Abstract
Michael Moser
The Role of T. Sevcenko for the Codification of the Modern Ukrainian Literary Language.
The article discusses the significance of Ukraine's national poet Taras Sevcenko for the history of the Ukrainian standard language. By the time the poet published his works, Ukrainian had still not been developed into a modern standard language. Although Sevcenko himself did not establish Modern Standard Ukrainian, his significance for its further development was decisive, because it was precisely his language that served as a model for the other writers (including those from other dialect areas), and for the codifiers of the Ukrainian language as well.
Keywords
Taras Sevcenko; History of the Ukrainian Language; Ukrainian Standard Language.
(ProQuest: ... denotes non-US-ASCII text omitted.)
Lo sviluppo della lingua ucraina si è svolto nello stesso lasso di tempo dello sviluppo di qualsiasi altra lingua slava, ma è un dato di fatto che la sua trasformazione in lingua moderna standard - con tutte le funzioni insite in tale definizione - è avvenuta relativamente tardi, nel xix secolo, com'è stato del resto per le lingue di altri popoli slavi privi di un loro stato. Nel complesso processo di formazione della lingua letteraria ucraina moderna il ruolo di Taras Sevcenko è particolarmente rilevante.
Sevcenko è anzitutto il primo scrittore ucraino che, vissuto in un contesto e con una vicenda biografica del tutto eccezionali, si è servito per la maggior parte della sua opera della lingua ucraina parlata dal popolo, creando con essa una letteratura di rango universale. Il fatto che egli abbia attinto il materiale per le sue composizioni essenzialmente dalla fonte della lingua parlata ha un significato particolare dal punto di vista della storia della lingua, in quanto è probabilmente proprio per questo che la sua lingua, e in particolare il suo patrimonio lessicale, sono divenuti modello diretto di imitazione. È inoltre assai significativo per la storia della lingua ucraina il fatto che egli abbia deciso di attingere alle radici nazionali pur essendo perfettamente conscio della marginalità della cultura e dell'Ucraina nell'Impero Russo dell'epoca. Ritorneremo su questo più innanzi.
Fin dall'inizio furono i contemporanei ucrainofoni che apprezzarono al massimo la potenza espressiva di Sevcenko. La ricezione delle sue opere scritte in ucraino da parte della critica russa fu variegata, ma l'atteggiamento di quest'ultima verso le opere scritte in russo fu per lo più negativo, o quanto meno d'indifferenza.
La reazione di Sevcenko nei confronti della critica russa è contraddittoria. Da una parte, protestando contro le tendenze culturali imperiali, egli voleva dimostrare di essere perfettamente in grado di scrivere in russo; lo dimostra in modo particolarmente evidente la lettera a Hryhorij Tarnovs'kyj del 25 gennaio 1843:
Grazie per le buone parole che ha detto della mia creatura Hajdamaky. L'ho mandata in giro fra la gente ma nessuno fino ad ora mi ha mai detto neppure un grazie. Forse anche laggiù la deridono, allo stesso modo che qui i russi mi definiscono un "entusiasta", cioè un idiota. Dio sia con loro, anche se passo da poeta contadino, mi basta essere un poeta, di più non mi serve [...] Quello che ho promesso lo manderò alle Sue ragazze per Pasqua, forse anche prima, se ce la faccio. Però non è quello che Le ho scritto, ma una cosa diversa, composta in russo. Perché non dicano i moskali che io non conosco la loro lingua (Sevcenko 1964: 23)1.
Già nel febbraio del 1841, a proposito della sua pittura, Sevcenko scriveva a Hryhorij Kvitka-Osnov'janenko che ci teneva molto che i russi non si facessero giuoco di lui. Il tono scherzoso di quel frammento nasconde solo parzialmente il suo significato profondo: è evidente che per l'artista era importante affermarsi anche fra il pubblico russo. Eppure, con enfasi crescente (e in modo non del tutto razionale), egli sottolineava anche la profonda differenza che egli sentiva fra se stesso, in quanto ucraino, e i russi in mezzo ai quali viveva:
Mi sono sprofondato nella pittura. È un po' tardi, ma quando - come si dice - ti metti a fare una cosa, vai fino in fondo. Non voglio che i russi ridano di me. E proprio per questo io non lascerò l'Accademia prima di due anni. Quei due anni dopo i quali leggerete in una qualsiasi rivista che un tale Sevcenko ha dipinto un quadro proprio come si deve! e grazie a quel quadro lo manderanno (cioè, mi manderanno) in Italia, addirittura a Roma. Che felicità, bat'ko2, che grande felicità! Allora attaccherò i cavalli e verrò direttamente a Kharkov3. Ma prima che si arrivi a questo... Quest'estate dovrei dipingere per l'Accademia un quadro in cui una delle nostre fanciulle prega Dio prima di andare a dormire. Ecco, amico mio caro, sarebbe tutto pronto: la modella - qui la chiamano natursicja - e tutto il resto, solo che manca il costume. È dove lo trovo? Qui d'intorno non ci sono che russi e stranieri, non c'è l'ombra di un cristiano. Dovrei chiedere a qualcuno che mi mandasse un costume dall'Ucraina, ma al di fuori di Voi non conosco nessuno che me lo potrebbe mandare. Per favore, in nome di Dio, siate così buono, fatemelo avere. Basta la camicia ricamata, la gonna tessuta e un paio di nastri, in cambio dipingerò per Voi un quadro, naturalmente una cosa nostra, una Marusja, o una Povera Oksana (la stanno già stampando), oppure dipingerò La figlia del centurione, così timorata di Dio, che siede presso la finestra e accarezza la stola del diacono, Ve la dipingo, com'è vero Iddio, Ve la dipingo4 (Sevcenko 1964: 14).
Riguardo alle opere che aveva scritto in russo alla fine di quell'anno, l'8 dicembre 1841 scriveva di nuovo in una lettera a Kvitka-Osnov'janenko:
Vi mando ancora delle poesie che ho scritto in russo5. Se vi sembrano buone, stampatele, altrimenti servitevene per accendere la pipa. Vedete, questo è un canto preso dal mio dramma La promessa sposa, di cui Vi ho scritto, è la tragedia Nykyta Hajdaj. L'ho trasformata in una pièce teatrale. Scrivo un'altra pièce. Si chiamerà La bella cieca. Non so come andrà, ho paura che i russi diranno mauvais sujet6, perché, vedete, parla del popolo semplice ucraino. Ma alla fine, che vadano a quel paese7 (Sevcenko 1964: 15).
Anche se alla fine, nel frammento citato, il poeta ostenta indifferenza, quasi disprezzo, è chiaro che egli desiderava avere successo anche presso i lettori russofoni.
Poco più tardi, nella primavera del 1844, Sevcenko chiedeva a Osyp Bodjans'kyj di scrivere dei commenti per i suoi dipinti e bozzetti di monumenti storici. Nella lettera risuona ancora una volta evidente l'antagonismo ucraino-russo: il monumentale progetto di pubblicare la raccolta di incisioni intitolata Zyvopysna Ukrajina (L'Ucraina pittoresca) era inevitabilmente destinato ad esprimere la coscienza identitaria ucraina e l'autore capiva perfettamente che questo suonava assai provocatorio nei confronti della società russa. In sostanza si trattava nientedimeno che di una rivendicazione dell'eredità storica insita nel fatto stesso di aver scelto la lingua ucraina:
Per le vedute e le scene di costume scriverò io stesso i commenti, oppure li chiederò a Kulis, ma per la parte storica, siate così gentile, prendetevi Voi il carico di scrivere tre paginette all'anno, ma che siano in ucraino, perché quegli sciocchi dei kacap capiscano8 (Sevcenko 1964: 29).
Siccome la risposta tardava a venire, e forse Sevcenko capiva che quel tono non aveva avuto l'effetto desiderato sul destinatario della lettera9, alla fine del 1844 gli scrisse di nuovo cambiando tono e contenuto:
Il commento storico lo farete Voi, perché, vedete, deve essere in ucraino, oppure così com'è nelle cronache (Sevcenko 1964: 30).
In questa nuova formulazione della richiesta di collaborazione10 si può osservare una cosa assai interessante, e cioè che Sevcenko - con ottime ragioni - considerava che la lingua delle antiche cronache non fosse affatto estranea alla lingua ucraina del suo tempo, anzi, egli intuiva il legame storico fra quei due sistemi linguistici. Anche se nella sua opera giovanile il passato storico per lui consisteva soprattutto nel periodo cosacco, è difficile accettare l'idea che egli avesse in mente solo le cronache cosacche del xvii e xviii secolo (si sa per certo ad esempio che egli conosceva bene il lavoro di Samijlo Velycko, ma probabilmente conosceva anche alcune cronache medievali). Vale la pena ricordare a questo proposito che egli si mise a tradurre il Canto della schiera di Igor', anche se non arrivò a completare l'opera. In una lettera ad Andrij Kozackovs'kyj del 14 aprile 1854, troviamo alcune osservazioni interessanti del poeta. Il fatto che egli chieda espressamente di mandargli una copia non solo dell'originale, ma anche della traduzione russa, potrebbe a prima vista far pensare che egli non si sentisse in grado di tradurre il Canto di Igor' direttamente dall'originale, il che non sarebbe sorprendente se si tien conto che per molti passi dell'opera generazioni di specialisti filologi e slavisti hanno discusso senza fine, e continuano a discutere anche oggi. Le parole di Sevcenko meritano di essere esaminate da vicino. Egli scrive di voler tradurre il Canto "nella nostra bellissima lingua ucraina" e "nella nostra bellissima lingua, che parla al cuore". Purtroppo egli non dice niente della lingua dalla quale intende tradurre, quindi non sappiamo se egli considerasse anche la lingua del Canto come "nostra lingua", o almeno come una lingua che l'abbia preceduta:
Da molto tempo mi gira per la testa l'idea di tradurre nella nostra bellissima lingua ucraina il Canto della schiera di Igor'. Però non posseggo l'originale e la traduzione non riesco a leggerla. Ecco cosa penso. Nella biblioteca del vostro seminario c'è sicuramente l'edizione dello Slovo o polku Igorevi [sic!] fatta da Siskov o da Maksymovyc, la traduzione col testo. Per il grande amore che ti porto, tu chiedi ad un qualche amanuense di fare una copia del testo con la traduzione di questo libro che è piccolo ma pieno di saggezza, e in cambio io a te... ma che posso fare io miserello? Ti dirò grazie con tutto il cuore e altro non posso fare... Ascolta la voce della mia preghiera11, mio unico amico, mandami il testo del Canto della schiera di Igor', e se non lo fai peserà sulla tua anima il peccato che questo Canto non sarà tradotto nella nostra bellissima lingua, che parla al cuore12 (Sevcenko 1964: 98-99).
Il fatto che le opere di Sevcenko scritte in russo avessero meno successo presso i contemporanei, può forse essere considerato positivo dal punto di vista dello sviluppo della lingua ucraina. Visto che il poeta teneva abbastanza al giudizio della critica, si può ragionevolmente ritenere che egli avrebbe scritto molte più opere in russo se le condizioni fossero state favorevoli, e non c'è dubbio che questo avrebbe influito negativamente sull'ampiezza della sua creazione poetica in ucraino. Più di una volta, inoltre, compare nelle sue lettere l'idea di scrivere più spesso in russo per guadagnare più soldi.
In realtà, nelle sue lettere Sevcenko prende assai spesso le distanze dal russo: egli non solo scrive sempre in ucraino le lettere ad amici e parenti non russi, ma anche la sua opera poetica è praticamente solo in ucraino. È significativa una lettera del 30 settembre 1842 a Jakov Kucharenko, che esprime una posizione fortemente critica verso il suo proprio poemetto Slepaja (La cieca): con una domanda retorica carica di amara ironia, il poeta si chiede se è colpa sua se non è nato kacap (ossia russo) o francese:
Ho ricopiato la mia Cieca e piango per lei, mi chiedo quale diavolo io abbia mai incontrato e per pagare quale peccato mi sono messo a far penitenza nei confronti dei kacap, a scrivere nella loro ruvida lingua di kacap. È una brutta cosa, fratello mio atamano13, per Dio, è brutto. In realtà, oltre a Dio e il diavolo, c'è nella nostra anima un certo qualcosa di così terribile che ti fa venir freddo fino al profondo del cuore, che se tu lo scopri un pochino - al diavolo, qui tutti, compaesani e no, mi chiamano scemo, ed è vero, ma io che ci posso fare, è forse colpa mia se non sono nato né russo né francese[?]14 (Sevcenko 1964: 20).
Ed ancora, poco prima di morire, fra le qualità della donna che sperava di poter sposare, egli metteva in evidenza il fatto che lei non conoscesse il russo. Così scriveva nella lettera al fratellastro Bartolomeo del 22-25 settembre 1860:
La mia futura sposa si chiama Lykerja, è serva della gleba, orfana, fa la bracciante, come anche Charyta, solo che è più intelligente di lei, sa scrivere e non parla in russo. È una nostra conterranea della zona di Nizyn15 (Sevcenko 1964: 264).
Nonostante tutto, per tutta la vita, Sevcenko non cessò di scrivere anche in russo: né nel periodo giovanile, né durante la prigionia, né quando lo richiedevano le circostanze, ad esempio nelle lettere scritte a russi. Si potrebbe anche dire che molto spesso la scelta linguistica non era determinata da un influsso preciso di una certa cosa. Nessuno lo obbligava a scrivere in russo i due poemetti La cieca e Il rito funebre (Tryzna), e i frammenti del dramma Nykyta Hajdaj. Nessuno poi lo forzava a scrivere tutta la sua produzione in prosa in russo, neppure quei racconti che non sono giunti fino a noi, ma che certamente erano fin dall'inizio concepiti in russo16.
Capitava che Sevcenko scegliesse di scrivere in russo di propria iniziativa: lo dimostra il Diario, che il poeta tenne per quasi un anno (1857-1858) e che, per il suo carattere nonconformista e i pensieri spesso rivoluzionari che vi venivano espressi, doveva restare chiuso da sette sigilli. Mi pare di dubbia utilità fare sforzi particolari per spiegare con una ragione o con l'altra l'uso del russo, come ha fatto ad esempio Caplenko (1970: 85-86). Mi pare più convincente pensare che, al di fuori dei generi in cui egli ha veramente stabilito le pietre miliari della storia della lingua letteraria ucraina, la questione dell'uso della lingua ucraina Sevcenko in realtà non se l'è mai posta seriamente per quello che lo riguardava.
Non si dimentichi che in quegli anni gli attivisti ucraini appena cominciavano, e con grandi difficoltà, a percorrere nuove vie che non si dovrebbero giudicare secondo anacronistici parametri odierni, come se tutto già fosse stato chiaro e semplice, esattamente come i critici ignorano la "metanarrazione" della storia della lingua ucraina quando scrivono dei rinnovatori "ruteni" della Galizia nel periodo dell'attività dei "populisti" degli anni Sessanta del xix secolo.
Non solo per Sevcenko, ma neppure per molti suoi contemporanei e collaboratori era così chiaro che tutte le opere letterarie e pubblicistiche dovessero necessariamente essere scritte solo in ucraino. Questo valeva ad esempio anche per Pantelejmon Kulis: nel 1857, ossia quando Sevcenko era già nell'ultimo periodo della sua creatività, egli pubblicò il suo primo romanzo storico, Il consiglio nero, in russo, e solo dopo ne fece una redazione ucraina17. Si può supporre che in questo caso la scelta dell'ucraino sia stata abbastanza naturale, essendo il romanzo dedicato al passato ucraino. Tuttavia, anche più tardi Kulis esitò spesso nella scelta della lingua, pur avendo egli dato un contributo fondamentale all'ampliamento dello spettro di funzioni della lingua ucraina moderna (Moser 2012). Lo stesso si potrebbe dire per molti altri protagonisti della storia della lingua e della letteratura ucraina nell'Impero Russo.
Nonostante tutto, resta però il fatto incontrovertibile che Sevcenko fu il primo che fece ogni sforzo per estendere le funzioni dell'ucraino, e non solo perché la sua poesia aprì molti percorsi innovativi e portò ad un radicale cambiamento dello status della lingua ucraina, ma anche perché nella sua corrispondenza con gli ucraini si serviva nella stragrande maggioranza dei casi della lingua madre (anche se questo fatto ebbe influenza solo su una cerchia limitata di persone). Prima di Sevcenko sostanzialmente non esisteva alcuna cultura epistolare in ucraino, visto che ancora prima della metà del xviii secolo tutti i funzionari di stato e gli intellettuali "piccolo-russi" si erano convertiti all'uso del russo (Moser 2009). Il 60% delle lettere di Sevcenko sono in ucraino, e quelle in russo sono di carattere ufficiale e burocratico (e non potevano quindi essere in nessun'altra lingua che in russo), oppure scritte ad amici e conoscenti russi. Anche ai polacchi Sevcenko scriveva prevalentemente in russo. Infatti, anche se leggeva il polacco (in particolare si ricordino le opere di A. Mickiewicz che ebbero una grande influenza su di lui), e lo parlava cor rentemente18 almeno da quando, come testimoniano i suoi contemporanei, a Vilna aveva avuto una storia d'amore con una giovane polacca, non c'è alcuna prova che egli abbia mai scritto in polacco19.
Delle lettere scritte agli ucraini il 13% è in russo (Sevel'ov 1991: 33), ma in alcune di esse si trovano dei passi scritti in altra lingua. Nelle lettere in ucraino si trovano frammenti scritti in russo, come del resto in quelle scritte in russo ci sono dei passi in ucraino. Questo parallelismo nell'uso delle due lingue ha ragioni più complesse che cercheremo di analizzare più innanzi.
In primo luogo va sottolineato che, nonostante il suo innegabile e forte legame con la cultura russa, Sevcenko si è sempre pronunciato per la separatezza del retaggio linguistico ucraino. Sono ben note le parole che scrisse nel 1847, spesso riportate dalla critica:
Non badate ai russi, che loro scrivano alla loro maniera, e noi alla maniera nostra. Loro hanno un popolo e la loro lingua, noi il nostro popolo e la nostra lingua. E quale sia la più bella, che lo giudichi la gente20 (Sevcenko 1964: 314).
Di queste parole sono state date varie interpretazioni contrastanti, a volte decisamente avulse dal contesto e fuorvianti. Si è tentato persino di vedervi la dichiarazione "della fraterna unità del popolo russo e ucraino". Invece esse vanno interpretate tenendo chiaramente conto del fatto che appartengono alla "Prefazione" scritta per la nuova edizione del Kobzar del 1847, che non venne mai pubblicata a causa dell'arresto del poeta. Quell'edizione s'inquadrava nell'ampio contesto del movimento riformatore slavo fondato sull'idea di una "federazione slava" repubblicana, che in quegli anni maturava completamente al di fuori dei confini dell'Impero Russo. Essa tendeva ad una legittimazione della "questione ucraina" nei confronti dei pregiudizi della società russa e russofona che andavano smascherati, soprattutto in vista del consolidarsi dell'ideologia panslavista russa. È in questo preciso contesto che Sevcenko deliberatamente sottolineava la differenza sostanziale fra ucraini e russi, e fra le loro lingue. Non c'è assolutamente nessuna ragione per pensare che quelle parole alludessero ad una qualsiasi "fratellanza" ucraino-russa.
Può essere di secondaria importanza chiedersi come Sevcenko valutasse i rapporti fra ucraini e russi - che ancora oggi sono così tesi -, o la relazione fra le due lingue dei due popoli. È secondario anche fermarsi a soppesare quante volte egli si sia servito dell'ucraino e del russo nelle sue opere. In considerazione del suo approccio pragmatico è fondamentale riconoscere che per lui il russo e l'ucraino erano due lingue diverse, e i russi e gli ucraini due popoli diversi.
È interessante il fatto che anche ai suoi colleghi non mancarono le occasioni per esprimere il loro disaccordo per i tentativi che Sevcenko faceva di pubblicare delle opere in russo. L'episodio più significativo è certamente quello di Kulis, la cui opinione Sevcenko teneva in gran conto21 (Sevcenko 1951, v: 158-159). Kulis si adoperò molto per diffondere le opere di Sevcenko, soprattutto fino a quando egli pubblicò la sua Storia della riunificazione della Rus' (1847-1877), allontanandosi per un certo periodo dal movimento di emancipazione ucraino. Egli allora si espresse con notevole disprezzo contro quella che chiamava "la musa mezza ubriaca" e "debosciata" di Sevcenko (Kulis 1874: 24). Il 20 gennaio 1858 così gli scriveva da San Pietroburgo:
Non ti mettere, fratello caro, a cercare di stampare i racconti russi. Non ci farai soldi e non te ne verrà alcuna gloria. Anche Dante e Petrarca pensavano di conquistare la fama con i loro libri in latino. Ora ti è venuta la smania moscovitica. Al diavolo! È meglio che tu stia senza far nulla, mettiti a sedere e leggi, noi ti daremo il pane quotidiano, che ti faccia buon pro'! (Kulis 1874: 128-129).
E subito dopo, come per compensare, Kulis lanciò l'idea di fare una nuova edizione del Kobzar, cosa che venne realizzata due anni dopo.
Sulle opere che Sevcenko scriveva in russo Kulis, da San Pietroburgo, si espresse di nuovo così il 1 febbraio 1858:
A proposito dei tuoi racconti moscoviti ti dirò che tu manchi di rispetto verso te stesso, niente di più. Per scrivere alla maniera moscovita si deve vivere fra gli scrittori moscoviti e imparare parecchie cose. Guarda Kvitka: si è cacciato in una tale palude con quella sua lingua russa, che neppure dopo la morte riusciremo a trarlo fuori e a ridargli il posto che si merita grazie ai racconti che aveva scritto in ucraino. [...] Succederà lo stesso anche a te, fratello! Se avessi i soldi comprerei tutti i tuoi racconti e li brucerei. Salverei solo La principessa e Il marinaio. Tu forse non hai fiducia in me, forse dici che io non amo il russo e per questo ti critico. Ma vedi tu stesso: non c'è redazione di una sola rivista che abbia voglia di stamparli. Non basta avere talento! Quando hai dipinto il tuo quadro con la "Caterina" il talento non ti mancava, tuttavia ancora oggi tutti piangono quando leggono il tuo poema Caterina, mentre davanti al quadro scuotono la testa. Lo stesso fanno i tuoi compaesani quando leggono i tuoi racconti scritti in moscovitico, mentre i russi li rifiutano proprio; le tue poesie invece sono ammirate persino dai russi, e gli ucraini le recitano come il Salterio (Kulis 1874: 130-131).
Da parte sua, in una lettera del giugno 1857, Sevcenko aveva espresso a Kulis tutta la sua soddisfazione perché quest'ultimo aveva pubblicato anche una versione ucraina del romanzo storico Il consiglio nero:
Hai fatto bene, benissimo a stampare Il consiglio nero nella nostra lingua. L'avevo letto nella "Russkaja beseda" [in russo], ed anche lì è bello, ma nella nostra lingua è ancora più bello (Sevcenko 1964: 185).
Nonostante la sua familiarità con la cultura di lingua russa, egli programmaticamente aveva stabilito di percorrere, per lo sviluppo della lingua ucraina, il cammino che concepiva la coesistenza paritaria e la reciproca concorrenza delle lingue ucraina e russa. Ed era proprio la poesia ucraina di Sevcenko che per prima rese evidente il diritto dell'ucraino di essere non solo un'appendice della lingua e della letteratura russa dell'epoca, limitata ad una diffusione regionale, ma sua valida alternativa, solida e compiuta. Che l'opera di Sevcenko esercitasse proprio questa funzione, che in questo si realizzasse la sua missione di poeta fu ben chiaro già ai suoi contemporanei.
Il fatto che Sevcenko guardasse al periodo di fioritura del Cosaccato (la Hetmanscyna) del xvii secolo faceva certamente parte del suo programma, che prevedeva il risveglio della memoria della passata sovranità e autonomia culturale e linguistica ucraina. Per la storia della lingua ha del resto un'importanza fondamentale il fatto che le opere ucraine del poeta fin dall'inizio erano destinate a suscitare sentimenti di energica e solenne emozione. L'espressione di genere alto e solenne, come testimoniano alcune nicchie di conservazione della letteratura ucraina della seconda metà del Settecento, tutte di genere "basso", era considerata semplicemente incompatibile con l'uso della lingua ucraina.
La maggior parte degli ucrainisti ritiene che l'inizio della moderna lingua letteraria ucraina coincida con la creazione del travestimento dell'Eneide di Ivan Kotljarevs'kyj. Questa interpretazione dei fatti è divenuta dominante e non mancano ragioni serie per suffragarla, anche se i suoi sostenitori dimenticano alcuni argomenti contrari abbastanza seri, a cominciare dal fatto che (come ha più volte sottolineato Ju. Sevel'ov) esiste una indubbia continuità nella letteratura popolare di stile cosiddetto "basso", ed è proprio questo che collega Kotljarevs'kyj con i suoi predecessori del xviii secolo e con la tradizione che essi rappresentavano.
Ritengo fondamentale tener presente che, indipendentemente dalla straordinaria maestria artistica di Kotljarevs'kyj, l'importanza del suo contributo innovativo al sistema linguistico dell'ucraino moderno non vada sopravvalutata. Sia come sia, come aveva rile- vato già Sevcenko stesso, l'Enejida non era che un'opera burlesca22, e non solo dell'opera in se stessa, ma anche della sua "voce", ossia della lingua ucraina, si poteva ridere e farsi giuoco, soprattutto non si doveva prenderla sul serio. Si potrebbe controbattere che, a prima vista, il burlesco fa ridere solo quando è basato su una qualche idea, mentre non c'è niente che faccia pensare che col suo poema Kotljarevs'kyj avesse l'intenzione di creare le basi di una lingua ucraina indipendente, per non parlare di una lingua letteraria moderna polifunzionale capace di mettersi in competizione con quella russa. Per un certo tempo l'Enejida ha emarginato tutte le altre opere dallo spazio letterario di lingua ucraina. Anche le altre opere di Kotljarevs'kyj entrarono nel circuito del grande pubblico solo più tardi, quando Sevcenko era già uno scrittore affermato: la Natalka Poltavka, scritta nel 1819, fu stampata solo nel 1838; per il Moskal-Carivnyk ci si rivolse al filologo russo I.I. Sreznevskij nel 1837, quando era ancora entusiasta sostenitore della rinascita ucraina, ma la pièce venne stampata solo 4 anni dopo. Quanto alla Pisnja na novyj god 1805 god panu nasomu i bat'ku knjazju Oleksiju Borysovycu Kurakinu (Canto per il nuovo anno 1805 dedicato al padre e signore nostro Oleksij Borysovyc Kurakin)23, esso uscì solo nel 1849 (Kotljarevs'skyj 1982: 303-308). Va sottolineato che in tutte queste opere Kotljarevs'kyj si serviva dell'ucraino soprattutto per fini umoristici. Questo vale anche per la poesia giocosa dedicata a Kurakin che può essere definita in qualsiasi modo, ma certamente non come solenne panegirico. Va però anche detto che in ambedue le succitate commedie, lo scrittore non solo inserì dei canti popolari fra i più noti e i più belli, ma si servì dell'ucraino con grande abilità e maestria, facendo parlare in questa lingua i personaggi la cui ucrainicità è più evidente (in particolare i contadini) e - soprattutto - quelli che hanno una valenza estremamente positiva, a cominciare dalla protagonista Natalka.
Tuttavia, né Kotljarevs'kyj né i suoi numerosi epigoni (quelli che poi la critica ha genericamente indicato con "kotljarevscyna", impropriamente dando al termine una valenza spregiativa24) non hanno mai cercato in alcun modo di minare le basi della cultura russa imperiale. Essi non solo tolleravano, ma spesso anche sostenevano quella cultura linguistica e letteraria "piccolo-russa" che non ambiva ad un'esistenza autonoma e si adeguava allo status di variante provinciale della cultura russa generale, senza opporsi alle restrizioni funzionali legate a tale status. Questo accadeva del resto non solo nella Russia zarista, ma anche nell'Unione Sovietica.
Nel 1840, in un'infelice lettera (che ha avuto un'ancora più infelice interpretazione da parte della critica !) al galiziano russofilo Denys Zubryc'kyj, Mychajlo Maksymovyc descriveva le prime prove letterarie dei "piccolo-russi" con quella stessa impostazione imperiale, come una letteratura dialettale che può essere interpretata solo nel contesto generale russo e con esso è inestricabilmente legata. Egli aggiungeva che a nessuno sarebbe mai venuto in mente di far nascere e crescere una letteratura in lingua ucraina che fosse autonoma e valida in se stessa (Mozer 2011: 79-84). Se si guarda all'opera di Kotljarevs'kyj la visione della lingua e della letteratura data da Maksymovyc era abbastanza rispondente alla verità. In buona misura questo riguardava anche gli altri scrittori "piccolo-russi", anche quelli che si erano coscientemente distaccati da Kotljarevs'kyj, come ad esempio H. Kvitka-Osnov'janenko.
Quando invece comparve Sevcenko tutto divenne diverso. Lo capirono subito i suoi contemporanei, e anche i primi continuatori della sua concezione della lingua e della letteratura ucraina. La centralità e la funzione normativa che ebbe la lingua di Sevcenko fin dalla comparsa delle sue prime raccolte di poesie è legata a vari fattori: ne illustreremo brevemente solo un paio.
L'ortografia di Sevcenko era originariamente orientata sull'uso russo25, ma nel complesso rifletteva molto bene l'uso della lingua parlata. Fondamentale è il fatto che il dialetto originario del poeta apparteneva alle regioni centrali dell'Ucraina ed aveva quindi i presupposti iniziali per poter essere riconosciuto come valido da tutti gli ucrainofoni. Inoltre, il poeta si basava non solo sul suo dialetto locale, poiché ebbe fin dall'infanzia contatto con altri dialetti ucraini e acquisì presto una buona conoscenza delle opere letterarie scritte in ucraino prima di lui. Pertanto, già al suo debutto letterario possedeva una base linguistica sostanzialmente unitaria.
Curiosamente, l'opera letteraria di Sevcenko non si estende su uno spettro tematico estremamente ampio. Forse è anche per questa ragione che egli non ha dato un contributo fortemente innovativo all'arricchimento lessicale: si potrebbe dire che da questo punto di vista il suo contributo essenziale è di natura poetica, in quanto Sevcenko ha contribuito ad ampliare quasi senza fine la variabilità semantica di ogni parola e del suo campo semantico e poetico.
L'apporto principale alla creazione della moderna lingua letteraria ucraina, ossia della sua dignitas, della polifunzionalità e del riconoscimento universale del complesso dei parlanti, risiede non solo nel fatto che egli esercitò un'influenza assolutamente unica in tutta l'Ucraina appartenente all'Impero Russo, ma dopo la morte egli conquistò linguisticamente anche gli ucraini delle terre appartenenti all'Impero Asburgico (lì chiamati "Ruteni"), in particolare nella Galizia austriaca: fu il modello linguistico sevcenkiano che anche lì prese progressivamente il sopravvento sui tentativi di codificazione che prima erano stati fatti a Leopoli sulla base di principi etimologici (non fonetici) che allontanavano l'ortografia dalla pronuncia effettiva, quindi la lingua parlata da quella scritta.
La codificazione dell'ucraino non poteva dirsi quindi conclusa quando Sevcenko era ancora in vita. Tuttavia, coloro che portarono a termine la standardizzazione linguistica operarono, negli anni e decenni a venire, proprio sulla base del modello linguistico che era stato creato dall'opera poetica di Sevcenko.
(Traduzione dall'ucraino di Giovanna Brogi)
* Questo articolo rappresenta una traduzione leggermente riveduta dall'autore del capitolo 4 di un suo recente libro (Mozer 2012).
1 ... (Sevcenko 1964: 23).
2 Lett. "padre": un modo familiare e affettuoso, ma rispettoso di rivolgersi ad una persona più anziana o comunque superiore [n.d.t.].
3 Kvitka era un possidente della regione di Kharkiv [n.d.t.].
4 ... (Sevcenko 1964: 14). Sevcenko allude alle novelle di Kvitka-Osnov'janenko, tipiche del sentimentalismo a cavallo fra il xviii e il xix secolo [n.d.t.].
5 Nell'originale: ... Kacap è parola spregiativa usata dagli ucraini per indicare i russi (come i russi usano il dispregiativo chochol per gli ucraini) [n.d.t.].
6 In francese nel testo [n.d.t.].
7 ... (Sevcenko 1964: 15).
8 ... (Sevcenko 1964: 29). Quello che i russi dovevano capire era naturalmente la necessità e possibilità di descrivere con didascalie in ucraino la specificità della vita e dei paesaggi ucraini [n.d.t.].
9 Nello stesso tempo Sevcenko suscitò l'irritazione di un altro contemporaneo, Pantelejmon Kulis, il quale, sempre a proposito della Ucraina pittoresca, il 31 dicembre 1844 gli scrisse [in russo] queste frasi rozze e irose: "Egregio signore, Taras Hryhor'evyc! È molto spiacevole che Lei, senza avermi scritto prima, abbia fatto il mio nome per la collaborazione a un'opera letteraria di cui io non ho la minima idea di che cosa si tratti. La Sua comunicazione puzza di speculazione, ed io avevo deciso di scrivere una recensione non appena la Sua Ucraina sarebbe stata stampata, per segnalare tutti gli errori, che saranno certamente molto numerosi in un libro scritto con tanta precipitazione. Il tempo ha diminuito il mio disappunto. Voi però, signori, iniziando ad occuparvi della Piccola Russia con infantile spensieratezza, senza consigliarvi con persone che si occupano seriamente dell'argomento, voi arrecate danno all'oggetto stesso del vostro interesse presso l'opinione pubblica e compromettete anche noi. Chiedo scusa per questo discorso! [...]". Nella stessa lettera, tuttavia, Kulis, caratterizzava il Kobzar' come "una delle Sue opere che considero valide" (Borodin 1993: 32-33).
10 Nella lettera del luglio 1844 Bodjans'kyj aveva risposto con gentilezza alla proposta di Sevcenko: "Non mi sono arrabbiato, e non mi arrabbierò mai nei confronti di un cosacco così generoso come il signor Sevcenko. E perché mai dovrei arrabbiarmi? e a qual fine? Non ho risposto prima alla Vostra lettera, che ho ricevuto già a metà maggio, perché c'erano molte cose da fare, in primo luogo - ed è stata la cosa peggiore -, la mietitura in Ucraina [...] scriveremo qualcosa per quell'invasato Pietroburghese [sic!], quale tormento questo sia, tu che sei nostro Cantore, guida per tutti noi [...] Che Dio Vi aiuti, per la gioia e la gloria della nostra cosaccheria! [...] Che tutto vi vada bene, voglia Iddio! Di collaboratori, a quanto pare, ne avete abbastanza; anch'io non mi tiro del tutto indietro, anche se non mi ci dedicherò a tempo pieno. Perché Voi stesso sapete quanto lavoro grava sulle mie spalle, me poveretto [...]. Quando mi capita di leggere qualcosa di bello che riguarda la patria, Vi scrivo subito e Ve lo spedisco. [...] Non vogliate male a questo Vostro paesano sinceramente devoto - Is'ka Bodjans'kyj" (Borodin 1993: 23-25).
11 Slavo ecclesiastico nel testo, è un frammento liturgico.
12 ... (Sevcenko 1964: 98-99).
13 Il termine indica il capo cosacco della Sic, tradizionalmente eletto ogni 6 mesi. Kucharenko viene affettuosamente definito con questo termine [n.d.t.].
14 ... (Sevcenko 1964: 20).
15 ... (Sevcenko 1964: 264).
16 Per uno studio lessicale delle opere russe di Sevcenko cf. Vascenko 1985-1986.
17 A questo proposito, si veda anche: G. Siedina, A Russian and Ukrainian Historical Novel: Pantelejmon Kulis's Corna Rada, "Studi Slavistici", iii, 2006, pp. 115-141 [n.d.t.].
18 In particolare si veda la testimonianza di una donna, narrata da M. Calyj: nel 1859, presso l'amico Ivan Soscenko, Sevcenko ebbe occasione di parlare con una polacca, che poi disse: "pan Szewczenko bardzo dobrze mówi po polsku, ale zawsze w jego mowie jest cós chlopskiego [sic!, invece del corretto chlopskiego]" (Bel'cikov, Chynkulov 1962: 49). Secondo Calyj, Sevcenko stesso avrebbe confermato questa circostanza.
19 A proposito della conoscenza delle lingue di Sevcenko, nel 1861 O. A. Cuzbyns'kyj scrisse: "Di tutte le lingue straniere Taras Grigorevic conosceva solo il polacco e aveva letto in quella lingua molte opere" (Bel'cikov, Chynkulov 1962: 79). Una nota dei curatori aggiunge che il poeta conosceva anche il francese, almeno tanto da leggerlo senza difficoltà. In realtà sembra che egli abbia solo preso alcune lezioni di francese a S. Pietroburgo, senza raggiungere risultati di rilievo (Pricak 1991: 257). Una lingua straniera però Sevcenko la imparò molto bene, ed era il russo: al suo tempo (come testimoniano anche vari contemporanei) la popolazione contadina ucraina percepiva il russo prevalentemente come una lingua straniera.
20 ... (Sevcenko 1964: 314).
21 Questo vale per tutte le opere che il poeta non scrisse in ucraino. A proposito del racconto La principessa egli ad esempio scriveva a M. Lazarevs'kyj: "Non sarebbe meglio se di Knjahynja se ne occupasse Kulis?" (Sevcenko 1864: 156).
22 Particolarmente significativa è la definizione che, nella Prefazione alla progettata edizione del 1847, il poeta dette dell'Enejida come "buffonata alla maniera moscovita" (...). Nella poesia In eterna memoria di Kotljarevs'kyj (1838) Sevcenko aveva espresso la stima e gratitudine profonda per il primo scrittore della letteratura ucraina "moderna": i quasi 10 anni di differenza segnano un'evoluzione nel pensiero linguistico del poeta, ma è anche diverso il contesto in cui vennero espresse le due posizioni (cf. in italiano: G. Brogi, O. Pachlovska, Taras Sevcenko. Dalle carceri zariste al Pantheon ucraino, Milano 2015, pp. 40, 112sgg.).
23 Già nel titolo è evidente la strana combinazione di ortografia e lessico ucraino e russo, che del resto è tratto caratteristico anche delle due pièce menzionate prima, Natalka, la fanciulla di Poltava e il Soldato incantatore. La parola moskal del titolo originale è termine che indica il soldato dell'esercito imperiale, ma è anche generalmente usato per "russo". Il termine deriva dal polacco dove, nel xvii-xviii secolo aveva significato abbastanza neutro, poi acquisì sfumature decisamente peggiorative e satiriche. In ucraino, la sua valenza semantica è legata al contesto [n.d.t.].
24 Si veda al proposito: G. Grabowicz, Between Subversion and Self-assertion: the Role of Kotljarevshyna in Russian-Ukrainian Literary Relationships, in: The Ukrainian-Russian Encounter (1600-1945), Toronto 2003, pp. 215-228, e T. Hundorova, Kitc ta literatura, Kyjiv 2008, in particolare il capitolo Kotljarevscyna: Kolonial'nyj kitc) [n.d.t.].
25 Sevcenko ad esempio si serve della ... al posto della ... odierna ucraina, e della ... al posto della "i", scrive ancora certe parole con la "jat'" o la "e" invece dell'ucraina "i", usa la grafia ... al posto di ... alla 1° persona del presente indicativo, e simili. Ampio spazio è dedicato a questo problema in Mozer 2012 [n.d.t.].
Bibliografia
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Moser 2009: M. Moser, Russisch in der Privatkorrespondenz ukrainischer Frauen aus dem 18. Jahrhundert, in: J. Besters-Dilger, F. Poljakov (a cura di), Die russische Sprache und Literatur im 18. Jahrhundert: Tradition und Innovation. Gedenkschriftfür Gerta Hüttl-Folter, Frankfurt am Main 2009, pp. 289-322.
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MICHAEL MOSER è professore di Linguistica Slava presso l'Università di Vienna, l'Università Cattolica "Pázmány Péter" di Budapest e l'Università Libera Ucraina a Monaco di Baviera. I suoi interessi di ricerca sono indirizzati alla storia della lingua ucraina, soprattutto in contesto socio-linguistico. I suoi numerosi articoli e le monografie sono dedicati alle varie fasi dello sviluppo della lingua ucraina, da quella medievale, rinascimentale e barocca, a quella ottocentesca e contemporanea.
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Copyright Firenze University Press 2015
Abstract
The article discusses the significance of Ukraine's national poet Taras Sevcenko for the history of the Ukrainian standard language. By the time the poet published his works, Ukrainian had still not been developed into a modern standard language. Although Sevcenko himself did not establish Modern Standard Ukrainian, his significance for its further development was decisive, because it was precisely his language that served as a model for the other writers (including those from other dialect areas), and for the codifiers of the Ukrainian language as well.
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