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Harms WV, Il potere di Roma. Dieci secoli di impero, Roma, Carocci, 2019, pp. 426.
Questo denso volume di William V Harris - giâ docente di storia alla Columbia University, specializzato nelrantichitâ greca e romana -, la cui prima edizione italiana esce tre anni dopo quella statunitense, si sofferma sulla relazione indissolubile che lega l'idea di Roma e il concetto di potere, termine che compare in moltissimi lavori, ma con ampia diversitâ di accezione: «Forse nessun altro concetto - scrive Harris nella parte introduttiva - e cosi pervasivo e proteiforme (per non dire vago) nell'attuale dibattito intellettuale. Metâ dei saggi pubblicati oggi sembra farne menzione nel titolo, e il moderno concetto di "potere" riunisce di solito sia il potere inteso come "forza/potenza" (ovvero il tedesco Macht), sia quello delle istituzioni (il tedesco Herrschaft)» (p. 23).
Il corposo volume pone una serie incalzante di interessanti quesiti, a partire dalle motivazioni che consentirono al potere romano una durata tanto lunga, consistenti in una combinazione di fattori endogeni e di fattori esogeni: tra questi ultimi, naturalmente, la relativa debolezza dei popoli confinanti. Tra gli elementi interni, viene sottolineato il mito sociale illustrato nel De legibus, in cui Cicerone, in relazione al rapporto tra cittadini e magistrati, scrive che «e necessario che chi obbedisce abbia la speranza di poter un giorno comandare (imperaturum)»: una convinzione, quantunque assai diffusa, che si sarebbe rivelata «un'assoluta chimera per molti Romani» (p. 31). Proprio questo specifico aspetto, ossia la confutazione della semplificazione che induce a considerare la fase della res publica romana come un periodo sostanzialmente democratico, dopo la monarchia originaria e prima dell'avvento del principato augusteo, costituisce uno degli...