Abstract
The article examines a recent bilingual illustrated edition of Seven Sonnets by Michelangelo translated by Vjačeslav Ivanov. Placing the interest in Michelangelo in the context of the European cultural scene at the beginning of the 20th century, the author observes that Ivanov changed his attitude towards the Italian poet when he was translating the sonnets, thanks to the influence of Simmel's thought, which Ivanov likely began to consider because of Ol'ga Šor. She was connected with the State Academy of Artistic Sciences (gakEn), where the authority of the German philosopher was profound, in particular for his seminal works about Goethe, Michelangelo and Rembrandt. During the process of translating Michelangelo (1925-1926), Ivanov and Šor exchanged several letters on the subject, in which Michelangelo's tragic nature is no longer seen in a demoniac dimension, typical of the Symbolist vision of the turn of the century, but is articulated in a more neo-Platonic perspective, in a re-evaluation of the Renaissance, no longer opposed to the medieval religious vision. This shift in point of view also substantially influences the practice of Ivanov's translation, as Šor astutely recognizes.
Keywords
Vjačeslav Ivanov; Ol'ga Šor; Michelangelo Buonarroti; Simmel; Poetic Translation.
"... ei dice cose e voi dite parole"
Francesco Berni su Michelangelo
Bachtin ci ha insegnato che ogni parola nasce come responsabile risposta che custodisce dentro di sé altre parole, parole altrui da cui essa e mossa. Cosi, tutti i grandi libri nascono da un intreccio, sono l'eco di altri grandi libri, li portano con sé e se ne fanno responsabilmente carico. Alcuni, tuttavia, piu degli altri.
In questa categoria rientra la preziosa edizione dei Sette sonetti di Michelangelo, tradotti da Vjačeslav Ivanov\ pubblicata dalla moscovita Maier (cfr. Buonarroti 2018), a cura di Andrej Siskin, coadiuvato per le traduzioni da Stefano Caprio, Marco Sabbatini e Silvia Toscano. Vengono qui riportati i sette sonetti michelangioleschi (v, vii, x, xxxiv, xcvii, cv, cli) che Ivanov traduce a meta degli anni Venti del Novecento, a coronamento di un interesse per il grande poeta italiano che l'aveva accompagnato tutta la vita.
Il libro comprende anche 56 disegni di G.A.V. Traugot. L'artista, Aleksandr Georgievič Traugot, continua ormai da solo a lavorare con questo nome-pseudonimo che indicava il lungo e armonico sodalizio di tre pittori, grafici e illustratori: Georgij, Valerij e Aleksandr Traugot. Qui i suoi disegni non sono un mero apparato paratestuale, non si limitano a illustrare, ma, in una sorta di ecfrasi rovesciata, afferrano i fili che i testi poetici intrecciano tra loro e, complicandolo, ne arricchiscono il ricamo. Cosi il nostro occhio, ancora prima di leggere, si sofferma sui tratti nervosi e possenti del volto di Michelangelo, guarda i due poeti specchiarsi l'un nell'altro, nota le parole sbiadirsi nelle sbavature dell'inchiostro come nel processo di traduzione, si perde in tragici voli titanici condannati in partenza, ricorda accenni di figure familiari dal Mose ai particolari del Giudizio Universale e finisce per soffermarsi sugli sguardi: gli occhi sono uno dei grandi temi della poesia michelangiolesca che muove la riflessione ivanoviana, di Dante intrisa, come lo era il tormentato artista fiorentino. E, sopra tutte le peregrinazioni di entrambi i poeti-skitalcy, a volte ben delineata, altre appena suggerita, si leva la michelangiolesca cupola di 'Roma-eterna'.
La traduzione, e in particolare quella poetica, ha sempre pre/occupato Vjačeslav Ivanov, che l'ha molto praticata (Eschilo, Petrarca, Dante, i lirici greci, Novalis.) e anche subita: sorvegliava attentamente le traduzioni dei propri testi poetici, fino a infilarsi nel lavoro del traduttore, trasformandolo quasi in un'autotraduzione, come nel caso del suo poema-melopea L'Uomo, reso in italiano da Riccardo Küfferle2. Insomma, non gradiva essere un pesce muto nell'acquario del traduttore, come dice a proposito della tormentata versione tedesca del suo libro su Dostoevskij (Ivanov 1971-1987, iv: 769).
Caso vuole che sia proprio un sonetto a inaugurare la lunga teoria dei suoi interventi in materia e che, nel 1904, ai tempi della seconda raccolta poetica Prozračnost' (Trasparenza) metta subito in campo un punto fermo: se in poesia poco vi e di trasparente, nella traduzione la trasparenza e un'illusione e la maschera sostituisce lo specchio:
ПЕРЕВОДЧИКУ
(l904)
Будь жавороноκ нив и пажитей - Вергилий,
Иль альбатрос Бодлер, иль соловей Верлен
Твоей ловитвою, - всё в чужеземный плен
Не заманить тебе птиц вольных без усилий,
Мой милый птицелов, - и, верно, без насилий
Не обойдешься ты, поэт, и без измен,
Хотя б ты другом был всех девяти κамен,
И зла ботаниκом, и пастырем идиллий.
Затем, что стих чужой - что сκользκий бог Протей:
Не улучить его охватом ни отвагой.
Ты держишь рыбий хвост, а он теκучей влагой
Струится и бежит из немощных сетей.
С Протеем будь Протей, вторь κаждой масκе - масκой!
Милей досужий люд своей забавить сκазκой3.
Per leggere e apprezzare queste traduzioni occorre fare un passo indietro e ripercorrere da un lato la concezione ivanoviana di traduzione, dall'altro quella di Rinascimento. Entrambe, vedremo, ruotano intorno alla nozione fondamentale di forma interna.
A proposito della famosa Gornye verštny spjat vo t'me noćnoj (Iz Goethe)(Le cime dei monti dormono nella tenebra notturna, da Goethe) lermontoviana, libera versione della goethiana Wanders Nachtlied, Ivanov scrisse che l'irraggiamento dell'intima idea, della forma formans dei versi goethiani ha risvegliato in Lermontov, "un poeta di un altro regno verbale" non solo un desiderio di risposta, "ma anche un'omogenea tensione formatrice". Dal momento che poi ogni verso autentico nasce nella stichija della lingua, nel suo sostrato elementare, Ivanov continua, la "forma formata e l'unica espressione possibile della propria forma formans". Ecco perché, dunque, la resa di un verso in un'altra lingua dovra essere necessariamente qualcosa di diverso: un altro, originale, verso (Ivanov 1971-1987, iii: 630). Addirittura, essa finisce per non essere nemmeno piu una traduzione ("Lermontov non pensava affatto a una traduzione!"), bensi una ricreazione originale a partire da una medesima "agitazione lirica". La forma formans in forza della sua attivita effusiva trova per sé la propria, unica forma formata che vivra di una nuova vita indipendente. "Non pensare affatto alla-traduzione" comportava anche certe liberta e apparenti infedelta al testo, alla formaformata, in nome di una fedelta e un'aderenza piu profonde allaformaformans. Ed e proprio il sonetto CLi a Vittoria Colonna di Michelangelo, tanto intriso di neoplatonismo, che viene piu volte richiamato dal tardo Ivanov per spiegare cosa sia questa forma interna formatrice, che guida la mano dell'artista operante sulla materia "per forza di levare" (Buonarroti 1992: 540)4, limando il "soverchio" per farne emergere l'intima forma.
Di forma interna Ivanov aveva iniziato a parlare in modo esplicito nel 1913 in un suo saggio cruciale, O granicach iskusstva (I limiti dell'arte), in cui si parla della dialettica di ascesa-discesa, che, tuttavia, qui non veniva collegata al neoplatonismo rinascimentale, bensi a Dante. La discesa, in quanto momento fondamentale dell'atto artístico e creativo, veniva cosi definita: "essa consiste essenzialmente nell'azione di un principio formatore, e cioe del principio della forma. L'azione dell'artista non sta nella comunicazione di nuove rivelazioni, quanto in quella di nuove forme". In questo saggio, come del resto gia in Dve stichii v sovremennom simvolizme (1908)(Ivanov 1971-1987, ii: 641, 536-561), si sottolinea come la forma penetri dall'interno la materia, che e plastica, nel senso che non e passiva, ma interiormente disposta ad accoglierla5.
Fino alla meta degli anni Venti, tuttavia, Ivanov faceva risalire questa concezione, per lui tanto importante, alla matrice goethiana e schellinghiana, senza alcun riferimento al neoplatonismo sincretico rinascimentale di cui era imbevuto Michelangelo. Del Rinascimento si da un giudizio sostanzialmente negativo, e l'artista, pur tanto amato come figura tragica, era comunque riportato nell'alveo del titanismo che ha dato luce alla modernita6. Nel 1906 in Ideja neprijatija mira (L'idea della non accettazione delmondo)(Ivanov 1971-1987, iii: 84-85) e nel 1912, in un saggio su Goethe (Ivanov 1971-1987, iv: 111-157), egli riprende l'opposizione burckhardtiana di Michelangelo e Raffaello o di Michelangelo, Raffaello e Leonardo, dove l'autore del Giudizio Universale e visto come barbaro, sprofondato nel caos degli elementi o, al limite, solamente veterotestamentario. Ancora nel 1919, in O krizisegumanizma (Sulla crisi dell'umanesimo), Ivanov stigmatizza la falsa conquista della liberta dell'uomo postmedievale frammentato (Ivanov 1971-1987, iii: 354). E comunque interessante che negli scritti ivanoviani ricorrano allusioni nascoste a Michelangelo, sempre legate all'idea dei limiti dell'arte, del tragico ma necessario isolamento dell'oggetto estetico: "Il tormento dell'artista e quello della materia a lui obbediente e lo stesso: entrambi provano nostalgia per la vita viva, non simbolica. [...] Ma l'artista saggio porra il suo maggior sforzo proprio nel non oltrepassare i confini del símbolo, queste immagini non salterannogiu dal piedistallo dell'isolamento estetico e non si confonderanno con la vita, quasi fossero parti a essa omogenee" (Ivanov 1971-1987, II: 647; Lo Gatto 1946: 6s8)7. O ancora, in Mysli o poézii (Pensieri sulla poesía) egli affermera che le Muse sono Sibille non realmente, ma solo in senso metaforico, equiparando come Michelangelo le Sibille ai Profeti (Ivanov 1971-1987, iii: 658).
Solo verso la meta degli anni Venti, Ivanov approdera a una nuova visione dell'Umanesimo, le cui radici vengono rinvenute nel neoplatonismo cristiano8, anche se poi essa diventera uno dei motivi conduttori dei saggi degli ultimi anni, dalla Lettera ad Alessandro Pellegrini sopra la "doctapietas" (1934), al saggio su Lermontov (1947) fino al denso articolo su Forma formans e forma formata, dove e sancito anche il cambio di terminologia, dal piu vago e abusato "forma interna" al piu preciso "forma formans".
Nella cultura russa del primo Novecento l'interesse per Michelangelo era vivissimo. I nuovi studi sulla civilta ellenica e sul Rinascimento fioriti soprattutto in Germania nel secondo Ottocento, e in particolare quelli di Burckhardt e Nietzsche, avevano fatto nascere anche in Russia dense riflessioni storiosofiche e tentazioni di analogie tipologiche, come quella di un imminente terzo Rinascimento slavo (Faddej Zelinskij, Innokentij Annenskij), dopo quelli italiano e anglo-tedesco. Intorno agli anni Dieci poi si comincia a leggere e tradurre Walter Pater e poi Heinrich Wölfflin, ma soprattutto Georg Simmel, che ebbe poi un influsso fondamentale sugli studiosi che operavano nell'ambiente dell'Accademia delle Scienza Artistiche (GAchN).
E proprio Simmel che rompe la tradizione buckhardtiana di considerare negativamente Michelangelo quale vettore della titanica affermazione dell'io moderno, pronta a sacrificare armonia ed equilibrio per una demoniaca e assoluta liberta. Tale tradizione era stata ripresa in Russia gia dal primo Merežkovskij che nel 1892 dedica a Michelangelo una poesia (in seguito l'artista sara il protagonista di una sua novella e di parecchie pagine nel suo libro su Leonardo) che cosí recita:
И вот стоишь, не побежденный роκом,
Ты предо мной, сκлоняя гордый лиκ,
В отчаянье споκойном и глубоκом,
Каκ демон, - безобразен и велиκ9.
Anche le pagine ammirate delle Ital'janskie vpečatlenja (Impressioni italiane) di Vasilij Rozanov sottendono un giudizio negativo sull'artista: "Michelangelo non conosceva il Pa7 radiso e conosceva appena appena il Purgatorio, conosceva bene solo l'Inferno" (Rozanov 1909: 68). Е in qualche modo la personalita tormentata e 'superumana' (termine usato per Michelangelo da Burckhardt in senso negativo) affiora in uno dei sonetti italiani della prima raccolta ivanoviana, Il Gigante, dove l'autore del Davide e definito "muto ierofante del superumano" (Ivanov 1971-1987, i: 615-616).
Allievo a Berlino di Hermann Grimm, che era stato autore di una fondamentale monografia su Michelangelo, Simmel, invece, nelle pagine su Michelangelo10 ne sottolinea il particolare neoplatonismo, evidenziando la tormentata tragicita della sua figura proprio nella dialettica tra "impeto e limite" e nel bisogno urgente di superare il dualismo che alberga nel fondo dell'uomo: essere e divenire, forma e movimento, anima e corpo, maschile e femminile, etereo spirito e materia pesante: "Nel fondo della nostra essenza spirituale sembra albergare un dualismo, che ci impedisce di apprendere il mondo, la cui immagine penetra nella nostra anima come un'unita, ma scomponendovisi incessantemente in coppie di opposti [...], e ci vediamo come esseri che sono da un lato natura, dall'altro spirito; in cui l'anima distingue l'essere dal destino; nella cui dimensione visibile una sostanza solida e pesante combatte contro la fluidita del movimento, le sue oscillazioni, la sua aspirazione ad ascendere; in cui l'individualita si staglia su un'universalita, che sembra ora costituirne il nucleo, ora trascenderla come la sua idea. [...] La soluzione di tutti questi dualismi universalmente spirituali e cristianamente storici si offre, non appena sorgono la volta della Sistina, le statue del monumento a Giulio ii, le Tombe Medicee. L'equilibrio e l'unita visiva dei piu immani contrasti della vita sono raggiunti. Michelangelo ha creato un nuovo mondo popolato di esseri per i quali cio che in precedenza stava soltanto in relazioni di accidentale avvicinamento o separazione, e, a priori, una sola vita; come se in loro ci fosse una misura prima ignota di forza nella cui corrente unitaria vengono trascinati tutti gli elementi, senza che la loro esistenza particolare possa resisterle" (Simmel 2003: 5). In Michelangelo l'unita ultima della vita si eleva al di sopra della polarita che ci imprigiona, senza, tuttavia, che sia addolcita la crudelta della lotta tra i due opposti. E pero raggiunto quel punto misterioso dove anima e corpo si incontrano per creare un'unica irripetibile essenza umana. E qui, in Michelangelo, che Simmel riconosce l'essenza del Rinascimento: l'esigenza di assoluto non e negata o ignorata, bensi si presenta nel terreno, all'esistenza personale, i dati oggettivi si riempiono di vita soggettiva.
Simmel ebbe un posto di rilievo nelle ricerche teoriche della GAchN, di cui segretaria era Ol'ga Aleksandrovna Šor, una delle persone piu vicine a Ivanov negli ultimi anni e fedele custode, insieme ai figli, della sua eredita letteraria. Come e testimoniato dalla ricca corrispondenza Ivanov-Šor, il progetto ivanoviano di traduzione della poesia di Michelan10Fin gelo, nato nel 1925 in seguito alla visita romana dei coniugi Mejerchol'd11, si nutrirá anche delle ricerche (molto influenzate da Simmel) di Ol'ga, che se ne stava occupando dai primi anni Venti. Con lei Ivanov si era intrattenuto sull'argomento gia nel 1924, alla vigilia della partenza per l'Italia; sara lei a fornirgli una ricca bibliografia sull'artista fiorentino e sara lei a commentare anche molte delle sue scelte traduttive. Non a caso, dunque, Ivanov propone proprio a Šor di scrivere il saggio introduttivo, un commento sulla base di una biografia "interiore" ed "esteriore"12.
E interessante seguire questo colloquio a distanza, perché chiarisce molto dell'atteggiamento di Ivanov nei confronti della "trasposizione" (pereloženie) della poesia di Michelangelo, quella che Ol'ga Šor definisce "una trasposizione in un'altra tonalita spirituale" (Ivanov, Šor 2001: 210 e 222).
Emerge nella discussione la specificita del titanismo dell'artista, ma un titanismo che nega sé stesso, volto al proprio superamento. Il sottotesto e evidentemente la tragedia di Ivanov Tantalo. Emerge la problematica ivanoviana dei limiti dell'arte e del suo complesso rapporto con la vita: la forza profetica di Michelangelo e legata alla non accettazione del mondo: profezia e arte sono gesto che porta via dalla vita. Emerge, di conseguenza, il tema di Michelangelo e la politica, vissuto da Ivanov in modo intimamente autobiografico.
Cosi si spiega la particolare presenza di confessione e invettiva nella traduzione ivanoviana del sonetto numero cinque, Io gta fatto un gozzo in questo stento, dove si lamenta la condizione penosa dell'artista, fin nelle deformazioni abnormi del suo corpo. Non casualmente Ivanov lesse proprio questo sonetto alla rappresentanza sovietica, in occasione del ricevimento ufficiale dei Mejerchol'd. Lo lesse, poi, insieme alla risposta del poeta all 'epigramma di Strozzi dedicato alla Notte, scolpita da Michelangelo per le cappelle Medicee: qui lo scultore rivendicava il privilegio del sonno e dell'esser di sasso "mentre che 'l danno e la vergogna dura" (Buonarroti 1992: 247 e Ivanova 1990: 151). Il sonno e l'esser di sasso sembrano essere figura della condizione dell'emigrato.
Šor, infatti, riporta le particolarita della traduzione ivanoviana alla situazione storica e ne sottolinea tutta la portata autobiografica per il poeta sbalzato via dal proprio paese dopo la rivoluzione: "Michelangelo ha scritto, e Voi traducete, i sonetti 'nel giorno dopo il Dies Irae' quando 'ti senti risvegliato dai setti tuoni, rinnegato... naufragato su una piccola isola dopo 'l'esplosione di tutti i significati', pieno di nostalgia di fronte al canto di tutte le sirene della cultura., posto davanti alla scelta estrema'..., quando cresce il sentimento di una profonda sincretica stanchezza dell'anima e impotenza di fronte alla vita che si compie in modo tragico e terribile'. L'essere tragicamente perduti e il cammino per conquistare il Nome e molto simile in Voi e in Michelangelo (nonostante le ineliminabili differenze empiriche). Ma nell"Accecante Si' che guarda dalľlncontrovertibile No' c'e il momento della volonta di salvezza della propria persona e destino (tale e l'eta michelangiolesca anche della nostra epoca) e qui Voi siete diversi. Tutto l'andar oltre i confini, e dunque tutti gli atti suscettibili di giustificazione, in Michelangelo si collocano nella sfera di un'arte smisurata, in Voi nella sfera delle passioni della vita. Percio per Michelangelo la stima e devozioneglorificazione. Per Voi - devozione-amore"13.
In una lettera del novembre 1925 Ivanov aveva proposto una parafrasi del sonetto xxxiv, prima di darne la sua versione poetica, che, come nota Šor, se ne distanzia notevolmente. In effetti, il poeta era insoddisfatto, gli pareva di non aver sufficientemente conservato, di fronte alla "pesantezza" del dettato michelangiolesco, il "ritmo interiore" (Ivanov, Šor 2001: 231).
Andando piu nel concreto delle scelte di Ivanov, notiamo come egli si preoccupi di mantenere la struttura prosodica (le rime incrociate, la tradizionale scelta del tetrametro giambico per l'endecasillabo), ma in qualche modo sciolga la pesantezza della sintassi michelangiolesca, distendendone la sintassi e rinunciando alle caratteristiche inversioni. Alla tormentata e intricata sintassi di Michelangelo nella versione ivanoviana corrisponde un rafforzamento della struttura binaria, rendendo piu netta e intellegibile la polarita adombrata dal poeta fiorentino (oscurita/luce, cecita/occhio, terra/paradiso). Le piccole modifiche lessicali, poi, sono tutte tese a sottolineare il motivo dell'anamnesi platonica e quello dell'occhio, tanto importante per Michelangelo stesso, come per il sonetto in questione: ad esempio, vengono inseriti dei "raggi memorabili" (pamjatnye luči), colti nell'amata che in italiano non c'erano. Allo stesso modo l'aggiunta del tema della cecita nella prima quartina e di quello dell'oscurita nella seconda e congruo con il motivo della visione e della discesa e con l'inserimento dell'elemento terreno: "il dipartir l'alma di Dio" diventa "vo mgle zemných putej", letteralmente "nel buio dei cammini terreni".
La traduzione qui, in effetti, perde tragicita perché viene smussato il senso di morte che incombe anche nella bellezza rivelata da Amore e anche il senso di distacco dell'anima da Dio, che Ivanov vede comunque come un processo che, piu che perdere, custodisce: "Amor nel dipartir l'alma da Dio/ me fe' san occhio e te luc' e splendore;/ né puo non rivederlo in quel che more/ di te, per nostro mal, mie gran desio". E il russo: "Хранит наследье лучниκ в Боге дней:/ Я - оκо здравое, ты - свет извечный;/ И в оболочκе хрупκой и κонечной/ Ловлю я славу памятных лучей14" (Buonarroti 2018: 39-40). Anche la resa di Amor con lučnik 'arciere' sposta la forte reminiscenza dantesca che pervade tutta la quartina verso l'antichita classica.
Quanto Ivanov fosse consapevole della propria operazione e evidente dal commento al citato sonetto xxxiv, che in questa bella edizione dei Sette sonetti e messa ad esergo del libro, fornendo cosi un'utile chiave di lettura:
Sta di fronte a noi la concezione platonica della bellezza e dell'amore. Le anime sono cadute sulla terra dal mondo spirituale e divino, dal seno di Dio. La vera bellezza, oggetto dell'Eros e la luce di quel mondo stessa, sepolta nella materia. La sostanza dell'Eros, la capacita di riconoscere quella luce e ad essa rivolgersi, e memoria della bellezza contemplata nell'aldila. Organo di questa conoscenza non e il cuore, turbato dai desideri, ma l'occhio, puro e sano. Gli occhi sono le guide, che uniscono l'anima memore dell'amante con l'anima amata, che cela in sé la luce ereditata dal cielo; Dante ci insegna come l'unione delle anime si compia nell'amore tramite gli occhi. Che l'amore innalzi l'amato in quelle alte sfere, dalle quali essa stessa e discesa, e un pensiero di Platone. Secondo questi, l'anima memore sceglie come oggetto del proprio amore quell'essere che piu di ogni altro gli ricorda l'immagine dell'eterna bellezza da lui una volta contemplata (Ivanov, Šor 2001: 209-210).
In ogni suo lavoro, saggi, opera poetica e traduzioni, l'Ivanov maturo si richiama intenzionalmente alla "antica verita" della tradizione scolastica che non parla di contenuto, ma di bello come resplendentia formae, concepito in senso ontologico e sostanziale e coglibile entro un movimento di amore: gli occhi-guida danteschi a cui si richiama Ivanov si riferiscono innanzitutto allo Sguardo primigenio con cui Dio guardando il Figlio con lo Spirito Santo (l'Amore) ha creato il movimento armonioso dei Cieli (Paradiso, x, 1-5). Da questo primo movimento, dalle "alte sfere", discende ogni atto d'amore umano che altro non che uno sguardo puro capace di cogliere la luce divina sepolta nella materia. Al movimento dello sguardo risponde un altro movimento, quello del fulgore del bello: "irraggiamento" e il termine usato dal poeta per questo manifestarsi della "vera bellezza" nell'essere, e la medesima parola indica anche l'azione della forma nei confronti della materia nell'opera d'arte (Ivanov 1971-1987, iii: 667-668).
The author declares that there is no conflict of interest
1Sem'sonetov Mikelandželo vperevode Vjačeslava Ivanova s risunkami G.A.V. Traugot [Michelangelo, Sette sonetti tradotti da Vjačeslav Ivanov, con illustrazioni di G.A.V. Traugot e con un saggio di A.B. Siskin], Izdatel'stvo Maier, Moskva 2018, pp. 88 (<https://tinyurl.com/y56xeock>).
2 L'esempio piu compiuto di autotraduzione ivanoviana riguarda infatti le due versioni, tedesca e italiana, di Čelovek. Della prima fu completata solo la prima parte ed e rimasta inedita, mentre per la seconda Ivanov si avvalse dell'apporto di Riccardo Küfferle (1903-1955). Frutto di un lavoro tormentato (dal 1941 al 1946) e discussioni interminabili (di cui abbiamo traccia nella ricca corrispondenza tra i due) la versione italiana, fatta con la mediazione di un altro, e molto piu vicina all'originale russo di quella tedesca, opera del solo Ivanov. Si potrebbe dire che la traduzione italiana e una traduzione, pur con il suo discostarsi dall'originale russo (soprattutto nel tentativo di essere piu trasparente e di spiegare laddove l'originale allude e rimane oscuro), mentre la versione tedesca e qualcosa di piu, o perlomeno, pretende a qualcosa di piu, a un altro status, quello del rifacimento, benché proprio nel caso dell'autotraduzione il confine tra le due forme di resa sia veramente labile. Sulla vicenda della traduzione de L'Uomo si vedano: Ivanov 1946; Malcovati 1989; Ruffolo 1997; Malcovati 2011.
3 Ivanov 1971-1987, i: 788-789 (Al traduttore: Che sia l'allodola di campi e pascoli, Virgilio, / O l'usignolo Verlaine o l'albatros Baudelaire, / La preda, senza pena in gabbia straniera / Non riuscirai ad allettare i liberi uccelli. / Caro il mio uccellatore, si, senza tormenti / Non te la caverai, poeta, né senza tradimenti / Se pur delle nove gemme tutte fossi amico, / E botanico del male e degli idilli villico. / Perché, l'altrui verso sguscia come il dio Proteo: / Ardimento o accerchiamento nulla giovano. / Lo tieni per la coda e lui come acqua scorre via / Fluisce e via se ne fugge dalle reti vane. / A maschera ribatti maschera, Proteo sii con Proteo! / Diverti con una tua piu bella favola il popolo beato). La traduzione e di chi scrive.
4 Si veda a questo proposito il Commento sopra la canzona d'Amore di G. Benivieni di Pico della Mirandola: "Ogni causa che con arte, con intelletto opera qualche effetto, ha prima in sé la forma di quella cosa che vuole produrre, come uno architetto ha in sé e nell'anima sua la forma dello edificio che vuole fabricare e riguardando ad quella come ad esempio, ad imitatione di quello produce e compone l'opera sua. Questa tal forma chiamano e Platonici idea e esemplare, e vogliono che quella forma dello edificio che ha l'artefice nella mente sua, abbia essere piu perfetto e piu vero che lo edificio stesso. [...] Cosi se uno artefice edifica una casa, diranno essere due case, una intelligibile, che ha l'artefice nella mente, un'altra sensibile, che e quella da esso artefice composta, [...] esprimendo quanto puo in quella materia la forma che ha in sé concetta" (Pico 1942: 14-15).
5 Ci si puo fare un'idea dell'importanza del concetto di forma e delle coordinate teoriche entro cui esso veniva recepito da Ivanov, anche prestando attenzione alla moltitudine di appunti, annotazioni, schemini che su questo tema si trovano negli archivi ivanoviani: uno dei primi risale gia al 25 dicembre 1887 e porta il significativo titolo "Sulla forma (Aristotele presentí il significato della forma)": Oforme (Aristotel'predčuvstvovalznačenie formy), OR.RGB, f. 109, k. 1, ed. chr. 33. In esso il poeta poco piu che ventenne afferma che, nonostante Aristotele, non e stato ancora dato al problema della forma il giusto valore. Qui il legame, definito misterioso, tra la forma e l'essenza delle cose, sembra venire trovato entro una cornice teorica che richiama chiaramente, pur senza riferirvisi esplicitamente, la morfologia goethiana. Lo schema di un articolo sul problema della forma e del contenuto e datato 1890 (or.rgb, f. 109, k. 4, ed. chr. 21). Degli anni Dieci e poi probabilmente un breve frammento in cui definisce la forma "simbolo del contenuto", "sintesi o punto di incontro tra la causalita (il passato) e il fine (il futuro)" (or.rgb, f. 109, k. 5, ed. chr. 80).
6 L'ammirazione di Ivanov per Michelangelo e precocissima: nel 1917 ne parla nella Lettera autobiografica a Vengerov, citando l'immagine del Mose come una delle piu forti impressioni dell'infanzia (insieme alla Torre di Pisa!)(Ivanova 1990, 360). Negli anni Novanta dell'Ottocento oltre a due sonetti a lui dedicati, Il Gigante, e La cappella Sistina, su cui si sofferma il saggio di Andrej Šiškin a commento della presente edizione dei sonetti michelangioleschi, Ivanov ne scrive nel 1894 a Grevs in occasione del suo primo viaggio in Italia (Bongard-Levin et al. 2006: 73-74). Sulle relazioni poetiche tra Ivanov e Michelangelo si veda il circostanziato saggio Kuznecova, Šiškin 1995: 261-270.
7 corsivo e di chi scrive.
8 "L'analisi di quello [del Rinascimento, mcg], in quanto e la ricerca del prototipo, rivela senz'altro la sua indole platonica. E platonici furono difatti gli umanisti del Rinascimento, come pure, un millennio fa, San Basilio o Sant'Agostino" (Ivanov 1971-1987, iii: 438).
9 Merežkovskij 1914, xix: 115 (Ed ecco stai, dal fato invitto, / Davanti a me, chino l'orgoglioso volto, / In disperazione profonda e quieta, / Demone, terribile e magnifico). La traduzione e di chi scrive.
10 Fin dal 1889 Georg Simmel si era occupato della sua poesia in Michelangelo als Dichter (ora in <http://socio.ch/sim/verschiedenes/1889/michelangelo.htm>, ultimo accesso 31.8.2018), ma Michelangelo occupa molto pagine del suo fondamentale Metafisica della cultura (in seguito Simmel 1919), pubblicato come capitolo a parte su "Logos", 1, 1910/1911, pp. 2017-227 e contemporaneamente in Russia (Zimmel', 1911: 145-165).
11 Come apprendiamo dal saggio di Andrej Šiškin contenuto in questa edizione dei sonetti, Zinaida Raich Mejerchol'd nell'agosto 1925 aveva ordinato a Ivanov la traduzione di tutte le opere poetiche di Michelangelo da completarsi entro i primi mesi del 1926. Ivanov si era subito messo al lavoro, ma ben presto fu chiaro che non ci sarebbe stati né i fondi, né probabilmente la volonta di continuare a pubblicare il troppo mistico Ivanov in URSS (Buonarroti 2018: 85-86). Si vedano inoltre le seguenti corrispondenze: Ivanov, Šor 2001: 164-254 e Mejerchol'd, Raich 1994: 274-275.
12 Ol'ga Šor scrivera un libro su Michelangelo, pubblicato solo postumo, che verra dedicato proprio a Ivanov (e forse da lui corretto) (Čečot 2011: 185); il libro era accompagnato da un 'blagogovejno' ("con devozione"), che riecheggia le loro discussioni sulla traduzione del termine michelangiolesco 'stima' nel sonetto xxxiv. La diatriba sulla traduzione della parola "stima" con ljubov nel sonetto xxxiv nasceva dal fatto che Šor notava che nella parafrasi Ivanov aveva piu opportunamente usato 'blagogovenie, devozione, un deverbale che lei intendeva come un atto cristallizzato riferentesi all'arte. In sostanza, lei suggerisce che Ivanov rendesse Michelangelo piu platonico di quanto non fosse, eliminasse le differenze: "Platone e Michelangelo parlano omonimicamente di qualcosa di Diverso. E come e indicativo che Voi nei versi non abbiate voluto rendere questo Diverso" (Ivanov, Šor 2001: 222).
13Tutto il brano e pervaso da citazioni da Ivanov, lettere o poesie, ma anche da Fedor Stepun: la definizione della rivoluzione come esplosione di tutti i sensi e sua (Stepun 2000: 128).
14La stessa tendenza viene notata da Andrej Šiškin nel suo saggio a corredo dell'edizione, quando parla del sonetto che il giovane Ivanov dedica alla Cappella Sistina, sottolineando l'attenzione di Ivanov per il monumentalismo e il sentimento dell'eterno, a scapito della disperazione dell'artista fiorentino (Buonarroti 2018: 83). Un discorso a parte andrebbe invece fatto per il sonetto v. Qui Ivanov si ingegna (e le correzioni dei brogliacci conservati nell'archivio romano lo dimostrano) di mantenere tutta la sapida caricaturale deformazione del corpo di questo autoritratto burlesco dell'artista, adottando volgarismi e insistiti fisicismi (Buonarroti 2018: 15-16).
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Abstract
The article examines a recent bilingual illustrated edition of Seven Sonnets by Michelangelo translated by Vjačeslav Ivanov. Placing the interest in Michelangelo in the context of the European cultural scene at the beginning of the 20th century, the author observes that Ivanov changed his attitude towards the Italian poet when he was translating the sonnets, thanks to the influence of Simmel's thought, which Ivanov likely began to consider because of Ol'ga Šor. She was connected with the State Academy of Artistic Sciences (gakEn), where the authority of the German philosopher was profound, in particular for his seminal works about Goethe, Michelangelo and Rembrandt. During the process of translating Michelangelo (1925-1926), Ivanov and Šor exchanged several letters on the subject, in which Michelangelo's tragic nature is no longer seen in a demoniac dimension, typical of the Symbolist vision of the turn of the century, but is articulated in a more neo-Platonic perspective, in a re-evaluation of the Renaissance, no longer opposed to the medieval religious vision. This shift in point of view also substantially influences the practice of Ivanov's translation, as Šor astutely recognizes.
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1 University of Parma