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«L'exil en Amérique n'est pas comme l'exil en France qui n'a jamais été terre d'exil pour moi».1 Non si potrebbero incontrare parole più chiare di queste - estratte da una lettera scritta all'amico e maestro Andrea Caffi2 nell'estate del '46 - per illustrare la diversità delle condizioni psicologiche con cui Nicola Chiaromonte3 visse l'esilio negli Stati Uniti (1941-1948) rispetto a quello in terra francese (1934-1941). Una differenza di stato d'animo spiegata solo superficialmente dall'affezione di Chiaromonte per la Francia, una terra d'elezione in cui si era trasferito volontariamente per fuggire l'intollerabile conformismo creato in Italia dal fascismo, mentre negli USA era giunto da rifugiato, in condizioni drammatiche e dopo una dolorosa tragedia personale.
Nonostante l'America fosse un paese infinitamente ospitale, promettendo a tutti quella sicurezza materiale che in Europa, tanto più nei frangenti della guerra, sembrava un miraggio, Chiaromonte, nella selva dei grattacieli di New York, dove ogni misura umana sembrava smarrita, si sentiva più 'straniero' di quanto non gli fosse mai capitato a Parigi. Non perché i rapporti umani vi fossero particolarmente difficili, al contrario non vi era paese dove le persone fossero più accessibili, ma perché essi sembravano privi al tempo stesso di quella spontaneità e profondità che caratterizzava invece i francesi, così come gli italiani. Inoltre, l'individualismo americano, le sconfinate opportunità offerte dalla società americana a chi fosse alla ricerca di una occupazione dignitosa, la stessa lontananza degli Stati Uniti dalla tragedia europea, parevano nascondere a Chiaromonte una pericolosa insidia, la tentazione della perdita di sé, dell'oblio. Questa sensazione di spaesamento, destinata ad accompagnarlo per tutto il suo soggiorno americano, non gli avrebbe però impedito di valorizzare l'esperienza dell'esilio in termini di conoscenza di una nuova realtà sociale, di arricchire, «allargando gli orizzonti», la dimensione cosmopolita della propria formazione culturale. Luogo deU'anima (dell'ottundimento dell'anima) l'America era però al tempo stesso anche «un affare tremendamente serio»4 - la prefigurazione del futuro dell'Europa - e uno straordinario punto di osservazione per comprendere Ü tempo presente.
Per più di un motivo l'esilio americano di Chiaromonte non sembra ascrivibile a nessuna delle due modalità di comportamento nelle quali - se sono lecite queste genere di tipizzazioni - potremmo schematicamente inserire la grande maggioranza degli esiliati italiani negli USA. Non a quella di chi visse gli Stati...