Abstract. Il contributo propone una chiave di lettura sul tema del rapporto tra paesaggio e luoghi dell'estrazione attraverso la declinazione dell'idea di riciclaggio a un approccio su scale differenti, per definire strategie e metodologie operative che consentano di aggiornare e innovare i principi su cui si basa il rapporto tra sfruttamento, trasformazione e dismissione delle cave. Il caso della Puglia rappresenta un ambito particolarmente rilevante per almeno due ordini di ragioni: per il ruolo che l'attività estrattiva occupa nell'economia globale della regione, seppur non affiancato da un'adeguata attività locale di trasformazione, e per la rilevanza dimensionale del paesaggio dei bacini estrattivi e delle attività a essi connesse in relazione alle loro implicazioni ambientali1.
Parole chiave: Valorizzazione ambientale, Cave, Material recycling, Redesign, Gestalt recycling
Abstract: The essay suggests an interpretation on the topic of relationship between landscape and places of extraction, through the declination of re-cycling as an approach at different scales, to define strategies and metodological activities, which allow to update and innovate the principles upon which is based the relationship between exploitation, transformation and disposal of the quarries. The case of Apulia represents a significant field, considering at least for two issues: the role assumed by the activity of stone extraction in the regional economy, although nowdays is not implemented by activities of transformation of the matter in loco; also for the dimensional relevance of the landscapes of quarries, mainly connected to private interests, and for the activities, and resulting environmental implications1.
Keywords: Envorinmental evaluation, Quarries, Material recycling, Redesign, Gestalt recycling
Dalla riqualificazione al riciclaggio ambientale
Il tema del "riciclaggio" delle cave (e non "riqualificazione") s'inquadra all'interno di un più vasto e condiviso cambiamento di paradigma nei modi di pianificare, trasformare e gestire il territorio e ne riconosce il valore di risorsa appartenente ad un unico metabolismo nell'intero ambiente antropizzato.
Il passaggio dalla "riqualificazione", termine consolidato nella letteratura e nella prassi urbanistico-architettonica, al "riciclaggio", termine mutuato invece dal campo ambientale, rappresenta una scelta affatto neutra che, superando l'equivoco di un uso 'strumentale' e propagandistico, si lega ai concetti di "rifiuto", "riduzione", "consumo", "materiale" e "prodotto" i quali, se applicati all'ambiente costruito (dalla scala del manufatto edilizio a quella del territorio), pongono una serie di questioni aperte ma anche di opportunità. Essi rappresentano, infatti, il riconoscimento di un ciclo di vita per la consistenza materiale dell'architettura ma anche per il suo uso/esercizio/smaltimento; suggeriscono un netto cambio d'atteggiamento che riconosce nella crisi del modello economico basato sul consumo e sulla crescita illimitata un'opportunità per un nuovo paradigma economico e culturale nell'occidente (Latouche, 2009); individuano un atteggiamento capace di innovare e/o reinventare possibilità, modi d'uso e di valorizzazione delle risorse edilizie e territoriali più plausibili e sostenibili all'interno di un quadro di decrescita.
Se l'ambiente costruito è riconosciuto come risorsa "materiale", non si può più prescindere dal considerarne l'uso e la consistenza come parti integranti del suo processo di trasformazione. Per un manufatto architettonico o un sistema urbano, l'idea di riciclaggio implica la consapevole accettazione della possibilità che esso diventi scarto o rifiuto; significa il riconoscimento dell'incapacità della cultura tecnica moderna di costruire veri "organismi" edilizi o urbani anziché "macchine" o prodotti di consumo destinati a diventare rifiuti in tempi relativamente brevi (come è avvenuto per gran parte della produzione immobiliare più recente). Di qui la necessità di definire nuove strategie di ri-uso, recupero e riduzione del consumo di risorse materiali: il "riciclaggio" inteso quindi come insieme complesso ed articolato di forme e usi diversi in grado di attivare nuove capacità di "durata" e di "sostenibilità" nel ciclo economico e materiale di un intero ambiente costruito.
Per estensione, questa nuova prospettiva epistemologica si estende anche al territorio e all'ambiente antropizzato extraurbano, dove i paesaggi dell'agricoltura e le infrastrutture produttive si configurano come insiemi di spazi residuali degradati risultanti da processi di modificazione ambientale che si rendono disponibili come opportunità per un nuovo approccio alle azioni di trasformazione (Fig. 1).
Il sistema delle cave tra paesaggio primario e infrastruttura produttiva
Il tema del riciclaggio delle cave, vere infrastrutture produttive dotate di un proprio ciclo di vita, ha avuto negli anni più recenti un aumento d'interesse sia da parte degli specialisti sia della collettività, in virtù dell'affermarsi di un nuovo e condiviso sistema di valori che ha esteso il concetto di "sostenibilità ambientale" dal mero recupero delle cave dismesse alla definizione di criteri "sostenibili" inerenti all'intero processo della gestione dell'attività di estrazione (Fig. 2).
Gli ambienti e i paesaggi delle cave, nella loro perenne condizione di trasformazione che li configura come forme in divenire in un arco temporale dilatato, si trovano oggi in una condizione di 'limbo interpretativo', sia dal punto di vista delle modalità di pianificazione e gestione (governo del territorio), sia nella percezione e nell'immaginario culturale collettivo (opinione pubblica); le stesse istituzioni preposte al governo delle cave sono spesso "ambivalenti" nel definirne le competenze, tra le esigenze di tutela paesistico-ambientale delle porzioni di territorio interessate al ciclo delle attività estrattive e lo stimolo al governo e al controllo dello sviluppo dell'attività economica e produttiva da esse derivato.
In un certo senso le cave rappresentano oggetti caratterizzati da un'intrinseca duplicità: paesaggio legato all'economia primaria (non è un caso che sia comune il termine "coltivazione" per descrivere l'attività estrattiva in corso) e luogo dell'economia secondaria (le cave come infrastrutture produttive e di trasformazione); inoltre, una volta esaurito il ciclo di estrazione, esse divengono luoghi-rifiuto, paesaggi dell'abbandono, drosscapes, fino a confluire nell'arcipelago delle brownfields e delle waste areas, spazi degradati dagli scarti del metabolismo urbano e industriale, inquinati da processi intensivi di modificazione ambientale (Berger, 2007).
Le attività di trasformazione, attualmente marginali e non adeguatamente valorizzate, hanno avuto nel corso degli anni una letteratura indirizzata ad affrontare il tema attraverso due chiavi metodologiche contrapposte e non dialoganti: da un lato la regolamentazione e la disciplina della gestione produttiva, che ha incluso i bacini di estrazione lapidea all'interno di distretti produttivi con un'attenzione prioritaria (quando non esclusiva) alle questioni inerenti le modalità del loro sfruttamento rispetto a quelle di un ripristino dei bacini esauriti (se non in termini di bonifica ambientale); dall'altro lato la cultura propria dei paesaggisti che ha fermato l'oscillazione dell'interesse sul valore/ disvalore della cava in chiave meramente ambientale, con un'attenzione per la valorizzazione estetica dei bacini non più attivi che riconosce nel soggetto pubblico l'attore principale cui demandare le decisioni ed il coordinamento delle operazioni di bonifica. Le istituzioni pubbliche, dal canto loro, appaiono interessate prevalentemente a una sola delle fasi del processo estrattivo, cioè quella della post-dismissione: ad oggi quindi il problema delle cave, dal punto di vista della rilevanza pubblica, si basa principalmente sul concetto di "ferita sul territorio", in base a cui vengono ricercate modalità di "risarcimento" attraverso operazioni di bonifica, recupero o ripristino ambientale che non annoverano quasi mai la possibilità di rimettere in vita la vocazione produttiva di questi paesaggi.
Cave in uso e cave dismesse: il riciclaggio come reinterpretazione epistemologica
Le modalità di integrazione delle cave nella rete degli spazi pubblici costituiscono oggi il khora dell'investigazione sia in ambito economico/gestionale che urbanistico/architettonico: le cave (sia attive che dismesse) appaiono lontane dall'attività dell'uomo ma soprattutto hanno perso il legame diretto con la dimensione "costruttiva" del territorio; in Puglia ad esempio, i materiali estrattivi, dalle calcareniti alle argille, hanno avuto nel corso dell'Ottocento e poi fino agli anni '60 del Novecento un ruolo centrale nella costruzione delle città, sia come materiali da costruzione che come elementi ornamentali; attualmente, per effetto dell'affermarsi delle nuove tecnologie, dei nuovi paradigmi estetico-formali e della riduzione dei costi di trasporto nel bilancio complessivo della costruzione, tale legame si è affievolito, con conseguenti fenomeni di degrado culturale, paesaggistico ed economico del sistema territoriale.
La Puglia rappresenta un ambito di elevato interesse quale territorio che dalla pietra deriva una parte rilevante della sua economia regionale: un'economia che in questo momento, in controtendenza positiva rispetto ad altri settori, registra una continua crescita dell'esportazione di materiale lapideo ma che si basa quasi esclusivamente sull'estrazione e sulla commercializzazione del materiale estratto (blocco) verso mercati su scala globale, senza occuparsi della trasformazione dalla materia prima in prodotto finito. Ciò conferma la condizione di economia "primaria" che caratterizza oggi le cave di Puglia, la cui filiera si conclude con il trasferimento dei blocchi cavati nei nodi regionali di trasporto internazionale (porti). Rispetto ad altri settori del contesto produttivo, per i quali è riscontrabile un importante sviluppo caratterizzato da un forte connubio tra produzione, innovazione tecnologica e trasferimento (si pensi alla trasformazione profonda e strutturale dell'ambito enologico o delle energie rinnovabili), il sistema estrattivo delle cave pugliesi beneficia di una sorta di 'rendita di posizione', che legittima una filiera elementare esclusivamente legata all'estrazione e all'esportazione della materia prima verso contesti dove viene trasformata e messa sul mercato; ciò ha il multiplo effetto di accentuare lo sfruttamento intensivo dei bacini estrattivi, di concentrare i benefici economici in gruppi ristretti e di non allungare la filiera, attraverso l'innovazione dei processi di estrazione e l'introduzione di processi avanzati di lavorazione e trasformazione della materia prima in prodotto.
In questo quadro, il ruolo di una cultura tecnologica consapevole nell'ambito della filiera delle cave, può essere concretamente significativo su più aspetti e scale del processo e sempre all'interno di un sistema di strategie coordinate con le istituzioni, che favorisca forme di ottimizzazione secondo un approccio ecologico basato su operazioni di Riduzione, Riuso e Riciclaggio dei territori e della materia prima (strategia delle 3R) e che intervenga sui bacini in uso e su quelli esauriti con azioni a differenti livelli ma legate da un comune obiettivo2.
Il paesaggio delle cave in Puglia: valorizzazione produttiva e ambientale tra estrazione e costruzione
La Puglia, riconosciuta nel 2010 come Distretto Lapideo, è il secondo bacino estrattivo italiano dopo la Toscana e la quarta regione italiana per numero di cave autorizzate3.
L'attività di cava in Puglia è legata a diversi ambiti che vanno dall'edilizia (produzione di cemento, calce, ecc.) all'industria dell'acciaio, dalla cosmesi alle coltivazioni agricole (estrazione della terra rossa) e si articola in maniera differenziata e disomogenea su tutto il territorio regionale. Ogni provincia ha le sue coltivazioni (pietra calcarea nella provincia di Bari e Foggia, calcareniti nella provincia di Lecce, ecc.) e ogni territorio le sue modalità di estrazione con relative ripercussioni sul paesaggio. Come quasi in tutte le regioni del Meridione in Puglia manca un dettagliato censimento delle cave, ma dall'osservazione della Carta Idrogeomorfologica si può evincere che quelle dismesse rappresentano circa il 30% dell'intero territorio estrattivo e solo il 4% risulta essere oggetto di "riciclo", indirizzato peraltro a usi prevalentemente agricoli o di discariche R.S.U.
All'interno del distretto pugliese, che occupa una superficie totale di 9.000 ettari, il complesso più esteso è rappresentato dal bacino estrattivo di Apricena (FG), ubicato ai margini del promontorio del Gargano tra i comuni di Apricena, Poggio Imperiale e Lesina, con una superficie di 14,24 km2 (Fig. 3). Il suo valore economico è molto elevato, soprattutto se si considera la costante crescita del trend di esportazioni del materiale che produce; ma è anche culturalmente e socialmente strategico per l'alto livello di professionalità e specializzazione del personale cavatore, vero e proprio patrimonio immateriale per l'intero territorio.
Dal punto di vista morfologico quest'area estrattiva è articolata in arcipelaghi di cave di differenti dimensioni che possono raggiungere fino a 100 metri di profondità, per un totale di circa 30 milioni di metri cubi di materiale, distinti in tre sottosistemi: l'area di San Sabino - Tre Fossi, costituita da cave di piccola dimensione; l'area di Masseria del Campo, a sud est dell'abitato di Apricena (più antica e con un maggiore valore identitario), caratterizzata dalla presenza di due cave attive e due cave dismesse; l'Area Canali, ubicata tra l'autostrada e la linea ferroviaria (Fig. 4), di grande estensione e con elevato un numero di cave, e segnata dalla presenza dei ravaneti, grandi montagne costituite da materiale di scarto accumulato ai margini delle cave (circa il 30% del volume estratto) fino ad un'altezza di 50 metri e su una superficie totale di circa 1 milione di metri quadrati.
L'analisi dell'attuale situazione del sistema estrattivo di Apricena consente di operare una valutazione critica sulle strategie possibili per un riciclo consapevole delle cave a partire dall'individuazione delle sue criticità, che in questo caso riguardano prevalentemente:
- Il degrado legato alla dismissione e all'abbandono;
- il ritardo culturale e la scarsa innovazione che interessa il settore produttivo;
- l'arretratezza delle logiche di commercializzazione che tendono a bypassare le fasi della segagione.
Inoltre, le necessità legate alla compatibilità ambientale degli interventi di trasformazione, impongono una riflessione sul ruolo della disciplina tecnologica che passi attraverso l'ottimizzazione e la specializzazione dei processi "produttivi" con tecniche estrattive "sostenibili" e con la valorizzazione e l'innovazione della filiera produttiva del materiale da costruzione. Le strategie, nell'ipotesi che si possano tradurre in un primo abaco di nuove metodologie operative finalizzate alla revisione/innovazione dei principi su cui si basa il rapporto tra tecniche estrattive e tecnologie costruttive, in particolare possono riguardare:
- L'acquisizione di dati per una conoscenza dettagliata del processo/ prodotto, al fine di capire modi e opportunità nella definizione di metodologie e azioni di miglioramento della filiera produttiva in chiave sostenibile;
- la ricostruzione dei "percorsi" e dei cicli di vita dei materiali estratti e la successiva proposta di revisione delle attuali metodologie operative attraverso cui dimostrare la possibilità di preservare le emergenze ambientali ed utilizzare in modo più razionale i materiali estratti (in funzione anche della valorizzazione della cultura costruttiva del territorio);
- l'individuazione di nuovi approcci operativi che rendano disponibile il "materiale" a prezzo contenuto per la costruzione di abitazioni collettive (social housing) o costruzioni a carattere pubblico nel contesto della regione;
- l'analisi preventiva delle ricadute sul territorio delle possibili scelte riguardanti le "infrastrutture" territoriali e produttive, dalla gestione del territorio alla gestione del materiale, dalle scale della pianificazione alle scale del dettaglio dei componenti;
- infine, l'integrazione delle cave nella rete degli spazi pubblici, attraverso la definizione di strategie progettuali capaci di definire strumenti e modalità di valorizzazione compatibili del loro intero ciclo di vita.
From the requalification to environmental recycling
The topic of "recycling" of the quarries (and not "requalification"), is framed within a wide and shared change of paradigm of modalities of planning, transforming, managing the territory, which recognizes its value of resource of an unique metabolism of the built environment.
The shiftfrom "requalification", established in the literature and in the planning and architecture practice, to "recycling", desumed from the environmental sciences to architecture, it's a non-neutral choice: overcoming the misconception of an 'instrumental' or propagandistic use, this term joins the terms "refuse", "reduction", "consumption", "material", "product"; these concepts, applied to the built environment at different scale (from territory to built fabric), solicits a series of question, as well as opportunities. They represent not only a way to recognize a life cycle to the material essence of architecture, but also to its use/fruition/disposal; they suggest a sharp change of behavior that recognize in the crisis of economic model based on consumers and unlimited growth an opportunity for a new economic and cultural paradigm for western countries (Latouche, 2009); an attitude capable to innovate and to refind possibilities and modalities of use and to change the evaluation of built resources more plausible and sustainable in a trend of decreasing.
If the built environment is recognized as a "material" resource , it is necessary to consider the use and consistency as an integral part of the transformation process. For a built fabric architecture or an urban system, the idea of recycling involves the conscious acceptance of the possibility that it will become scrap or waste: this implies the recognition of the inability of modern technical knowledge to build real urban or building "organisms", rather than "machines" or consumer products devoted to become waste in a relatively short time (as was the case for much of the recent real estate). This new epistemological perspective implies the need to define new strategies for reuse, recycling and reduction of the consumption of material resources: a "recycling" understood as a complex and articulated phorms and different uses that can trigger new abilities to "life" and "sustainability" in the economic cycle and the material of the entire built environment.
By extension, this idea of "recycling" also can be applied to the land suburban environment: landscapes of agriculture, infrastructures, production, belongs to the set of residual spaces degraded resulting from processes of environmental modification, as they become availables as an opportunity for a new approach to the transformation actions (Fig. 1).
The system of quarries between landscape and primary infrastructure
The theme of quarries' recycling, real primary infrastructure with an own life cycle, had in the recent years an increased interest by both specialists and the public in accordance with the emergence of a new and shared value system that has extended the concept of "environmental sustainability" from the mere recover of abandoned quarries to the definition of criteria "sustainable" management relating to the entire process of mining (Fig. 2).
The environment and landscapes of quarries, in their perennial condition of transformation which determines a dynamic form, are still in a condition of 'limbo', both from the point of view of planning modalities and management (government land), both in perception and in the public opinion; the institutions responsibles for managing the quarries are often "ambivalent" in defining the powers, including the need to protect landscape and environment of the areas of land involved in the cycle of mining and the stimulus to the government and control of the development of economic and production derived from it.
In a sense, the quarries are objects with an intrinsic duality: landscapes linked to primary economy (it is a coincidence that the word "cultivation" - common in agriculture - describes the mining operation in progress) and sites for secondary economy (quarries as infrastructures and processing) and, once exhausted the extraction cycle, they degrade in rejected places, abandonment landscapes, drosscapes, up to join into the archipelago of brownfields and waste areas, areas degraded by waste of urban metabolism and industrial polluted by intensive processes of environmental modification (Berger, 2007).
The processing activities, currently marginal and not adequately valorized, had over the years a literature addressed to tackle the issue through two opposite keys: on the one hand, the regulation and discipline of management methods of production, which included the areas of stone extraction within clusters, then with priority focus on issues that affect the modalities of exploitation of the basins in relationship with environmental clean-up of finished basins; on the other side a specific approach (proper of landascapers' culture) that has shifted the oscillation of interest on the value/disvalue of the quarry in an environmental approach, with a focus on aesthetic enhancement of depleted reservoirs, which assigns to the public institution the main role as coordinator and actuator of decisions and coordination of remediation.
The public institutions, on their hand, seem to be mainly interested in just one phase of the mining process: the postdisuse. Today the problem of "public" relevance is mainly based on the idea that the quarry is a "wounded on the ground", for which they are sought after modalities of "compensation" through remediation, reclamation or environmental restoration, which rarely include the possibility to get a chance to call into life the productive vocation of these landscapes.
Quarries in use and disused quarries: recycling as an epistemological reinterpretation
The modalities of integration of quarries into the network of public spaces are nowdays the main issue of investigation, in the economic/management field as well as in the urban planning/ architectural one: active and disused quarries are now far from human activity, and at the same time have lost the direct link with the sphere of the territory's building. In Apulia, for example, materials derived form extraction activities, from limestone to clays, have had during the pre-modern age until the 60s a central role in the construction of the city, both as building materials and as ornamental elements; currently, due to the emergence of new technologies, new aesthetic-formal paradigms, different economic dynamics, this relationship has weakened, resulting in degradation of culture, landscape and economy of the territorial system.
Apulia raises from the stone's extraction a significant part of the regional economy: currently the economy (in positive contrast compared to other sectors) shows a growing export of stone, but is almost exclusively based on the extraction and marketing of extracted material (block) to markets that operate, on a global scale, the transformation from raw material to the product. This confirms status of "primary" economy that still characterizes the quarries of Apulia nowadays, where the chain ends with the transfer of blocks quarried to the regional nodes of international transport (ports).
In comparison with other sectors of the productive system context, in which it can be found a clear and important development characterized by a strong integration of production, technological innovation and transfer (e.g. the radical and structural transformation in the production of wine and renewable energies), the system of stone's extraction profits by a sort of 'advantageous position': this legitimizes an elementary chain, exclusively linked to the extraction and export of raw materials to contexts, where it is transformed and put on the market place, which provokes the effect of accentuating the intensive exploitation of the mining basins, to concentrate economic benefits in smaller groups and not to stretch the productive chain (through innovation in extraction processes) and the introduction of advanced manufacturing processes and transformation of raw materials into products.
The role of a conscious technological culture within the industry of the quarries, specifically in the quarries of Apulia, could be significant for experimenting and can affect several aspects and steps of the process: a system of coordinated strategies with institutions to encourage forms of optimization using an ecological approach based on operations Reduction, Reuse and Recycling of the territories and the raw material (3Rs strategy), intervening on basins in use and those settled at different levels linked by a common goal2.
The landscape of the quarries in Apulia: productive and environmental exploitation between mining and construction
Apulia, in 2010 acknowledged as Stone District, is the second italian stone mining's area after Tuscany and the fourth italian region for number of authorized quarries3.
The quarrying activity in Puglia is related to different fields of production: building materials and aggregates (cement, lime, etc.), steel industry, the agricultural crops (extraction of clay), cosmetics, and is divided unevenly and varied throughout. Each province has its own quarries (limestone in the province of Bari and Foggia, calcareous rock in the province of Lecce) and each territory has its own modalities of mining and the impact on the landscape. As in most of the southern italian regions, in Apulia there is a lack of a detailed census of quarries, but it is clear that nowdays most of them are in disuse (30% of the entire mining area) and in few cases they have been treated in a strategy of recycling (4% of the whole area), moreover mostly addressed to landfills for waste.
In the Apulia Stone District, that occupies a territory of 9.000 hectares, the largest complex is represented by the mining area of Apricena (FG), located on the edge of the Gargano promontory between the towns of Apricena, Poggio Imperiale and Lesina, and affects an area of 14,24 square kilometers, the largest in the region (Fig. 3). Its economic value is really high, especially according to the steady growing trend in the material's exportations; but it's also culturally and socially strategical due to the high level of the professional and skilled mining hands, real intangible property for the entire territory.
From the morphological point of view the mining area of Apricena is divided into slots of different sizes that reach up to 100 meters of deep, for a total of about 30 million cubic meters of material extracted, divided into three areas: Area San Sabino - Tre Fossi, characterized by small quarries; Area Masseria del Campo, in the south east of the town of Apricena (ancient and with a particular value identity), characterized by the presence of two active quarries and two abandoned quarries; Area Canali, between the highway and the railway line (Fig. 4), with a hugesize and number of quarries and also characterized by the presence of "ravaneti", consisting of stockpile of waste production, accumulated on the edge of the quarries (approximately 30% of the extract volume) up to a height of 50 meters and an area of 1 million square meters.
The analysis of the current situation in Apulia and particularly on the Apricena basin suggests to make a critical assessment of the possible strategies for a conscious recycling of the quarries that passes through the individuation of the main criticalities, that in this case concern:
- The decay due to disuse and abandonment;
- the cultural delay and the insufficient innovation of the productive sector;
- the backwardness of the logic of marketing that tends to pass by the sawing phases.
Otherwise, new consciuos needs linked to sustainability require to rethink the role of technology in this fiell, which should estabilish new standards for optimizing and specializing the processes of "production" through new mining techniques "sustainable" and the use and the aim to innovate the production of building materials. The strategies can be translated in the definition of new operative methods that allow to review and innovate the principles upon which is based the relationship between mining techniques and building technologies:
- Acquisition of data for a detailed knowledge of understanding current modalities and opportunities in the definition of methods and actions to improve the productive chain in a sustainable key;
- rethinking the "paths" and life cycles of the extracted materials, in order to define a set of proposals to review the operational methods; this could help to demonstrate the possibility of preserving environmental emergencies and optimize the extracted materials within and beyond the local economy;
- identifying new strategies to make available the "material" at an affordable price, as building material for collective housing (social housing) or public building;
- preventive analysis of the effects of choices on the territory, related to the "infrastructures" and production, from land management to the management of material, at different scales from planning to that of building components;- integration of quarries into the network of public spaces , through the recovery of the role of the design in recycling processes, by overcoming the approach of "environmental clean-up", moving the center of thinking from an end-of pipe re-development of the quarries to a process of strategic design.
- integration of quarries into the network of public spaces , through the recovery of the role of the design in recycling processes, by overcoming the approach of "environmental clean-up", moving the center of thinking from an end-of pipe re-development of the quarries to a process of strategic design.
NOTE
1 Il contributo è una testimonianza degli autori che s'inquadra nell'ambito di una ricerca in corso al Politecnico di Bari (Prof. Arch. Nicola Martinelli, Prof. Arch. Spartaco Paris, Prof. Arch. Vincenzo P. Bagnato) come unità associata all'Università Federico II di Napoli all'interno del progetto di ricerca finanziato d'interesse nazionale PRIN 2010-11 «Re-cycle Italy. Nuovi cicli di vita per architetture e infrastrutture della città e del paesaggio».
2 In particolare, sulle cave attive: Reduce: riduzione degli areali estrattivi e del materiale estratto, ottimizzazione delle estrazioni con l'impiego di tecnologie innovative, riduzione della quantità di scarti di estrazione e loro reimpiego nella produzione di inerti, riduzione dei costi economici e ambientali del trasporto e incentivazione per la realizzazione di filiere di trasformazione a "km zero"; Reuse: strategie di riuso degli scarti di estrazione e loro impiego come materie prime seconde (scorze); Recycle: dispositivi e metodologie tecnologiche e progettuali transcalari che, muovendo dalla necessità di riciclare il materiale di scarto, ripensino gli elementi di detrimento del paesaggio (ravaneti).
Sulle cave dismesse: Reduce: mitigazione dell'impatto ambientale attraverso incentivi al riempimento dei bacini estrattivi con materiali compatibili (es. scarti dell'estrazione); Reuse: dispositivi e metodologie progettuali per la valorizzazione economica e la compensazione ambientale dei bacini con agevolazioni per la conversione della produzione energetica da fonti rinnovabili (impianti di fotovoltaico, secondo politiche di localizzazione razionale e consapevole) o per uso agrario, a seconda della 'vocazione' di ciascuna cava e del rapporto con il suo territorio.
In Puglia la disciplina dell'attività estrattiva è regolata dalla L.R. 37 del 22/05/1985 e, nel quadro nazionale, dal R.D. n. 1443 del 29 luglio 1927, dall'art. 117 della Costituzione e dal DPR n. 620 del 28/06/1955, oltre ai decreti D.P.R. del 14/01/1972 e n. 616 del 24/07/1977 relativi al trasferimento delle competenze a livello regionale. Nel 2010, con il D.G.R. n. 445 del 23/02/2010, la Regione Puglia ha approvato il P.R.A.E. (Piano Regionale Attività Estrattive), attraverso cui ha individuato le aree nelle quali vincolare l'attività estrattiva all'approvazione preventiva di un Piano Particolareggiato (tra queste vi è il "giacimento marmifero di Apricena") al fine di una maggiore tutela dell'ambiente e del paesaggio.
NOTES
1 The contribution of the authors is extracted from of an ongoing research program within the research unit of the Politechnic of Bari (Prof. Arch. Nicola Martinelli, Prof. Arch. Spartaco Paris, Prof. Arch. Vincenzo P. Bagnato), joined to the University "Federico II" of Naples, within the national research project PRIN 2010-11 «Re-cycle Italy. New life cycles for architecture and infrastructure of city and landscape».
2 In particular, regarding the quarries "in use": Reduce: reduction of areas suitable for mining and the extracted material, optimization of mining using innovative technologies, reducing the amount of production waste and their re-use in the production of aggregate, reduction of economic and environmental costs of transportation and incentive for the realization chains of transformation based on the principle "Zero Km"; Reuse: strategies for reuse of production waste extraction and their use as secondary raw materials (use of selected production waste - like "scorze" (irregular "crusts" of stone plates); Recycle: devices and technological methodologies and multiscale design strategies, which, starting from the need to recycle waste material, could eliminate the element of detriment to the landscape ("ravaneti", stockpile of waste production). Regarding the abandoned or run out quarries: Reduce: environmental impact's mitigation through incentives to fill the basins with compatible materials (eg waste extraction); Reuse: devices and design methodologies for the economic valorization and environmental compensation of the basins, through incentives for conversion to energy production from renewable sources (photovoltaic plants, according to rational and conscious policies of planning) or for agricultural use, according to the "vocation" of each quarry and the relationship with its territory.
3 In Apulia the mining activity is regulated by the Regional Law 37 of 22/05/1985 and, in the national context, the R.D. n. 1443 of 29 July 1927 (Mining Act), art. 117 of the Constitution and Presidential Decree 620 of 06/02/1955, in addition to the decrees of 14/01/1972 and 616 of 24/07/1977 relating to the transfer of powers to the regional level. In 2010, with the D.G.R. 445 of 23/02/2010 the Apulia Region has approved the P.R.A.E. (Regional Plan Mines), through which it identified areas where mining is bound to an approval of a detailed plan (among them is the "areas of marble of Apricena)" in order to better protect the environment and landscape.
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Vincenzo Paolo Bagnato, Dipartimento ICAR, Politecnico di Bari
Spartaco Paris, Dipartimento DATA, Sapienza Università di Roma
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