1. Mistica e pedagogia
Mistica e pedagogia: una strana coppia! Una coppia che, all'occhio del disciplinarista di professione, potrebbe suscitare perplessità o sospetti2. Eppure, una lista non breve di opere mistiche documenta vicinanze esplicite tra la parola mistica e il lessico educativo. Se ne trova testimonianza nelle opere dei grandi mistici (da Ildegarda di Ingen a Meister Echkart, da Bonaventura da Bagnoregio a Giovanni Taulero, da Giovanni della Croce a Teresa de Avila), opere in cui soggiorna, non raramente, l'inquieto ospite della formazione3. E proprio a questo ospite, inquieto e inquietante, è dedicato il presente intervento. Che vuole presentarsi come uno studio di caso o, forse, di prospettiva. Mistica e pedagogia sono infatti concetti pienamente operanti almeno in un caso storico-educativo di grande successo e di lunga durata: quello dei gesuiti.
La storiografia tradizionale sui gesuiti ha indotto a leggere il corpo educativo della Compagnia con le belle evidenze della sua ossatura normativa, tenendosi ferma (ma forse sovrastimandone la portata) alla Ratio studiorum, alla cultura scolastica, alle documentatissime storie dei collegi. Raramente, però, essa ha dato ragione della pur continua emersione di una massa intrasparente: quella del discorso mistico. Che è presente, e ostinatamente, nel corpo gesuita. L'educazione della Compagnia non è infatti pensabile senza la sua cornice mistica, una cornice che affonda le sue radici nella spiritualità mistica del fondatore e in quella dei suoi primi compagni.
L'affermazione, per chi è poco aduso alle dispute interne (tuttora vive) tra i gesuiti, potrebbe sembrare forte. E chiama in causa il rapporto tra ascetica e apostolato, consueta ministeria ed educazione, un rapporto intrecciato con un misticismo che sempre aleggia tra i gesuiti, anche se all'ombra di una ben dissimulata concordia discors. Perciò essa va argomentata. E i linguaggi adatti allo scopo sono fatalmente molteplici. La traccia del mistico è depositata nei testi. Ma questi risultano scritti perlopiù in seconda istanza e si costituiscono come segni pedagogici: come testimonianza, cioè, intesa indicare ad altri la via da non trascurare. Essi vengono sempre dopo l'esperienza4. Rivestono natura educativa. Giocano il gioco della trasmissione. L'esperienza originaria del mistico, invece, si rivela anzitutto all'interno di un'azione. Nell'atto di una contemplazione, nell'intimità di un "fare". Perciò l'indagine che lo concerne deve sapersi muovere con intelligenza ermeneutica nei vari contesti di discorso. In alcuni casi, deve anche sapersi ritirare dalla razionalità della speculazione filosofica5 e farsi racconto storico. Sempre custodendo, però, la necessità di intrecciare le fonti fuori dal testo, i segni di una presenza fisica, i documenti che, fra loro alludendo, disegnano del mistico il profilo spirituale.
Fu dunque un mistico Ignazio di Loyola? La questione è stata spesso affrontata in modo diretto. E lo si è fatto con visione disciplinare: chi in chiave storico-filologica, chi in chiave teologica, chi in chiave spirituale6. Si è trattato, di solito, di un gioco teoretico circoscritto a poche fonti (su tutte, gli Esercizi spirituali), ma troppo interno all'analisi di un testo, testo che fu concepito per essere più "praticato" che letto7. Questo disegno ignaziano richiama così una socialità originaria degli esercizi spirituali, socialità fondata su un piano pedagogico: gli esercizi devono essere praticati, somministrati ad altri, e la loro propagazione esige una formazione per coloro che, a loro volta, li somministreranno. Perciò un'indagine sulla spiritualità di Ignazio, che si esprime in modo eminente negli Esercizi, non può non coinvolgere quel milieu sociale che ha costituito il suo primissimo campo di applicazione, sperimentazione, ma anche rielaborazione e co-costruzione. Non può non coinvolgere, cioè, i suoi primi compagni.
Un'immagine dalla lunga tradizione presso la Compagnia identifica il profilo dei gesuiti come quello di «contemplativi in azione». E spesso su questa immagine la storiografia ha lavorato, interpretandola come la cifra della differenza gesuita rispetto al panorama degli ordini religiosi coevi. Ma, come ogni etichetta, l'espressione "contemplativi in azione" ha poi avuto una fortuna propria. L'ambiguità (o la polisemia) inaggirabile che la abita ha generato tradizioni ermeneutiche divergenti. Così, riguardando il profilo essenziale del gesuita, la sponda storiografica è, in ordine di tempo, l'ultima a porre l'espressione "contemplativi in azione" come problema interpretativo. Infatti, molto prima del punto di vista esterno della storiografia, l'espressione si è configurata come un problema interno alla stessa Compagnia. Lì le diverse interpretazioni hanno corrisposto a diverse impostazioni culturali, organizzative e (in fondo) politiche dell'Ordine.
Nella comune (e ancora presente) autorappresentazione dei gesuiti due sono le tradizioni interpretative più forti di questa formula: una è di carattere apostolico, l'altra spirituale. Secondo Mucci, «la prima intrepretazione accentua "il fine della perfezione e dell'aiuto del prossimo a gloria di Dio che la Compagnia persegue". La seconda, "proponendosi di aiutare le anime a raggiungere il loro fine ultimo e soprannaturale", privilegia "i mezzi che congiungono lo strumento con Dio e lo dispongono a lasciarsi guidare bene dalla mano divina"»8.
Secondo questa interpretazione, nell'«unica» spiritualità gesuita si sono sviluppate due «scuole», la prima delle quali si sarebbe imposta sulla seconda, privilegiando il campo dell'azione rispetto a quello della contemplazione interiore. Dunque, da un lato la tensione verso l'altro, il campo pratico dell'agire, l'ascesi, la parola; dall'altro, la contemplazione di Dio, il ripiegamento interiore, la mistica e la visione.
Nel primo caso, l'attività del gesuita è rivolta alla salvezza del prossimo, solo possibile a patto di farsi strumenti di un Dio che gli Esercizi descrivono ad modum laborantis. E qui il panorama teologico è evidente: charitas forma virtutum, l'orizzonte delle grazie gratisdatae, i doni dello Spirito della lettera paolina. Un panorama adatto ad integrarsi bene, in fondo, con le architetture della chiesa post-tridentina.
Nel secondo caso, invece, i riferimenti teologici sembrano disegnare un profilo diverso. Si avvertono dinamica interiore e sapore agostiniano: un riferimento alla semantica della luce, del contemplare e dello speculare, alle ragioni del cuore e a quella geometria delle passioni che, curiosamente, troverà nella Francia di Port-Royal l'humus migliore per attecchire. Ma, al momento della comparsa della Compagnia, questa semantica era per la Chiesa una suspect zone, un fenomeno scarsamente controllabile nei suoi esiti e, spesso, pericolosamente centrifugo rispetto all'istituzione e alla gerarchia. Non che mistici o visionari non avessero popolato la religiosità dei secoli precedenti, ma, nella prima metà del Cinquecento, "contemplativi" e uomini spirituali vennero spesso associati ad una cultura proto-cripto-protestante. E ciò accadde in particolare proprio nella Spagna di Ignazio di Loyola9.
Se si accetta questa divisione in due scuole gesuitiche di spiritualità (quella apostolica e quella mistico-spirituale), il luogo del loro incontro e della loro contraddizione non può che essere il non-testo degli Esercizi Spirituali. La pratica di questi Esercizi risultò fondamentale per raccogliere i primi compagni attorno a Ignazio e la loro somministrazione, presso diversi ambienti sociali, garantì alla Compagnia di Gesù, fin dagli inizi, successo e diffusione10.
2. Gli Esercizi spirituali e la loro vocazione pedagogica
Da questo punto di vista, come intendere gli Esercizi spirituali di Ignazio? Sono essi un metodico percorso pedagogico di ascesi che annuncia un'unione mistica senza tuttavia cercarla, o si tratta di un'esperienza di ripiegamento interiore e spirituale di cui il misticismo è in qualche modo forma e risultato? Contengono già la vocazione "sociale" (con tutti i ministeri di evangelizzazione e missione, opere di misericordia, parola e confessione e, infine, di educazione che da essa dipendono) o, al contrario, rappresentano la cornice formale di un'esperienza individuale, interiore e silenziosa, un percorso che - se appare pedagogico - lo è in quanto auto-formativo, auto-didattico (o, come dirà Antonio Possevino, illustre gesuita di seconda generazione, teo-didattico)11? In sostanza, come si collocano gli Esercizi nella storia della spiritualità cristiana e, più precisamente, nel contesto culturale della Spagna di Carlo V, in cui essi furono concepiti? Quale fu il profilo spirituale di Ignazio di Loyola?
Come ricordato, una nutrita letteratura affronta direttamente queste domande. Talvolta in chiave teologica o storico-culturale, talaltra con accentuazioni storico-politiche. E ne dà, naturalmente, diverse interpretazioni. Ha scritto John O'Malley: «Pur essendo uno dei libri più famosi al mondo, gli Esercizi sono uno dei meno letti e meno capiti»12.
La motivazione principale di questo misconoscimento è, da più parti, attribuita proprio all'origine pratica dell'opera. Un libro pensato per non essere letto (ma «praticato» o «udito») rende molto complessa la sua interpretazione. Perfino a partire dal problema della sua codificazione. Come considerare il testo pubblicato ufficialmente nel 1548 se gli esercizi erano già stati pensati, somministrati e perfino "alterati" da quasi vent'anni?
Si ricorda questa alterazione proprio perché gli Esercizi hanno sì un'origine individuale - la convalescenza di Manresa -, ma lo sviluppo che porterà alla loro redazione definitiva coinvolge un gruppo di individui che, facendo gli esercizi e somministrandoli per primi ad altri, hanno contribuito a orientarli, modificarli, interpretarli. E dunque, la spiritualità di Ignazio rappresenta la principale fonte con cui si misurano le singole spiritualità di questi individui. È però ragionevole pensare che, formandosi un gruppo, e soprattutto grazie alla condivisione di questa pratica, una certa uniformità nell'attività spirituale fosse frutto di una costruzione collettiva.
Questo il motivo per cui non si può limitare il campo alla definizione della spiritualità singolare di Ignazio. Quella che comunemente viene definita "ignaziana", è una spiritualità che permea il campo dei primi gesuiti, e tale campo è molto attivo nel "darle forma". Vi presero parte Pierre Favre e Juan de Polanco. Perciò si parla di un'operazione collettiva che contribuisce a dare forma istituzionale alla spiritualità di Ignazio. Che, come dice Christopher van Ginhoven Rey, certamente preferì, come orizzonte dell'attività della Compagnia, la vita activa. Ma se è vero che la vita contemplativa fu da lui guardata con sospetto, alcuni aspetti della contemplazione rappresentavano per lui la cornice della sua esperienza personale e del profilo dei futuri gesuiti.
Probabilmente, la dialettica tra le due scuole ha contribuito ad oscurarne la comprensione. Ma la pratica degli Esercizi, e la struttura ascetica e formativa che li contraddistingue, portano in sé la necessità della contemplazione. Mistica è non solo l'ispirazione, ma anche lo sfondo su cui la pratica si dispiega. C'è un rapporto interno non disgiungibile tra tecnica dell'ascesi e contemplazione, un rapporto che diventa palese nel momento in cui si concepiscono entrambe le attività come operanti sull'individuo in quanto strumento. Lo stesso Van Ginhoven Rey indaga con acutezza questa metafora teologica: gli atti dell'uomo - che è strumento di Dio, ma dispone anche di una sua potenza attiva - sono per questa stessa ragione frutto di una cooperazione. Perciò l'uomo, nella contemplazione del proprio agire, riconosce anche l'agire di Dio.
In questa direzione, l'importanza degli Esercizi è confermata dal fatto che, ancor prima della promulgazione delle Costituzioni, la Compagnia ne avrebbe adottato il testo del '4813 proprio come base dell'Ordine, insieme alla nota Formula (con cui Paolo III aveva approvato l'Ordine nel 1540). Vivente Ignazio, essi furono prescritti ai novizi nella loro interezza.14 Secondo O'Malley: «Nessun altro ordine religioso aveva mai avuto un documento simile a questo»15.
Nonostante ciò, tuttavia, gli Esercizi non presentano contenuti potenzialmente nuovi o inauditi per il loro tempo. Né il titolo né la gran parte dei contenuti possono dirsi originali rispetto ad una serie di opere già allora molto diffuse in tutta Europa. Gli Esercizi furono concepiti da Ignazio molto presto, ancora in Spagna, prima di partire per Gerusalemme e quindi per Parigi. Riprendevano in larga parte la Vita Christi di Ludolfo di Sassonia (c. 1378) e, come noto, l'Imitatio Christi di Thomas di Kempis (c. 1420), che tanta in- fluenza aveva avuto tra i seguaci della Devotio moderna16. Questo testo rientra nella bibliografia personale accertata di Ignazio di Loyola durante la sua convalescenza a Manresa, insieme ad un compendio dell'Ejercitatorio de la vida espiritual del cardinal Cisneros (c. 1500)17, ispirato a sua volta all'Enchiridion militis Christiani di Erasmo da Rotterdam. La struttura degli Esercizi ricalca in gran parte l'ordine dell'opera di Cisneros, e il loro profilo devozionale - lo dichiara lo stesso Ignazio nella sua autobiografia - è direttamente ispirato all'Imitazione di Cristo. Anche questo testo rientra tra quelli che Ignazio imporrà ai novizi come lettura quotidiana.
L'influenza della devotio moderna su Ignazio è stata del resto a lungo indagata e illuminata. Essa agisce in Ignazio, come in genere nella sensibilità religiosa tra Quattro e Cinquecento, attraverso la centralità di Cristo e la sua sequela (l'esemplarità), la semplificazione di un gran numero di pratiche devozionali (che disperdono l'esperienza religiosa medievale), la valorizzazione dell'interiorità e, quindi, il concetto - che sarà preminente in Lutero - di fede come relazione e non più come "sostanza". La devotio moderna fu praticata in particolare dai Fratelli della vita comune (Brethren), una comunità di laici riuniti sotto una regola comune e che operò con successo a cavallo tra i due secoli. Lo stesso Erasmo ne fu influenzato.
La presenza della devotio moderna negli Esercizi - per dirla con O'Malley - è «palpabile». E se vogliamo osservare la rupture che la spiritualità ignaziana opera rispetto alla tradizione monastica, è ad essa che occorre guardare.
Moshe Sluhovsky individua a questo riguardo tre modifiche significative introdotte dagli Esercizi rispetto alla loro stessa bibliografia di riferimento: «A transition from reading exercises alone to listening to them as they are being read aloud; the central role of a spiritual director as a mediator between text and practitioner; and the availability of spiritual exercises of introspection and spiritual growth to all believers, regardless of their social status»18.
Queste innovazioni rendono possibile il superamento di una concezione degli Esercizi che, consacrata da Barthes, Elias e Foucault, li intende come il potenziamento, da parte della chiesa moderna, di uno strumento di controllo delle coscienze e di disciplina di origine medievale. Tale lettura manca però di considerare le discontinuità introdotte dagli Esercizi rispetto a questa tradizione. E lo stesso Sluhovsky, che pure ben le inquadra, sembra sfumarne la portata, quando afferma: «For Loyola, then, there was no contradiction or even tension between the monastic/spiritual and the apostolic/ministerial missions of the Jesuits»19.
È vero che una spinta alla sintesi informa la spiritualità ignaziana. Così come è vero che, in essa, non c'è contraddizione tra vita activa e vita contemplativa. Tuttavia, altro è dire che contemplazione e apostolato sono concepiti da Ignazio come unità, altro è dire che il concetto di contemplazione o spiritualità (a cui si riferisce) coincidano con il monachesimo. Qui sembra emergere un fortissimo contrasto. E giustamente Van Ginhoven Rey ricorda i sospetti e le resistenze che Ignazio sempre manifestò, da generale dell'Ordine, nei confronti dei gesuiti che chiedevano un maggior ritiro dal mondo per potersi dedicare alla vita contemplativa.
In sintesi, la contemplazione, la spiritualità e il misticismo non sono estranei alla mobilità essenziale del gesuita. Ma non si giocano all'interno del tradizionale e monastico contemptus mundi. Non sono l'opposto della vita activa. Ne sono invece la cornice necessaria. Perciò la contemplazione, per Ignazio, si esercita nel mondo, nell'azione e nell'apostolato.
Dall'altro lato, il concetto ignaziano di contemplazione differisce anche da quello dei cosiddetti illuminati, figure alte o movimenti comunitari che popolano la religiosità pre-riformata europea. Ignazio, pur accusato in due occasioni di alumbradismo, e proprio a causa degli Esercizi, fu inequivocamente prosciolto. Mentre l'illuminazione dell'uomo spirituale - e molti sono gli illuminati provenienti dall'ordine benedettino - è resa possibile dal ritiro dal mondo, in un contesto di rifiuto del "secolo", oppure nella dis-integrazione rispetto all'organismo sociale (l'uomo spirituale, come sostiene de Certeau, si muove come idiota nei contesti urbani e rurali), l'illuminazione del gesuita mette invece a fuoco proprio un'azione mondana.
In ciò si vede la contemporaneità di Ignazio con la Riforma protestante, la sua chiave fondamentalmente anti-monastica, la sua attualità rispetto ai tempi. Il vissuto religioso inattuale (ancora medievale-monastico) si esaurisce in Ignazio nella sua primissima esperienza di conversione. E digiuni, veglie, penitenze, randagismo pauperistico lasciano il posto, proprio a Manresa, ad una nuova forma spirituale, che vede in queste stesse dimensioni una esibizione peccaminosa tanto quanto lo sono i vizi, gli eccessi contrari. In questo senso va anche interpretato il concetto di "contemplazione" che ne deriva. C'è un modo di essere spirituali, illuminati, contemplativi diverso da quello legato al contemptus mundi.
I casi elencati da Van Ginhoven Rey, in cui Ignazio interviene per negare ad alcuni membri il ritiro dalla città per dedicarsi ad attività contemplative, non è da intendersi come negazione della contemplazione come attività o come pericolo insito nelle manifestazioni di misticismo, quanto piuttosto come negazione del ritiro dal mondo, come affermazione dell'azione in quanto alternativa al raccoglimento spirituale.
Con questa chiave interpretativa, si comprendono meglio anche le tre discontinuità sopra evidenziate da Sluhovsky. Libro per essere udito (ma dovremmo dire: materiali da essere usati), testo destinato alla guida più che a colui che intende esserne introdotto (funzione magistrale degli esercizi) e, soprattutto, pratica da somministrare ad una ampia cerchia di individui: non solo ai gesuiti, ai professi o ai novizi, ma a tutti i laici che operano nel mondo senza alcuna intenzione di ritirarsene.
Gli Esercizi hanno per fine quello di «vincere se stesso e ordinare la propria vita senza determinarsi per affezione alcuna che sia disordinata»20. Cosa intende Ignazio per ordinamento della propria vita? Lo chiarisce la prima annotazione: «Con questo nome di esercizi spirituali si intende qualsiasi modo per esaminare la coscienza, di meditare, di contemplare, di pregare vocalmente e mentalmente, e di altre operazioni spirituali»21.
Contemplazione e ascesi sono unificate nel fine stesso degli Esercizi. La tensione verso l'unità, infatti, anima questa pratica. Aspetti tradizionalmente considerati in antitesi, e che la stessa cultura monastica medievale recepiva come risolvibili solo con la vittoria di un aspetto sull'altro, vengono ora concepiti negli Esercizi come poli da conciliare e mediare.
3. Un contemplativo in azione: il maestro Pierre Favre
L'esempio più adatto per studiare questa concezione tra ascesi e mistica negli Esercizi, e che sfocia in un'ermeneutica pacificata dell'idea di «contemplativo in azione», è quello di Pierre Favre.
La scelta di Favre è dettata dall'importanza che egli riveste all'interno del gruppo dei primi gesuiti. Essa è talmente importante che, in alcune occasioni, egli verrà erroneamente ritenuto il fondatore o la guida della Compagnia. Al contrario, Favre aderì al carisma di Ignazio di Loyola. E inviato da Ignazio nelle più diverse missioni, si dedicò con continuità alla somministrazione degli Esercizi spirituali.
Beatificato nel 1872, recentemente santificato da papa Francesco, il savoiardo Pierre Favre fu il primo compagno di Ignazio (condivise con Francesco Saverio una camera presso il collegio di Santa Barbara), il primo gesuita ad essere ordinato sacerdote, il primo ad ottenere i gradi parigini e fu autore di un Memoriale che - anche in virtù dei grandi storici che ne hanno redatto l'edizione critica, come Michel de Certeau - è stato spesso ascritto alla letteratura spirituale e alla scuola mistica della Compagnia.
Vale per lui la domanda già posta per Ignazio: Favre fu un mistico o un apostolo? La sua vita fu dedicata all'agire nei confronti degli altri o la cifra del- la sua esperienza fu quella del rivolgimento interiore, di una incomunicabile auto-contemplazione interiore?
Sappiamo che la vita di Favre fu segnata dal viaggio. A lui Ignazio affidò la missione della Germania, il contatto con il mondo luterano. Fu presente col doctor Ortiz, oratore di Carlo V, ai colloqui di Ratisbona. In Germania entrò in contatto con la sensibilità religiosa riformata e ne trasse la conclusione che solo una riforma dello spirito avrebbe potuto ricondurre quei popoli al cattolicesimo. E, sempre in Germania, somministrò gli Esercizi a Pietro Canisio, che da lì a poco sarebbe entrato nella Compagnia, legando il suo nome al celebre Catechismo.
Favre attraversò la Germania, poi Coimbra, la Spagna e di nuovo la Germania. Questa mobilità essenziale, che si tradusse in un'opera costante di apostolato, è narrata in modo non sempre continuo nel suo diario privato di quegli anni. E benché non destinato alla pubblicazione, esso rappresenta lo strumento che ha legato il nome di Favre alla memoria storica. Ad oggi, è considerato l'opera di un mistico, perché intriso dei riferimenti culturali e spirituali di un contemplativo.
Dunque, l'uomo in viaggio e l'apostolo della Compagnia è anche l'autore di un'opera che appare squisitamente contemplativa. Ma vi è contraddizione in questa doppia dimensione? In lui vita activa e vita contemplativa appaiono invero convivere in un'unica personalità, e perciò Favre sembra il gesuita adatto a chiarire la spiritualità "ignaziana".
Favre fu un contemplativo in azione. E fu tale proprio perché mistico nell'azione. La raison du coeur, che domina nel suo Memoriale come logica immanente di un agostiniano ripiegamento interiore, non conflisse con l'apostolato. Ne fu anzi la forma, il luogo di esercizio della contemplazione, l'ambito in cui si consuma l'unione con Dio. Un'unione che si trova, per Favre, nella propria anima. Tale processo avviene per mezzo di un rispecchiamento dell'io con la propria anima: che è, come noto, ad immagine e somiglianza di Dio, e che è, a sua volta, speculum Dei. Con essa l'io ingaggia un dialogo serrato, sdoppiandosi per riunirsi. In un certo senso, attraverso una logica diversa e di cui diremo, si rinnova ciò che secoli prima Enrico di Gand prospettava con i termini scolastici dell'auto-contemplazione dell'essenza divina. Qui, in un luogo finito (l'anima individuale) e con uno strumento fallibile (a causa del peccato), l'io intravede, in un vero e proprio gioco di specchi concatenati, il Dio infinito e perfetto. La contemplazione viene infatti avviata a partire dal quotidiano, dalle resistenze del corpo, dalle pulsioni contrarie della stessa anima, da episodi umani. Tuttavia, questo campo creaturale e dominato dall'imperfezione si protende, grazie al rimando dialogico dell'io col sé (Favre si rivolge sempre alla propria anima dandole del tu), fino a Dio, unendo l'imperfetto al perfetto, grazie alla contemplazione estatica di ciò che accade e di ciò che è accaduto. In un certo senso, il misticismo di Favre si risolve nell'estasi del quotidiano, nell'estasi dell'io che si contempla dandosi del tu22. Questo io non è pura mente, né intelletto. Non è il soggetto o l'oggetto del filosofo metafisico, psicologo o filosofo naturale cinquecentesco. Né è quello del teologo speculativo. In Favre l'io - che domina nelle occorrenze del suo Memoriale, ed è fatto curioso da segnalare - è Je, un tessuto complesso di strati unificati che, per dire di un possibile collegamento con una letteratura contemporanea che quasi ignora questa parola, è possibile ritrovare solo negli Essais di Montaigne: «Je suis moy-mesmes la matiere de mon livre».
L'attività memorialistica di Favre serve alla registrazione razionale degli stessi moti dell'animo di Montaigne, ma la dialogicità interna all'io che in Montaigne fa da velo ad un lutto umano (la scomparsa dell'amico Étienne de la Boétie), in Favre serve proprio come cannocchiale per vedere Dio: ogni moto dell'anima umana corrisponde ad un moto di Dio, che in lei si rispecchia. E questa attività memorialistica, di sensibile e minuziosa registrazione (non lo sarebbe, se non ne andasse di Dio) è attiva, incessante e senza posa, nell'apostolato. I moti dell'anima, frutto causato dell'agire quotidiano, sono non tanto il controllo ascetico esercitato su un corpo/anima refrattario o riottoso, ma la descrizione estatica di ciò che l'anima compie e sente (compie sentendo). Perciò in questo la mistica è attiva in se stessa, e l'attività è mistica.
La stessa ascesi non è disattivata da questo dispositivo. Al contrario, essa è la testimonianza di un dato, la sua registrazione. Non è un compito affidato al regno del Sollen, ma la pratica adottata dalla ragione che osserva il sentimento mistico all'opera nel mondo.
Per questo l'attività è necessaria a Favre. La sua contemplazione agisce in modo retrospettivo su un apostolato che non può cessare: proprio perché cesserebbero i moti psichici che legano l'uomo a Dio. Tale attività non può essere giocata che nel mondo, nella storia, nella società. È rivolta verso l'altro. Ha bisogno della dialettica dell'altro e dell'altrove, che fungono da comburenti dell'esperienza spirituale e della sua contemplazione estatica.
In una nota del Memoriale (26 Ottobre 1542), Favre scrive: «Cherche donc en tout le charisme meilleur qui est la charité, et pratique-la, progressant en elle continuellement, sans te contenter de la mesure nécessaire à ton salut ou à celui du prochain. Si tu agis ainsi, si tu tends vers ce qui est parfait, tu obtiendras facilement d'autres grâces, non pas nécessaires, mais venues en surabondance pour ton bien et celui du prochain, telles la foi et l'espérance en de grand choses»23.
In questo senso, dunque, Favre sarà considerato un «contemplativo in azione». Anche se non si troverà nel suo Memoriale o nei suoi scritti la parola "mistica" o "mistico". De Certeau ha ricordato che la parola per designare questa "scienza nuova" raramente compare nel Cinquecento, ed è sostituita da "contemplativo", "spirituale", "illuminato", che molto spesso fungono da sinonimi.
Favre è contemplativo in azione proprio perchè contemplativo dell'azione. E non abbiamo esempi migliori di quelli offerti dalla sua esperienza parmigiana. Questa, dopo essersi rapidamente conclusa, offre una serie di documenti e testi raccolti oggi disponibili nei Monumenta Historica Societatis Iesu. In essi Favre fornisce ammaestramenti, ma, più ancora, insegna e guida coloro che in quegli anni lui stesso ha av vicinato alla Compagnia di Gesù. Tra questi vanno ricordati alcuni futuri non ignoti gesuiti, come Girolamo Domenech, Francesco e Benedetto Palmio, che in quel primissimo periodo entrarono in una Congregazione del Santissimo Nome di Gesù, e mantennero rapporti epistolari con i loro maestri, Favre e Lainez, prima di entrare definitivamente nell'Ordine24.
4. Il primo campo di applicazione: Favre a Parma
Il Cardinal Del Monte, futuro papa Giulio III, governatore della legazione di Parma, aveva confessato le proprie difficoltà nel gestire il clero parmense, e il cardinal de' Medici, futuro Pio V, aveva calcato la mano, descrivendo una situazione sociale di costanti pericoli, delitti, furti. Nel 1539, dunque, inviando Paolo III il cardinal Ennio Filonardi come legato pontificio in quella città, pensò bene di accompagnare una missione spirituale alla secolare gestione politica della città. Ne affidò la cura a due di quei nuovi "preti riformati" di cui aveva disponibilità in Roma, attendendo essi, insieme a Ignazio di Loyola, l'agognata approvazione dell'ordine.
Furono così scelti Pierre Favre e Diego Lainez, le due figure forse più rilevanti dell'ordine. Simão Rodrigues e Francisco Xavier sarebbero invece partiti qualche mese più tardi per il Portogallo, richiesti da quel João III che fu così decisivo in merito all'assenso finale del papa alla Compagnia di Gesù. Ma che l'idea di lasciar partire i propri compagni non fosse gradita a Ignazio, lo testimonia la fatica con cui lo stesso Filonardi ottenne da Paolo III un'ingiunzione in tal senso. Favre e Lainez partirono così da Roma nel 153925.
Arrivati a quella città, cominciarono a predicare et leggere, l'uno nella chiesa maggiore et l'altro in S. Gervasio, hoggi detto l'Annunciata, ciò continoando insino all'anno 1540 con molto frutto spirituale de molti.26
La predicazione e l'insegnamento della Sacra Scrittura, a cui il documento allude, si accompagnarono ad una attività organizzata e assidua di confessione e somministrazione degli esercizi spirituali. Queste iniziative, così ad ampio raggio nel panorama dei ministeri e così attrattive per le classi dirigenti cittadine, si inserirono in un contesto di equilibri ecclesiali locali che, inevitabilmente, reagì in modo negativo, spesso all'insegna della contestazione o, in taluni casi, di una vera e propria guerra aperta. L'avvento dei gesuiti a Parma suscitò sentimenti contrastanti, e ne rimane traccia nelle incoerenti testimonianze dell'Anzianato parmigiano, tutto teso, negli anni successivi alla partenza da Parma di Favre e Lainez, tra la supplica ai generali gesuiti di rinnovare e rafforzare la loro presenza in città e l'ostilità nei confronti della volontà ducale di inserire stabilmente la Compagnia all'interno del Ducato27.
La storiografia ufficiale dell'Ordine e quella locale, da essa derivata, insistono sul fatto che l'Anzianato parmigiano fu decisivo - come d'altronde lo fu anche l'azione diplomatica di Joao III, re del Portogallo28 - nello sciogliere le perplessità di Papa Farnese nei confronti del progetto di fondazione della Compagnia di Gesù. Paolo III aveva infatti assegnato al cardinal Guidiccioni l'analisi dello scritto di Ignazio di Loyola proprio nel periodo in cui Favre e Lainez erano a Parma. E così Parma si trovava al centro di un triangolo costituito dal Guidiccioni (che vi aveva soggiornato come vicario generale), da Paolo III (che ne era stato Arcivescovo) e dai padri gesuiti, che erano arrivati come accompagnatori del Filonardi. In questo primissimo caso, gli Anziani di Parma si mossero a favore della Compagnia. Scrissero sia a Federico del Prato, loro ambasciatore in Roma, sia a Costanza Farnese, figlia naturale di Paolo III e sorella Pierluigi, futuro duca di Parma e Piacenza, affinché persuadessero il cardinale e il papa ad emanare la Bolla di approvazione29. Questa sarebbe arrivata, finalmente, il 27 settembre del 1540 (nello stesso mese in cui - ricorda Favre nel suo Memoriale30 - lui e Lainez lasciarono Parma per altre missioni). Scrissero gli Anziani a Del Prato:
Molto R. et Mag. Concive Honorando,
Credemo dovete havere a memoria che alla venuta del R.° Legato costì, gli vene di compagnia dei pretti, certo di timorata consentia et bonissimi exemplari, li quali ogni festa predicano il verbo di Dio con tanto fervore et bonissimo modo che a questa hora hanno acominciato farne così bon frutto, et gli sono circa cento persone che ogni mese se confessano et se comunicano, de li quali ge n'era alchuni che non erano di molto bona vitta, et certo hanno quassi in ogni cossa lasciato il viver mondano, per attender al chulto divino; di la qual cossa cotesta città ne ha presso gran contento, per il che pensa gli ne debba succedere gran benefitio. Li quali pretti, insieme con altri suoi compagni, quali fanno la simile vitta, che sono costì a Roma, hanno formati certi capitali sopra a quelli che vogliono osservare tale vitta, li quali dicono che son stati datti a N.S. supplicando S. S.tà, come vero vicario de l'altissimo Signor, gli voglia confirmare et approbare; li quali, dopoi molte cosse, de le quali dicono che voi ne sette informato, N.S. ha concesso di novo la revissione de essi al R.° Guidicione, qual par stia alquanto renitente. Et perchè loro dessiderariano molto, per benefitio de le anime comune, che talli capitoli fosservi confirmati, a fin di poterli metere in osservantia, ne hanno pregato che di ciò ve ne vogliano dar avisso, afinché di tal bona vitta et opera ne posiate in nome vostro far testimonio al prefato R.° Card. Guiditione, et di più suplicarlo S.S.R.a in nome nostro ad voler che tali capitoli et ordini siano confirmati. Et perchè di ciò ne potiate parlare più gagliardamente ve mandiamo quivi allegate una nostra diretiva a S.S.R.a qual è credenziale in voi. Dil che quanto più possiamo ve ne preghiamo, che certo ne serà tanto gratta, quanto altra cosa possessivi fare31.
Una simile azione può essere motivata soltanto dal successo dell'opera di Favre e Lainez in città. E la lettera che il Consiglio degli Anziani spedì a Federico Del Prato fornisce anche indicazioni chiare su quale tipologia di opere di misericordia e di apostolato i gesuiti concentrassero le loro attenzioni: confessioni, predicazioni, comunioni. Gli Anziani non fanno menzione della somministrazione degli Esercizi Spirituali, che sappiamo tuttavia essere stata una pratica accolta ancor più benevolmente dall'establishment cittadino. Nel Memoriale, infatti, è lo stesso Favre ad elencarli nel carnet di opere compiute da lui e da Lainez nell'annata di residenza parmigiana: «Rimembra, anima mia, delle grazie che tu hai ricevuto e che fecero tanto frutto in quel luogo, per mezzo di noi e del reverendo Jerónimo Domenech, grazie alle predicazioni, alle confessioni e agli Esercizi»32.
Il riferimento di Favre a Jerónimo Domenech, d'altronde, è da considerarsi come l'elencazione di un ulteriore successo dei gesuiti a Parma. Ex studente parigino, lo spagnolo Domenech era infatti entrato nell'orbita gesuita conoscendo Francesco Saverio a Bologna nel 1538, e su sua indicazione aveva raggiunto Favre e Lainez a Parma. Lì i padri gli somministrarono gli Esercizi. Nonostante la forte opposizione della famiglia, il Domenech manifestò l'intenzione di entrare nella Compagnia. E l'agiografia e una lettera dello stesso Favre riportano la repentina visita dello zio a Parma, la fuga di Jerónimo a Sissa, per nascondersi da lui, la scenata dello zio davanti al cardinal Filonardi, l'intervento di quest'ultimo in favore del nipote, l'immancabile lieto fine con la somministrazione al padre degli Esercizi e una cospicua rendita lasciata da questi in eredità alla Compagnia33.
La pratica degli Esercizi spirituali si diffuse in modo straordinario, tagliando trasversalmente tutta la società cittadina. Il 21 marzo 1540 Favre confermava a Ignazio che il frutto dell'opera sua e di Lainez cresceva di giorno in giorno. Dichiarava inoltre, in particolare, di seguire nella pratica degli Esercizi due "caballeros principales de la tierra" e due signore, tra cui la contessa di Mirandola. Cinque giorni dopo, tuttavia, lo stesso Favre affermava con un certo orgoglio a Francesco Saverio:
De los exercicios ya no sabemos hablar en particular, porque tantos hay que dan los exercicios, que no sabemos el número. Todo el mundo los quier hazer, hombres y mujeres; subito como un sacerdote es exercitado, él los da á otros, etc.34
È interessante notare come la diffusione degli Esercizi spirituali seguisse l'iter di un rapido e capillare "mutuo insegnamento": i padri gesuiti li somministravano ad alcuni sacerdoti e questi, successivamente, a maestri, donne, semplici cittadini35.
Evidentemente, tra le attività che si richiedevano ai primi gesuiti vi erano quelle di misericordia nei confronti dei poveri, che a Parma, forse in conseguenza del continuo stato di guerra della città, abbondavano in modo disperante. A questo fine, Favre e Lainez dovettero coltivare l'idea di istituire un ospedale, ma il progetto fu abbandonato proprio per l'eccesso di mendicanti da ospitare in rapporto al numero dei padri a disposizione36. Loro stessi, d'altronde, quando erano giunti a Parma col Filonardi, avevano preso dimora nell'ospedale esistente, obbedendo ad una comune disposizione ignaziana.
A subire il fascino di Favre e Lainez furono anche dei giovani parmigiani che si raccolsero attorno ai due padri in una confraternita detta "Compagnia del Santissimo Nome di Gesù". E dunque, omonima dell'ordine. Il primo rettore fu quel Francesco Palmio37 che sarebbe poi divenuto, come il fratello Benedetto, piuttosto eminente nell'ordine. Al pari di altre confraternite coeve, e soprattutto in linea con la direzione spirituale dell'ordine, la congregazione retta dal Palmio si dedicò all'insegnamento della dottrina cristiana e alle opere di misericordia (elemosine, assistenza agli infermi, assistenza ai condannati a morte), ma dovette ben presto scontrarsi con quegli equilibri locali cui sopra abbiamo accennato, e che non sempre favorirono il radicamento della Compagnia di Gesù in città.
Fino al settembre 1540, la presenza (evidentemente carismatica) di Favre e Lainez protesse la neonata confraternita e, con l'approvazione dell'Anzianato parmigiano, sopì i contrasti. Fu dunque un fulmine a ciel sereno, per il Consiglio degli Anziani, la voce secondo cui il Papa aveva deciso di inviare i due gesuiti verso altre missioni. La decisione era già maturata agli inizi di quell'anno38: Favre avrebbe dovuto seguire il dottor Ortiz in Spagna, mentre Lainez pare fosse destinato ad una missione in Francia (in realtà si spostò prima a Piacenza, al seguito di Filonardi, poi a Reggio, quindi nello Stato Veneto). Gli Anziani tornarono a scrivere a Del Prato, affinché il Papa concedesse che almeno uno dei due potesse rimanere in città:
Prima che sapiamo che sette informati de le bone opere fatte in questa città per quelli dui ven. pretti già condutti per il R.mo Legato, li quali certamente son tanto boni, esemplari, et morigerati quanto dire si puossa, et hanno ridutti molta gente alli digiuni, oratione, confessioni et comunioni, quelli invero non erano de meliori di questa città, et ancho de molti altri; di modo che invero tutta questa città ne resta molto consolata, et si spera, medianta la gratia de Iddio, che debbano far multiplicar di bene in meglio, restandone uno delli suddetti, li quali per quanto ne viene detto son per partirsi per ordine di SS. S.tà, cioè uno per Spagna, et l'altro per Franza; per il che voresimo che per salute de le anime di questo populo fussivi contenta suplicare S. B.e se degnase concerderne almeno uno de essi a questo suo devoto populo (il nome delli quali son questi, Don Pietro Fabro, francesso, Don Jacomo Lainez, spagnuolo, predicatori) al mancho per tutta la quadragesima prossima; chè certo ne sarà cosa molto gratta, si che vi la ricomando di cuore.39
Oltre all'Anzianato, diverse personalità della nobiltà parmigiana si opposero alla partenza di Favre e Lainez, manifestando la propria contrarietà attraverso lettere rivolte a figure eminenti della corte di Roma, tanto da costringere i due gesuiti a negare, nelle lettere rivolte ai superiori, che dietro questa opposizione si celasse una loro ritrosia a partire.40 Ciò che è indubbio, tuttavia, è il fatto che il passaggio dei primi due compagni di Ignazio non passò inosservato. Rappresentò, anzi, il cuneo spirituale fondamentale per rovesciare i rapporti di potere ecclesiale nella città e per lanciare una delle prime sperimentazioni, per la Compagnia di Gesù, di un solido rapporto con la classe dirigente. Senza Favre e Lainez, e senza la loro attività, non sarebbe stata concepibile la scelta di Ranuccio I di rifondare l'Università e di affidarla proprio ai gesuiti.
5. Una lettera
Una lettera del 1542 mostra in modo significativo alcuni aspetti del misticismo apostolico di Favre. Rivolgendosi agli appartenenti alla Congregazione del Santissimo Nome di Gesù, Favre non fa che istruirli, passando in rassegna quegli atteggiamenti e comportamenti spirituali che fino ad allora avevano condiviso insieme. L'elenco ragionato, di fatto, è un compendio degli Esercizi spirituali, che a quel tempo non erano stati ancora pubblicati ed erano costituiti da un «insieme di materiali, direttive e suggerimenti per la persona che stesse aiutandone un'altra a farli»41. L'elenco ragionato di Favre arricchisce dunque questo corpus ignaziano e, data l'eterogeneità, l'oralità, la vocazione pratica stessa degli Esercizi, possono essere considerati come una interpretazione di prima mano della spiritualità dei primi gesuiti. Oltre a ciò, la lettera si dilunga su altri argomenti e fornisce squarci illuminanti su molti aspetti relativi ai ministeri della parola, ai sacramenti, alle devozioni e ai culti che segnarono la differenza gesuita al momento della nascita della Compagnia42.
È fuori discussione il fatto che il ministero educativo, per quanto non originariamente perseguito da Ignazio, sia stato quello che più ha contribuito alla diffusione della Compagnia nel mondo e che più di altri ha marcato la differenza ignaziana. Michael Buckley ha sostenuto che l'impegno educativo della Compagnia affondi le sue origini in una "spiritualità" piuttosto che in una filosofia, intendendo con questa spiritualità quella dello stesso Ignazio: è questo - a detta di Buckley - ciò che distingue l'impresa pedagogica gesuita da altri tentativi contemporanei 43. Esiste dunque una pedagogia gesuita radicata nella spiritualità ignaziana, e la richiamata lettera di Favre ne riflette i contorni.
Tale lettera, a differenza del testo degli Esercizi spirituali, non è indirizzata a coloro che devono fare da guida ad altri, ai "maestri" - come dice O'Malley in una associazione pedagogica del testo ignaziano; ma è indirizzata direttamente agli "allievi". È redatta in modo tale da tornare direttamente utile ai destinatari. Qui Favre è dunque in funzione magistrale, e il testo che scrive è connotato da una forma esplicitamente pedagogica. È proprio questa "forma" il banco di prova su cui occorre misurare la tenuta della nostra ipotesi attorno al misticismo gesuita dell'azione: giacché sono qui in gioco la triangolazione maestro-allievo-Dio, il problema della trasmissibilità della sapienza (ben diversa dal sapere), il problema della via, del metodo di tale trasmissione (ossia il problema di una didattica mistica), e, infine, la tensione antinomica tra libertà e autorità, auto- ed etero-formazione, svelamento e plagio che contraddistinguono ogni rapporto educativo.
Si è dunque di fronte ad un problema pedagogico parallelo a quello giocato dai gesuiti all'interno del setting istituzionale del collegio. Qui la cornice scolastica, e soprattutto gli obiettivi formativi, ripropongono le stesse questioni del maestro (nella sua funzione paidetica o depositaria del sapere) e dell'apprendere (per acquisizione di abiti o per inventio). Ne esigono però risposta in chiave "razionalistica". Tutta interna, cioè, al circuito dell'anima razionale, con le sue potenze di memoria, imaginativa e soprattutto intelletto, con un lessico psicologico sedimentato da secoli. E l'insegnamento e l'apprendimento sono allora problemi cognitivi connessi al sapere razionale, ad un logos umano che solo per analogia può dire di cose divine. Proprio il contrario del discorso mistico, dove il lato oscuro (o meglio, troppo luminoso) del logos può anche, alla fine di un esercizio ben riuscito, essere contemplato. Ma se non ci si ferma all'esperienza estatica dell'atonement, esso può anche essere detto: per simbolo o per metafora, ma non per analogia.44
Altre potenze, allora, devono essere addestrate nell'uomo per raggiungere il théorein e formare gli altri a questo obiettivo. Vie e metodi che prendono forme a contrario della psicologia razionale, facendo leva sulle stesse potenze, ma inserendole in un quadro lessicale del tutto diverso. Lo spirito, il cuore, la purezza, l'amabilità, l'umiltà, la disponibilità, l'apertura irrompono nel discorso razionale, ne travolgono il senso e producono conoscenza attraverso l'uso continuo dell'accostamento metaforico. Così Louis Lallemant: «Il dono della sapienza è una saporosa conoscenza di Dio, dei suoi attributi, e dei suoi misteri. L'azione dell'intelligenza è di conoscere e penetrare. La sapienza invece apprezza e fa accostamenti; aiuta a scoprire le cause, le ragioni, le convenienze; rappresenta Dio, la sua grandezza, la sua bellezza e le sue perfezioni come infinitamente adorabili e amabili; e da questa conoscenza nasce in noi un gusto delizioso, che si propaga qualche volta anche ai sensi del corpo e che è più o meno grande, in proporzione allo stato di perfezione e di purezza raggiunto dall'anima. Tra i due doni della sapienza e della scienza c'è la seguente differenza: la scienza non reca ordinariamente il gusto spirituale che la sapienza fa sorgere nell'anima. La spiegazione sta nel fatto che il dono della scienza riguarda soltanto le creature, per quanto in rapporto a Dio; mentre la sapienza ha di mira Dio stesso, la cui conoscenza è piena di attrattiva e di dolcezza»45.
E così Lallemant ben rinnova l'accostamento metaforico al corpo, che per De Certeau (e già per de Lubac) è di fatto lo heimat del discorso mistico. Proprio in questo accostamento si constata l'irruzione del mistico sul razionale, che pure considerava il corpo nelle sue relazioni "naturali" con l'anima. Le due retoriche risultano molto diverse. Mentre il filosofo naturale considera il corpo a partire dalla psicologia dei sensi aristotelica, adottando la logica classica per indagarne i funzionamenti, il mistico edifica invece sul corpo un'architettura metaforica che prende sì di mira i sensi, ma per vagliarne (o potenziarne) l'intensità. Dunque, indagini a freddo contro indagini a caldo. In sostanza, si tratta dell'opposizione tra atti discorsivi descrittivi e atti discorsivi performativi. Atti performativi che nel mistico hanno come obiettivo la dilatazione del senso, giacché il congiungimento con Dio avviene attraverso la via del "cuore", che è metafora di corpo e spirito concepiti come unità psicosomatica.
La stessa metafora del corpo si ritrova nella lettera di Favre, proprio come nello scritto di qualsiasi contemplativo. «Cibo spirituale», questa la chiave più usata. D'altronde Michel de Certeau già aveva chiarito: «Cos'è il corpo? L'interrogativo tormenta il discorso mistico».
Il sapere pedagogico del collegio può giungere a concepire la corporeità come strumento e luogo di formazione in questi significati: 1) come complessione e temperamento, vale a dire come fondamento fisico di un ingegno, as- sociando le competenze cognitive naturali a una serie di manifestazioni caratteriologiche (morali e comportamentali) determinate da una particolare mescolanza degli umori; 2) come strumento essenziale per compiere la propria missione nel mondo: e quindi, come oggetto da potenziare, rinvigorire, addestrare per consentirgli una cooperazione attiva alle attività dello spirito.
Lo sguardo del mistico sul corpo, come nel caso sopra osservato, è invece diverso, anche se fa leva sulle stesse funzioni. È come se il discorso del mistico lasciasse apparentemente intonse le cose, intensificadone i significati. Ciò vale per la funzione educativa del corpo: il Memoriale di Favre mostra un corpo, i suoi sensi, anche un ingegno da cui Favre non esce, ma che, al contrario, approfondisce. Lo stesso vale per i contrasti della carne o le afflizioni dell'anima, che risultano in Favre come occasioni formative in un senso opposto, apparentemente opposto, al discorso istituzionale del collegio: la retorica connessa al disporsi a ricevere l'azione di Dio in sé e attraverso di sé è in realtà la forma discorsiva di una attività incessante operata proprio dal sé.
Così Favre: «Dans les commencements d'une vie meilleure, notre principale préoccupation, d'habitude - et nous avons pas tort - est de nous rendre nousmêmes agréables à Dieu, en lui préparant dans notre corps et dans notre esprit une demeure corporelle et spirituelle. Mais vient un moment (que l'onction du Saint-Esprit enseigne d'elle-même à qui marche avec droiture), où il nous est donné et demandé de chercher et de tendre non plus tellement à être aimé de Dieu qu'à l'aimer; c'est-à-dire de le considérer moins par rapport à nousmêmes que par rapport à lui-même et à toutes choses, et de chercher d'une manière absolue ce qui lui plaît ou lui déplaît en ce monde qui est le sien»46.
Buckley ritiene che questa spiritualità di derivazione ignaziana faccia da sfondo alla figura dell'individuo come strumento. Nell'area semantica di questa metafora, Creatore e strumento agiscono entrambi e agiscono insieme. Ciò è visibile nella Contemplatio ad amorem degli Esercizi, in cui Ignazio si riferisce alle cose come a "doni". Questi doni sono implicati nell'opera salvifica di Dio, che viene descritto negli Esercizi - come detto - ad modum laborantis. Essi sono "provvidenziali" nella loro propria natura. Se dunque è vero che Dio opera attraverso tutte le cose, sostiene Buckley, allora si deve attribuire una «importanza reale» ai talenti naturali, ovvero agli ingegni, di cui ciascun individuo è naturalmente dotato. Essi vanno elencati tra i doni «attraverso i quali e nei quali Dio opera»47. Ogni strumento ha infatti, secondo l'assioma di Tommaso d'Aquino, un atto proprium, un atto proporzionato alla sua stessa natura. Ed è qui - suggerisce Buckley - che anche un programma pedagogico (che verrà più tardi codificato con la Ratio studiorum) intende riconoscere e coltivare la natura propria in base a cui uno strumento agisce, e garantire così allo strumento che il percorso formativo lo metterà in condizione di operare al meglio48.
Supporterà questa tesi la Concordia di Luis Molina, con la sua scientia media e la scolastica fondazione del concetto di "cooperazione" con Dio. In Favre, l'idea che lo strumento cooperi con Dio è il fondamento di una Mistica, non di una Scolastica. E fonte di estasi è proprio l'attività quotidiana. In essa va in scena la cooperazione di Creatore e strumento, un rapporto incommensurabilmente a-simmetrico in cui l'io si forma sempre contemplando il proprio agire, assistendo all'evento che lui stesso produce. Anima e Dio agiscono insieme. Logicamente e cronologicamente. E la biografia di questi atti è il Bildungsroman dell'individuo, che misticamente vi ritrova, ad ogni passo, l'orma di Dio.
Esperienza incomunicabile? Il Memoriale e le lettere di Favre sembrano andare in direzione opposta. Ma la comunicazione non si riferisce tanto al contenuto di una vita, quanto alla cornice. Ciò che Favre comunica, in fin dei conti, è la sua sapienza. Ciò che può insegnare agli altri è l'elevazione ad un punto di vista sul sé. Che non può avvenire per speculazioni, ma per continue introspezioni. La disseminazione a cui spesso ci si riferisce, per parlare del profilo di un gesuita, è qui correlata alla concentrazione. La mobilité éssentielle di cui parla Luce Giard è qui correlata ad un'inquietudine essenziale. L'agire gesuita che si realizza nel campo dell'estensivo viene ricondotto da Favre alla contemplazione, all'intensione. E queste due dimensioni convivono in rapporto dialettico. La loro fenomenologia non è dunque mero biografismo, ma storia formativa del soggetto (doppio: uomo e Dio cooperanti) nel mondo: l'autoformazione di un «contemplativo in azione».
1 I parr. 1-2 sono da attribuire a F.M. (Università Roma Tre); 3-6 a Cristiano Casalini (Università di Parma-Boston College).
2 Si ricordano qui, invece, alcuni lodevoli tentativi: Mario Manno, L'attualismo come pedagogia mistica, in Piero Di Giovanni (a cura di), Giovanni Gentile. La filosofia italiana tra idealismo e anti-idealismo, Franco Angeli, Milano 2003, pp. 272-305. Alberto Granese, Istituzioni di pedagogia generale. Principia educationis, CEDAM, Padova 2003; Id., Interpretazioni bibliche e filosofia morale, Armando, Roma 2011. In dialogo con Mario Manno, tra le altre cose, anche sui nodi teoretici del discorso mistico: Francesco Mattei, Itinerari filosofici in pedagogia. Dialogando con Mario Manno, Anicia, Roma 2009. Da un punto di vista storico-pedagogico, invece, alcuni aspetti di questo rapporto sono stati indagati, in anni ormai lontani, da Garin, Laeng, Volpicelli.
3 La metafora dell'itinerarium, a cui già la cultura neo-platonica ed ermetica aveva attinto come immagine paidetica, è ben presente nella letteratura mistica. Altrettanto lo è l'immagine del castello, che largo seguito troverà nella letteratura utopica. L'immagine riveste una duplice funzione: è indirizzata al lettore dell'opera, come strumento evocativo, e ha una funzione propriamente educativa intratestuale, segnando l'ascesa contemplativa del mistico in tappe progressive. Sulla funzione della metafora in tali contesti, v.di Hans Blumenberg, Paradigmi per una metaforologia, Raffaello Cortina Editore, Milano 2009. V.di anche Id., Naufragio con spettatore, Il Mulino, Bologna 2001.
4 Definendo il termine "spiritualità" per indagarne la presenza in Tommaso d'Aquino, JeanPierre Torrell descrive questa secondarietà del testo (dottrina) rispetto all'esperienza spirituale: «Insegnata da una persona anch'essa ammirevole a causa della sua spiritualità personale, questa dottrina consiste il più delle volte nel dare forma alla propria esperienza vissuta, a volte appena liberata dai suoi tratti più immediatamente personali. Pensiamo qui certamente agli scritti dei santi, a Teresa d'Avila, o a Giovanni della Croce, alle raccomandazioni pratiche di sant'Ignazio (...)» [Jean-Pierre Torrell, Tommaso d'Aquino maestro spirituale, Città nuova, Roma 1998, p. 30]. Questa sistematizzazione di un'esperienza vissuta deve tuttavia essere concepita, come già ricordava Maritain, in senso pedagogico: «Proponendo al discepolo le regole concrete di un agire secondo un certo spirito, il loro scopo è quello di provocare in lui il rinnovamento dell'esperienza originale o almeno la comparsa di una esperienza simile» [Ibidem]. Cfr. Jacques Maritain, Distinguer pour unir ou Les degrés du savoir, Paris 19462, in part. il cap. VIII: «Saint Jean de la Croix praticien de la contemplation».
5 Per Michel de Certeau, questa esigenza è direttamente avanzata dallo statuto della mistica come "discorso scientifico" [cfr. Michel de Certeau, La Fable mystique. XVIe-XVIIe siècle, II (édition établie et présentée par Luce Giard), Gallimard, Paris 2013, p. 30-31]. Di diverso avviso Pierre Hadot [Philosophy as a Way of Life: Spiritual Exercises from Socrates to Foucault, Oxford University Press, Oxford 2005]. È interessante notare come per Certeau siano le scienze sociali (a cui appartiene anche la pedagogia) sorte nel XIX secolo, e non la filosofia, a sovrapporre il proprio statuto a quello della Mistica come scienza. «L'émergence et la différenciation des sciences sociales entraînent aussi une érosion de la philosophie, malgré son apparente prospérité académique et professionnelle» (Ibid., p. 32). Di questo l'indagine storiografica non può non tener conto. «La fondation des sciences sociales, institution conquérante depuis la fin du XIXe siècle, a entraîné un reclassement de toutes les manifestations religieuses. Aux luttes traditionnelles entre institutions du sens (...), se substitue la coupure qui instaure un champ de savoir et qui oppose l'institution scientifique à des "phénomènes" (historiques, sociaux ou psychologiques) relevant désormais de la juridiction. Résultat d'un procès historique de plusieurs siècles, cette institution enlève peu à peu aux Églises la gestion intellectuel de leur héritage» (Ibid., p. 31-32).
6 Di questa abbondante letteratura si vedano, ad esempio, Calveras e Candido de Dalmases (a cura di), Sancti Ignatii de Loyola Exercitia spiritualia, in Monumenta Historica Societatis Iesu, serie II, vol. 1, Institutum Historicum Societatis Iesu, Roma 1969, pp. 39-60; Ignacio Iparaguirre, Historia de la prática de los Ejercicios espirituales de San Ignacio de Loyola, 3 voll., Bilbao 1946-1973), in part. vol. I, Prática de los Ejercicios de San Ignacio de Loyola en vida de su auctor (1522-1556), pp. 29-40; Pedro de Luteria, "La 'Devotio Moderna' en el Montserrat de San Ignacio", Estudios Ignatianos, II, (1957), Roma, pp. 73-88; Id., "Libros de horas, Anima Christi, y Ejercicios espirituales de San Ignacio", Estudios Ignacianos, cit., pp. 99-148; Juan Plazaola (a cura di), Las Fuentes de los Ejercicios Espirituales de San Ignacio. Actes del Simposio Internacional (Loyola, 15-19 Septiembre 1997), Bilbao 1988; Terence O'Reilly, "Saint Ignatius and Spanish Erasmianism", Archivum Historicum Societatis Iesu, 43 (1974), pp. 310-321; Marjorie O'Rourke Boyle, "Angels Black and White: Loyola's Spiritual Discernment in Historical Perspective", Theological Studies, 44 (1983), pp. 24-257.
7 V.di John O'Malley, I primi gesuiti, Vita e Pensiero, Milano 1994, p. 43.
8 Giandomenico Mucci S.I., "Presentazione" a Ignazio di Loyola, Esercizi spirituali. Con il commento di Louis Lallemant, La Civiltà Cattolica, Roma 2006, p. 7. I citati interni sono tratti direttamente dalle Costituzioni della Compagnia di Gesù.
9 Sono note le disavventure personali di Ignazio, sospettato di alumbradismo. V.di Guido Mongini, "Per un profilo dell'eresia gesuitica: la Compagnia di Gesù sotto processo", Rivista storica italiana, 117 (2005), pp. 26-63; Melquíades Andrés Martín, "Common Denominations of Alumbrados, Erasmians, 'Lutherans', and Mystics: The Risk of a More 'Intimate' Spirituality", in Angel Alcalá (a cura di), The Spanish Inquisition and the Inquisitorial Board, Boulder, 1987, pp. 457-494. V.di anche Adriano Prosperi, Introduzione a Roland Bainton, Vita e morte di Michele Serveto, Campo dei Fiori, Roma 2012.
10 Diverse opere che vengono ascritte alla scuola spirituale sono commenti agli Esercizi di Ignazio. Tra i più noti maestri: Achille Gagliardi, Jean-Joseph Surin, Louis Lallemant.
11 Antonio Possevino S.J., Coltura degl'ingegni, a cura di C. Casalini e L. Salvarani, Anicia, Roma 2008.
12 John W. O'Malley, I primi gesuiti, Vita e Pensiero, Milano 1994, p. 43.
13 Cfr. Jean-Claude Guy, "Les 'Exercices Spirituels' de saint Ignace. L'achèvement du texte", Nouvelle Revue Théologique, 107 (1985), pp. 255-260.
14 Lo stesso può dirsi per un altro testo, L'imitazione di Cristo, di cui diremo. La somministrazione degli Esercizi ai novizi sarebbe stata invece limitata o annullata molto più tardi, ai tempi di Acquaviva, intervenendo forse ragioni politiche per attenuare i sospetti della chiesa nei riguardi della Compagnia.
15 John O'Malley, I primi gesuiti, cit., p. 43.
16 Attraverso il testo di Ludolfo è possibile tracciare un quadro più ampio degli influssi sulla spiritualità ignaziana: «Ludolfo fu a sua volta così dipendente dalle Meditationes vitae Christi che talvolta è difficile distinguere questo testo dal suo. Le Meditationes, un tempo attribuite a Bonaventura e certamente da lui influenzate, furono composte da un francescano italiano alla fine del tredicesimo secolo o agli inizi del quattordicesimo e costituirono il veicolo principale attraverso il quale inizialmente la pietà francescana entrò nella tradizione gesuitica» [Ibid., p. 53].
17 L'edizione più antica oggi sopravvissuta è il Compendio breve de ejercicios espirituales (1555), ma la versione a disposizione di Ignazio doveva datare 1520.
18 Moshe Sluhosvky, "St. Ignatius of Loyola's Spiritual Exercises and their contribution to modern introspective subjectivity", The Catholic Historical Review, XCIX; 4 (2013), p. 651.
19 Ibid., p. 650.
20 Es. spir., p. 47.
21 Ibid., p. 28.
22 Sull'emersione del sé nell'esperienza spirituale tra medioevo ed età moderna, v.di Reindert Falkenburg, Walter S. Melion, Todd M. Richardson (a cura di), Image and Imagination of the Religious Self in Late Medieval and Early Modern Europe, Turnhout, 2007; Karl A.E. Enenkel, Walter Melion (a cura di), Meditatio - Refashioning the Self: Theory and Practice in Late Medieval and Early Modern Intellectual Culture, Leiden 2010.
23 Mémorial, pp. 232-233.
24 A Parma, città non ancora ducale, Favre fu inviato da Ignazio insieme a Diego Lainez, prima di essere dirottato verso la Germania. I gesuiti, su richiesta di Paolo III, accompagnavano il cardinal Ennio Filonardi proprio in quel 1540 che avrebbe visto la pubblicazione della bolla di conferma della Compagnia. L'esperienza parmigiana si mostra come un cristallo della penetrazione gesuita all'interno di un contesto cittadino, e offre allo storico la possibilità di indagarvi la più ampia casistica delle reazioni sociali ai tentativi di svolgere attività o ministeri da parte della Compagnia. In particolare, si possono tracciare i successi e gli insuccessi di determinate attività, pesare la concorrenza e le ostilità da parte di altri ordini religiosi attivi nei medesimi campi, intuire le motivazioni dell'appoggio o dell'ostilità delle classi dirigenti, inserendo queste motivazioni su un preciso piano sociale (anche di genere); si possono osservare i casi sperimentali di vocazioni contrastate, di congregazioni fondate, di critiche dirette al profilo spirituale dei gesuiti. Si può osservare, infine, come gli stessi gesuiti razionalizzavano tutto questo, si autorappresentavano nella loro vocazione e missione, quali strategie adottavano per radicarsi e, da ultimo, cosa e come scrivevano per lasciare traccia delle loro convinzioni, o per registrare i contrappunti emotivi agli affanni quotidiani.
25 Beati Petri Fabri primi sacerdoti e Societate Iesu Epistolae, Memoriale, et Processus, IHSI, Roma 1972, p. 35.
26 Ibid., p. 36.
27 Certo, questa incoerenza si manifestò diacronicamente: all'arrivo di Favre e Lainez Parma era legazione pontificia e solo dal 1545 sarebbe divenuta città (non capitale) ducale. Nel '64, poi, sotto il ducato di Ottavio Farnese (che pur mutò una primigenia avversità nei confronti della Compagnia, assecondando in tal modo il volere di Margherita d'Austria e del giovane conte Sanvitale), l'Anzianato dovette fare i conti con l'obbligo al finanziamento delle opere gesuitiche - chiesa e collegio di San Rocco in particolare.
28 Sulla diplomazia lusitana, e in particolare sui rapporti tra Diogo de Gouveia, ex principale del collegio di Santa Barbara, João III e papa Paolo III si rimanda a C. Casalini, Aristotele a Coimbra, Anicia, Roma 2012.
29 Tacchi Venturi, P., Storia della Compagnia di Gesù in Italia, II, p. 315. Sulla incidenza del Consiglio degli Anziani di Parma nei confronti dell'approvazione papale dell'Ordine, v.di Stoeckius, Parma un die papstliche Bestatigung der Gesellschaft Jesu 1540, Heidelberg 1913.
30 Mémorial, cit., p. 121.
31 V.di Tacchi Venturi, P., Storia della Compagnia in Italia, I, p. 568. La lettera, datata 26 gennaio 1540, è riprodotta in Micheli, G., Le lettere di Sant'Ignazio agli Anziani di Parma, Unione Tipografica Parmense, Parma 1923, così come parte della lettera che il Consiglio degli Anziani scrisse a Costanza Farnese, nel marzo del 1540. Per comprendere le difficoltà sollevate da Bartolomeo Guidiccioni e il clima ormai tridentino di sospetto nei confronti della nascita di nuovi ordini, è interessante la risposta di Federico Del Prato (13 febbraio 1540): «[il Cardinale] ha fatto quella relatione che dovea fare, la quale in effetto contiene che detti capitoli sono giusti et santissimi. Ben è vero che'l desiderio grande che tengono questi preti della confirmatione de' capitoli suddetti, attento che sono stati confirmati un altra volta, non le aggradisse molto, né ancora molto le piace che per vigore di tali capitoli si susciti una nuova religione et singulare dall'altre [c.n.], la quale, oltre che sia prohibita dai canoni, pare che sia molto pericolosa a questi tempi, non ostante che fin qui ne sia seguito assai buon frutto» [Ibid., pp. 26-27].
32 Favre, P., Mémorial, cit. pp. 121-122. Che l'indicazione degli Esercizi non sia meramente di prassi lo certifica la frase che Favre scrive a seguire: «Et de même à Sissa». Nel borgo a poca distanza dalla città, infatti, Favre ebbe modo di somministrare gli Esercizi a Isotta Nogarola, giovane contessa moglie di Francesco Terzi.
33 Beati Petri Fabri..., cit., 11, pp. 14-19. Cfr. Favre, P., Mémorial, cit., p. 122n3. È indicativo di una diffusa buona disposizione agli Esercizi ignaziani il fatto che lo stesso zio del Domenech, nonostante l'opposizione all'ingresso nell'ordine del nipote, confermasse al Filonardi che gli Esercizi gli fossero noti e che godessero di buona fama presso la sua cerchia: «De los exercicios etiam habló (el dicho tío) sed totalmente ad bonum, deziendo etiam que eran buenos y sanctos, y que él conozcía personas de mucha qualidad, las quales los approuauan» [Beati Petri Fabri..., cit., 11, p. 17].
34 Beati Petri Fabri..., cit., p. 22.
35 «Imo etiam, los exercicios dan algunos parrochianos, á sus súbditos; los mandamientos enseñamos ya al principio, quando venimos á Parma; y despues acá, tanto se son dilatados por vía de exercitantes y exercitantas, por vía de los maestros de escuelas, entre los quales algunos, los quales á muchos de sus dicípulos capaçes etiam an dado los exercicios primeros» [Ibid., p. 32].
36 «Sobre lo de congregar los pobres en esta çiudad, ya os hemos dicho el impedimiento; porque seyendo assí que en Parma se hallan más [de] seis mil y quinnientos pobres mendicantes, y tres mil entre ellos forastieros, y entre los de la tierra una gran parte, que son que tienen algo de proprio, mendicantes lo que les falta, no veemos modo de poder hazer que en Parma no sean mendicantes por la puertas, ó que todos se reducan en uno» [Ibid., pp. 23-24].
37 A, Cardinali, T. Galanti, "Attività del collegio gesuitico di S. Rocco fino alla cacciata del 1768 alla luce della documentazione d'archivio", in Archivio Storico per le province parmensi, XLIII (1991), p. 117. Luigi Dossi elenca poi alcuni nomi tra i primi gesuiti di Parma: Paolo d'Achille, Elpidio Ugoleti, Silvestro Landini, Giovanni Battista Viola, Giovanni Battista Pezzana e Pantaleone Rodini [L. Dossi, I Gesuiti a Parma (1564-1964), Milano 1964].
38 Il 25 marzo1540 Favre scriveva a Francesco Saverio: «No sabemos etiam quo die, echas las fiestas, podríamos dexar Parma» [Beati Petri Fabri..., cit., 13, p. 24].
39 Tacchi Venturi, P., op. cit., p. 576 e ss.
40 Scrivendo a Ignazio, Favre dichiarava di essere a conoscenza di diverse lettere partite da Parma per impedirgli di lasciare la città, ma di tutto questo movimento «yo no soi parte. Yo supplico á la divina magestad, nos quiera dar enera gracia que, en quanto más seremos corporalmente espargidos, tanto mayores rayzes eçhemos quanto al spíritu, in quibus uniamur in saecula saeculorum» [Beati Petri Fabri..., cit., p. 34].
41 John O'Malley, I primi gesuiti, cit., p. 43.
42 Adrien Demoustier, "L'originalité des 'Exercises spirituels", Les jésuites à l' âge baroque (1540-1640), a cura di Luce Giard e Louis de Vaucelles, Grenoble 1996, pp. 27-31.
43 Michael Buckley, The Catholic University as Promise and Project: Reflections in a Jesuit Idiom, Georgetown University Press, Washington D.C. 1998, pp. 81-82.
44 Discorso che, naturalmente, per Certeau è fondativo di una «scienza sperimentale». Elencando gli assi portanti di tale scienza, de Certeau ne elenca anche le questioni propriamente "pedagogiche": «Science étrange, il est vrai. Aux XVIe et XVIIe siècles, elle reste liée aux présupposés chrétiens d'une theologie médiévale, mais esse est désormais privée de l'appareil rationnel qui les articulait jadis en objets de pensée; aussi, amenée à exhumer les postulats d'une croyance qui perd ses objets, il lui faut soutenir leur «fondement» par d'auters voies: une pragmatique du dialogue, une rhétorique du corps-sujet, une méthodologie, voire une technologie expérimentale "moderne"» [Michel de Certeau, La Fable mystique. XVIe-XVIIe siècle, II (édition établie et présentée par Luce Giard), Gallimard, Paris 2013 p. 21].
45 Louis Lallemant, La dottrina spirituale, trad. di G. Vigotti, Ancora-Piemme, Milano-Casale Monferrato 1984, p. 167-168.
46 Pierre Favre, Mémorial, cit., p. 272.
47 Michael Buckley, The Catholic University, cit., p. 83.
48 Cfr. Christopher Van Ginhoven Rey, Instrument of the Divinity. Providence and Praxis in the Foundation of the Society of Jesus, Brill, Leuven 2013, pp. 129-131.
49 Beati Petri Fabri..., cit., p. 39.
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6. Appendice
Piae parmensi Sodalitati49
(Parma 7 septembris 1540)
Ordine et aiuto di perseuerare nella uera uita christiana et spirituale.
Charissimi in X.° figlioli et come fratelli.
Hauendomi da transferire da Parma in Spagna, ho uoluto sodisfare al bon desiderio uostro et di molte altre persone, le quali, così come uoi, non restariano contente di me, se io non li lasciasse qualche memoria, non della persona mia, ma dell'ordine che hanno da oservare nella uia di Dio, quando non hauessero altro precettore.
Prima, uorria che non u'ingannaste, pensando che io ce habbia a dare altro cibo per perseverare, di quel che hauete hauuto sin adesso. Questo med[e] simo ui diria il filosofo, il quale dice, parlando del nutrimento corporale, che l'istesse cose, che sono per nutrire la persona, sono ancora per augmentarla; onde rissolutamente bisogna credere che gl'esercitii spirituali, nelli quali hauete ritrovato il nutrimento del spirito uostro sin qui, ui saranno ancora necessarii per l'auenire, massime essendo stato il cibo uostro essentiale quel pane celeste, nel quale gl'angeli et tutti gl'altri santi sono et saranno sempre mai nutriti: il qual pane è molto più necessario per il uiuere spirituale, che non è il pane materiale per il uiuer temporale: né più né meno quanto all'altri esercitii spirituali, come l'esaminarsi, confessarsi, la meditatione, l'oracione et l'opere de misericordia.
Bisogna tener per certo, che se per mezo di questi hauete acquistato qualche conoscimento di uoi stessi et annegatione, qualche amor di Dio et del prossimo, sarà anco necessario per l'auenire conseruarsi in simili bone operationi con più feruor di spirito. Il moto et ordine che tenirete ogni giorno sia questo. Prima, ogni sera inanti ch'andiate a dormire, ingenocchiati, metterete alla memoria uostra le quatro cose ultime, cioè la morte, il giudicio, l'inferno et il paradiso, stando sopra di quelle per spacio di tre padri nostri et tre auemarie; dopo imediatamente farete l'esame della consciencia uostra, considerando primieramente li beni riceuuti dal Signor Iddio, et ringraciandolo: dall'altro canto riconoscendo i peccati, che hauete comessi in quel medesimo giorno, con dolore et fermo proponimento di confessarsi etiam dal confessore nel tempo determinato. Questa si adimanda confession spirituale, quando la persona conoscendo in particolare li peccati suoi, si acusa nel cospetto di Dio, hauendo contricione et proposito di confessarsi uocalmente pel tempo debito, in quel tempo uoglio che l'habbiate nella mente et nel desiderio. Fatto questo, pregarete il Signore che ui dia la buona notte, et a tutti gl'altri uiui, et qualche refrigerio alli morti, dicendo per questo tre padri nostri et tre auemarie.
La mattina auanti tutte l'altre cose direte all'isteso modo tre padri nostri et tre auemarie, acciò che uoi et tutti gl'altri uiui ui defenda tutto quel giorno da offesa, et alli morti uoglia dar refrigerio.
Hauendo ancora tempo, inanti al crocifisso o nella messa, ascoltarete qualche parola, o pensarete qualche attione di X.°, nella quale possiate specchiarui et eccitarui al ben uiuere, non solamente quel giorno, ma etiam sempre mai così facendo, dolendoui sempre delli peccati uostri, et desiderando uiuer meglio. Quando sarà fatta la consecratione o leuata la santa hostia, potrete incominciare a dimandare li rimedii per li mali uostri, et le gracie che ui mancano, come fortezza, conoscimento, pace, et finalmente per somma gratia una fame et sete della uera giusticia. Potrete dimandare il uero proprio corpo di X.°, che uoglia spiritualmente uenire all'anima uostra; et così communicandoui spiritualmente, eccitate il desiderio uostro alla communione sacramentale, hauendo nella mente il tempo, nel quale vi communicaste, et quello che u'hauete a communicare. Questo communicarsi spiritualmente ogni giorno sarà un'efficacissima preparacione per la communione sacramentale, né più né meno che la quotidiana confessione spirituale è una efficace preparacione per ben confessarse nel tempo ordinato con il confessore. Per questa cagione uorrei che ogni christiano constituisse et ordinasse in ses tesso, tutte le uolte che si ha da confessare et communicare, acciò più facilmente possi fare questo proponimento, ogni mattina dire: tal dì io mi confessarò et communicarò, ancorché fosse lontano due mesi. Fate adunque di modo, che sempre la mattina habbiate memoria della santa communione passata nella metà del tempo, et della futura nell'altra metà. Così facendo mostrarete che hauete riuerenza alla communione; altramente sarà pericolo che uoi non fate mai tropo bona digestione, et che mai habbiate perfetto appetito di tal cibo.
Non uogliate anco mai mancare di confessarui et communicarui almeno ogni settimana una uolta. L' altre cose spirituali, dico 1' oracione et meditatione, nelle quali sete soliti occuparui ogni giomo, fate che tutte siano ordinate a qualumque o a tutti questi tre effetti, cioè ad honore del Signor Iddio et delli santi suoi, alla salute uostra et alla salute del prossimo uiuo et morto. Così facendo, per mezo di quelle deuocioni crescerete ogni giorno in qualche uirtiù necessaria a. uoi per meglio operare, come è 1'humiltà, la pacienza, la prudenza, etc.: crescerete nel conoscimento et amor di Dio, crescerete nell'amor del prossimo uostro. A questo modo detto potrete caminare per la uia della salute, ordinando di grado in grado il uostro uiuer spirituale.
Quanto poi tocca alla uita corporale et temporale, ordinate le uostre intentioni et affettioni di modo che il uostro primo obietto in ogni esercitio corporale sia a laude di Dio et alla salute dell'anima uostra, et dell'anime che sono dentro a quelli corpi, per le quali u'affatichate. Di modo fate, che Dio sia il primo che ui moua a tale fatica, o anche al riposso. Il secondo sia l' anima uostra: dopoi 1'anima uostra, per niuna cosa ui uogliate affaticare più, che per l'anima del prossimo uostro, o di casa o di fuora: dopo l' anima del prossimo, l' intencion uostra sara il corpo uostro: dopo il corpo proprio, sia il corpo del prossimo; et per ultimo sia la robba et altre cose necessarie per li corpi. Guardateui dunque bene che in queste cose non si troua disordine, il quale non sarà se uoi non cercarete la robba, se non tanto quanto è necessaria alli corpi, et che li corpi uogliate in quello essere che meglio sia per l'anima, et finalmente l' anima che sia conformata al uolere di Dio, et bisogna cominciare da questo ultimo, cioè metter prima l'anima nel suo debito ordine, dopoi cercare l'altre cose già dette, secondo che più o meno gioueranno per l' anima, non facendo come quelli, li quali uorriano prima ordinarsi nella robba et quanto alli corpi, pensando poi ordinar bene l'anima sua. Similmente, quanto tocca al prossimo, guarda che l'anima sua, potendosi fare, sia prima prouista, che non è il tuo proprio corpo, di modo che se un medesimo rimedio fosse in poter tuo, per difenderti dalla morte corporale, et lui dalla morte dell' anima, che saria il peccato mortale, tu deui più presto prouedere a tal mal del prossimo, che al tuo corporale. Se questo ordine guardarete nel spiritual uostro et nel temporale, questa sarà la uera memoria che uorrei lasciarui al presente, pregandoui quanto posso uogliate pregare il Signor Iddio per me et per tutti li miei fratelli in Christo.
Datta in Parma alli 7 di Settembre M. D. XL.
Vostro in Christo Gesù come fratello et Padre spirituale, Don Pietro Fabro.
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