Riccardo Pagano, Il pensiero pedagogico di Antonio Gramsci, Milano, Monduzzi Editoriale, 2013.
Il pensiero di Gramsci, come è noto, è stato oggetto di accurate analisi e riflessioni anche di carattere pedagogico durante gli anni settanta: studi e ricerche che per lo più non si discostavano dalla matrice interpretativa togliattiana, che, ponendo Gramsci lungo una linea di continuità con l'hegelo-marxismo del Labriola, non davano conto della specificità dell'elaborazione gramsciana. Ormai da tempo le opere dell'autore sardo sono oggetto di indagine da parte di un ristretto numero di studiosi, soprattutto in ambito pedagogico; eppure i Quaderni, ad una attenta analisi, possono contribuire ad una lettura critica della modernità, quindi degli stessi processi formativi ed educativi che si pretendono meccanicamente appiattiti sui movimenti dell'apparato produttivo e del mercato.
Ed è anche alla luce di questa insufficiente attenzione all'opera gramsciana che acquista un particolare rilievo l'ultimo libro di Riccardo Pagano, Il pensiero pedagogico di Antonio Gramsci; a ragione considerato «uno di quei pensatori, di quegli intellettuali, di quei politici che non è facile etichettare in un preciso ambito disciplinare », sebbene avverta «"profondamente il nesso tra pedagogia e politica"». Non solo, l'attività pedagogica, per l'intellettuale marxista, «innerva» l'insieme delle relazioni sociali (cfr. ivi, pp. 9-10), tant'è che l'«educazione come prassi e la riflessione sull'educazione come teoria pedagogica» sono presenti «trasversalmente in tutta la produzione letteraria gramsciana» (ivi, pp. 45-46).
Si tratta dell'esito di un particolare percorso educativo che Pagano rilegge assumendo ad oggetto delle proprie argomentazioni i rapporti familiari e sentimentali, l'esperienza scolastica, la formazione politica. Momenti che non vanno considerati tra loro paralleli ma intrecciati e che resero possibile una formazione complessa e articolata (cfr. ivi, p. 13).
Nell'ambito di questi passaggi le relazioni con i familiari e con la madre in particolare, di cui Pagano sottolinea l'importanza nella costituzione del carattere del pensatore sardo; sebbene poi la maturazione, nel corso degli anni, di una forte personalità lo ponga in una posizione di educatore nei confronti delle persone a lui più care.
È quasi un maestro perpetuo, la cui inclinazione pedagogica trova fondamento nella sua stessa formazione politica e culturale che si traduce a partire dal 1917 in una militanza che ha i tratti di un impegno educativo. Una pedagogia che acquista nel corso dell'esperienza ordinovista un carattere specifico, di cui qualche anticipazione è rintracciabile nella breve esperienza del Club di vita morale.
Ebbene, i consigli di fabbrica come luoghi di formazione e autoformazione operaia (cfr. ivi, p. 41), dove si delinea un rapporto tra «spontaneità» e «direzione consapevole » di «"riduzione reciproca"» (A. Gramsci, Quaderni del carcere, Edizione critica dell'Istituto Gramsci, a cura di V. Gerratana, Torino, Einaudi, 1975, p. 331). Anche in ragione di quell'esperienza «il rapporto tra maestro e scolaro è un rapporto attivo, di relazioni reciproche» (ivi, p. 1331), «un rapporto [...] in cui maestro e scolaro alternano i loro ruoli» (R. Pagano, op. cit., p. 71).
Tra il'17 e il carcere si collocano i momenti più travagliati della vicenda politica gramsciana, in particolare il maturare della consapevolezza del fallimento della rivoluzione in Occidente, nonché i timori di una degenerazione burocratica e autoritaria nel «paese dei soviet», espressi chiaramente nella lettera del'26 al comitato centrale del Partito comunista dell'Urss.
Su questa base il passaggio ai Quaderni non rappresenta solo l'elaborazione più matura ma un percorso di riflessione che si lascia alle spalle ogni certezza, affidata dal giovane Gramsci ad un volontarismo di segno soreliano, in cui l'educazione risultava essere un supporto, sebbene fondamentale, all'inevitabilità dell'evento. In quella fase e negli anni successivi la fiducia nell'incoercibilità del processo rivoluzionario è testimoniata in diverse pagine gramsciane.
I Quaderni, pertanto, sono un fondamentale momento di revisione che si va incentrando sul concetto di tendenzialità della storia, assunta ad impasto di struttura/ superstrutture, di cultura, pedagogia, politica ed economia.
Al fondo quel ripensare il materialismo storico, come evidenzia Pagano, nei termini di una visione della realtà che non consente di staccare «il pensare dall'essere, l'uomo dalla natura, l'attività (storica) dalla materia, il soggetto dall'oggetto» (ivi, pp. 49-50). La «realtà si trova dentro l'uomo», non «l'uomo in generale» ma l'uomo storicamente determinato. Proprio in quanto tale sottoposto ad una «mutazione molecolare » (ivi, p.54), ad «un processo evolutivo e formativo» che non rende l'uomo «dato una volta per tutte» (ivi p.57) e di cui è allo stesso tempo elemento costitutivo ma nel quadro di una complessa interazione sociale e culturale.
Ai fine della comprensione della portata della riformulazione gramsciana del marxismo è forse utile fare riferimento a quel concetto di necessità liberato dalle pastoie oggettivistiche.
Esiste necessità quando esiste una premessa efficiente e attiva, la cui consapevolezza negli uomini sia diventata operosa ponendo dei fini concreti alla coscienza collettiva, e costituendo un complesso di convinzioni e di credenze potentemente agente come le «credenze popolari». Nella premessa devono essere contenute, già sviluppate o in via di sviluppo le condizioni materiali necessarie e sufficienti per la realizzazione dell'impulso di volontà collettiva, ma è chiaro che da questa premessa «materiale» calcolabile quantitativamente, non può essere disgiunto un certo livello di cultura, un complesso di atti intellettuali e da questi (come loro prodotto e conseguenza) un certo complesso di passioni e sentimenti imperiosi, cioè che abbiano la forza di indurre all'azione a tutti i costi (A. Gramsci, op.cit. pp. 1479-1480)).
La volontà collettiva quindi, che il moderno principe è chiamato a suscitare attraverso una prassi pedagogica che rifugge da ogni processo unidirezionale. Un rapporto educativo attivo, appunto, capace di rendere «la riduzione reciproca tra spontaneità e direzione consapevole» una leva del progresso di massa, di un'inedita riforma intellettuale e morale di cui il moderno principe, sulla base della prassi educativa di cui si diceva, è il banditore e i cui contenuti di fondo vanno rintracciati nell'«innovazione fondamentale» introdotta dalla filosofia della prassi, cioè che «non esiste una astratta "natura umana" fissa e immutabile [...] ma che la natura umana è l'insieme dei rapporti sociali storicamente determinati, cioè un fatto storico accertabile entro certi limiti, coi metodi della filologia e della critica» (ivi, pp. 1598-1599)
Affermazioni che hanno una particolare rilevanza pedagogica e che portano l'autore del saggio in questione ad affermare che l'educazione dell'uomo attuale alla sua epoca «deve essere piena di storicismo, di quello moderno, cioè quello rivolto al superamento del meccanicismo economicistico assunto in forma dogmatica» (R. Pagano, op. cit., p. 95).
Anche in questo senso la scuola e la ricerca di un nuovo principio educativo si collocano nell'ambito della riforma intellettuale e morale, anzi vanno assunti ad elementi che consentono la saldatura del blocco storico.
La riforma intellettuale e morale non può prescindere da una riforma economica, da qui la necessità di misurarsi con il livello più avanzato dell'«industrialismo» di cui riconosce le potenzialità produttive come il carattere alienante e i limiti applicativi nell'ambito di quello che doveva essere l'americanismo sovietico, di cui Gramsci denuncia il prevalere dell'elemento coercitivo.
Rimane il fatto che per il comunista sardo l'esigenza tecnica può «essere pensata concretamente separata dagli interessi della classe dominante, non solo ma unita con gli interessi della classe subalterna» (Gramsci, op. cit., p.1138), ciò proprio sulla scorta di quel nuovo concetto di intellettualismo, tendenzialmente di massa, che Gramsci precisa nel passaggio dalla «tecnica-lavoro» alla «tecnica - scienza [...] alla concezione umanistica storica, senza la quale si rimane "specialista" e non di diventa "dirigente" (specialista + politico)» (ivi, p. 1551).
Un'indicazione di lavoro su cui oggi più di ieri il pensiero critico dovrebbe esercitarsi in presenza del costituirsi di un'organizzazione sociale che chiama in produzione saperi e linguaggi e allo stesso tempo ostacola le forme di espressione critica.
Vincenzo Orsomarso
Vincenzo Orsomarso
Docente di pedagogia, Università di Roma La Sapienza
You have requested "on-the-fly" machine translation of selected content from our databases. This functionality is provided solely for your convenience and is in no way intended to replace human translation. Show full disclaimer
Neither ProQuest nor its licensors make any representations or warranties with respect to the translations. The translations are automatically generated "AS IS" and "AS AVAILABLE" and are not retained in our systems. PROQUEST AND ITS LICENSORS SPECIFICALLY DISCLAIM ANY AND ALL EXPRESS OR IMPLIED WARRANTIES, INCLUDING WITHOUT LIMITATION, ANY WARRANTIES FOR AVAILABILITY, ACCURACY, TIMELINESS, COMPLETENESS, NON-INFRINGMENT, MERCHANTABILITY OR FITNESS FOR A PARTICULAR PURPOSE. Your use of the translations is subject to all use restrictions contained in your Electronic Products License Agreement and by using the translation functionality you agree to forgo any and all claims against ProQuest or its licensors for your use of the translation functionality and any output derived there from. Hide full disclaimer
Copyright Firenze University Press 2013