica o politico-pedagogica che, più o meno esplicitamente, con più o meno clamore, a diverso titolo e su diversi versanti limitano il potenziale auto progettante dell'uomo, spingendolo a realizzare stili esistenziali alienati alternativamente in direzione ego o sociocentrica, così finendo col minacciare la complessità della dimensione umana. Una veglia cui Frabboni ci ha abituato ad attendere attraverso ogni suo scritto.
Da acuto interprete della evoluzione degli assetti sociali e culturali, da fine osservatore dei sommovimenti legati allo svolgersi teorico della riflessione e alla ridefinizione pratica dell'azione pedagogica, Frabboni ha intravisto, quale prossima determinante svolta nel cammino di pensiero e di azione dell'uomo e della donna singoli e associati - in cui è necessario, per quanto detto, riconoscere rilevanza al costitutivo intrecciarsi e all'inscindibile articolarsi dei versanti organico e culturale - la possibilità di realizzare quella che con le sue parole è definibile quale una «ecologia della vita». Una efficace perifrasi con la quale intende indicare quella particolare interpretazione del «mondo della vita» che pone al centro il processo di inter-retroazione che collega uomo-altro uomo-ambiente, improntato alla critica e originale formazione-produzione di linguaggi culturali, intellettuali, pedagogici; di costumi etici, sociali, educativi; di filosofie della vita, della scienza, dell'educazione; di paradigmi valoriali, di pensiero, formativi.
Chiaro, in merito, il compito ultimo della pedagogia: connettere singolarità e comunità e proporre questo nesso come valore guida del progetto trasformativo:
Il clima democratico - contrassegnato dall'appartenenza dell'individuo al gruppo, dalle decisioni collaborative e dalla cooperazione e solidarietà sociale - si conquista quando si perviene al soddisfacimento dei bisogni dell'individuo e, insieme, quando l'individuo avverte come «propri» i bisogni del gruppo intero. Questo per dire che la vitalità etico-sociale impegna ogni età generazionale (infantile come adulta) a promuovere, nel mondo in cui si trova a vivere (il mondo della storia), le condizioni educative per conquistare la qualità totale non solo per sé (realizza te stesso), ma anche per l'umanità tutta (realizza gli altri). Come dire, il progetto-persona implica il progetto-comunità.2
Proprio la emergente evidenza delle implicazioni dettate da tale passaggio, proprio le determinanti svolte che tale nuova configurazione determina a livello di possibilità di riconoscimento e comprensione delle dinamiche che descrivono il complesso prisma della vita, rendono conto della necessaria riconsiderazione del ruolo e della funzione della formazione, a partire dalla nascita.
Un diritto al trinomio istruzione-educazione-formazione che oggi rischia di essere messo in discussione da una crescente privatizzazione d'élite e che, invece, ha la propria ragion d'essere nella lotta per la eliminazione degli ancora diffusi e sempre più sottili, articolati e diversificati fenomeni di esclusione dal sapere e, conseguentemente, dal poter ciascuno imprimere, singolarmente e originalmente, direzione alla propria esistenza, alla propria vita, pur sempre in seno a un ampio e interconnesso contesto-mondo.
La scuola, dunque, malgrado gli attacchi cui viene sempre più spesso sottoposta, resta per Franco Frabboni la più importante istituzione educativa in grado di sostenere, sinergicamente con le altre istituzioni formative, lo sviluppo di una ampia e colta visione d'insieme «della cultura» come risultato dell'articolazione «delle culture». Una interpretazione che si traduce nella possibilità di moltiplicare - e, problematicamente, relativizzare - i punti di vista a partire dai quali sottoporre a indagine critica ogni particolare oggetto, problema, ipotesi, questione, con l'ausilio di eterogenei alfabeti scientifici, culturali, antropologici; di «media» tecnici, artistici, intellettivi; di «codificatori» linguistici, estetici, etici.
Oltretutto, le possibilità fin qui descritte non sono - e non possono essere - caratterizzate da una narcisistica autoreferenzialità del singolo soggetto. L'accesso alla possibilità di elaborare una forma di vita originale non limita, si è detto, il proprio ambito di pertinenza alla sfera individuale, piuttosto ogni forma di vita è - e non può che essere - individuale e sociale, dove la congiunzione sottende una relazione di reciproca transattiva necessità, in quanto ciascuna è condizione di esistenza per l'altra. Si delinea, così, l'indirizzo di democraticità della scuola che, anche in questo caso, si presenta quale istituzione privilegiata quanto a possibilità di promozione di pari accesso per tutta la sua utenza alle risorse conoscitive, immaginative, relazionali, comunicative.
In tal senso, appare in tutta la sua evidenza come la scuola sia, nell'orizzonte che ospita la puntuale riflessione e il fervente impegno di Frabboni, il crocevia in cui si realizza la possibilità di presa in carico e sostegno della cognitività, della eticità e della relazionalità. Competenze, tutte, necessarie per dar vita a una formazione che declini realismo e visionarietà, pragmatismo e preveggenza, attualità e inattualità.
Va da sé che, al di là dei particolari dispositivi didattici e organizzativi - cui, pure, Frabboni ha dedicato illuminanti pagine che restano ineludibile riferimento per una presa di posizione colta e meditata sul problema-formazione - la questione sembra essere la ricerca di un dispositivo teoretico-critico in grado di «difendere» la complessità-e-unitarietà del soggetto in formazione e in cui intrecciare alfabetizzazione e socializzazione, ragione e cuore. Questo perché, come nota in più punti Frabboni, il rischio resta la negazione di de terminate e fondamentali caratteristiche del soggetto-persona, tali da limitare pesantemente la realizzazione dell'autonomia del pensiero e la ricchezza delle relazioni e degli affetti.
Il compito, allora, è quello di impegnarsi a valorizzare le molteplici forme di intelligenza e di linguaggio e a sostenere «l'azzardo omerico» della ricerca nel mare dell'esistere e del sapere.
Ma:
[...] qual è la carta d'identità di questo piccolo Ulisse? Uno scolaro serio, concentrato, impegnato a dilatare i propri orizzonti di conoscenza e a esplorare mondi immaginari, che assapora una scoperta dopo l'altra e che autonomamente sceglie i propri itinerari di conoscenza e creatività. È un'infanzia e un'adolescenza che sanno osservare il mondo che le circonda e che sanno scrutare e sognare orizzonti lontani. Sono bambini e adolescenti che respirano a pieni polmoni il mito e la favola, ma che sanno anche pensare e congetturare con la propria testa. Sono scolari che non hanno più nulla di tolemaico (non sono più soltanto destinatari della trasmissione delle conoscenze), ma hanno tutto di copernicano: la libertà della ragione e l'azzardo della fantasia.3
Diversamente da quanto appena detto, la riduzione della creatività alla riproduttività, della generatività della persona alla flessibilità della risorsa umana, della comprensione al proceduralismo, ci raccontano di un'epoca in cui pur di non avere teste pensanti si è disposti a pagare oro il disimpegno nel pensiero e nella responsabilità, in cui alla scuola non si chiede più di creare cittadini ma sudditi docili e inconsapevoli della complessità del mondo, deprivati del tempo della riflessività e, pertanto, incapaci di vedere i segnali del dissesto materiale, culturale, etico.
Frabboni ha scritto pungenti pagine critiche di resistenza a tale modello degenerato di società, di cultura e di formazione «tardo-turbo-capitalistica». Un modello contro il quale ha sempre fatto valere le ragioni del confronto e dell'apertura della scuola all'ambiente, del sapere al significato, dei contenuti alla esperienza. Le ragioni, in altre parole, del giusto equilibrio: questo il reale telos di una scuola dell'autonomia, una ricerca quasi alchemica non facile da realizzare e, soprattutto, quand'anche possa sembrare realizzata, valida e limitata sempre a quella particolare unità di persone-e-contesto. Nessuna soluzione definitiva nel campo della formazione ma impegno, creatività, ricerca.
Impegno come consapevolezza dei rapporti storici che legano, tra l'altro, scuola e fuori scuola e relativa responsabilità etico-razionale delle forme e dei contenuti di sapere da promuovere attraverso una progettualità formativa che sia di antidoto alla «scuola del caso». Una scuola, quest'ultima, che non riconosce nella conoscenza e nella scientificità indispensabili sostegni per arginare le rovine indotte da una cultura sempre più votata al consumo passivo, promosso da un imperialismo mediatico che invade spazi e tempi della quotidianità alienando e colonizzando, uniformando e omologando desideri, immaginari, modelli di vita.
Creatività come capacità di promuovere una impensata e originale combinatoria di oggetti, alfabeti, esperienze in direzione di una divergente produzione di modi di essere e di fare cultura, funzionando da efficace antidoto a una «scuola della ripetizione». Una scuola, quest'ultima, che non riconosce nella competenza e nella indagine indispensabili sostegni per opporsi alla meccanica riproduzione dei saperi, alla auto-legittimazione degli stessi cui si accompagna una riduzione del pensiero critico a qualcosa di superfluo e inessenziale rispetto a imperativi conoscitivi di natura economico-finanziariaziendalistici. Una autolegittimazione dietro la quale non è difficile scorgere la rigidità delle separazioni e delle stratificazioni sociali, la volontà di rottura delle solidarietà comunitarie, per vertere verso una interpretazione della conoscenza quale puro strumento di una potenza manipolatoria. Rischi che, oggi più di ieri, minacciano la civiltà e la socialità dei nostri ambienti di vita.
Ricerca come modo normale di essere e di agire del soggetto in formazione quando utilizza codici strutturati, in quanto il loro uso non ha senso se non nella misura in cui essi abitino l'orizzonte di vita e di progettazione esistenziale di chi vi ricorre per elaborare e combinare materia, energia e informazione. Ricerca che così diviene antidoto a una «scuola della indistinzione». Una scuola, questa, che non riconosce la particolarità e l'unicità storica e contestuale degli ambienti di vita e di sviluppo di ogni singolo soggetto, che dimentica come gli itinerari longitudinali-disciplinari-nazionali della formazione possano essere messi pesantemente a rischio dalla carenza e dalla scarsità di senso che può prendere corpo quando non sia opportunamente integrata alla prospettiva latitudinale-trasversale-territoriale del senso e del significato. Una scuola della ricerca che sappia sperimentare a partire dalla piena padronanza dei molteplici alfabeti della mente, del corpo e del cuore; che sappia, nel suo duplice significato, insegnare a errare: educare a riconoscere nei problemi opportunità di innovazione; formare a un pensiero plurale, interdisciplinare e interculturale.
3. In difesa di una scuola pubblica e laica
I pericoli, dunque, non sono di poco conto e Frabboni non manca di indicarne due esemplificativi delle annotazioni fin qui prodotte: il rischio di un indebolimento della scuola pubblica; il rischio di un indebolimento della scuola laica. Due caratteristiche per le quali si è dovuto lottare fisicamente e ideologicamente; nelle quali risiedono fondamentali valori culturali e sociali; con le quali si è costruito un modo di essere e di vivere qualificato eticamente e politicamente. Infatti:
[...] è compito della scuola pubblica e laica neutralizzare (nel nome del soggetto- persona) l'odierna duplice onda lunga - antidemocratica e omologante - sollevata dalle economie neoliberiste (che sognano una scuola-azienda competitiva e senza cuore) e dall'alfabetizzazione mediatica (che sogna una scuola catramata da un pensiero unico: vuoto di curiosità e di dubbi perché privo di un pensiero libero, critico, plurale). [Il rischio è di] una società tutta economia - prossima sempre più al Far West: senza regole e senza etiche solidaristiche - [che] darà vita a una strategia di gioco imperniata sul ritiro dello stato dall'istruzione delle giovani generazioni, con relativo disinvestimento sulla scuola pubblica. Al suo posto, un diabolico modello formativo nemico della welfare society che nega il principio costituzionale del diritto di tutti i giovani alla conoscenza. Un sistema «privato» di istruzione per le nuove generazioni che si regge su tre identità/mostro se giudicate con occhiali pedagogici. Queste: una scuola competitiva, una scuola incolta, una scuola dell'esclusione.4
È evidente, dunque, come la filosofia dell'educazione, la pedagogia, la didattica di Frabboni siano ciascuno a suo modo «modi dell'essere politici» e «del fare politica». Ed è, allora, la parola «politica» che deve essere per prima «interrogata».
La «politica» può sottendere, quando sia fatta oggetto di riflessione critica, differenti modi di pensare e modi di agire che, in somma sintesi e per semplicità di analisi, possiamo organizzare secondo l'alternativo orientamento alla «costruzione» di dispositivi organizzativi della polis o alla diretta «gestione» della polis. È evidente che tale riduzione non vale in assoluto, ma se la si propone è perché si è convinti delle sue possibilità in merito all'indirizzo che una indagine pedagogica sul politico può intraprendere. Per tali ragioni, in questa sede, sarebbe troppo dispersivo ricostruire la naturale pluralità di possibilità che si articola in questi due estremi (per cui, ad esempio, si costruisce per gestire e la gestione induce la costruzione di nuove forme di organizzazione) senza che ciò significhi disconoscere la complessità della questione.
L'alternativa proposta, invece, rivela l'impossibile riduzione a una delle due posizioni che, al contrario, si richiamano vicendevolmente e continuamente, in una complicatio oppositorum che rivela il doppio legame, il doppio impegno materialistico e utopico. Dove il richiamo materialistico implica il non perdere di vista la storicità, appunto, reale delle persone che vivono, soffrono, gioiscono, si impegnano nella quotidiana invenzione di un futuro migliore per sé e per le generazioni a venire. Il richiamo utopico significa non rinunciare alla prefigurazione di possibili modi di essere dell'uomo e della donna, di essere in comune, di con-essere con i mondi-altri delle idee, delle culture, delle mitologie, così come con il mondo degli animali e delle piante, dei cieli, dei mari e delle rocce con rilevanti ricadute sulle scelte dell'hic et nunc.
Se nel primo caso in gioco vi è la possibilità di gestire lo sviluppo delle forme di socializzazione attraverso una formazione orientata alla diffusione di tutti i plurali saperi che rendono fattibile l'interfacciarsi con il mondo, nel secondo caso in gioco vi è la possibilità di costruire, mai assolutamente ex novo ma mai senza una crisi organizzativa, nuove forme di vita attraverso una formazione orientata all'esercizio euristico di un pensare-fare capace di mobilitare il potenziale creativo del pensiero immaginativo e metaforico.
Come è evidente, il fulcro di entrambe le prospettive resta il soggetto e, soprattutto, dal punto di vista della riflessione e dell'azione pedagogica, un neo-umanesimo - un umanesimo logico - inteso come potenziamento non alternativamente ego-o-sociocentrico, ma come sviluppo integrato e integrale che, metodologicamente, si concretizza in ogni gesto politico.
Di qui l'istanza di una dialettica integrazione tra le polarità disgiuntive io-mondo, io-altri che trovano nella polis lo spazio pubblico di un agire personale e sociale aperto al conflitto, al confronto, allo scambio costruttivo. Gesti tanto più importanti per il bisogno di condurre l'azione formativa nel rispetto della rivalutazione delle sfere individuali quali componenti essenziali della tensione a un possibile che si stagli, che con-viva con il respiro sociale del discorso pedagogico: la singolarità richiede la socialità almeno quanto la socialità richiede la singolarità. Un abito di pensiero che vincola le possibilità di scelta dei decisori istituzionali alla continua mediazione critica delle istanze del particolare e del generale, del deficit e del talento, della quantità e della qualità della conoscenza per tutti e per tutta la vita.
Si tratta, però, di una mediazione che, nel caso della pedagogia, assume una particolare modalità di auto bilanciamento, essendo il «vettore» formativo orientato verso il continuo trascendimento dei limiti e, perché no, delle imperfezioni e delle immaturità personali attraverso l'educazione. Una educazione - ricorda Frabboni - che ha bisogno di fare della «serietà», nietzschianamente ispirata e consapevolmente rielaborata, un suo tratto distintivo, potendo diversamente rivelarsi una infida e pericolosa «trappola di discriminazione » ai danni dei soggetti più deboli.
Una serietà che pure trova nella «lievità» (nel gioioso, nel riso, nella danza, nella attenzione al lontano) la possibilità di sottrarsi «alle catene di modelli sociali precostituiti e conformistici, privi di slancio e di entusiasmo vitale»5. E tuttavia, la categoria del serio permette di tenere insieme la storicità e la concretezza del progetto formativo con l'istanza utopica del superamento di una progettualità declinata esistenzialmente. Una serietà che, dunque, vincola problematicamente e creativamente contingenza e possibilità. Vincoli con i quali è necessario confrontarsi perché ogni singolo soggetto possa essere, divenire, tras-formarsi in soggetto attivo - e dunque - consapevole - e quindi - responsabile nei confronti del proprio destino o - che è poi la stessa cosa - del più generale destino cosmico.
Anche per tali ragioni, politica è ogni decisione formativa almeno nella misura in cui tale azione, mettendo nelle mani del soggetto strumenti utili a costruire il proprio destino personale, argina, anche se sempre solo relativamente, la potenza di un fato impersonale, restituendo al soggetto la possibilità di fare differenza-resistenza per-sé come per-gli-altri.
4. Politica ed educazione, saggezza e vita
Ne consegue che l'intera teorizzazione di Frabboni si basa sul nesso politica- vita analizzato e sottoposto a vaglio critico attraverso il dispositivo formativo. Politica è, infatti, l'esistenza stessa dell'uomo anche nella forma della semplice presenza, ma politica è soprattutto l'azione che, non rimuovendo i significati ampi e complessi, espliciti e impliciti dell'essere l'uomo un animale sociale e razionale, fondamentalmente emotivo, ferocemente volitivo, si orientano a immaginare possibili vie per la «costituzione di» e «la formazione a» modi e stili di comunicazione, di interrelazione, di costruzione di vincoli reciproci inediti per, da un lato, promuovere i potenziali umani legati al proprio essere e all'essere con gli altri e, dall'altro, prevenire e neutralizzare i potenziali umani di disumanizzazione.
Vi è, dunque, nell'idea stessa della formazione come inevitabile atto politico una radicale dinamicità che consente di affermare quei valori che storicamente si accompagnano alla continua trasformazione della rappresentazione dell'uomo. Motivo per cui l'idea di una definizione assoluta, rigida, valida in sé della formazione non regge alla concretezza della vita delle polis che - anziché la certezza e immutabilità dell'episteme, anziché la regolarità e puntualità della techne - implica la flessibilità, la creatività, la strategicità della phronesis.
Il richiamo alla concretezza implicito nella phronesis restituisce al cuore della politica le iniziative dei cittadini. Ma il termine «iniziativa» non ha il senso della riduzione della portata dell'azione alla eroica dimensione singolare. Per definizione, infatti, l'iniziativa è ciò che dà inizio, ma che non necessariamente realizza e conclude qualcosa che invece, politicamente, coinvolge i cittadini in un ideale luogo di discussione, dialogo, polemos che conferisce loro (a tutti collettivamente e non già ad alcuno in modo esclusivo) reale sovranità. Una discussione sovrana, o una discussione per la sovranità, che può essere paradigmaticamente rappresentata dalla dialettica democratica, vera garante della autenticità e della costruttiva conflittualità della discussione.
Ed è proprio in tal senso che Frabboni precisa come:
Le teorie educative contemporanee, sullo slancio del messaggio di John Dewey, hanno individuato nel principio di comunità e di cooperazione sociale le categorie pedagogiche nevralgiche per la soluzione dell'antitesi io/altro. Queste, infatti, impegnano a una partecipazione attiva del soggetto al proprio contesto di esperienza (familiare, scolastica, professionale, civile) educandolo, insieme, alle regole della vita democratica che prevedono senso di responsabilità e di solidarietà collettive. La comunità si afferma come peculiare luogo di disponibilità, cooperazione, impegno sociale. Educare a una disponibilità impegnata significa - al di là di ogni manicheismo e contraffazione etica - rischiare coraggiosamente la partecipazione al mondo degli altri, che richiede un profondo rispetto e solidarietà nel momento del bisogno, ma non esclude possibili contrasti in rapporto a prospettive etiche differenti e conseguentemente la lotta per la loro affermazione storica.6
Se, allora, lotta, impegno, discussione, dialogo, polemos sono caratteristiche fondamentali della relazione io-mondo, la già citata phronesis è il contrassegno della radicale politicità di tale relazione. Con ciò volendo con risolutezza evidenziare l'impoliticità (o la dis-educatività) di quelle forme di pensiero, forme di governo e modelli formativi che ignorano il valore della mediazione sempre transitoria e costituente tra particolare e universale, tra materiale e utopico.
Basti pensare alle sempre più fantasiose e raffinate monologiche formative con cui oggi si intende colonizzare la mente e il cuore del bambino già al primo entrare nel circuito delle istituzioni formative. La storia delle riforme - sempre più deboli, sempre più frammentarie, sempre più strumentali - della scuola italiana negli ultimi dieci-quindici anni testimonia ampiamente della monodimensionalità dell'attuale «progetto scuola». Basti ricordare, in qualità di esempio, l'impostazione «imprenditorialistica» non solo delle istituzioni formative (su cui tale traslazione di modelli nati altrove ha restituito una scuola progettualmente «panattivistica» e tuttavia impoverita culturalmente e disciplinarmente) ma della stessa forma mentis degli alunni.
Coraggiosa e radicale, come sempre, la critica di Frabboni è rivolta a ciò che certi politici (Moratti e Gelmini) hanno potuto dire a seguito del licenziamento della Finanziaria 2008, art. 133 e del DL n. 137 dello stesso anno. Alto il suo grido di allarme nei confronti del progressivo affermarsi di due idee per la scuola italiana del Duemila, l'una volta a «cestinare» una scuola come luogo di conoscenza-scienza-valori condivisi, e l'altra a «celebrare» come cosa utile per il sistema produttivo:
Da «cestinare» è l'idea di una scuola titolare di conoscenza-scienza-valori condivisi [per cui è] socialmente inutile un sistema di istruzione costruito su questi assi culturali ed esistenziali [liquidati] come del tutto improduttivi per il mondo delle imprese, dal momento che è il Mercato la monorotaia di scorrimento (e di investimento) per la scuola del futuro.
Da «celebrare» è invece l'idea di una scuola finalmente capace di diventare cosa utile per il sistema produttivo: una ruota di scorta aziendale che fornisce alle imprese professionalità ben equipaggiate per invadere i mercati e produrre colossali profitti. Via dunque dall'istruzione ogni orpello culturale costoso e non remunerativo per la competitività e la crescita industriale del paese.7
Si tratta di un attentato pedagogico degno delle più cupe distopie à lo Orwell: la spinta alla formazione di uomini e donne «perfettamente capaci» di interpretare il mondo e il prossimo solo come disponibili risorse economiche (nel migliore dei casi vi è la promessa concessione a integrarsi nel corpo del Grande Fratello), così come «perfettamente incapaci» di costruire una razionale, critica, complessa e problematica - vitale diremmo - sintesi dei molteplici aspetti dell'esperienza, dell'esistenza, della vita.
5. Decostruzione critica e vitalità progettuale
L'educativo, di nuovo, è politico e il politico visto in tal senso è, per Frabboni, uno dei tanti nomi della problematicità sottesa all'inquietudine esistenziale dell'uomo. Una inquietudine che, quando consapevole, rispecchia l'assunzione personale della finitudine, della fallibilità, del limite che connota quanto è umano e che destina l'uomo alla ricerca e alla formazione tesa a realizzare una prospettiva comunicativa - con l'altro, per l'altro - per conservare il senso, il significato e l'effetto di ogni atto del vivere, recuperando il senso di continuità che informa il presente ma, al contempo, tiene di mira anche l'al di là della semplice durata biologica della propria vita.
Politico è, dunque, il risultato di una azione tras-formativa il cui effetto è sempre atto comunicativo nella storia (dissidente, resistente, critico, coinvolgente, costruttivo ecc.) e per la storia (germinale, futura, inattuale, utopica ecc.) nella consapevolezza che l'adesione a un reale storico (e qui è chiaro che non si tratta né di passato, né di presente, né di futuro ma di tutte tali dimensioni temporali in riferimento alle possibilità di essere e di esistere, di con-essere e di co-esistere, dell'uomo) non può avere, per Frabboni, esiti nichilisti, nella misura in cui sia fatto salvo il principio di ragione problematica e plurale.
Anche per tali ragioni se ne deduce un'idea di radicale formazione umana (personale e di specie) dal volto comunicativo (intersoggettivo e intergenerazionale). Di qui l'interesse e la difesa per le fasce deboli e marginalizzabili (infanzia, vecchiaia, diversabilità, clandestinità ecc.) oggetto di pericolosa stigmatizzazione sociale, culturale, morale, normalmente avviati a processi di «minorizzazione politica».
Una funzionale marginalizzazione delle differenze che, affidata a una sfera specializzata e separata, tecnica e macchinina del politico, ha pesanti ricadute su un sociale che verrebbe separato e burocratizzato in ambiti specializzati, tecnicizzati e macchinizzati. Tuttavia è evidente come nessun gesto sia tanto radicalmente lontano dalla più banale idea di formazione quanto la delimitazione di campi di pura vigenza o dominio della legge, in cui polemos, dialogo, critica, dissidenza sono negati in base al principio del protego ergo obligo di hobbesiana, prima, e, poi, schmittiana memoria.
A fronte dei disvelamenti resi possibili dalle acute analisi ricognitive sulle contraddizioni di un sistema sociale-culturale-politico-pedagogico che separa e imprigiona, isola e confina, Frabboni pone - in positivo - la questione delle condizioni di possibilità del mutamento e dei modelli ispiratori di un agire formativo diffuso e euristico, vitale e critico.
In questa prospettiva ciò che viene innanzitutto recuperato sono valori quali la giustizia, la solidarietà, la libertà, l'uguaglianza che, soli, possono garantire una idea del politico rispondente a un neoumanesimo pedagogico che sia in netto contrasto con le riduzioni tecniche che frammentano e gerarchizzano identità, comunità, intere popolazioni. Di qui, per Frabboni, l'impegno e la responsabilità dei modelli pedagogici, e dunque dei modelli politici, in grado di meglio rispondere alle pressanti richieste di affermazione, anche conflittuale e problematica, del diritto a essere e a poter essere. Anche riconoscendo le difficoltà nel realizzare un tale mutamento di prospettiva è ormai improrogabile prendere posizione per sostenere e promuovere la ricerca di una via formativa per la ricostruzione di una eticità necessaria per la ricomposizione delle fratture sociali e culturali.
Non è un caso che Frabboni non si stanchi di affermare come nella valutazione delle scelte politiche, accanto agli indicatori economici, si siano affermati, tra gli altri, criteri quali la felicità, il benessere, l'equità. Come dire che la politica non può essere tanto controllo del potere (o potere di controllo), quanto azione di promozione dei valori umani, nuovo modo di proporre un equilibrio, dinamico e dialettico, pubblico e integrato, in vista del bene comune e, soprattutto, della libertà di perseguirlo. Una politica che inevitabilmente si fa cura per l'autorealizzazione del cittadino per le stesse ragioni per cui la formazione è sempre e comunque anche cura per la politicità della vita.
Un modo di intendere la politica, questo, che ci sembra trovi schierata dalla sua parte una filosofa politica delle più sottili e importanti del Novecento, la Arendt del Sulla rivoluzione, che annota come vi sia un modo di intendere la libertà, possibile «solo nel campo pubblico: [come] realtà tangibile e terrena, [...] una cosa creata dagli uomini per essere goduta dagli uomini, piuttosto che un dono o una capacità; era lo spazio pubblico creato dagli uomini, l'agorà che l'antichità aveva conosciuto come il luogo in cui la libertà si manifesta e diviene visibile a tutti»8.
La politica come spazio pratico di libertà. Pratica di libertà che significa felicità pubblica. Ossia, la politica come ricerca di felicità pubblica. Una felicità fatta di linguaggio, comunicazione, dialogo, parole, alfabeti, conoscenze. Nella misura in cui si riconosca valore a tali principi, diventa impossibile negare l'identità della scuola (come di ogni istituzione formativa) quale luogo politico e come luogo della politica.
Per la formazione, infatti, ne va non solo della possibile abilitazione alla scelta, all'opzione, alla promozione di competenze utili a orientare (e ad autoorientare) la propria vita in termini di preferenza di fini e mezzi per raggiungerli. Molto di più, i luoghi della formazione sono i primi spazi in cui si ha modo di avere e fare esperienza di quel complesso processo di socializzazione che introduce alle indispensabili appartenenze, senza le quali il «pubblico» non avrebbe modo di strutturarsi.
Avere esperienze dei vincoli e fare esperienza dei legami, scoprire, che ogni agire è sempre anche un subire e che la vita stessa è una relazione che transattivamente e ricorsivamente induce la continua ricostruzione di relazioni materiali, simboliche, culturali, sociali, cognitive, affettive aperte al divergente, al creativo, all'immaginativo, al possibile: ecco il senso politico dell'agire formativo che, per Frabboni, può e deve curare in primo luogo la capacità non di aderire a valori ma di costruire valori. In caso contrario, diventa difficile sottrarsi alla estemporaneità del fare formazione e resistere alla seduttività dei modelli vigenti, con quanto essi possono portare di alienante (nichilismo, apatia, fuga dal mondo, disimpegno ecc.).
L'agire formativo è dunque il primo ambito di abilitazione alla ricostruzione e articolazione di principi e di realtà, di diritti e doveri, di storia e utopia, in vista della realizzazione dei progetti di vita individuali e sociali dove, ancora una volta, la congiunzione sta a significare l'essenziale legame e alleanza, tra ego e alter.
Dalla considerazione seria di tale legame, dalla sua effettiva verifica in termini di funzionalità empirica e pragmatica, consegue che per Frabboni l'antinomia tra egocentrismo e sociocentrismo può avere la sola funzione di evidenziare gli specifici dogmatismi che si annidano nelle parole e nelle azioni di chi manca di una formazione e di una abitudine al dialogo, alla critica, al confronto, alla argomentazione ragionata.
Il politico come polis, come spazio pubblico di mediazione dialogica, ha infatti senso solo nella radicale convinzione della inevitabilità e irriducibilità della differenza. Le improprie estremizzazioni tra una gestione estrinseca collettiva (sociocentrica) e una impulsività intrinseca soggettiva (egocentrica) comportano l'impossibilità del politico. In entrambi i casi decade, infatti, la possibilità di intessere legami tra chi, nel primo caso, è preso tra le sbarre della «gabbia d'acciaio», impossibilitato a determinarsi come differente perché eterodiretto e incluso in una impersonale opera di pianificazione; nel secondo caso, è preso nelle maglie autistiche dell'implosione in un autoriferimento a sé, che realizza la degenerazione dei legami e dei vincoli sociali e, con ciò, la riduzione dell'altra-differenza a nulla.
Diversamente, nella possibilità di partecipazione al governo della cosa pubblica o, quantomeno, nella ammissione alla sfera pubblica vi è il senso di una libertà d'azione e di pensiero che, da «sola», è produttiva di opinioni e che, quando «mediata», è portatrice di saggezza nei criteri e nelle scelte. Scelte che, come già detto, per Frabboni non danno certezza degli esiti ma, sicuramente, sono antidoto alla riduzione tecnica, e perciò stesso alle condizioni di alienazione e reificazione cui oggi si è quotidianamente esposti.
In breve. Libertà di pensiero e libertà di azione sono, ricorda Frabboni, l'esito di una educazione alla ragione in cui ampio spazio è riconosciuto alle dimensioni dell'affettività, della relazione, dell'immaginazione, della fantasia. Ma ciò è reso possibile da un sistema di garanzie democratiche che, a loro volta, trovano nell'istruzione e nell'educazione la condizione della loro attuazione, del loro ampliamento e della loro difesa.
La «mente democratica» si costruisce a partire da quella prima scuola a cui Frabboni ha dedicato straordinarie riflessioni pedagogiche e didattiche, a strenua difesa dell'immenso potenziale di sviluppo dell'infanzia che, se non sollecitato e sostenuto culturalmente e affettivamente, rischia di rimanere inerte e così disperdersi. È da questa prima scuola che la mente dei bambini e delle bambine si apre al mondo e al futuro, in un ininterrotto zigzagante percorso di trasformazione dell'io e dello stesso mondo. Un divenire formativo che dai primi tempi e luoghi dell'educazione si estende e invade la molteplicità dei tempi e dei luoghi della vita. Un divenire dall'attuale all'inattuale, laddove scrive Frabboni l'«inattuale si fa frontiera obbligatoria», offrendo al pensareagire pedagogico «una traccia esistenziale» per portare l'uomo «oltre», ove sperimentare «i contorni di una nuova umanità».
Ripercorrere il sentiero teorico-prassico di un autore che ha segnato, a partire dagli anni Settanta del '900, il dibattito intorno alla scientificità del discorso pedagogico, contribuendo attivamente alla scrittura e sperimentazione delle migliori riforme della nostra scuola, presenta una doppia difficoltà. Da un lato, quello di ricostruire fedelmente alcune svolte problematiche di un percorso articolato e complesso; dall'altra, la consapevolezza di non poter sempre intercettare gli impliciti, il non-detto nel detto, il non ancora dicibile, sottesi alla limpida costruzione della sua argomentazione. Tracce preziose della creativa attualità di un pensiero evolutivamente aperto.
Un pensiero inquieto. Un pensiero che ci cattura con la forza euristica delle sue metafore, restituendoci il valore dell'immaginazione del sempre possibile.
Franca Pinto Minerva, Franco Frabboni between Political and Pedagogical Responsibility
The author reinterprets the work and the pedagogical action of Frabboni according to an utopian and political optical and emphasizing the capabilities of Bologna's intellectual to tie the theoretical with the idea of training. According Frabboni, the risk is determined and the denial of fundamental characteristics of the subject-person, a person who has the right to care and sociality. The school is much in this direction, but a secular public school and who has at heart the fate of all citizens. These are favorite themes in the search of Frabboni and the author proposes a critical reading of these issues.
1 F. Frabboni, La scuola rubata, FrancoAngeli, Milano 2010, p. 33.
2 F. Frabboni, La scuola al bivio, Pensa, Lecce 2000, p. 24.
3 F. Frabboni, È salpato il veliero delle indicazioni per il curricolo, in G. Domenici, F. Frabboni (a cura di), Indicazioni per il curriculo, Erickson, Trento 2007, pp. 34-35.
4 F. Frabboni, L'orizzonte laico della pedagogia e della scuola, in F. Frabboni (a cura di), Idee per una scuola laica, Armando, Roma 2007, p. 95.
5 cfr. F. Frabboni, La componente del serio nell'idea educativa di Nietzsche, in G.M. Bertin, Nietzsche. L'inattuale, idea pedagogica, La Nuova Italia, Firenze 1977.
6 F. Frabboni, La scuola al bivio, cit., p. 24.
7 M. Baldacci, F. Frabboni, La controriforma della scuola, FrancoAngeli, Milano 2009, p. 59.
8 H. Arendt, Sulla rivoluzione, Comunità, Milano 1983, p. 134.
Franca Pinto Minerva
Ordinario di pedagogia generale e sociale, Università di Foggia
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Copyright Firenze University Press 2010
Abstract
The author reinterprets the work and the pedagogical action of Frabboni according to an utopian and political optical and emphasizing the capabilities of Bologna's intellectual to tie the theoretical with the idea of training. According Frabboni, the risk is determined and the denial of fundamental characteristics of the subject-person, a person who has the right to care and sociality. The school is much in this direction, but a secular public school and who has at heart the fate of all citizens. These are favorite themes in the search of Frabboni and the author proposes a critical reading of these issues. [PUBLICATION ABSTRACT]
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