Key-words: Miron Costin, Moldavian chronicles of the 17th Century, poem "The Life of the World", literary influences, Romanian versification, Ottoman dominance under the Balkans, Romanian patriotism
(continua dal numero precedente)
Il poema di Costin, benché inedito, ebbe diffusione e notorietà nell'ambito culturale romeno, sia in vita dell'autore, sia dopo la sua tragica fine. Nel tradurre alcuni squarci della tragedia Erofili dello scrittore cretese Georgios Chortatzi1, il metropolita Dosoftei introduce nel prologo la Morte, che si sofferma sulla caducità dell'esistenza umana con accenti simili a quelli di Viiata lumii:
Undi-s a ellinilor / împ?ratii, chesarii, / Si R?mului augusti, bogati, / puternicii si tarii? / Înt?lepciune unde li-i / si minte lor cea plin?, / Slava, scriptura s -armele, / vestitii dintr-Athin?? / Lui Alixandru Machidon / unde i-i vitejiia? / Unde-i cinste chesarilor, / putere si d?rjie, / Cu care ei au biruit / de-au st?pînit pre lume, / Si s-au vestitu-s? supt cériu, / l?tindu-si al s?u nume? / Toti sint di coasa me t?eti, / de mine sint stricate / Cet?ti, orase, împ?r?tii / si-n t?rn? sint uitate... (apud Ivascu 1969: I, 207).
In chiusura di un manoscritto di Letopisetul Tarii Moldovei de la zidirea lumii pân? la 1601 un anonimo copista aggiunse quattordici versi sul tema della morte, che si rivelano uno stralcio da una variante di Viiata lumii2, Non molti anni dopo, Dimitrie Cantemir, figlio di quel voivoda Constantin che aveva decretato l'uccisione dei fratelli Costin, trattando in Descriptio antiqui et hodierni status Moldaviæ delle costumanze popolari, in particolare del rito di sepoltura, scrive che nelle famiglie più ricche si affidava il lamento alle prefiche, che intonavano un canto funebre aperto dai versi: "A lumii kynt cu zele / Cumplita viacza / Cum se rupe szi se taie, / Ka cum ar fi o atza / i.e." (Cantemir 1973a: 332). Sono non già versi di nenie o lamentazioni popolari, come riteneva lo storico, bensì quelli iniziali del poemetto costiniano che ebbero così larga diffusione da essere assimilati dal folclore poetico, dove ne riecheggiano parafrasi come "Plâng a lumii rea viata / Ce se rupe ca o ata" (Panaitescu 1965: II, 190).
Nell'Istoria ieroglific? [Storia geroglifica] Cantemir riprende quasi alla lettera i due versi iniziali di Viiata lumii (il primo è identico nei due componimenti) e apre quindi il testo a osservazioni personali in cui si concretano rilevanti temi biblici, come la fugacità della vita, l'uguaglianza di tutti gli uomini dinanzi alla falce della morte, l'implacabilità della giustizia divina, apportando in tal modo il proprio contributo a temi e motivi dominanti della poetica barocca3. L'autore pone il lamento sulle labbra di uno degli animali che raffigurano, in quest'opera di sferzante satira politica, i boiardi e i principi in continua lotta e sanguinoso conflitto per il potere nelle derelitte Valacchia e Moldavia:
A lumii cînt cu jéle cumplit? viat?, / Cum s? trece si s? rupe, ca cum am fi o at?. / Tîn?r si b?trîn, împ?ratul si s?racul, / P?rintele si fiiul, rude s -alalt statul, / În dzi ce nu gîndéste, moartea îl înghite, / Viilor ramasi, otr?vite d? cutite. / T?rna tiranul, t?rna t?ranul astruc?, / Izbînda, dreptatea, în ce-l afl?-l giudec?, / Unii fericiti s? dzic într-a sa viat?, / Dup? moarte s? cunoaste c-au fost sloi de ghiat? (Cantemir 1973b: 163).
In generale la presenza di Costin, uomo e scrittore, è palpabile in molte pagine di Cantemir che, nella narrazione talvolta criptica di questo romanzo, pone in pessima luce la condotta di Ilie Tifescu, il boiardo che per opportunismo aveva rivelato al voivoda Constantin Cantemir le trame del complotto nel quale era implicato Velicico, il fratello di Miron Costin. È vero che lo storico sembra comunque giustificare l'azione di suo padre, definito in un primo momento "drept si cu întelepciune", ma, poco oltre, non può non riconoscerne la debolezza del carattere e i conseguenti errori politici (Cantemir 1973b: 186). In Descriptio antiqui et hodierni status Moldaviæ condivide ed esalta poi la decisione di Costin, che aveva inviato i figli in Polonia perché seguissero un corso di studi fondato sulle arti liberali4. Le parole di elogio per il collega, definito "accuratissimus Moldavorum historicus", non sono un omaggio solo formale, perché Cantemir non abbandonò mai l'idea di tradurne in latino la cronaca De neamul moldovenilor [...] e di metterla, come meritava, a disposizione di una più ampia platea di lettori.
Numerosi sono in Divanul [...] i punti di concordanza con gli scritti di Costin, che si spiegano tuttavia non con un'influenza diretta, bensì con la comune temperie culturale e letteraria in cui hanno visto la luce, segnata in maniera particolare dalla parola della Bibbia. Ciò vale per l'immagine del mondo ingannatore (Cantemir 2004: 31, 123) e della Fortuna instabile (Cantemir 2004: 57, 63, 126), per il duplice richiamo del motto dell'Ecclesiaste sulla vanità (Cantemir 2004: 36, 46), per il ricorso a detti antichi di larga popolarità5 o a citazioni tratte dalle medesime opere6, per la rielaborazione della diffusa sequenza aperta dalla retorica domanda "Ubi sunt?" Nel lamento l'autore, che abbandona la strutturazione canonica e amplia l'elencazione citando re di Persia (Ciro, Serse, Artaserse), imperatori di Roma (Cesare Augusto, Diocleziano, Massimiano, Giuliano, accanto a Romolo, il fondatore dell'Urbs) e sovrani di Bisanzio (i due Teodosio, Basilio il Macedone e Costantino, che diede il nome alla seconda Roma), immette in scena non soltanto freddi estranei, sia pure di alto rango e di universale fama, ma anche persone della cerchia intima degli affetti e in tal modo riesce a toccare più a fondo le corde sentimentali del lettore:
Unde sînt mosii, str?mosii nostri, unde sînt fratii, priatinii nostri, cu carii ieri - alaltaieri aveam împreunare si într -un loc petrécere, carii acmu din mijlocul nostru perir? si acmu s? pare c? n-au nice od?n?oar? fost? (Cantemir 2004: 42).
L'autore premette a Viiata lumii due brevi scritti introduttivi, Predoslovie. Voroava la cetitoriului [Prefazione. Discorso al lettore] e Întelesul stihurilor. Cum trebuieste sa sa citeasca [Significato dei versi. Come bisogna leggerli]: nel primo spiega le ragioni che l'hanno indotto alla stesura del poema; nel secondo compendia utili indicazioni sulla composizione e la dizione dei versi. Aggiunge poi una sezione finale, Întelesul pildelor ce sîntu în stihuri [Significato degli esempi che sono nei versi] in cui chiarisce i temi centrali del componimento, fornisce succinte informazioni storico-geografiche e analizza il concetto di noroc, uno degli elementi cardinali della tessitura ideologica del testo.
In apertura della prefazione Costin osserva che presso tutte le nazioni fiorisce un genere letterario, quello della poesia, impiegato sia nella rievocazione degli eventi capitali che hanno segnato il cammino dell'umanità, sia nella creazione del vasto repertorio di inni che hanno assicurato una voce più squillante alla liturgia cristiana. Allorché cita l'opera di Omero e di Virgilio, il cronista moldavo ne considera il solo valore di documentazione storica. Due sono le menzioni dell'aedo greco: nell'introduzione a Viiata lumii è presentato come un "vestit istoric", al quale si deve il racconto della guerra di Troia; nelle pagine introduttive a De neamul moldovenilor, din ce tara au iesit stramosii lor [Del popolo dei moldavi, da quale paese hanno tratto origine i loro antenati] è collocato, con Plutarco e Tito Livio, nell'elenco di quanti, a cominciare da Mosè, il cronista dei primordi del mondo, hanno consentito di conoscere gli avvenimenti della storia ("[...] cercîndu de - amarîntul scrisorile, cursul a multe vacuri cu osîrdie si cu mult? osteneal? au scos lumii la vedére istorii") (Costin 1965: II, 10 -11); nella stessa veste di storiografo è citato, sempre nell'introduzione al poema, anche Virgilio, che in versi latini avrebbe narrato gli albori della potenza romana. D'altra parte, nelle pagine delle cronache lo scrittore ricorda ancora un poeta, Ovidio, ma lo qualifica tre volte con l'epiteto di 'dasc?l' (Costin 1965: II, 18-19, 41), quasi volesse schierarsi per un'idea di cultura che si fondi sui fatti e ponga sul medesimo piano vicende storiche o insegnamenti morali, evitando le vanità dell'impegno letterario (res, non verba), sebbene dell'autore dei Tristia conosca la produzione poetica e i motivi che ne causarono l'esilio a Tomi7.
Sulla poesia di Omero e di Virgilio l'autore di Viiata lumii non formula alcun giudizio di natura estetica, al pari degli altri letterati romeni dell'epoca che, sulla scia della tradizione bizantina e medievale, non riconoscevano ancora la sostanziale autonomia di un genere, considerato quasi uno stampo in cui calare e tramandare i frutti della ricerca storiografica8. Nella prefazione al poema Costin sembra attenersi a un consimile orientamento, quando osserva: "si cu acestu chip de scrisoare [cioè, in poesia. N. d. A.] au scris multi lucrurile si laudile împaratilor, a crailor, a domnilor si începaturile tarîlor si a împaratiei lor" (Costin 1967: 159), ben ché più avanti compia un primo, inatteso tentativo di valutazione letteraria quando definisce "pietri scumpe si flori nevestenite" (Costin 1967: 160) i capolavori dell'innografia cristiana, che da secoli adornavano la liturgia della Chiesa e si erano sottratti, proprio per la loro preziosità e freschezza, al trascorrere del tempo. E della consapevolezza di tale svolta è pienamente convinto Daniel Vighi quando osserva:
Sintagma "flori nevestenite" dovedeste faptul c? Miron Costin avea constiinta perenit?tii esteticului care dep?seste momentul istoric al creatiei pentru a se inscrie într-o actualitate vie, reîmprosp?tat? în permanent? prin faptul însusi al recept?rii operei literare (Vighi 2014: 13).
La generale attitudine di chiusura verso la creazione poetica dominò a lungo la cultura romena, fino al cambiamento impresso da un genio della parola quale fu Budai-Deleanu (Petrescu 1972: 49). In effetti, quando narra le mirabolanti peripezie degli zingari o rievoca le gesta eroiche di Vlad l'Impalatore, l'autore transilvano ha ben chiari nella mente i modelli da seguire, che sono quelli della grande poesia, dall'antichità greco-latina al Rinascimento italiano, e il traguardo espressivo da raggiungere, "l'armonia del verso celestiale" delle Muse:
Cu toate aceste, rapit fiind cu nespusa pofta de a cânta ceva, am izvodit aceasta poeticeasca alcatuire, sau mai bine zicând jucareaua, vrând a forma s-a întroduce un gust nou de poesie româneasca [...].
Eu (spuind adevarul!) vrui sa ma rapez într-o zburata tocma la vârvul muntelui acestui, unde e sfântariul muselor, ca sa ma deprind întru armonia viersului ce resc a lor (Budai-Deleanu 2011: 6).
Se nei richiami alla poesia delle epoche passate l'autore di Viiata lumii si discosta a stento dal pensiero tradizionale, apre tuttavia una prima breccia verso una modernità di concezione quando chiarisce le finalità da perseguire con il ricorso alla versificazione, designata con i termini greco (rythmos) e slavo (stihoslovie): non più la sola illustrazione di grandi avvenimenti storici, bensì anche la trattazione di questioni di primaria importanza, quali la pochezza della vita e l'instabilità del destino. D'altronde, nel collegio gesuitico di Bar il boiardo moldavo aveva, sì, conosciuto la grande epica, soprattutto quella latina, che forse aveva maggiormente coinvolto il suo giovane cuore, ma aveva altresì scoperto i tesori della lirica di Orazio e dell'elegia di Ovidio, destinata, quest'ultima, a incidere una forte impronta sul suo animo9. Poi, avendo vissuto e studiato nel clima culturale della Rzeczpospolita, gli erano ancora più familiari le creazioni poetiche del Cinquecento e della prima metà del Seicento polacco, che de dicavano ampio spazio alla meditazione sulla condizione effimera e instabile dell'uomo nel mondo e si rivelavano per i letterati romeni e, in particolare, per quelli moldavi, oltre che un modello artistico forse inarrivabile, uno scrigno dal quale attingere affidabili precetti morali e spunti di riflessione sugli interrogativi cruciali dell'esistenza umana. Per esempio, si colgono in Apostrof di Costin rimembranze di una lettura del sonetto di Jan Kochanowski Czego chesz od nas Panie [Che cosa vuoi da noi Signore], nel quale risonava l'invito a conformare il proprio avvenire all'esercizio della virtù e al ripudio di fama, ricchezze, onori, forieri soltanto di inquietudine, insicurezza e affanni (Ceccherelli 2004: 79); si agitano in Viiata lumii, ancorché privi di riferimenti alla mitologia dell'epoca classica, gli stessi problemi che propone l'incedere della prima quartina di un sonetto di Mikolaj Sep Szarzynski, quello preceduto dalla rubrica "O krótkosci i niepeworosci na swiecie zywota czlowieczego" [Sulla brevità e incertezza della vita umana nel mondo]: "Ehej, jak gwalte m obrotne obloki / i Tytan pr pretki lotne czasy pedza, / a chciwa moze odciac rozkosz nedza / smierc - tuz za name spore czyni kroki //" (Antologja polskiej poezji [...] : 1993: 49)10.
In entrambi i casi non ci interessava tanto andare alla ricerca di archetipi o modelli, quanto semplicemente indicare la comunanza di motivi tra i letterati dei due paesi contigui, che si rafforzerà ancor più nel XVII secolo, quando i contemporanei polacchi del boiardo moldavo, Waclaw Potocki, Wespazjan Kochowski, Stanislaw Herakljusz Lubomirski e altri ancora, schiuderanno sovente il verso a motivi biblici, anzitutto quelli dei Salmi e dell'Ecclesiaste, Perché, pur nell'ostentazione esagitata e nel clamore reboante dello spirito barocco che con il consueto iato temporale si diffondeva anche nell'Europa orientale, l'uomo di allora si ritrova orfano di certezze e valori assoluti. O, meglio, barca squassata dalle onde di un mare sempre in tempesta, ripone la consolatoria speranza di un approdo sicuro solamente nella bontà e nella clemenza del Creatore.
Dopo avere indicato il genere da introdurre e la materia da svolgere nel poema, Costin si assegna un compito arduo, venato di quello spirito patriottico che alita in tutta la sua opera: comprovare che la lingua romena, patrimonio avito delle genti di Moldavia, di Valacchia, di Transilvania e del Banato, possiede i requisiti per divenire strumento di espressione poetica. Lo stimola, dunque, all'ingrata fatica del comporre versi in una landa quasi desertica e chiusa ancora ai traguardi poetici non il desiderio di elogi e riconoscimenti, bensì la volontà di una "défense et illustration" della lingua materna: "Nu sa poftescu vreo lauda dintr-acesta putinea osteneala, ci mai multu sa sa vaza ca poate si în limba noastra a fi a cest féliu de scrisoare ce sa chiama stihuri" (Costin 1967: 160). E una volta che gli uomini di lettere romeni si fossero addentrati, sulla scorta delle sue indicazioni teoriche e tecniche, nel terreno inesplorato della poesia, avrebbero potuto affrontare anche altri generi letterari, se soltanto la mentalità degli abitanti del paese e le condizioni politiche fossero state diverse, perché alla lingua non mancavano gli indispensabili pregi. Questa fiducia nelle potenzialità del romeno supera finanche i dubbi e le esitazioni che più di un secolo dopo avrebbe palesato Budai-Deleanu quando, non osando misurarsi nella composizione di un poema epico a causa dell'inadeguatezza linguistica, ripiegava su un genere 'minore', quello eroicomico:
Ravarsându-si întru mine neste scântei din focul ceresc a muselor, bucuros as fi cântat doara pre vreun eroe dintru cei mai sus-numiti; însa, bagând de sama ca un feliu de poesie de-aceste, ce sa cheama epiceasca, pofteste un poet deplin si o limba bine lucrata, nesocotinta dar ar fi sa cânt fapte eroicesti, mai vârtos când nice eu ma încredintaz în putere, iar neajungerea limbii cu totul ma dezmânta... (Budai -Deleanu 2011: 6).
Il boiardo moldavo aveva sperimentato sulla propria pelle gli ostacoli frapposti alla creazione letteraria dagli eventi bellici (perché Inter arma silent enim leges, e non solo!), quando sono ben pochi coloro che, in quiete e serenità d'animo, vi si possono dedicare, e quei pochi non sono neanche in grado di dare alla stampa, per mancanza di tipografie, il frutto della propria fatica:
Ma vei ierta, iubite cititoriule, caci nu t-am scris acéste sémne la locul sau. Crede neputintii oamenesti, créde valurilor si cumplitelor vrémi, întreaba pe ce vrémi am scris si cît amu scris. As hi lipit acéste sémne la rîndul sau, ce amu era trecut rîndul la izvodul cel curat, si scriitori carii izvodescu putini sa afla, iara tipar nu -i. Deci aicea de acéste sémne îti dau stire, si ales povéstea lacustelor, care cu ochii cumu veniia am pravit (Costin 1965: I, 166-167).
Ecco perché nella Prefazione al poemetto esprime con caldi accenti l'auspicio che il ritorno della pace gli consenta finalmente di attendere all'amato impegno, non circoscritto nello stretto ambito del genere poetico, ma diretto altresì alla composizione di "alte dascalii si învataturi":
Si nu numai aceasta, ce si alte dascalii si învataturi ar putea fi pre limba româneasca, de n-ar fi covîrsit vacul nostru acesta de acum cu mare greotati, si sa fie si spre învataturi scripturii mai plecate a lacuitorilor tarii noastra voe (Costin 1967: 160).
Un impegno che potrà manifestare anzitutto negli scritti storiografici, capaci di diradare le tenebre dell'ignoranza, "sa nu ramîie întru întunérecul nestiintei" (Costin 1965: II, 11), come precisava con parole di elogio i fini perseguiti e raggiunti dal suo immediato predecessore Ureche, la cui cronaca aveva voluto riprendere e proseguire.
Nelle pagine introduttive a De neamul moldovenilor [...] Costin, dopo avere indicato gli obiettivi da raggiungere, osserva con mesta consapevolezza che la realtà tempestosa dei tempi, intessuta di "preoccupazioni e sospiri", vanificava ogni sforzo di concorrere con i frutti della fatica intellettuale all'elevazione spirituale del lettore. E ritorna qui, in maniera quasi ossessiva, l'aggettivo cumplit, l'unico che a suo avviso possa esprimere al meglio il tratto distintivo dell'epoca:
Fost-au gîndul mieu, iubite cititoriule, sa fac létopisetul Tarîi noastre Moldovei din descalecatul ei cel dintai, carele au fost? de Traian -împaratul si urdzisam si începatura létopisetului. Ce sosira asupra noastra cumplite acestea vrémi de acmu, de nu stam de scrisori, ce de griji si suspinuri. Si la acest? fel de scrisoare gînd? slobod si fara valuri trebueste. Iara noi pravim cumplite vrémi si cumpana mare pamîntului nostru si noaa (Costin 1965: I, 4).
I drammatici avvenimenti interni ed esterni di un paese in continuo conflitto non soltanto toglievano agli uomini di lettere la possibilità di dedicarsi in piena tranquillità all'otium prediletto, ma impedivano altresì ai lettori di conoscere i frutti del loro ingegno e di trarne giovamento. Come lo scrittore ripete in diverse occasioni, la lettura gli appare l'esercizio più profittevole, non soltanto perché le pagine testamentarie offrono a un buon cristiano la possibilità di accostarsi di prima mano alle verità della fede e di trovarvi più validi mezzi per penetrare nel mistero divino:
Crezu, din Scripturi stim si din Scripturi avem si sfînta credinta a noastra crestineasca si mîntuirea noastra cu pogorîrea fiiului lui Dumnezeu si împelitarea cuvîntului lui, cel mai denainte de véci în firea omeneasca (denafara de pacatu), Scriptura ne deschide mintea, de ajungem cu credinta pre Dumnezeu, duhul cel nevazut si necoprinsu si neajunsu de firea noastra (Costin 1965: II, 10);
per rendere grazie alla bontà dell'Onnipotente, per raggiungere nell'ora presente la felicità e per assicurarsi nei tempi a venire l'immortalità del nome:
Cu cetitul cartilor cunoastem pe ziditoriul nostru, Dumnezeu, cu cetitul lauda îi facem pentru toate ale lui catra noi bunatati, cu cetitul pentru gresalele noastre milostiv îl aflam. Din Scriptura întelégem minunate si vécinice fapte puterii lui, facem fericita viiata, agonisim nemuritoriu nume. Sîngur Mîntuitorul nostru, Domnul si Dumnezeu Hristos, ne învata, zicîndu: "?c???a??e ??ca??a", adeca: "Cercati Scripturile" (Costin 1965: II, 13),
ma anche perché il sapere desunto dalle opere scritte svolge un'elevata funzione educativa: consente di conoscere gli eventi del passato e offre, di conseguenza, la possibilità di ricavarne utili indicazioni per la vita futura, evitando che l'umanità ripiombi nei medesimi errori.
Il concetto umanistico della storia intesa quale "magistra vitæ" sulla scorta dell'ampio ragionamento del ciceroniano De oratore, già prospettato nelle pagine introduttive a De neamul moldovenilor [...]: "Scriptura departe lucruri de ochii nostri ne învata, cu acéle trecute vremi sa pricépem céle viitoare. Citéste cu sanatate aceasta a noastra cu dragoste osteneala" (Costin 1965: II, 13), trova più largo svi - luppo e diffusa argomentazione nel corso dell'altra cronaca, dove l'autore si abbandona a un'accorata esortazione rivolta ai reggitori dello Stato e ai loro più prossimi collaboratori affinché traggano norme di vita e di condotta dall'azione di quanti li avevano preceduti nelle posizioni di responsabilità politica:
Nimè sa nu banuiasca, caci sa pomenesc? acéstea, ca létopisetile nu sint? numai sa le citeasca omul, sa stie ce au fost? în vrémi trecute, ce mai mult? sa hie de învatatura, ce ieste bine si ce ieste rau si de ce-i sa sa fereasca si ce va urma hiecine: domnul den faptele domnilor, care cum au fost? si cu ce véste si pomana, sa ia urma de viiata, boierii urmînd? pre boierii cei cinstesi si întalepti, slujitoriul a slujitoriu, ca cinesi dupa breasla sa, cine urmadza pre cel cinstes, cinstit, cine urmadza pre cél rau, rau ieste si rau sa va savîrsi (Costin 1965: I, 191-192).
In ogni modo, la narrazione storica può svolgere appieno tale funzione di ammaestramento soltanto se poggia, come accade nel caso di autori seri e avveduti, su solide fondamenta di verità, perché allora l'opera scritta si rivela specchio donato da Dio all'uomo, nel quale si riflettono con nitore e precisione i fatti umani e gli eventi naturali:
Dzice-va nestene: prea tîrziu ieste; dupa sutele de ani, cum sa voru putea sti povestile adevarate, de atîtea vacuri? Raspunzu: Lasat-au puternicul Dumnezeu iscusita oglinda mintii omenesti, scrisoarea, dintru care, daca va nevoi omul, céle trecute cu multe vremi le va putea sti si oblici. Si nu numai lucrurile lumii, staturile si - ncepaturile tarîlor lumii, ce si singura lumea, ceriul si pamîntul, ca sîntu zidite dupa cuvîntul lui Dumnezeu celui putérnic (Costin 1965: II, 1).
Ancora un'esaltazione dell'elemento visivo, peculiare del suo pensiero, ma, nello stesso tempo, un'energica riaffermazione del valore preminente della parola scritta, capace di proiettare l'uomo, nonostante la sua caducità sulla scena del mondo, nella dimensione dell'eterno, che nei versi di Viiata lumii si esprime con l'omaggio ai valori salvifici della memoria, unica possibilità di riscatto dalle tenebre dell'oblio incombenti sulla sua esistenza. Questo riconoscimento pone le formulazioni di Costin in contrasto con il dettato delle Sacre Scritture che sembrano negare all'uomo la stessa consolazione del ricordo: "Non resta più ricordo degli antichi, / ma neppure di coloro che saranno / si conserverà memoria / presso coloro che verranno in seguito" (Ecclesiaste 1, 11), perché, al di là del carattere transeunte del suo essere, che pure viene ribadito con forza, l'uomo può viver e una vita meno effimera nel ricordo degli altri: "Cei ce acum petrecem, pomenim altii / Trecuti; de noi cu vreme vor pomeni altii" (Costin 1967: 167).
Nelle immagini di quello specchio ogni uomo, in particolare ogni romeno, può rivivere, senza alcun distorcimento, il passato della propria nazione e trovare il supporto per respingere tutte le fole calunniose che taluni storici avevano propalato sul suo conto, talvolta per pura ignoranza, talvolta per incontenibile invidia (da sempre merce non rara nelle relazioni tra i popoli del mondo), talvolta per l'insensatezza e la vacuità delle loro pagine:
Cauta-te dara acum, cetitoriule, ca într-o oglinda si te privéste de unde esti, lepadîndu de la tine toate célelalte basne, cîte unii au însemnatu de tine, din nestiinta rataciti, altii din zavistie, care din lume între neamuri n -au lipsitu niciodata, altii de buiguite scripturi si desarte (Costin 1965: II, 17).
Nell'introduzione a De neamul moldovenilor[...] lo scrittore passa da tali affermazioni di carattere generale a una concreta esemplificazione e addita al ludibrio del lettore quanti avevano scientemente interpolato inimmaginabili fandonie nella cronaca di Ureche. L'attacco è in particolare rivolto contro Simion Dasc?lul, Misail Calugarul e altri ancora, nominati ad uno ad uno. Quei sedicenti storiografi non soltanto erano, osserva Costin, incorsi in assurdi e ridicoli anacronismi, come la fantasiosa richiesta di coloni che Ladislao I d'Ungheria avrebbe rivolto a Traiano, due sovrani regnanti a distanza di oltre un millennio,11 ma avevano gettato fango sul popolo di Moldavia, quando ne avevano sostenuto la discendenza dai galeotti deportati in quella regione all'epoca della conquista romana. A tale conclusione erano pervenuti non sulla scorta di prove storiche o documentali, ma fondandosi su una particolare costumanza dei contadini moldavi, usi a radersi circolarmente i capelli al sincipite, la stessa tonsura cui sarebbero stati soggetti a Roma i condannati ai lavori forzati, mentre Costin comprova che l'usanza era consueta tra gli stessi legionari romani. Il cronista non poteva rimanere insensibile a simili calunnie, tanto più che la parola scritta sfida il passare dei secoli e, se oltraggiosa, si tramuta in perenne marchio negativo per un individuo o per un popolo. Uno storico serio deve procedere con discernimento e addossarsi la responsabilità di quanto scrive, e questo fa l'autore di De neamul moldovenilor [...] in un'esplicita dichiarazione che potrebbe assumersi a modello di comportamento per quanti vogliano narrare le vicende umane in maniera corretta e obiettiva:
De acéste basne sa dea seama ei si de aceasta ocara. Nici ieste saga a scrie ocara vécinica unui neam, ca scrisoarea ieste un lucru vécinicu. Cîndu ocarasc într-o zi pre cineva, ieste greu a rabda; dara în veci? Eu voi da seama de ale méle, cîte scriu (Costin 1965: II, 12).
Costin non si limita a insistere sugli aspetti utilitaristici della pagina scritta, strumento per penetrare la sfera del divino e dell'umano; non concorda soltanto con l'idea della funzione catartica e consolatoria del testo letterario, che aveva carat - terizzato la speculazione dell'antichità classica, a iniziare dal pensiero aristotelico, e trovato sviluppo e potenziamento in epoca umanistica, ma ammanta le proprie convinzioni di un inatteso velo edonistico ed estetico, sciolto da ogni legame con implicazioni civili, morali o religiose. A suo avviso, lo scopo dell'opera scritta non è soltanto quello, dilettevole e confortante, di concedere una pausa di serenità nel dipanarsi più spesso tempestoso degli anni della vita, ma è soprattutto quello di assicurare all'uomo momenti di puro ed esclusivo piacere artistico.
Questa idea di impronta moderna sostanzia e informa la prefazione a De neamul moldovenilor [...], dove la preghiera alla Divinità perché concorra a riportare la pace in terra si conchiude con un elogio incondizionato della lettura, il più utile degli impegni, sì, ma anche il più gradevole e godibile:
Putérnicul Dumnezeu, cinstite, iubite cetitoriule, sa-ti daruiasca, dupa acéste cumplite vremi anilor nostri, cînduva si mai slobode veacuri, întru care, pe lînga alte trebi, sa aibi vréme si cu cetitul cartilor a face iscusita zabava, ca nu ieste alta si mai frumoasa, si mai de folos în toata viiata omului zabava decîtu cetitul cartilor (Costin 1965: II, 13).
Evidente anche in questo caso la peculiare funzione che Costin riserva alle note introduttive delle sue opere: non gli servono solamente a le ragioni che l'hanno spinto a intraprenderne la scrittura, ma gli offrono altresì il verso per intavolare un colloquio intimo con il lettore, coinvolto emotivamente grazie al reiterarsi dell'allocuzione "iubite cititoriule" (meno spesso, "cititoriule", "cinstite, iubite cititoriule") e rassicurato sui frutti profittevoli che coglierà sfogliandone il testo. Lo scrittore non sente la necessità di avvalorare le proprie affermazioni con il richiamo alla dottrina di altri, come accade, per esempio, nelle pagine che Radu Greceanu premette a Viata lui Constantin Brâncoveanu, dove la prefazione si tramuta in un'epistola dedicatoria al protagonista esaltato nell'opera, tra uno scintillio di nomi e di autorità, da Diogene a Platone, da Gregorio di Nazianzo a Giovanni Crisostomo, mentre i lettori rimangono sullo sfondo o sono del tutto ignorati. Le prefazioni del cronachista moldavo valgono invece a creare tra autore e lettore, tra testo scritto e fruitore una salda relazione che, da un canto, si fonda sul valore didattico-morale del libro (F?rmus 2013: 64) e, dall'altro, si articola nelle movenze di una confessione rivolta ad accattivare l'animo dell'interlocutore, a trasmet tergli, con drammaticità di accenti, "le rythme du vécu de l'auteur et de sa réalité," tanto che quelle pagine introduttive divengono "non seulement d'extrêmement généreux et complexes documents de littérature, mais aussi d'impressionnants fragments de vie immédiate" (Lazar Zavaleanu 2013: 288).
Nella sezione successiva alla prefazione di Viiata lumii, intitolata Întelesul stihurilor. Cum trebuieste sa sa citeasca, l'autore si sofferma a spiegare la tecnica versificatoria della composizione. Il breve trattato, il primo che nella cultura romena abbia toccato problemi di metrica, prosodia e teoria letteraria (Popovici 1944: 170172; Cartojan 1980: 313), si apre con la definizione del verso ("Stihul iaste nu ca alta scrisoare dezlegata, ci iaste legata de sileave, cu numar"), passa poi a informare sulla sillaba ("silava iaste împreunare a doao slove, cum iaste: ba, va, ga, da i proci")12, il metro ("stihurile ceste ce scriu într-aceasta cartulue, au 13 silave, iara sa pot si în 9, si în 7 a face, si sîntu si într-alte chipuri stihuri, la alte limbi, cum iaste elineasca sau latineasca"), la rima ("Deci are si alta datorie stihul: cuvintele cele la fîrsitul stihului a doao stihuri sa tocmasca într -un chip, pe o slova sa sa citeasca, cum iaste: ata - viiata, frunte - munte, lume - spume i proci"), l'elisione ("Asijderea, unde sa vor prileji trei slove, carora le zicea unoglasnice, ce s-ar zice de un glas, cum iaste a, e, i, o, acestea de sa vor prileji trei alaturea, sa lipseasca una, cum iaste: nici o avutie. Aicea cauta ca o iaste între e si între a, deci o piare, si vei ceti nici avutie i proci"), la crasi ("Alta, pentru aceasta slova ?13, cîndu va avea înaintea sa iara o slova unoglasnica, sa întuneca, cum vei gasi între stihuri un stih într -acestasi chip: mari împarati si vestiti, carele nu-l ceti: mari împarati, ce mari-mparati, ca în în lipseste slova ce iaste înainte")14. Oggi queste delucidazioni appaiono troppo elementari, ma all'epoca la questione del verso, al pari della stessa scrittura poetica, era ancora un terreno incolto; né i contemporanei di Costin furono in grado di arricchirla con un contributo più valido, come attestano le osservazioni formulate da Dosoftei sul medesimo argomento, dalle quali emerge un livello di conoscenze non certo superiore (Tepelea, Bulg?r 1973: 71).
Del ritmo Costin non parla, forse perché gli sembra non confacente spiegarne agli sprovveduti lettori i principi e i modi di realizzazione, anche se il rinvio al termine 'dulceata' gli serve con ogni probabilità a definire proprio quanto di dilettevole (e, quindi, di esteticamente rilevante) si ricavi dall'appropriata dizione di un componimento poetico, e il diletto dipende dalla sagace scelta delle parole e dall'accorta concatenazione dei versi, portatori di un significato compiuto che è possibile cogliere soltanto con un'adeguata tecnica di lettura:
Cetindu, trebue sa citesti si al doilea, si al treilea rîndu, si asa vei întelege dulceata, mai vîrtos sa întelegi ce citesti, ca a ceti si a nu întelege iaste a vîntura vîntul sau a fiiarbe apa (Costin 1967: 162).
L'autore indica poi il metro del poema, il verso di tredici si llabe, lo stesso che più tardi riprenderà in Poema polona, sul modello della poesia polacca del Cinquecento, che manifestò anche in Moldavia una forte influenza, come già aveva condizionato, attraverso la mediazione ucraina, la nascita e i primi passi della versificazione russa (Unbegaun 1958: 21-22). Per la precisione, servì da modello prosodico a Costin un tipo di verso meno diffuso, quello anisosillabico, che si caratterizzava per una ricca varietà di schemi metrici (7,6; 7,5; 7,7; 8,6; 6,6; 6,5) (Gáldi 1963: 128-132; 1964: 50 sgg.).
In generale, il verso di Viiata lumii rispetta la misura canonica di tredici sillabe, spezzata dopo la settima dalla cesura, normalmente femminile, come nel verso iniziale: "A lumii cîntu cu jale | cumplita viiata", ma, in un buon numero di casi, maschile: "Fost-au Tiros împarat, | vestit cu razboae", sebbene non manchino i dodecasillabi con cesura dopo la settima sillaba: "Cele ce trec nu mai vin, | nici santorcu iara" o ripartiti in due clausole isosillabiche: "Cu griji si primejdii | cum iaste si ata", né siano rari i versi di quattordici sillabe, con cesura dopo la settima sillaba: "Zice David prorocul: | "Viiata iaste floare" o l'ottava: "Una fapta, ce-ti ramîne, | buna, te lateste". La giusta misura dei versi che presentano un numero maggiore di sillabe e si pongono in evidente contrasto con le norme della poesia polacca del Cinquecento, potrebbe essere comunque ristabilita attraverso procedimenti sia pure inconsueti di elisione o di contrazione (Gáldi 1954: 52-53).
Sebbene in possesso di una solida preparazione in campo prosodico, acquisita durante gli anni di studio a Bar che l'avevano messo a diretto contatto con la poesia della classicità e del secolo d'oro polacco, l'autore, volendo presentare un primo saggio di genere poetico a una platea di lettori digiuni delle più elementari nozioni in materia, adegua il 'trattatello' al loro livello di conoscenze. A eccezione dei giovani boiardi che completavano all'estero la loro istruzione (in Ucraina, in Russia e, soprattutto, in Polonia), il rimanente pubblico della Moldavia del XVII secolo era del tutto ignaro di poesia. O, meglio, le si accostava senza avvedersene, quando ascoltava in chiesa l'incedere solenne degli inni liturgici o quando, nei momenti lieti e tristi della vita quotidiana, era accompagnato dalla voce melodiosa dei canti folclorici, che in tutte le contrade dell'Europa balcanica e orientale, costituirono per secoli, senza distinzione di lingua o cultura, l'unica espressione dei sentimenti popolari.
Infine, nelle pagine di Întelesul pildelor ce sîntu în stihuri, l'autore precisa ancora una volta il tema e lo scopo del poema, una riflessione sulla vanità delle aspirazioni umane che si legava soprattutto alla parola dei Salmi di Davide:
Din toate stihurile sa înteleg desartarile, si nestatatoare lucrurile lumii, si viiata omeneasca scurta, cu marturie din David prorocul, mai ales. Apoi, unde sa pomeneste de ceriu si de soare, de luna, de stele, acestea toate ca vor avea sfîrsit si sa vor primeni. Sfînta Scriptura ne învata: numai Dumnezeu iaste fara sfîrsit si vecinic (Costin 1965: 168);
poi - sempre con la testimonianza delle Sacre Scritture, in particolare del Vangelo di Matteo, ripreso quasi alla lettera: "Subito dopo la tribolazione di quei giorni, il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, gli astri cadranno dal cielo e le potenze dei cieli saranno sconvolte" (Matteo 24:29) - argomenta e attesta la legittimità della visione apocalittica della fine del mondo raffigurata nei versi:
Ceriul faptu de Dumnezeu cu putere mare, / Minunata zidire, si el fîrsit are. / Si voi, lumini de aur, soarile si luna, / Întuneca-veti lumini, veti da gios cununa. / Voi, stele iscusite, ceriului podoba, / Va asteapta groaznica trîmbita si doba. / În foc te vei schimosi, peminte, cu apa (Costin 1967: 163-164).
Nel prosieguo del commento l'autore si sofferma su due elementi di natura storica e geografica sviluppati nei versi del poemetto. Anzitutto sulla vicenda di Ciro, che aveva concepito l'ambizioso disegno di estendere il proprio dominio sull'intera Asia, ma era stato sconfitto e decapitato dalla regina degli sciti Tomyris, alla quale avrebbe ucciso tre figli in battaglia. Questo tragico epilogo era già attestato in Erodoto (Storie: I, 204-205), ma le parole irridenti di Tomyris: ""Satura-te de moarte, Tiros, si te stinge / De varsarea sîngelui, o, oame înfocate, / Ca de vrajmasiia ta nici Ganghes poate / Cursul sau sa-l pazeasca [...]'" (Costin 1967: 165) risalgono alla narrazione dello storico cristiano Paolo Orosio: "Satia te, inquit, sanguine quem sitisti, cujius per annos triginta insatiabilis perseuerasti" (Orosio M.D.LXXIII.: 91), la stessa di cui si avvale Dante Alighieri, quando, incastonando nel volgere perfetto di una terzina ciascuno dei tredici esempi di superbia punita rappresentati sul pavimento del girone, ricorda anche il caso del sovrano di Persia: "Mostrava la ruina e 'l crudo scempio / che fé Tamiri, quando disse a Ciro: / 'Sangue sitisti, e io di sangue t'empio'" (Purgatorio, XII, 55-57).
La madre che aveva compiuto quel plateale atto di vendetta sull'assassino dei suoi tre figli - ma altri storici e lo stesso Orosio (Orosio M.D.LXXIII.: 90 -91) scrivono di un solo figlio adolescente - è da Costin qualificata con il titolo di "regina dei tartari", con un anacronismo peraltro normale nelle sue pagine e in quelle di altri scrittori. In effetti, la storiografia dell'epoca identificava gli effettivi avversari di Ciro - gli sciti15, i massageti e altre popolazioni di ceppo affine - con i tatari, nomadi di stirpe turanica, venuti sul proscenio della storia molti secoli dopo, quando avevano iniziato, assieme ai mongoli, un'inarrestabile marcia di conquista e rapina verso l'Occidente europeo. Nel 1240 occuparono Kiev, la capitale della Russia medievale, che per circa due secoli e mezzo rimase tributaria dell'Orda d'Oro, lo Stato che gli invasori avevano formato nelle sconfinate steppe russe; proseguirono poi il loro devastante cammino attraverso Polonia e Ungheria e giunsero fino alle rive orientali dell'Adriatico, seminando dappertutto, come un tempo le torme di Attila, terrore e morte. E, l'abbiamo visto, anche nei seco li successivi, le popolazioni di Polonia, Moldavia e Valacchia ne dovettero subire frequenti attacchi e incursioni. Proprio per la loro infernale crudeltà e diabolica ferocia gli annalisti e gli storiografi occidentali, con evidente allusione al Tartaros della mitologia greca, li avevano ribattezzati 'tartari'16.
Quindi l'autore di Viiata lumii offre al lettore nozioni aggiuntive sul Gange, teatro degli eventi culminanti della vicenda politica e umana di Ciro il Grande:
Ganghie iaste o apa curatoare mai mare decît Nilul si decîtu Dunarea; iaste la Indiia acea apa, din cele patru ape ce es din raiu. Sa chiama la Sfînta Scriptura Gheon si ia disparte Hindiia în doao parti (Costin 1967: 169)
e lo identifica con uno dei quattro fiumi che rendevano rigogliose le plaghe del mitico Eden e che, sprofondati poi in un lungo percorso sotterraneo, risalivano infine, secondo la leggenda, alla superficie, irrigando le più fertili regioni della Terra. La Bibbia ne indica i nomi, e cioè Eufrate, Pison, Ghion e Chiddechel (Genesi 2:11), che, lungo i secoli, il commento dei biblisti, la ricerca degli uomini di lettere e la fantasia degli autori popolari, ciascuno sul fondamento di una personale teoria, tentarono di identificare con corsi d'acqua più conosciuti. Che il fiume sacro dell'India corrispondesse proprio al Ghion del Paradiso terrestre Costin l'aveva con ogni probabilità appreso da un'opera postuma dell'erudito spagnolo del Cinquecento Antonio de Torquemada, quel fantasmagorico Jardín de flores curiosas [...] che conobbe per secoli ampia diffusione nelle principali lingue d'Europa, benché fosse stata incluso nell'Index librorum prohibitorum. A Venezia ne venne pubblicata nel 1591 una traduzione italiana di Celio Malespina, ristampata nel 1612 e nel 1620, un cui esemplare potrebbe essere stato consultato dall'allievo dei gesuiti nella biblioteca del collegio di Bar17, considerato che non pochi dei docenti erano originari della nostra Penisola.
La sezione e l'opera si concludono con brevi considerazioni sulla Fortuna e sul suo rifrangersi sull'esistenza dei mortali, e proprio la voce 'noroc' è l'ultima a essere vergata e sottolineata in chiusura del commento a Viiata lumii: "Deci, cum întîmplarile acestea au nume în toate limbile, asa si în limba noastra cu un cuvîntu sa închide si sa zice: norocul" (Costin 1967: 169).
Miron Costin, possiamo dirlo, più di altri provò sulla propria pelle l'alterno gioco della Fortuna, quella cattiva, che lo costrinse due volte, e per lunghi anni, all'esilio in terra straniera, non gli risparmiò violenti scontri con gli avversari politici, lo spinse, infine, sotto la mannaia del carnefice; quella buona, che lo fece nascere in una famiglia aristocratica, gli consentì gli studi in un'istituzione di prestigio, lo salvaguardò dalle insidie belliche, lo accompagnò lungo una carriera disseminata di allori. E solamente il caso, in frangenti tempestosi e drammatici, preservò dalla distruzione e dall'oblio le sudate carte di un autore che, nonostante le avverse condizioni (tante volte, lontano dalla sua biblioteca, dovette fondare sulla memoria note e citazioni storiche!), si dedicò con passione alla faticosa stesura delle cronache, non mero esercizio di scrittura letteraria, ma consapevole impegno per restituire all'amata patria moldava e, più in generale, romena la dignità di un'origine illustre, offuscata ma non cancellata dal lungo servaggio. Come scriveva di lui Nicolae Iorga, "Miron e un poet, un pasionat, un ambitios, deschiz?tor de cale în cultura neamului s?u si f?uritor de teorii, iar, în politic?, un entuziast si un vizionar" (Iorga 1969: 76), un visionario e un sognatore che, in anticipo di due secoli, prefigurò l'unione di tutte le genti romene in uno Stato sovrano e apportò, grazie all'argomentata riaffermazione della loro unità etnica, storica, culturale e folclorica, un fattivo contributo alla realizzazione di quel sogno.
La vita del mondo
Prefazione. Discorso al lettore
In tutti i paesi, amato lettore, si ritrova questo genere di scrittura che in greco si chiama rythmos, e in slavo stihoslovie, e con questo tipo di scrittura hanno molti narrato le gesta e le lodi degli imperatori, dei re, dei principi e le origini dei paesi e dell'impero loro. Così il famoso storico Omero ha narrato le guerre della Troade con Achille, così Virgilio - l'origine dell'impero di Roma e altri innumerevoli sapienti; in questo modo anche i santi maestri della nostra Chiesa, come Giovanni Dama- sceno, Cosma, Teofane, Mitrofane, Andrea di Creta hanno scritto canti della santa Chiesa, inni, canoni, antifone, con i quali, come pietre preziose e fiori non vizzi, hanno adornato la Chiesa. Su questo modello ti ho scritto anch'io questo piccolo libro, il cui nome è La vita del mondo, mostrandoti in breve quanto sia instabile e poca la vita nostra e soggetta sempre a perigli e cangiamenti. Non perché io desideri una qualche lode per questa poca fatica, ma perché si veda ancor più come possa esservi anche nella lingua nostra questo genere di scrittura chiamato poesia. E non soltanto questa, ma altri precetti e ammaestramenti potrebbero altresì essere in lingua romena, se questo nostro secolo di adesso non fosse soverchiato da grandi avversità; e siano le aspirazioni degli abitanti del nostro paese più acconce anche a modelli di letteratura!
Leggi in buona salute e guardati per quanto più puoi dai perigli del mondo, con l'ausilio dell'onnipotente Signore Iddio. Amen.
Significato dei versi. Come bisogna leggerli
Il verso non è come un'altra scrittura libera, ma è legato alle sillabe per il numero; la sillaba è l'unione di due lettere, come ba, va, ga, da, e così via. Quindi, di tali sillabe questi versi che scrivo in questo libriccino ne hanno 13, ma se ne possono fare ancora di 9 e di 7, e vi sono altresì versi di altri tipi, in altre lingue, come la greca o la latina. Ti rendo però edotto di questo genere in cui ti ho scritto qui, della vita del mondo.
Poi il verso ha anche un altro vincolo: le parole alla fine del verso di un distico concordino in modo da leggervi la stessa lettera, come ata - viata [filo - vita], frunte - munte [fronte - monte], lume - spume [mondo - schiume], e così via. Inoltre, alla lettura, dove vi saranno parole che esigono che le abbrevi: se ne prolungherai la pronuncia, ti parrà che il verso non sia giusto, ma occorre che lo prolunghi dove va prolungato, lo abbrevi dove va abbreviato. Del pari, dove si avranno tre lettere che dicevano vocaliche, che si direbbero di un solo suono, come a, e, i, o; se di queste ne capiteranno tre di seguito, se ne tralasci una, come in nici o avutie [neanche una ricchezza]. Osserva qui che o è tra e ed a, quindi o si dilegua, e leggerai nici avutie, e così via. Altro, per questa lettera ?: quando avrà invece dinanzi una vocale, si dilegua, come troverai tra i versi un verso di questo tipo: mari îmsidebarti si vestiti [grandi e famosi imperatori], non leggerlo mari îmsidebarti, bensì mari-mparati, perché in în manca la lettera che è dinanzi.
Leggendo, bisogna che tu legga sia il secondo, sia il terzo rigo, e così ne intenderai il sapore, soprattutto che tu intenda quel che leggi, perché leggere e non intendere è vent il vento o far bollire l'acqua.
La vita del mondo
Vanità delle vanità, e tutto è vanità.
Canto con dolore l'orribile vita del mondo,
Tra affanni e perigli simile a un filo:
Assai sottile e breve tempo durevole.
Oh, mondo malvagio, mondo ingannatore!
Passano i giorni come ombra, come ombra d'estate,
Quei che passano più non vengono, né tornano ancora.
Passa il secolo sfrenato, passano gli anni con la ruota,
Fuggono i tempi come ombra, e neanche una porta
Li può arrestare. Passano tutte abbattute
Le cose del mondo, e oltremodo orribili.
E come acqua che nel suo corso non si arresta,
Così il corso del mondo non s'interrompe.
Fumo e ombra sono tutte le cose, sogni e apparenza.
Cosa non distrugge il mondo e in cosa non v'è declino?
Schiuma del mare e nuvola effimera sotto il cielo.
Che v'è al mondo che non abbia nome mortale?
Dice il profeta Davide: "La vita è un fiore,
Non dura, perché è subito effimera".
"Verme sono io, e non uomo", grida quegli ancora.
Oh, malvagio, come non può non lagnarsi ognora
Di te tutto quanto esiste? Che cosa sfugge
Non abbattuto, immutato? Che cosa non si ostina
Verso il declino di te? Tu con il tempo tutte le cose
Cambi, e nulla può esistere in eterno.
Il cielo fatto da Dio con gran possanza,
Splendida creazione, pur esso ha fine.
Anche voi, luci d'oro, sole e luna,
Offuscherete le luci, reclinerete l'aureola.
Voi, stelle leggiadre, ornamento del cielo,
Aspettano voi l'orrida tromba e il timpano.
Nel fuoco vi deformerete, terra e acqua.
Oh, la vanga chi non attende amaramente!
Nulla v'è che esista in eterno, il mondo tutto distrugge,
Tutte le cose sono instabili, tutte sono schiume.
Tu, padre di tutti, signore e imperatore,
Soltanto tu oltrepassi tempi smisurati.
Le altre cose con il tempo si distruggano tutte.
Solo tu hai dato ai tempi che ogni cosa scompaia.
Stiamo sotto il tempo, con il tempo viviamo la vita,
Andiamo dietro al volto ingannatore del mondo.
Il tempo è un sodale del mondo, e la fortuna ne è l'altro,
Sempre pronto a innalzare, a rovinare.
Noi chiamiamo fortuna le cose a genio
O i perigli quando ci avvengono, o qualche affanno.
Alla fortuna hanno posto il nome i vegliardi del mondo,
Essa è quella che amaramente inebria molti.
Essa innalza, essa abbatte, essa spezza la vita,
Con il sodale suo, il tempo, rovina tutte le cose.
La fortuna non sta in un luogo, in un'ora cambia il passo.
Gli anni non possono portare quanto porta l'ora.
Ha solamente mani e ali, e non piedi
Perché no n se ne possa mai stare in un solo luogo.
Il tempo principia i paesi, il tempo li finisce,
Il tempo muta i lunghi imperi,
Il tempo distrugge tutte le cose; né un impero
Lascia esistere in eterno, né una ricchezza
Può durare molto. Dove sono i grandi e famosi
Imperatori del mondo? Ora a malapena ne è noto
Il nome dalle narrazioni antiche. Essi sono tra i perigli
Passati. Chi si abbandona alla speranza del mondo?
Dove sono gl'imperatori del mondo? Dov'è Serse,
Alessandro il Macedone, dov'è Artaserse,
Augusto, Pompeo e Cesare? Essi hanno preso il mondo,
Il mondo li ha spenti tutti con il tempo, come schiume.
V'è stato Ciro imperatore, più di tutti famoso
Per guerre, ricchezze. E molto affanno
Ne hanno avuto e gl'indiani e i tatari e l'Asia tutta.
Guarda a che l'ha condotto la ruota ingannatrice:
L'ha preso una donna, gli ha posto il capo nel sangue.
"Satollati di morte, Ciro, e placati
Dal versare sangue, oh, uomo focoso,
Perché a causa della tua crudeltà neanche il Gange
Può mantenere il suo corso". Così si beffa
Degl'imperi il mondo, così li abbatte.
Nemmeno voi, saggi del mondo, con la filosofia
Scampate dal mondo, nemmeno la teologia,
Santi padri del mondo, v'ha scansato dai perigli
Che hanno condotto a morte amara taluni di voi.
Nessuno riponga del tutto fiducia nelle cose a genio,
Nessuno nelle difficoltà perda del tutto la speranza.
Perché Dio ha segnato tutte le cose con un limite,
Ha ordinato che la fortuna non stia in un luogo solo.
Il corso del mondo avete cercato, il corso vostro
Il mondo ha troncato. Così è ora il secolo nostro.
Nessuno sta bene al mondo; fortemente iniquo,
Il mondo ripaga la fatica di tutti con la morte;
A tutti, anche agl'innocenti, tronca la vita.
Oh, crudele, malvagio, tu vai a caccia con il sacco,
Tutti conduci a morte, molti senza cagione,
Molti anche prima del tempo conduci a questa via.
Checché tu faccia, falla e considerane la fine.
Chi non ne tiene conto, non vive bene.
La fine o encomia, o svergogna,
Molti inizi dolci, conclusioni amare.
Chi considera la fine giunge allo splendore;
Un'azione sconsiderata apporta la rovina.
La morte, crudele, a un modo calpesta tutte le case,
Di principi e d'imperatori, non lascia nessuno:
I ricchi e i poveri, i belli e i forti.
Oh, la crudele, non ha nessuno per amico,
Nasciamo, moriamo, assieme a quelli che hanno fine,
Quasi non fossero stati in eterno, poiché si scompare.
Ragnatele sono gli anni e i giorni nostri.
Angeli santi, felice la vostra vita!
Viviamo, e la vita non ci è nota
Né fino a qual tempo è garantita.
Così ci illude il mondo, così abbaglia,
Così inganna, rovina e irride.
Felice la vita senza molti dispiaceri.
Con cure e ansietà la ricchezza ammorba.
Vivete felici voi che avete poca
Cura del mondo; voi campate bene.
La vita nostra è data in prestito.
Il cielo si fa beffa dei nostri pensieri.
Epilogo
Molti sono stati e molti siamo e molti ti aspettano;
Il mondo non si riprende più dai mutamenti.
Qualsiasi cosa è mortale, con il tempo scompare,
Passa il tempo e abbandona tutti i suoi.
Noi che ora viviamo ricordiamo gli altri
Passati; di noi col tempo si ricorderanno gli altri.
Nascendo, moriamo; morendo, diventiamo cenere.
Da questo mondo passiamo come per un uscio.
Oggi grande e potente, con molto splendore;
Domani passi e scompari in grande afflizione.
In fango e cenere ti tramuti, oh, uomo,
In verme, e dopo ti ritrovi nel fetore.
Tieni in conto però, oh, uomo, chi sei al mondo,
Come una schiuma fluttuante resti senza nome.
Una sola opera buona amplifica la tua fama,
In cielo, beato, ti glorifica in eterno.
Significato degli esempi che sono nei versi
Da tutti i versi si comprendono la vanità e l'instabilità delle cose del mondo, e la brevità della vita umana, con testimonianza del profeta Davide, soprattutto. Poi, vi si menzionano il cielo e il sole, la luna, le stelle, tutte queste cose che avranno fine e muteranno. La Sacra Scrittura ci insegna: solamente Iddio è senza fine ed eterno.
A proposito dell'imperatore Ciro menzionato nei versi. Questo imperatore fu molto grande e ricco e sottomise l'India e i tatari e tutta l'Asia. L'Asia è la quarta parte del mondo. Più tardi, movendo guerra ai tatari, sconfisse in un giorno innumerevoli eserciti tatari e quel giorno uccise di propria mano tre figli di Tomyris, l'im - peratrice tatara. E dopo la vittoria, non avendo timore, si diresse con le truppe tra certi monti. L'imperatrice, vedendolo senza timore e senza guardia (perché era fuggita su una montagna), spronò i comandanti tatari e lo attaccò di notte. E ne disperse tanto l'esercito da catturare vivo lo stesso imperatore Ciro. Tomyris pugnalò di propria mano gran copia di soldati, dicono le storie, uomini dell'esercito di Ciro catturati, tanto che con il sangue degli uomini pugnalati riempì un tino di sangue, poi mozzò la testa a Ciro e la pose nel sangue e gridò: "Satollati di sangue umano, Ciro". In quella sciagura incorse quell'imperatore grande e famoso nel mondo.
A proposito del menzionato Gange. Il Gange è un corso d'acqua più grande del Nilo e del Danubio; è in India quel fiume, uno dei quattro fiumi che escono dal paradiso. Nella Sacra Scrittura si chiama Ghihon e divide l'India in due parti. Essendosi Ciro fermato con l'esercito a quel fiume, venne un bimbo della sua famiglia a fare il bagno a un cavallo molto caro a Ciro; mentre gli faceva il bagno, annegarono sia il cavallo, sia il bimbo. Per l'ira e il dolore Ciro rimase lì un anno e scavò il fiume Gange in 60 posti. E, diviso così in molte parti, l'esercito lo passò a guado.
Gli altri versi li capirai per ordine. A proposito della fortuna molti domandano: "È qualcosa la fortuna e che sarebbe la fortuna?" Risposta: "La fortuna non è altro che le cose che ci capitano e accadono, o buone, o cattive; chiamiamo quegli eventi fortuna. Se ci capitano cose buone e a genio, diciamo buona fortuna; se ci sono avverse o a contraggenio e di pregiudizio, diciamo cattiva fortuna. Quindi, siccome questi eventi hanno nome in tutte le lingue, così anche nella nostra lingua ciò si racchiude in una parola e si dice fortuna".
Miron Costin's Poem The Life of the World, a Mirror and Voice of a Dark Age (II)
The major writer of seventeenth-century Moldovan chronicles, Miron Costin inaugurated his literary career with the poem The Life of the World, composed prior to 1673. A successful synthesis of the immutable values of classical culture and the spiritual needs of a troubled century, the work was a near-absolute novelty in the literary scene of the time with respect to its genre; as for its ideological contents, on the other hand, it was concerned with the unsolved issues on the human condition authors had been trying to tackle since classical Greek and Roman times through the Middle Ages and up to the author's days, where they had found a timid expression in the early days of Romanian literature. Costin's use of the verse can be explained in the light of his education at a Polish Jesuit college, where, among other subjects, ars poetica was taught. This was not simply studied by passively reading and analysing the poetry of Greek and Latin classics, but was personally revitalized through practical composition exercises. Interestingly, Costin felt the need to accompany his work with an introduction expounding the reasons for such a choice as well as illustrating the versification technique adopted; in order to do this, Costin adjusted the short essay's contents - the first ever to have addressed issues in metrics, prosody, and literary theory in the Romanian culture - to the level of its potential readers' cultural background.
The author's school experience, as well as his didactic intentions, found thus expression in The Life of the World, which reflects the reality of seventeenth-century Moldova, where the socio-economic conditions, already weighed down by the tax imposed by the Sublime Porte, were getting worse due to the struggle for power between the most ambitious exponents of the great aristocratic families, when the Country became a land of conquest for hegemonic powers - i.e. Poland, Tsarist Russia, and the Ottoman Empire. The tone of poem was made even gloomier by the poet's personal life, as he had known not only the splendor of his social position (Costin held important diplomatic posts and had a brilliant career in the civil service), but also the dangers of the battlefield, the sadness of exile, and the poison of political struggle.
1 L'autore bizantino aveva assunto a modello della sua tragedia di indirizzo classico l' Orbecche di Giambattista Giraldi (noto anche con il nome di Cinzio Giraldi), fecondo scrittore del Cinquecento italiano, che con la raccolta di novelle degli Ecatommidi fornì a William Shakespeare spunti e materia per l'intreccio di Othello e di Measure for Measure (Merry 2004: 68)
2 Senza avvedersi di chi fossero in realtà quei versi, Nicolae Iorga, altrove estimatore dell'ope ra storica e poetica di Miron Costin, li giudicò in maniera nient'affatto positiva: "Iar la mijloc se intercaleaz?, de un necunoscut, cîteva versuri banale asupra 'mortii'" (Iorga 1969: I, 87).
3 I dieci versi 'originali' potrebbero essere quelli di una variante di Viiata lumii rinvenuta da Dimitrie Cantemir tra le carte dell'autore all'indomani della sua uccisione, come ipotizza Velciu (Velciu 1995: 210-211).
4 "Laudando exemplo reliquis præivit Miron quidam logotheta, accuratissimus Moldavorum historicus, qui filios suos in Poloniam misit, ibique eos latino sermone et liberalibus scientiis imbui curavit" (Cantemir 1973a: 372).
5 Come la sentenza attribuita a Solone (Cantemir 2004: 102).
6 Per esempio, in Viiata lumii Costin riprende da Quinto Curzio Rufo l'immagine della For tuna alata: "Numai mîini si cu aripi, si picioare n-are, / Sa nu poata sta într-un loc nici-odinioare" (Costin 1967: 164), che aveva incontrato nel brano dello storico romano da lui tradotto con il titolo di Graiul solului t?t?r?scu c?tr? Alexandru Machidon [Discorso del messaggero tataro ad Alessandro il Macedone]: "Asa zic b?trînii nostri, t?tarii, c? norocul n-are picioare, numai mîini si aripi. Cîndu-ti pare c?-ti d? mînule, atuncea si zboara" (Costin 1965: II, 109). Benché citi espressamente la traduzione di Costin, in Divanul [...] Cantemir si è avvalso di un'altra fonte, se diversa è l'indicazione del momento in cui sarebbe stato pronunciato il discorso e non coincidenti ne sono le parole: "O, Alexandre! necredzut lucru iaste norocirea, c?ce norocul cu aripi si f?r? picioare iaste; de tot a zbura si de la om a sa duce poate, iara de tot pre cineva a s? pune si pre dînsul a lacui nu poate, adec? c?ci nu are picioare" (Cantemir 2004: 126).
7 Solamente nel XIX secolo Tomis fu identificata quale luogo reale dell'esilio ovidiano, che in precedenza era fissato a Cetatea Alba, secondo una linea tradizionale attestata già nell'opera dello storico del Cinquecento polacco Stanislaw Sarnicki (Iorga 1900: 12 -14) e seguita anche dal cronista moldavo: "[...] de l-au gonit din Rîm tocma la Cetatea-Alba, pre Marea Neagra, Avgust-chesariu, împaratul Rîmului, pentru niste carti ce scrisése în stihuri de dragoste [...]" (Costin 1965: II, 18), il quale, con una punta satirica, ricorda che nel vicino impero degli zar era ancora viva la costumanza della deportazione, con meta finale la Siberia: "cum fac si moscalii, de trimit la zatocenii, adeca în urgie, la Sibir, si pana acum" (Costin 1965: II, 18).
8 "Savantul cronicar moldovean - sottolinea Florin Mih?ilescu - nu p?rea totusi d eplin edificat asupra sensului estetic al tentativei sale, atribuind versurilor mai ales un rol de vehicol, decît un rost în sine" (Mih?ilescu 1976: I, 26).
9 E, rilevava a giusta ragione Ramiro Ortiz trattando il motivo della "Fortuna labilis", nessuna poesia dell'Occidente europeo appare tanto vicina alle suggestioni del cantore latino quanto quella dell'autore di Viiata lumii (Ortiz 1927: 145-148).
10 Dobbiamo a Luigi Marinelli la pregevole versione italiana:
Ahi, con qual frenesia gli archi rotanti / E Titano spingono i tempi al volo, / E agognando troncar gioia con duolo / La morte, ecco, si fa in fretta avanti // (Marinelli 2007: 228).
11 A sua volta Costin annota in maniera errata il divario temporale tra il regno dei due sovrani "Intre Traian si între Laslo-craiul 800 de ani sînt" (Costin 1965: II, 35), ma questa e altre incongruenze si spiegano alla luce delle difficili condizioni in cui operò, sovente privato dei volumi della biblioteca personale e costretto a citazioni estemporanee.
12 L'incongruenza (o si trova tra i ed a, e non già tra e ed a, come annota l'autore) potrebbe spiegarsi con le incertezze d'uso del cirillico romeno in cui il medesimo grafema corrispondeva a differenti grafemi latini, così come un grafema latino poteva corrispondere non a un solo grafema dell'altro alfabeto.
13 Nell'antico alfabeto cirillico romeno il grafema ? aveva il valore di î dinanzi a m, n, di îm dinanzi a b , p e di în in tutti gli altri casi.
14 Le citazioni di questo paragrafo sono alle pagine 161 e 162 d all'edizione di riferimento (Costin 1967).
15 Per esempio, naturale è per Cantemir l'equazione "un schith, adeca tatar" (Cantemir 2004: 126).
16 Quanto all'alterazione subita dal nome di queste genti, si narra che già Federico II di Svevia le chiamasse 'Tartarei' e che il suo più giovane contemporaneo Luigi IX, re di Francia, parlandone con la madre Bianca di Castiglia, allarmata per le loro incursioni in Europa, si fosse avvalso di un gioco di parole, entrato poi nell'immaginario popolare:
"Madre mia, facciamoci forti di quella consolazione che viene dal cielo: Se questi Tartari ci assalgono, o li rincacceremo nel Tartaro, d'onde sono sbucati, o essi invieranno noi al cielo a godervi quella beatitudine che fu promessa agli elet ti" (Henrion 1845: I, 37).
17 Nel Trattato secondo di quel volume, ricco di dati fantasiosi e immaginari, si chiarisce: "Geon, il quale è Gange, [ha i suoi fonti] nel monte Caucaso, che è parte del monte Tauro" (Torquemada MDCXX: 128).
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Adriana SENATORE*
* Università degli Studi di Bari "Aldo Moro", Italia.
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Copyright "A. Philippide" Institute of Romanian Philology, "A. Philippide" Cultural Association 2016
Abstract
The major writer of seventeenth-century Moldovan chronicles, Miron Costin inaugurated his literary career with the poem The Life of the World, composed prior to 1673. A successful synthesis of the immutable values of classical culture and the spiritual needs of a troubled century, the work was a near-absolute novelty in the literary scene of the time with respect to its genre; as for its ideological contents, on the other hand, it was concerned with the unsolved issues on the human condition authors had been trying to tackle since classical Greek and Roman times through the Middle Ages and up to the author's days, where they had found a timid expression in the early days of Romanian literature. Costin's use of the verse can be explained in the light of his education at a Polish Jesuit college, where, among other subjects, ars poetica was taught. This was not simply studied by passively reading and analysing the poetry of Greek and Latin classics, but was personally revitalized through practical composition exercises. Interestingly, Costin felt the need to accompany his work with an introduction expounding the reasons for such a choice as well as illustrating the versification technique adopted; in order to do this, Costin adjusted the short essay's contents - the first ever to have addressed issues in metrics, prosody, and literary theory in the Romanian culture - to the level of its potential readers' cultural background. The author's school experience, as well as his didactic intentions, found thus expression in The Life of the World, which reflects the reality of seventeenth-century Moldova, where the socio-economic conditions, already weighed down by the tax imposed by the Sublime Porte, were getting worse due to the struggle for power between the most ambitious exponents of the great aristocratic families, when the Country became a land of conquest for hegemonic powers - i.e. Poland, Tsarist Russia, and the Ottoman Empire. The tone of poem was made even gloomier by the poet's personal life, as he had known not only the splendor of his social position (Costin held important diplomatic posts and had a brilliant career in the civil service), but also the dangers of the battlefield, the sadness of exile, and the poison of political struggle.
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