Chiara Lepri, Le immagini raccontano. L'iconografia nella formazione dell'immaginario infantile, Edizioni ETS, Pisa 2016.
Nel suo volume, Chiara Lepri illustra, affrontandolo sotto il profilo letterario e storico-pedagogico, il ruolo centrale delle immagini nella formazione dell'immaginario infantile. L'ampiezza del tema trattato emerge fin dall'introduzione stessa, nella quale l'Autrice pone in evidenza il carattere profondamente polisemico dell'immagine, la cui presenza - non soltanto nei libri: si pensi ad esempio agli antichi disegni rupestri, all'arte a carattere religioso e, ai giorni nostri, ai fumetti o alla pubblicità - rafforza e "deflagra" il messaggio cui afferisce. Immagine che assume sempre un significato - sia iconografico che iconologico - e che, in virtù di ció, svela la sua natura bifronte, prossima sia a quell'èifcon che nella Grecia classica indicava in primis il ritratto, inteso quale impronta reale, lasciata da un volto in una certa materia, sia all'èidolon", riproduzione falsata e sofisticata del vero, ombre nella caverna di platonica memoria, che gli dei inviavano agli uomini per trarli in inganno: "immagine è lemma che si presenta complesso sia sul piano semantico, sia sul piano concettuale: esso abbraccia molteplici significati e sfumature di senso già a partire dalla doppia accezione di rappresentazione concreta [...] e di rappresentazione mentale, ossia di idea. Ma è proprio sul crinale di questa 'frattura' tra materiale e ideale che la riflessione in ambito pedagogico [.] si fa stimolante, se riconosciamo alle immagini un indubbio valore formativo e formativo dell'immaginario in particolare" (p. 15; corsivo originale dell'Autrice).
A partire dalla consapevolezza che "l'immagine destinata all'infanzia rappresenta [...] un documento di notevole valore storiografico, testimonia uno sguardo sull'infanzia stessa" (pp. 15-16)", nel primo capitolo Lepri affronta il rapporto che intercorre tra immagine e narrazione in ottica storico-metodologica, mettendo in evidenza come un'approfondita analisi delle immagini consenta non solo di comprendere il significato delle stesse, ma anche di ricostruire la mentalità, la visione e la cultura stessa della società e dell'epoca che le hanno prodotte. Per questo l'Autrice si sofferma sul fatto che le figure sembrano essere ancora oggi, soprattutto nel caso di quelle presenti nei libri e nei prodotti per bambini, scarsamente considerate: "l'immagine si delinea come una fonte di grande valore storiografico [...]. Tuttavia, in quanto fonte non tradizionale, essa è di fatto ancora poco studiata o [...] soffre di una pregiudiziale che la tratta come un prodotto effimero, sovrabbondante, popolare nel senso deteriore del termine [...]. In realtà l'immagine [.] ci consente di figurare quel che è stato, sia essa oggetto di culto, strumento di persuasione, di divulgazione dell'informazione o di intrattenimento, come pure gioco o narrazione" (p. 19).
S'inserisce in tale cornice concettuale anche l'interessante riflessione sul ruolo di "mediatore" assunto dall'adulto nel proporre ai bambini narrazioni corredate di illustrazioni; illustrazioni queste che, con modalité e scopi diversi a seconda della società e della cultura nelle e dalle quali sono generate, rarissimamente sono finaliz- zate al puro svago; al contrario, "l'immagine [...] trasmette simboli e significati, e va a produrre uno spostamento, un cambiamento nella visione del mondo dell'osservatore. Farné parla di un''immagine insegnante' [...] riconoscendone un innato valore educativo/formativo; il bambino [...] attua una lettura [...] preiconografica" (pp. 2729). È facile dunque intuire - come mostra Lepri ripercorrendo le tappe salienti di quella che potremmo definire una storia ragionata dell'immagine - il ruolo centrale assegnato alle figure nell'educazione e formazione di bambini e adulti: "sul piano storico, l'iconologia utilizzata a scopo didattico trova una sua consistenza attraverso alcuni momenti-chiave [...]. In primo luogo nel Medioevo la Chiesa ricorre all'uso delle immagini (affreschi, vetrate, [...] pitture, [...] "santini") come strumento di catechesi [...] soprattutto per il popolo analfabeta [...]. Successivamente il progresso delle tecniche di stampa [...] promuove un processo di laicizzazione dei repertori iconografici che divengono strumenti di divulgazione di conoscenze [...]." (p. 29).
Storie, dunque, quelle narrate attraverso le immagini, che "tutti potevano capire" (p. 49), come mostrato nel secondo capitolo, appunto dedicato all'analisi dell'iconografia narrante per bambini, sia italiana che europea, nel suo periodo di massima diffusione, tra gli anni '50 dell'Ottocento e i primi del Novecento. In queste pagine, l'Autrice affronta il complesso tema dell'influenza dell'imagérie populaire nell'educazione dei bambini, guardando sia a quelli appartenenti alla borghesia dell'epoca sia a quelli di ceto popolare, mostrando, soprattutto per quanto riguarda quest'ultimo, la me come mentalità e stili di vita divergano tra Nord e Sud d'Italia, oltre che tra città e campagne. Evidenti sono le differenze, anche in ambito educativo e di fruizione dei prodotti culturali - immagini narranti incluse - che contraddistinguono i due ceti sociali; il proletariato "incarna due mentalità dominanti: quella urbanoindustriale e quella agricolo-preindustriale. Se la prima, più laica ed emancipativa, è più vicina agli ideali [.] della borghesia, la seconda è fortemente legata a logiche di fatalismo e [...] folklore e da credenze magico/[...] religiose. Ne risulta una concezione d'infanzia da un lato privatizzata e conformata (dentro la famiglia borghese), che aveva accesso ai libri e all'istruzione, dall'altro marginale, proletaria e contadina, spesso precocemente adultizzata" (ibidem; corsivo orginale dell'Autrice). Da una parte, dunque, l'infanzia borghese tardo ottocentesca-primo novecentesca, istruita e destinataria di libretti per allestire teatrini in casa, favole, racconti e, per i più grandicelli, romanzi illustrati, filastrocche accompagnate da figure: si pensi, allargando lo sguardo in ambito internazionale, alla vera e propria esplosione di questo tipo di letteratura in Inghilterra, giustappunto in epoca vittoriana; dall'altra, l'infanzia proletaria e contadina, "che si lascia intimorire da struggenti ex voto, come pure divertire sfogliando stampe allegoriche e satiriche, lunari, almanacchi e bestiari. Si tratta di immagini estremamente attraenti e trasversali, che tutti sono in grado di leggere e comprendere, e che ripropongono i tópoi ricorrenti di una grammatica narrativa tipica dell'immaginario popolare" (p. 50; le espressioni non afferenti a termini di origine straniera sono corsivi originali dell'Autrice).
Alla luce di tali affermazioni, il secondo capitolo conduce il lettore alla scoperta dell'iconografia sacra - santini, immaginette devozionali popolari - destinata a bambini e bambine di ceto popolare e contadino e alla sua capacità di impattare in maniera rapida e immediata sull'educazione dei piccoli, attraverso esempi tratti dalla vita dei santi, figure religiose-modello, exempla di martirio e di abnegazione. Particolarmente inedite e interessanti sono le pagine dedicate agli ex voto, che rappresentano per gli storici testimonianze "di notevole valore [...], poiché documenta[no] credenze, timori e speranze ponendo in luce una psicologia del miracolo ed un modo di sentire che il popolo minuto e anonimo sviluppa dinnanzi al pericolo. E si configura come un prodotto iconografico tra i più interessanti perché non stereotipato né sofisticato, ma sincero e scaturito da un autentico impeto di gratitudine verso la divinità cui ci si è raccomandati. [L'ex voto] è un documento di storia sociale che riflette [mentalità e cultura di] una società [...] in gran parte analfabeta" (p. 53). Lepri si sofferma in particolar modo sugli ex voto presenti al Santuario mariano di Montenero di Livorno, risalente al 1841, e sul loro essere di facile lettura ma allo stesso tempo ricchi di dettagli, cosí da evidenziare la veridicità e la concretezza dei fatti narrati: bambini salvati per intercessione della Madonna dalle ruote di una carrozza, persone gravemente ferite ma guarite, piccoli caduti dalla finestra ma rimasti illesi, e via dicendo. Molto diversa è invece la produzione iconico-letteraria per l'infanzia borghese: nella seconda parte del capitolo si riflette infatti sul significato e sull'influenza sull'educazione dei più piccoli di immagini per fiabe e giochi quali, tra i più noti ancora oggi, quello "dell'Oca"; di fogli di costruzioni o per fare teatrini, da ritagliare e assemblare; di scrapbooks o, ancora, figure da vestire con abiti di carta; infine, destinati in special modo ai maschi - futura 'classe dirigente' del Paese nella quale instillare valori quali l'audacia, l'amor patrio, l'eroismo, a differenza delle femmine, destinate a diventare umili 'dee' del focolare domestico - fogli di soldatini.
Il volume - arricchito da un'ampia da un ampio apparato iconografico che spazia dagli ex voto del Santuario di Montenero ai santini più diffusi nel primo Novecento, passando dalle figurine dal 'sapore esotico' offerte a fine Ottocento dalla Liebig insieme al suo estratto di carne, ai giochi da tavola illustrati più popolari, fino alle illustrazioni più recenti di grandi autori quali, limitandoci agli italiani, Roberto Innocenti e Chiara Carrer - si conclude con una parte dedicata a un ulteriore approfondimento del nesso tra iconografie per l'infanzia e formazione ed educazione di quest'ultima. Scrive a questo proposito Lepri: "la lettura per immagini [...] contribuisce alla costruzione di modelli, si sedimenta nell'immaginazione del soggetto, suggerisce una rappresentazione del mondo. E lo fa non tanto sollecitando la produzione di immagini mentali, bensí rendendo evidente una figurazione che pure dà corpo a fantasie, emozioni, proiezioni, che si depositano nel profondo" (pp. 17-18). Ed è in queste pagine che, insieme a un'approfondita riflessione sugli autoriillustratori per l'infanzia più noti, quali ad esempio Leo Lionni e, più di recente, i già citati Innocenti, Carrer, oltre a Nergrin, Biagini, Grandville, Lepri dà meritoriamente spazio alla narrazione per immagini prodotta da un grande autore ancora oggi comunemente - e ingiustamente - noto quasi esclusivamente per i suoi racconti e romanzi: Dino Buzzati. Appare infatti lecito affermare che pochi conoscono a fondo le sue magnifiche storie per immagini, colte e raffinate opere iconico-narrative dagli effetti stranianti, intrise di fantasia, ironia, senso del surreale, di 'rodariano amore' per il ludico e, in alcuni casi, persino di erotismo: si pensi a Le storie dipinte, del 1958, e più tardi, nel 1971, a I miracoli di Val Morel, ristampati da Mondadori nel 2012 nel quarantennale della morte di Buzzati dopo essere state oltre 40 anni fuori catalogo. L'Autrice pone in evidenza il rilievo e l'originalità di queste opere specificando che "ci interessa approfondire in particolare Le storie dipinte e I miracoli di Val Morel ameno per tre motivi: 1. i due lavori si presentano come un eccezionale esempio di narrazione per immagini; inoltre condensano in sé 2. tematiche e credenze popolari e 3. una dimensione fantastica e ludico-parodica assai affine a quella dei generi narrativi per l'infanzia" (p. 112; laddove non afferente a titoli di opere letterarie, il corsivo è originale dell'Autrice).
Alla luce di quanto fin qui affermato e della ricchezza dei contenuti del testo oggetto della nostra recensione, ci piace concludere con le parole di Flavia Bacchetti che, nel presentare l'opera, ne riassumono efficacemente senso e obiettivi: "l'Autrice [...] mette in evidenza il nocciolo 'duro' della sua ricerca [...]: l'immagine s'identifica peculiarmente con la narrazione, è narrazione essa stessa con tutto ció che da questa asserzione discende sul piano pedagogico e formativo [...]. E il risvolto ideologico, ben presente in tutta l'iconografia, è solo uno degli aspetti della complessità dell'immagine, molteplici infatti altri fattori [...]. Questi aspetti, nel passato come pure oggi, sono determinanti in tutta l'iconografia rivolta ai più piccoli, in quanto nutrono, ma anche condizionano la formazione dell'immaginario [...]. L'immagine [rivela essere] un delicato congegno simbolico e semantico, capace di modificare nei bambini la visione del mondo" (pp. 11-13).
Ha detto Marshall McLuhan, "il medium è il messaggio": e anche le immagini, dimostra Chiara Lepri, non sembrano dunque contravvenire a questa affermazione.
Paola Caselli
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