Title: Same-sex Families and Homosexual Parenthood. International Controversies and Spaces for Recognition in Italy
Abstract: Lesbian and gay parenthood is the most adversed topics of the recognition of lesbian and gay families, both from the point of view of the concession of rights and the one of social legitimation. In Italy, the sociological research on the recognition of lesbian and gay families with children is not comparable to the international one. Nevertheless, the development of a political discourse on the rights of lesbian and gay people - with or without families, with or without children - by European institutions is broadening the interest of Italian sociologists. The article analyses the experiences of 12 gay Italian lesbian and gay parents in order to understand how they negotiate and achieve social legitimation in front of their families of origin, local institutions and neighbours. Results show that lesbian and gay families with children give an important contribution for the pluralization of practices and meanings related to the family. At the same time, they reproduce some crucial features supporting the hegemonic interpretation of the family: the centrality of the couple and the importance of blood ties for the definition of kinship.
Keywords: Lesbian and Gay Families, Lesbian and Gay Parents, Transformations of the Family, Assisted Reproductive Technologies, Surrogacy.
Introduzione
Tra i cambiamenti nei modi di fare e dire la famiglia che si rendono visibili nei paesi occidentali, le declinazioni della famiglia e della genitorialità proposte dalle donne lesbiche e dagli uomini gay costituiscono il fenomeno che interroga più in profondità gli assetti regolativi, dando vita alle discussioni più conflittuali.
Le dispute attorno alle forme o alle ipotesi di riconoscimento delle relazioni affettive tra persone dello stesso sesso - soprattutto se implicano la presenza di figli - sono comuni a tutti i contesti nazionali, seppure con contenuti e modalità diverse. Da molti anni negli Stati Uniti il tema del same-sex marriage e le politiche a favore della genitorialità lesbica e gay sono oggetto di una vera e propria "guerra culturale" alimentata dalle organizzazioni tradizionaliste cattoliche e dal movimento ex-gay. In Europa, accanto ai dibattiti interni dei singoli stati, il divieto di discriminare le famiglie lesbiche e gay è diventato uno dei temi centrali utilizzati dalle istituzioni sovranazionali per definire l'orizzonte simbolico verso cui gli stati ritenuti "meno moderni" - tra cui l'Italia - e i migranti provenienti da culture definite come "premoderne" dovrebbero tendere.
In Italia il dibattito è più recente, ma non per questo meno acceso. Le domande di riconoscimento delle famiglie gay e lesbiche e la tutela della genitorialità omosessuale hanno ottenuto recentemente significative risposte istituzionali. Al tempo stesso, l'opposizione a tali diritti ha guadagnato nuova visibilità e nuovi contenuti grazie alla reazione delle gerarchie cattoliche - spalleggiate da organizzazioni tradizionaliste e da alcuni gruppi politici di centro-destra - contro la cosiddetta "ideologia del gender".
Nelle pagine che seguono discuteremo il riconoscimento formale e sociale delle famiglie omosessuali all'interno di questi dibattiti più ampi. Ci focalizzeremo poi sulle principali direzioni di ricerca sociologica sulla genitorialità di lesbiche e gay, all'interno delle quali si sta collocando anche la sociologia italiana. Infine, proporremo alcune riflessioni sulle strategie che madri lesbiche e padri gay attivano per includere le proprie esperienze genitoriali all'interno delle reti sociali dei loro contesti di vita - come quelle delle loro famiglie di provenienza e dei servizi per la prima infanzia. I racconti di 12 genitori italiani di ambo i sessi ci aiuteranno a mettere a fuoco la costruzione di spazi di riconoscimento sociale in un paese dove tali esperienze sono prive di legittimazione formale.
Le controversie sulle famiglie gay e lesbiche nel dibattito statunitense ed europeo
Le molteplici forme del riconoscimento formale delle famiglie gay e lesbiche nei paesi occidentali - dalla civil partnership al same-sex marriage, dall'accesso all'adozione o alla stepchild adoption (talvolta definita anche second-parent adoption) fino al ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita - sono materia di dibattito in diversi segmenti della sfera pubblica. Spesso l'oggetto delle discussioni chiama direttamente in causa le trasformazioni nelle definizioni del gender, in particolare per quanto riguarda la fissità del rapporto tra genere e corpi e la complementarietà tra uomini e donne nella sfera familiare. In altri casi, invece, il tema delle famiglie gay e lesbiche rientra nelle retoriche di costruzione dell'identità e della cittadinanza nazionale e sovranazionale. In questo paragrafo ci focalizzeremo sui contesti discorsivi più interessanti all'interno dei quali - negli Stati Uniti e in Europa - la questione dei diritti delle famiglie gay e lesbiche è collocata.
Negli Stati Uniti l'accesso al matrimonio da parte di coppie gay e lesbiche è una proposta nata sulla scia delle sentenze della fine degli anni Sessanta del secolo scorso a favore del «matrimonio interrazziale» (Chauncy 2004; Viggiani 2015). All'inizio degli anni Settanta sono poi emerse le domande di riconoscimento della maternità lesbica (Benkov 1994; Stein 1997). Oggi le agenzie americane di surrogacy stanno dando un impulso decisivo alla nascita del mercato internazionale degli aspiranti padri gay. In questo contesto di forte dinamismo, dove l'espressione di punti di vista contrapposti segna regolarmente il confronto politico e divide l'opinione pubblica, l'opposizione al riconoscimento dei diritti delle famiglie gay e lesbiche sembra concentrarsi attorno a due contesti discorsivi principali.
Il primo è il tentativo di delegittimare l'omosessualità sul piano etico-morale, rifiutandosi di considerarla come una forma della vita sessuale e affettiva al pari dell'eterosessualità. In questo caso, chiamare in causa i «valori tradizionali della famiglia» o il «benessere dei bambini» per opporsi al same-sex marriage e alla genitorialità omosessuale sarebbe espressione di una nuova forma di omofobia - più nascosta e politicamente corretta - che si è adeguata alla normalizzazione delle identità gay e lesbiche (Stein 2005). Il secondo contesto discorsivo è relativo alle politiche della maschilità promosse dall'alleanza tra le organizzazioni tradizionaliste cattoliche e il movimento ex-gay per riaffermare la distinzione asimmetrica tra uomini e donne (Clarke 2001; Robinson e Spivey 2007; Stewart 2008). Per un verso, si stigmatizzano le famiglie lesbiche richiamando la necessità di rimettere al centro della vita familiare la figura del padre (eterosessuale), inteso come guida normativa per tutti i componenti del nucleo e, più in generale, per l'intero equilibrio della società. Per altro verso, si propone un'interpretazione dell'omosessualità (maschile) come scelta reversibile e curabile attraverso l'identificazione con modelli eterosessuali costruiti sul principio della complementarietà tra i sessi.
In Europa - dove la Danimarca nel 1989 è stato il primo paese a riconoscere la civil partnership per le coppie gay e lesbiche - le controversie nazionali ripropongono alcuni temi presenti nel dibattito americano. Il lavoro di Adam Jowett (2014) sulle argomentazioni contro il same-sex marriage riportate dalla stampa britannica e le analisi sulla cosiddetta "ideologia del gender" in Francia e in Italia (cfr. Garbagnoli 2014) esemplificano tale continuità.
Ci sono tuttavia delle specificità, principalmente riferite alla costruzione dell'identità nazionale nei paesi dell' ex-blocco sovietico (Kulpa e Mizieliñska 2011; Xhaho 2015). Qui l'opposizione ai diritti delle persone gay e lesbiche è una partita giocata principalmente sul terreno della squalificazione dell'omosessualità in ragione delle culture di genere che sostengono le rappresentazioni dell'onore e dell'orgoglio nazionali. Le pressioni esercitate dalle istituzioni europee per la depenalizzazione dei comportamenti omoerotici e l'implementazione di politiche contro gli homophobic hate crimes sono le questioni più discusse, ma la contrarietà al riconoscimento delle famiglie gay lesbiche non è affatto un tema marginale.
La specificità più significativa riguarda però la dimensione sovranazionale. Dalla metà degli anni Novanta, il Parlamento Europeo include stabilmente il divieto di discriminare le famiglie formate da gay e lesbiche tra i principi fondativi del suo intervento. Ne sono un esempio la risoluzione A3-0028/94 sulla «parità dei diritti degli omosessuali nella Comunità», la relazione del 2003 sulla «situazione dei diritti fondamentali nell'Unione Europea» curata dalla Commissione per la libertà ed i diritti dei cittadini, la giustizia e gli affari interni del Parlamento Europeo (A5-0281/2003), la risoluzione «sull'omofobia in Europa» del 2006 (C 287/E) e la risoluzione del 2012 sulla «lotta all'omofobia in Europa» (2012/2657-RSP).
All'azione del Parlamento Europeo si affianca quella del Consiglio d'Europa che ha recentemente denunciato il diverso trattamento subito dalle famiglie gay e lesbiche e dai soggetti che le compongono nelle politiche e nelle rappresentazioni mediatiche degli stati membri (Council of Europe 2011).
Anche l'Agenzia Europea per i Diritti Fondamentali gioca un ruolo significativo in questa partita. I due report sull'omofobia negli stati membri - il primo sui sistemi giuridici e il secondo sulle percezioni sociali - hanno puntato il dito contro quei paesi in cui le famiglie gay e lesbiche sono escluse dai sistemi di tutela e non hanno raggiunto una sufficiente legittimazione nell'opinione dei cittadini (European Union Agency for Fundamental Rights 2007; 2008). Al tempo stesso, il rapporto della medesima Agenzia sulle sfide ai diritti fondamentali nella Comunità Europea (Ibid. 2012) ha incluso tra le questioni più urgenti la tutela della libertà di movimento dei componenti dei nuclei familiari formati da gay e lesbiche.
I dati e le informazioni divulgate, il modo in cui sono commentati e le esortazioni al rispetto dei diritti rientrano in un discorso più generale delle istituzionali sovranazionali finalizzato alla definizione dell'orizzonte morale della vita sessuale e affettiva nello spazio europeo (Gerhards 2010). Il principio del riconoscimento delle famiglie gay e lesbiche accompagna quello della protezione dalla violenza omofobica nella costruzione di una serie di distinzioni culturali. La prima è quella tra paesi più "moderni" e paesi "meno moderni" dentro il contesto europeo, distinzione che prende la forma della polarizzazione tra Europa settentrionale ed orientale (Stulhofer, Rimac 2009). La seconda distinzione è quella tra l'Europa complessivamente intesa e i paesi arabi limitrofi (e le comunità di migranti che da questi provengono) dei quali viene rappresentata l'arretratezza sul piano della tutela delle libertà individuali secondo traiettorie di culturalization della cittadinanza e di sexualization dell'interpretazione della differenza culturale e religiosa (cfr. Mepschen, Duyvendak, Tonkens 2010).
All'interno di queste politiche discorsive l'Italia occupa una posizione scomoda. L'assenza di riconoscimento formale delle coppie gay e lesbiche e delle loro aspirazioni genitoriali unita al sostanziale rifiuto delle ipotesi omogenitoriali nelle opinioni dei cittadini aiutano a rafforzare l'immagine dell'Italia come uno tra i paesi "meno moderni" della vecchia Europa. A questo risultato contribuiscono anche le organizzazioni gay e lesbiche nazionali che forniscono alle reti associative europee informazioni relative all'Italia. Un esempio significativo è il più recente rapporto sui diritti umani delle persone LGBTI in Europa curato dalla sezione europea dell'International Lesbian, Gay, Bisexual, Trans & Intersex Association che denuncia «l'indisponibilità della classe politica [italiana] a rispondere alle richieste della comunità LGBTI di aprire una discussione riguardante l'uguale accesso al matrimonio e altri diritti» (ILGA-Europe 2013, 127, traduzione mia).
Tuttavia, nonostante l'immobilità del sistema politico centrale, le domande di riconoscimento delle famiglie gay e lesbiche hanno ottenuto importanti risposte istituzionali che potrebbero configurare trasformazioni più ampie in un futuro prossimo (cfr. Prisco 2013). Nell'aprile del 2014 la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittimo il divieto di fecondazione eterologa medicalmente assistita previsto dalla legge 40/2004. La notizia è stata accolta come segno di un'imminente apertura all'accesso a tale tecnica anche da parte delle donne lesbiche, single o in coppia, che ne risultano formalmente escluse sin dalla prima regolamentazione delle strutture pubbliche del 1985 (Trappolin 2006, 309). Dopo la presentazione di diversi progetti di legge sostenuti da una mobilitazione che risale alla fine degli anni Ottanta - e in un contesto nazionale dove la trascrizione all'anagrafe di matrimoni tra persone dello stesso sesso contratti all'estero è oggetto di scontro tra comuni e Governo - nel mese di marzo del 2015 la Commissione Giustizia del Senato ha approvato il testo base per la Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze. Il disegno di legge riserva le unioni civili alle sole coppie omosessuali e fornisce una risposta anche alle loro attese genitoriali attraverso la possibilità di adottare il figlio della persona convivente (stepchild adoption).
Infine, dopo che dai primi anni del 2000 l'opinione pubblica italiana ha potuto verificare l'esistenza e la diffusione dell'omogenitorialità anche nel nostro paese (cfr. Trappolin 2009 e 2010), le organizzazioni che danno voce a queste esperienze hanno potuto festeggiare una serie di sentenze che ne recepiscono alcune istanze. Si tratta di decisioni che, allo scopo di preservare il benessere dei minori d'età, hanno riconosciuto la funzione genitoriale svolta dalla partner di una mamma lesbica e la funzionalità del loro nucleo familiare. Esempi sono la sentenza della Corte di Cassazione del gennaio 2013 che ha stabilito che la presenza di una relazione lesbica non può permettere ad un ex-marito di sottrarre i figli alla loro madre; la sentenza del Tribunale dei Minori di Roma dell'agosto 2014 in base alla quale una donna può ambire ad adottare i figli della sua compagna; la sentenza del Tribunale di Palermo dell'aprile 2015 che ha accordato all'ex-compagna di una madre il diritto a non venire esclusa dalla relazione con i suoi figli che aveva aiutato a crescere negli anni della convivenza.
Considerate complessivamente, queste inversioni di tendenza nella prassi giurisprudenziale mettono in questione l'immagine dell'Italia come paese insensibile ai mutamenti delle strategie di famiglia e delle esperienze genitoriali. Ciò che emerge è la presenza di punti di vista plurali anche dentro le istituzioni che devono rispondere alle esigenze di vita quotidiana degli uomini e delle donne che «fanno famiglia al di fuori dell'eterosessualità» (Bertone 2005). Al tempo stesso si rendono visibili i segnali di un mutamento già avvenuto nel tessuto sociale. L'inconciliabilità tra identità omosessuale e aspettative di genitorialità sta perdendo definitivamente la sua plausibilità agli occhi delle persone lesbiche e gay, anche se sembra permanere in ampie fette dei campioni di popolazione coinvolti nelle survey internazionali e nazionali (Trappolin 2006; European Union Agency for Fundamental Rights 2008; D'Ippoliti, Schuster 2011: 30-36; Istat 2012). Ma ancora più significativamente viene a galla l'esistenza di pratiche locali di rinegoziazione dei modi di dire famiglia che passano attraverso l'inclusione delle esperienze omogenitoriali nelle reti familiari allargate e la collaborazione con i servizi.
Il tema del riconoscimento nella ricerca sociologica sulla genitorialità lesbica e gay
Come si inseriscono i temi del riconoscimento formale e sociale all'interno della più ampia ricerca sulle famiglie omogenitoriali? Quali aspetti di mutamento e di continuità con il contesto sociale vengono evidenziati? In questo paragrafo tenteremo di rispondere a questi interrogativi considerando i più recenti sviluppi dell'interesse sociologico verso le same-sex family con figli.
Nel panorama internazionale è ben radicato un settore di ricerca che prende in considerazione sia le madri lesbiche (Slater 1995; Stein 1997) che i padri gay (Lewin 2009). Esso rappresenta un importante segmento dei Gay and Lesbian Studies e un filone innovativo dei Gender Studies e della sociologia della famiglia. Gli sviluppi di queste ricerche - documentati anche in alcuni lavori di studiose italiane (cfr. Bottino, Danna 2005; Bertone 2008; 2009; Ruspini, Luciani 2010) - possono essere grossomodo sintetizzati in tre tappe. L'assunzione di un'iniziale posizione "difensiva" riguardante lo sviluppo psico-sociale dei minori che vivono in questi nuclei ha lasciato il posto all'interesse per l'organizzazione della vita familiare per poi giungere all'individuazione di aspetti di mutamento più generali che interessano tutte le relazioni familiari.
L'interesse per la questione del riconoscimento formale di questi nuclei ha ricevuto una forte sollecitazione dallo sguardo critico della Queer Theory sulle implicazioni sociali del raggiungimento dei diritti. Nel quadro di un più generale scetticismo verso la normalizzazione dell'omosessualità favorita dalle identity politics, gli studiosi che coltivano tale approccio hanno più volte denunciato gli effetti inattesi derivanti dalla focalizzazione delle organizzazioni mainstream sul same-sex marriage e la genitorialità lesbica e gay (cfr. Warner 1993; 1999). Le argomentazioni proposte si basano su due ipotesi. La prima è che le strategie di assimilazione alle famiglie eterosessuali finiscano per riprodurre la struttura eteronormativa responsabile della costruzione delle stesse minoranze sessuali; la seconda - ampiamente sostenuta dalla letteratura sulla intersectionality - è che l'inclusione nel diritto di famiglia avvantaggi i gay e le lesbiche che non sono discriminati per caratteristiche diverse dall'orientamento sessuale, penalizzando ancora di più sul piano sociale le esperienze affettive che non si conformano agli standard vigenti.
In risposta a queste critiche si è sviluppato un dibattito che riprende le prime discussioni sulle potenzialità trasformative delle famiglie omosessuali con figli (cfr. Hayden 1995; Naples 2004; Stacey 2006) e promuove una più attenta analisi delle esperienze concrete di omogenitorialità. Ciò permetterebbe di mettere in luce come, attraverso le reti in cui sono inseriti i minori d'età, questi nuclei costruiscano occasioni di riconoscimento sociale che problematizzano i significati egemoni della famiglia e della genitorialità (Bernstein, Reimann 2001; Bernstein 2015) anche a vantaggio di modelli di relazione alternativi a quelli fondati sulla coppia genitoriale (Walters 2014).
Parallelamente, il tema della mancanza di riconoscimento formale ha dato impulso ad almeno due importanti filoni di ricerca. Il primo si concentra sul modo in cui tale mancanza incide sull'organizzazione delle relazioni tra i partner. Esemplare a questo proposito è il lavoro di Jonnian Butterfield e Irene Padavic (2014) sui nuclei formati da donne lesbiche. Si tratta di una ricerca che mette in questione la distanza - che si dava per scontata (Blumstein, Schwartz 1983) - tra i modelli di divisione del lavoro di cura "inventati" da questi nuclei e le asimmetrie tipiche delle famiglie tradizionali eterosessuali. Al contrario, il timore della convivente della madre lesbica di non poter più vedere il figlio della sua compagna nel caso la relazione si rompesse la indurrebbe ad assumere una posizione subordinata rispetto alla partner, assumendo di fatto il medesimo ruolo di deferenza che definiva il corretto comportamento delle mogli nei contesti patriarcali.
Il secondo filone di ricerca si riferisce invece ai progetti di genitorialità di lesbiche e gay che ricorrono alle tecniche di procreazione medicalmente assistita, e alle strategie da loro attivate per conquistare spazi di riconoscimento sul piano della relazioni sociali. Nel caso delle aspiranti madri lesbiche (Dalton, Bielby 2000; Dunne 2005; Jones 2005; Ryan, Berkowitz 2009; Nordqvist 2010), le ricerche mettono in luce come la progettazione di coppia di un percorso di maternità rappresenti una strategia - anche consapevole - per negoziare con l'intorno sociale una legittimazione di sé su più livelli: in quanto donna (per le madri), in quanto madre e compagna (per le partner delle madri), in quanto famiglia (per entrambe). Al medesimo scopo, le partner delle madri si servono delle possibilità tecnologiche offerte dalla fecondazione assistita per rafforzare il loro legame con i figlio delle proprie compagne. Esse infatti selezionano il donatore sulla base del criterio delle somiglianze fenotipiche. Questo è un aspetto che si inserisce nello studio dei processi di costruzione sociale della parentela e dei legami primari: nel nostro caso, l'attenzione è puntata sulla somiglianza somatica che si sostituisce al legame biologico confermandone la centralità.
Il caso degli aspiranti padri gay è meno indagato, ma gli studi che sono stati pubblicati (Ryan, Berkowitz 2009; Dempsey 2013; Murphy 2013) mettono in luce molti aspetti di continuità con le traiettorie delle donne lesbiche: l'aspettativa che la genitorialità porti ad un'integrazione maggiore del nucleo familiare e il forte investimento nella selezione del materiale biologico (e delle donne che "prestano" il loro corpo) al fine di far valere la somiglianza fenotipica come base del legame primario. Tuttavia, il fatto che i gay ricorrano alla surrogacy (maternità surrogata) solleva ovviamente questioni specifiche. In primo luogo, le ricerche sono focalizzate sul "lavoro identitario" che gli aspiranti padri devono compiere per integrare nella loro biografia tutti i passaggi previsti dalla surrogacy. Qui ci riferiamo principalmente all'intervento delle aspettative normative della maschilità - come la preservazione dell'onore maschile - nella gestione della scelta di "diventare padri" ricorrendo al mercato. In secondo luogo, e in maniera più problematica, il ricorso alla surrogacy da parte dei gay amplifica le criticità già sollevate per le coppie eterosessuali (Roach Anleu 1992; Corradi 2008): la surrogacy configura uno sfruttamento del corpo delle donne da parte di uomini facoltosi e, al tempo stesso, alimenta la riproduzione di disuguaglianze razziali nella scelta del materiale biologico e dei soggetti da coinvolgere. Nelle Conclusioni avremo modo di ritornare su questi temi per sollevare ulteriori aspetti critici che emergono dalle interviste che abbiamo raccolto.
La ricerca sociologica italiana riesce per il momento solo a sfiorare i processi di mutamento messi a fuoco dalla ricerca internazionale in ragione della carenza di dati empirici. Tuttavia, è stato fatto qualche passo avanti rispetto alla situazione dei primi anni del 2000. In un recente passato, la discussione sociologica si poteva avvalere essenzialmente di (pochi) dati relativi alle forme sociali della maternità lesbica, della paternità gay e alle attese di genitorialità (Danna 1998; Lelleri et al. 2005; Allegro 2006; Trappolin 2006; Barbagli, Colombo 2007; Lelleri, Prati, Pietrantoni 2008). Oggi, invece, riusciamo a disporre di informazioni più dettagliate. Innanzitutto, la ricerca comparativa a livello europeo ci offre informazioni più aggiornate sulla diffusione delle esperienze di genitorialità lesbica e gay. I dati relativi all'Italia raccolti dall'Agenzia Europea per i Diritti Fondamentali (European Union Agency for Fundamental Rights 2014) rivelano che, su 10.804 lesbiche e gay interpellati, le madri sono il 15% - percentuale che triplica quella intercettata dall'unica survey precedentemente disponile (cfr. Lelleri, Prati, Pietrantoni 2008) - e i padri il 5%2. Inoltre, il 12% delle coppie conviventi dichiara di vivere con un minore d'età3.
In secondo luogo, lo sviluppo recente della ricerca sociologica italiana ha messo a tema due importanti aspetti legati all'omogenitorialità. Da un lato, le ricerche che si sono occupate della rappresentazione sociale della genitorialità lesbica e gay (Trappolin 2009; 2010; Istat 2012) hanno evidenziato come il mancato riconoscimento sociale delle famiglie omosessuali in Italia non riguardi la dimensione delle relazioni orizzontali tra adulti, bensì quella intergenerazionale tra genitori e figli rispetto alla quale il discorso pubblico sembra tralasciare le esperienze concrete. Dall'altro lato, le ricerche qualitative sui nuclei omogenitoriali (prevalentemente formati da donne) hanno indagato più a fondo il tema del riconoscimento sociale prendendo in considerazione l'integrazione dei genitori omosessuali all'interno delle reti parentali e dei servizi (Bottino 2008; Cavina, Carbone 2009; Danna 2009; Gigli 2011; Bosisio, Ronfani 2013). L'immagine che emerge da questi lavori è quella di un'effettiva capacità di questi nuclei di promuovere percorsi di trasformazione dei significati della genitorialità e della famiglia sfruttando le opportunità fornite loro dalla partecipazione a contesti di socializzazione centrati sui bambini.
Nei paragrafi seguenti discuteremo ulteriormente la dimensione sociale del riconoscimento della genitorialità omosessuale presentando i primi risultati di una ricerca nazionale ancora in corso sulle madri lesbiche e sui padri gay.
La ricerca: le interviste ai genitori
Le 12 interviste qui presentate fanno parte di un progetto di ricerca molto più ampio e in corso di svolgimento sul tema delle esperienze di genitorialità nelle coppie formate da persone dello stesso sesso4. L'analisi fa riferimento alle narrazioni di entrambi i partner di 3 coppie di uomini e 3 coppie di donne - intervistati separatamente tra il mese di febbraio e il mese di maggio del 2015 - che convivono con figli avuti nell'ambito di un progetto di coppia. Questi nuclei - nel nostro caso tutti a doppio reddito - in letteratura vengono definiti «pianificati» (Bottino, Danna 2005; Bertone 2008) o «famiglie intenzionali» (Moore, Stambolis-Ruhstorfer 2013) in relazione al fatto che i figli non provengono da precedenti relazioni o esperienze familiari.
Tutti gli uomini gay sono diventati padri facendo ricorso alla surrogacy, o GPA5, oltreoceano; due donne sono diventate mamme con la fivet6, mentre una è ricorsa a un'inseminazione artificiale. Tutte hanno scelto, seppur per motivi diversi, cliniche in paesi europei. Nella Tabella 1 vengono riportati i principali dati socio-demografici delle persone intervistate. Tutte compaiono con nomi di fantasia.
Le persone intervistate sono state reclutate usando le reti dell'associazione Famiglie Arcobaleno, di cui fanno parte, alla quale abbiamo illustrato le domande conoscitive della ricerca. Si tratta perciò di soggetti accomunati dalla medesima propensione a rivestire la propria esperienza di un significato politico. Dal momento che l'obiettivo della nostra analisi è far emergere le strategie utilizzate per guadagnare spazi di riconoscimento sociale, questa è una caratteristica che li rende particolarmente "interessanti". Naturalmente, la scelta di utilizzare le reti di un'unica associazione comporta dei limiti che non possono essere aggirati, per quanto i nostri intervistati abbiano storie di militanza tra loro disomogenee. Ne consegue che le traiettorie biografiche e i sistemi di significato che l'analisi fa emergere non possono essere generalizzate. Ci sono madri e padri omosessuali che scelgono strategie di inclusione sociale che non prevedono la visibilità, e quest'ultima può avere significati diversi a seconda del frame in cui viene inserita.
La scelta di intervistare separatamente entrambi gli adulti del nucleo è stata utilizzata in altre ricerche internazionali sulle famiglie lesbiche e gay (cfr. Weeks, Heaphy, Donovan 2001). Nel nostro caso, essa rispondeva all'obiettivo di indagare le aspettative individuali relative alla genitorialità e le strategie attivate anche verso le reti familiari della/del partner senza limitare la spontaneità del racconto. Oltre che ampliare lo spettro delle esperienze considerate, ciò permette di far emergere difformità interne alle coppie ed eventuali tensioni sui temi oggetto della ricerca.
La traccia di intervista semi-strutturata metteva al centro le seguenti aree tematiche: il percorso di formazione della coppia; l'emersione del desiderio di genitorialità; la negoziazione con la/il partner; le strategie per diventare genitori; la gestione del lavoro di cura; i rapporti con la famiglia di origine; la gestione della visibilità con le/gli insegnanti e nell'ambiente di lavoro; le relazioni con i vicini.
Progettare la genitorialità
Diventare genitori è una tappa molto importante a livello personale, di coppia e sociale, per la vita di una persona adulta. Non fanno eccezione i gay e le lesbiche che abbiamo intervistato. Nonostante le famiglie in cui entrambi i genitori sono dello stesso sesso creino stupore (Barbagli, Colombo 2007), dai racconti emerge che il desiderio di genitorialità è stato molto forte, frutto di una progettazione consapevole e condivisa. Vi sono però delle differenze tra gay e lesbiche. Per i primi il desiderio di paternità è visto come percorso "naturale" di qualsiasi altra coppia stabile che vive insieme e si ama, una tappa. Entrambi i partner si aspettano di "diventare papà" in un percorso di vita a due.
E' questa la nostra famiglia che, piano piano, è cresciuta con ... ed è cresciuto in noi anche il desiderio di allargarla. Di allargarla, avere dei figli (Maurizio, 52 anni).
E' stata una cosa su cui probabilmente all'inizio ho spinto più io e poi, poi quando ci siamo trovati... diciamo insieme ecco, in termini di motivazione, di sentirci, sentirci pronti, per quanto uno possa essere pronto no? Uno non è mai pronto a fare il genitore (sorride) e naturalmente, però, quando ci siamo detti va beh proviamo ecco, nel senso che l'idea della genitorialità faceva parte del nostro progetto di vita comune (Pietro, 51 anni).
Nelle coppie di donne, invece, il desiderio di diventare mamma è molto forte e presente inizialmente da una sola parte. Questa aspettativa viene poi portata all'interno della relazione dove viene negoziata con la partner. Emerge chiaramente che le donne che desideravano diventare mamme sono quelle che poi di fatto lo diventano:
Ma, io l'ho sempre pensato francamente, cioè non ho mai pensato che non ... cioè, pensare che non avrei dovuto avere figli per me, cioè, ma penso non mi sia proprio sfiorata questa idea. Ma guarda, più che l'istinto mater no ho sempre pensato che avrei avuto dei figli e ora non so se per la famiglia che ho avuto, anche perché penso che non tutte le donne debbano averne [...]. Io, invece, boh, ho sempre pensato che avrei avuto figli, quindi quando ho cominciato ad avere 30 anni, Elvira 33, ho detto: «ma i figli?» (ride), però poi c'ho messo cinque, sei anni per convincerla perché lei non voleva, perché diceva che le sembrava una cosa assurda (Brunella, 44 anni).
Nei racconti delle madri legali, la maternità non viene messa in discussione dall'aver intrapreso una relazione con un'altra donna e, di conseguenza, l'orientamento sessuale non viene percepito come un ostacolo alla maternità. Anzi, trovarsi in una relazione stabile legittima questo desiderio, è una spinta alla sua possibile realizzazione. Per gli uomini, invece, emergono delle perplessità circa la compatibilità tra orientamento sessuale e paternità. Anche se il desiderio è sempre stato forte, ancora prima di trovarsi all'interno di una relazione stabile, l'orientamento sessuale veniva visto come un ostacolo, sia a livello simbolico che a livello pratico:
Eh... ognuno di noi porta con sé delle storie, che sono la propria vita e io mi portavo la mia, cioè quella di un apparente eterosessuale che ha cercato di avere dei figli e non ne ha potuti avere eh... poi per ragioni... eh, per ragioni varie quel rapporto è finito ed è finita anche l'idea di poter avere dei figli, sempre pensando che i figli potessero nascere soltanto da un uomo e una donna o al massimo sotto un cavolo o li portava la cicogna (Flavio, 54 anni).
Ma la preoccupazione più grande tra le coppie di uomini è legata al benessere di figli cresciuti da due padri e senza una madre. Importante, in questa fase di ricognizione e maturazione del desiderio, è l'incontro con Famiglie Arcobaleno che svolge un ruolo cruciale ancora prima che nelle coppie arrivino dei figli. Rispetto alle donne, gli uomini rivelano un bisogno più forte di documentarsi, di essere rassicurati. Leggono libri e cercano informazioni su internet sulle famiglie formate da due uomini con bambini. Famiglie Arcobaleno, oltre a fornire le prime indicazioni rispetto a come muoversi e in quali paesi, dà loro un esempio tangibile del benessere dei figli che crescono con due mamme o due papà. Legittima il desiderio di genitorialità: se queste famiglie ci sono, se esistono, allora è giusto:
[...] dopo aver letto non ero ancora completamente convinto di questo percorso, comunque il nostro percorso e abbiamo deciso di conoscere, che poi i libri e la teoria, puoi dire tanto, ma la cosa fondamentale per noi era vedere la pratica, vedere questi bambini negli occhi, capire quello sguardo, capire realmente se c'era qualcosa dentro di noi che stonava. E quindi ci siamo iscritti a Famiglie Arcobaleno e in quell'occasione abbiamo visto, è stata ... secondo noi ... per me è stata una rivelazione emotiva, sentimentale incredibile. Allora abbiamo visto tante famiglie, tanti bambini e tutto molto naturale come, come chiaramente è, eh ... con, e dove realmente non c'è nessuna differenza, né dinamiche positive, né dinamiche negative [...] tutte le dinamiche di tutte le famiglie. E quindi da li in poi ci siamo sicuramente rassicurati, abbiamo deciso di intraprendere il percorso (Enrico, 36 anni).
Per le donne che non sono mamme legali dei figli, invece, il desiderio di maternità è più debole, all'inizio quasi assente. Esso emerge all'interno della coppia attraverso l'esplicitazione del desiderio della partner. Infatti, poi, nessuna di loro diventerà il genitore legale, a differenza dei papà gay che, nonostante le perplessità iniziali, diventano i genitori legali dei loro figli. In seguito appoggiano il desiderio della compagna e, dopo un po' di tempo, condividono il progetto genitoriale come mera conseguenza di una vita a due e di una famiglia:
E quindi è nata sta storia: bella, impor tante, però lei dopo un poco già tampinava con questo desiderio della maternità. Io non ne volevo sapere, cioè per me era, era lontanissimo dai miei progetti, non era, non era minimamente contemplata. Non c'avevo mai pensato, un po' perché t'ho detto, perché non avevo neanche mai pensato che due donne ... poi non mi volevo sinceramente complicare la vita. [...] Mi spaventava l'idea di un figlio, forse perché mia sorella aveva avuto mio nipote e ... diciamo (ride), la sua esperienza non mi aveva rassicurato (ride). [...] Io non ci vedevo tutto questo aspetto bello, gioioso della famiglia ... del mulino bianco (Elena, 45 anni).
Se per le coppie di uomini Famiglie Arcobaleno legittima il desiderio di paternità, per le "mamme non legali" l'associazione riveste un ruolo completamente diverso. Vengono introdotte dalle loro compagne nell'associazione con la speranza di incrementare un desiderio poco presente, o del tutto assente, ma l'impatto non è sempre positivo. L'opinione prevalente è che Famiglie Arcobaleno proponga un frame legato ai canoni più tradizionali della famiglia italiana, sovvertendo quella che invece era stata la prospettiva politica del lesbismo degli anni Sessanta e Settanta che andava contro le logiche patriarcali ribellandosi alla subordinazione e sottomissione delle madri e delle mogli nella famiglia:
[...] questa maternità lesbica, in qualche modo, aiuta anche a, ridimensiona anche l'immagine sovversiva che tu puoi avere di una ... di una lesbica o del lesbismo, perché comunque ti riconduce all'interno di un ruolo molto più tradizionale. Perché il fatto che una mamma che è lesbica e sta con un'altra donna, non lo so. Poi dipende da uno come se lo vive, come dire, ultimamente anche da parte di questi, dei genitori che appartiene a varie associazioni, genitori omosessuali, c'è questa voglia di normalità che in realtà mi sembra che non sovverta assolutamente nulla, se non il bisogno di sentirsi confermati in ruoli codificati [...]. Secondo me c'è anche proprio, è anche proprio una questione di conformismo no? non è che il fatto, che la scelta sessuale, o il fatto di essere genitori omosessuale, in qualche modo ti immunizza da, da tutta una serie di regole, magari c'è un desiderio di normalità (Elvira, 47 anni).
Per le coppie dello stesso sesso condividere il desiderio di genitorialità è solo il primo passo per la sua realizzazione. Il secondo passo è la scelta del paese, della clinica e/o dell'agenzia. Per gli uomini una scelta importante riguarda la selezione della "donatrice" e della "portatrice". I futuri genitori hanno a disposizione dei profili molto dettagliati di donatrici e profili di portatrici. In questi profili, principalmente per le donne che donano gli ovuli, non solo sono indicate le caratteristiche genetiche ma anche i loro hobby, le abilità, le passioni. Principalmente vengono scelte in base a somiglianze fisiche con i genitori, soprattutto rispetto al colore della pelle e ai tratti europei-mediterranei.
Allora, la scelta è stata dettata, in parte, per quanto riguarda la donatrice, su delle caratteristiche fisiche, allora togliamo la par te della salute che quella è la prima [...] al di la di quello, ti ripeto, bastava che fosse europea e che avesse una bellezza nor male [...]. Europea perché non volevamo mettere guai su guai, non so se hai capito cosa intendo dire, cioè voglio dire già non sapevamo che cosa stavamo scatenando nel, nel nostro, vicino a noi, se poi l'avessimo presa anche di colore, no va beh, ecco (Flavio, 54 anni).
La scelta della"portatrice", invece, è legata più da un'affinità emotiva. Per i nostri intervistati è importante che esse siano disponibili a mantenere un rapporto con la coppia e con i figli. Si tratta infatti di una figura definita come molto significativa, soprattutto per spiegare al bambino come è venuto al mondo pur essendo stato desiderato all'interno di un contesto di amore tra uomini.
Ai nostri figli abbiamo detto che ? colei che li ha portati nella pancia. Non ? una nostra parente in senso stretto, non ? la loro madre, e ? ? stata colei che li ha accolti perch? gli abbiamo spiegato da piccolissimi che le pance degli uomini non sono adatte, non sono adatte a por tare avanti una gravidanza, quindi ad accogliere dei bambini e avevamo bisogno di una donna che ci aiutava in questo. Per ora non abbiamo introdotto la figura della donatrice perch? ci sembrava un po' complesso da spiegare, per? appena potranno capire un pochino di come funziona la riproduzione umana, la genetica, allora introdurremo anche questa figura. Per? sanno che (nome portatrice) ci ha aiutato, ci ha prestato la sua pancia, si ? resa disponibile a farli crescere nella sua pancia ecco. Quindi non c'? un legame parentale, la chiamiamo zia o mamma surrogata, mamma di pancia, come altri nostri conoscenti fanno (Maurizio, 52 anni).
Le coppie di donne, invece, non scelgono il donatore con modalit? cos? accurate, scelgono solo il gruppo sanguigno: ? la clinica che lo fa per loro in base alle schede che la coppia compila. Solo per una coppia era importante avere un donatore anonimo ?aperto?, ovvero disposto a conoscere la bimba una volta diventata maggiorenne. Questa coppia ? l'unica che non ? ricorsa ad una fivet e la mamma legale non si ? sottoposta a nessun tipo di cura ormonale e medica per rimanere incinta. Hanno optato per una via ?naturale? in una clinica dove il concepimento non ? incentrato sulla medicalizzazione, ma ? inteso come momento intimo della coppia.
Abbiamo visto che nelle copie lesbiche porta avanti la gravidanza colei che la desiderava. E nelle coppie di uomini? Chi dona lo sperma e per quali motivi? Superate le prime perplessit? rispetto alla genitorialit? omosessuale, come negoziano questo desiderio condiviso? La scelta ? di tipo strumentale-razionale, il ragionamento ? basato su tre variabili: et?, lavoro e rete familiare. Per quanto riguarda il primo punto - l'et? - per le coppie di uomini ? importante che ad iniziare la procedura sia il pi? anziano, cos? da non far passare ulteriore tempo per un secondo figlio e non far diminuire le possibilit? di riuscita. Il lavoro - secondo punto - ? un aspetto che viene preso molto in considerazione: chi ha un lavoro stabile e a tempo indeterminato ha diritto al congedo di paternit?. ? questa un'opportunit? da non sottovalutare per non gravare eccessivamente sulle reti di supporto. L'ultimo punto, ma non meno importante, riguarda la famiglia di origine. Per le coppie di uomini ? importante valutare chi dei due abbia dei genitori che non siano gi? nonni, cos? da non togliere loro la gioia di sentirsi pienamente rappresentati in questa veste, grazie ai legami di sangue.
[...] abbiamo preferito eh impiantare quelli di Pietro per un sacco di motivi anche familiari, perch? ? io non avevo gi? pi? i genitori e, e quindi ho pensato che, magari, i suoi genitori avrebbero potuto sentire pi? suoi se i bambini poi portavano il suon cognome. [?] Ne abbiamo parlato insieme ma io, soprattutto, ero convinto che per i suoi genitori, che all'epoca erano entrambi in vita, fosse impor tante che portassero il, il cognome dei figli (Maurizio, 52 anni).
Nonostante le preoccupazioni delle coppie di uomini siano molto forti all'inizio, dopo la nascita del figlio il contesto familiare - in particolare la famiglia di origine - del ?padre non legale? accoglie con grande gioia e amore l'arrivo dei nuovi nipoti, al pari di quelli avuti da altri figli o figlie. Lo stesso succede nelle coppie di donne:
[...] i miei genitori si sentono nonni esattamente come se fossero miei figli, biologicamente miei figli, loro sono miei figli? (Manuele, 43 anni).
Tra gli aspetti che vengono a galla nella fase in cui si progetta un percorso di genitorialit? trova posto anche il tema del coming out. Uomini e donne che non hanno mai rivelato apertamente la propria omosessualit? in famiglia si sentono legittimati a farlo nel momento in cui decidono di avere un figlio. Le motivazioni sono principalmente due: la prima ? che un figlio rende visibile una relazione di coppia, la legittima consacrandola come famiglia. La seconda ? che per il bene dei figli ? giusto presentarsi come due padri o come due madri. Tuttavia, il progetto di genitorialit? non viene rivelato prima che si inizino le procedure previste dai servizi e dalle agenzie. La preoccupazione principale non ? la reazione dei familiari, che si d? per scontata: ? bens? la delusione di vedere infranto il sogno di diventare nonni qualora i tentativi non andassero a buon fine. I familiari che, invece, si sono dimostrati titubanti circa le scelte di genitorialit? dei loro figli, con la nascita del nipote hanno messo da parte tutte le perplessit?.
Cambia, cambia la relazione, tanto pi? che, nel mio caso [?] gliene avevo anche parlato della relazione con Elvira ma diciamo rimaneva sempre un po' nebulosa, un non detto, dopo i figli eh... sono stata molto diretta, molto chiara e all'inizio è stata dura insomma, c'è stato un momento di... beh, quando gli ho detto che ero incinta era super felice perché ormai non ci sperava più (ride) (Stefania, 46 anni).
Strategie e forme di riconoscimento della genitorialità
In letteratura l'esplicitazione della propria omosessualità in seguito alla nascita di un figlio viene definita diplaying family (Finch 2007; Almack 2008). Si tratta di una nuova forma di coming out: le coppie gay e lesbiche negoziano con la loro famiglia di origine la propria visibilità e queste, a loro volta, la presentano alla loro rete sociale.
Le sei coppie intervistate mettono in atto quotidianamente delle strategie di riconoscimento sociale date proprio dall'interazione con gli altri nei diversi contesti sociali. E' nella rete familiare che si negozia in modo esplicito e diretto la visibilità e il riconoscimento del ruolo genitoriale ricoperto da entrambi, non solo dal padre o dalla madre legale. E' importante per la coppia che le loro famiglie di origine siano consapevoli delle aspettative di parità dei partner nell'esercizio della responsabilità genitoriale, soprattutto in presenza dei loro figli. La negoziazione del riconoscimento della "madre non legale" è basata su un lavoro quotidiano e costante con i propri familiari circa i termini più corretti da utilizzare in presenza dei bambini. Le "mamme non legali" sono coloro che più soffrono di questo mancato riconoscimento sociale. Non avere alcun diritto sui figli che loro crescono le rende più fragili anche dal punto di vista emotivo. Essere chiamata mamma, al pari della mamma legale, ha una valenza simbolica, essere riconosciuta dalla rete familiare legittima il suo ruolo di madre che legalmente non vene contemplato.
Però, ecco, sul riconoscimento c'è sempre, soprattutto da una par te di famiglia, magari un po' di fatica a capire che siamo entrambe mamme [...]. E... però si, fanno un po' di fatica a riferirsi a Claudia come mamma, quindi ogni volta dicono «Laura vai dalla Claudia» e io invece «Laura, vai da mamma Claudia». Allora magari mia nonna si corregge, «si, mamma Claudia», cioè deve sempre un po' essere riassestata" (Maria, 35 anni).
L'inclusione nelle reti familiari è molto forte, soprattutto dopo la nascita dei figli, e viene marcata fortemente durante i vari riti familiari. In particolar modo il Natale è la festa per eccellenza dove la famiglia viene messa al primo posto. Se prima di diventare genitori, nonostante la convivenza, la coppia continuava a trascorrere il Natale separatamente, con l'arrivo dei figli le cose cambiano radicalmente. Si negozia la soluzione più adatta per tenere unita la nuova famiglia che si è creata, cercando di non perdere i contatti con le rispettivi reti familiari. Emerge, indistintamente tra donne e uomini, che la scelta più ricorrente è l'alternanza: si cerca di turnarsi il più possibile in modo da passare le feste con tutti. Oppure si utilizzano le ricorrenze per mettere insieme entrambe le famiglie di origine, così da non dover rinunciare alla compagnia di nessuno e in più consolidare la rete familiare della coppia.
Per quanto riguarda le relazioni con l'ambiente extra-familiare, nelle coppie di uomini la visibilità come genitori e coppia appare più immediata date le forti aspettative sociali riguardanti la presenza della madre nella cura dei bambini.
Per noi è inevitabile il coming out [...]. Quando siamo in autobus e la vecchietta di turno si gira e dice «dov'è la mamma», non posso dire «la mamma è a casa» davanti ai miei figli, perché chiaramente loro diranno «ma come? Ma perché stai mentendo? Perché non stai raccontando la nostra storia vera? Se menti vuol dire che c'è qualcosa di sbagliato in questa storia». Quindi in ogni occasione noi dobbiamo raccontarci, a volte devo dire anche con fatica ah però, ormai siamo abituati (Enrico, 36 anni).
Il riconoscimento sociale della genitorialità delle coppie formate da due persone dello stesso sesso, dunque, passa attraverso la quotidianità del loro essere famiglia. La strategia scelta - che per molti versi rispecchia l'adesione delle persone intervistate all'associazione Famiglie Arcobaleno - è presentarsi come nucleo familiare per dare la possibilità di far vedere ad altri la propria realtà, a prescindere dalla condivisione o meno di tale scelta.
L'inclusione nelle reti sociali riguarda anche altri contesti relazionali: la scuola, il vicinato e il lavoro. Così come nelle rispettive famiglie di origine, anche nel contesto scolastico dei loro figli la strategia della visibilità è di tipo diretto. I genitori - uomini e donne indifferentemente - si presentano apertamente come famiglia formata da due persone dello stesso sesso. La strategia è funzionale al riconoscimento della genitorialità: durante gli Open Day i genitori si presentano ai vari nidi apertamente, fin da subito si rendono visibili come famiglia formata da due papà o da due mamme. La motivazione principale è il bisogno di capire qual è la reazione degli o delle insegnati nei confronti di questa situazione familiare:
Io ho fatto tutto il giro dei nidi, Maria era ancora in maternità quindi li ho fatti io e dicevo a tutti che Laura c'ha due mamme per vedere la reazione (Claudia, 31 anni).
Noi ci siamo presentati da subito come due padri, abbiamo spiegato come erano nati i bambini per evitare, sai, queste cose per cui uno è il padre e l'altro chi è, lo zio, boh, non si sa. E' bene essere chiari fin da subito (Pietro, 51 anni).
Oltre all'approvazione iniziale da parte dell'insegnante i genitori si trovano, poi, ad affrontare un contesto più ampio di relazioni nelle quali sono inseriti i loro figli: i compagni di classe e i loro genitori. Le persone intervistate non riferiscono episodi di discriminazione o maltrattamenti nei loro confronti o verso i loro figli. Tuttavia, esse sono consapevoli del fatto che avere un atteggiamento aperto non equivale ad accettare automaticamente la loro forma familiare e/o l'omosessualità in generale. Ciò che, però, per loro è importante è che i loro figli possano vivere in un clima di accoglienza con i compagni e le maestre. Partecipano, inoltre, ai vari compleanni dei compagni di classe e, di contro, invitano nelle loro case i compagni di scuola con le rispettive famiglie per festeggiare i compleanni dei propri figli.
Il coming out non è esplicito, invece, per quanto riguarda la rete di vicinato. Non per timore di eventuali reazioni negative, ma perché non pensano di dover esplicitare direttamente la loro realtà a persone che non sono amici, familiari o parenti. Tuttavia, tutti danno per scontato che i loro vicini siano a conoscenza della loro realtà familiare, grazie anche alla presenza dei bambini. In questo contesto non solo prevale il non detto, ma ciò non desta preoccupazioni come invece accade con le famiglie di origine. Nonostante tutto, i vicini manifestano solidarietà nei confronti di coppie in cui è appena nato un bambino, anzi è proprio la nascita che rende questi rapporti più stretti.
Oltre alla visibilità, all'interno della rete sociale si negoziano anche strategie di aiuto reciproco. In questo senso, il ruolo principale viene svolto dalle famiglie di origine, e uno marginale dagli amici e dal vicinato, soprattutto per quanto riguarda le necessità improvvise causate dalle difficoltà di conciliare lavoro e famiglia. Le figure dei nonni, ove presenti, risultano essere indispensabili nella gestione dei figli. Sono principalmente le nonne che si occupano del lavoro di cura dei nipoti ma non solo, aiutano anche nella gestione della casa contribuendo ai lavori domestici. Mentre i nonni hanno più un rapporto ludico con i nipoti e si occupano degli aiuti economici. La lontananza geografica di almeno una delle due famiglie di origine viene narrata come un fattore che genera problemi. Tanto che alcuni genitori scelgono di avere una seconda casa vicina al figlio o alla figlia, mentre altri - rimasti soli nel loro contesto - si trasferiscono definitivamente vicino ai figli, soprattutto alle figlie.
Nelle famiglie, indipendentemente se formate da coppie di due donne o di due uomini, l'aiuto non è solo quello ricevuto. L'aiuto viene anche dato, seppure - come affermano loro stessi - in misura minore rispetto a quello ricevuto. L'aiuto dato ai propri familiari, principalmente, è di tipo pratico e burocratico, con genitori che non hanno dimestichezza con la tecnologia, compiere commissioni piuttosto che accompagnarli per visite mediche. Raramente si dà aiuto di tipo economico. La lontananza è una variabile che, insieme al lavoro, alla mancanza di risorse e la poca competenza, viene utilizzata come scusa per spiegare lo squilibrio nella divisione del lavoro familiare, precisamente nel dare aiuti.
Conclusioni
Riflettendo sulla propria esperienza genitoriale, una delle donne intervistate - Elvira - si stupisce di come si siano venuti a definire i rapporti con la sua famiglia di origine: «nei momenti critici di bisogno è incredibile come sia la famiglia tra virgolette di sangue quella che torna ad essere fondamentale, su cui fare affidamento». Il sostegno fornito dalla rete della famiglia allargata si qualifica quindi come un aspetto sorprendente per la sua efficacia e gratuità, per quanto lo si desse per scontato o per quanto si sia fatto per ottenerlo. Probabilmente, questo stupore si riscontrerebbe in tutte le famiglie italiane data la dimensione di obbligo morale che struttura la relazione tra genitori e figli nel nostro paese. D'altro canto, il medesimo stupore appare più giustificato nel caso dei genitori omosessuali che sono costretti a fare le loro scelte in un contesto che, almeno istituzionalmente, non li prevede.
Ma l'affermazione di Elvira rivela anche come le esperienze omogenitoriali non traggano solo dalle reti comunitarie le risorse necessarie per far fronte alle incombenze della vita quotidiana, come invece suggerirebbe l'etichetta di families of choice che ha riscosso tanto successo nella letteratura internazionale (cfr. Weston 1991). I "legami di sangue" sono inclusi tra quelli più significativi, dai quali si ottengono sia riconoscimento che aiuti materiali nei momenti di bisogno. Come peraltro emerge dalla ricerca internazionale, i nostri intervistati testimoniano di come la famiglia di origine rientri anche nelle aspettative e nella negoziazione del progetto di genitorialità, nel momento in cui si può scegliere quale dei due partner sarà il genitore legale.
Inoltre, l'importanza del "legame di sangue" si dimostra cruciale nella legittimazione delle nuove famiglie. Nel quadro dei mutamenti e delle continuità a cui i nuclei omogenitoriali danno vita, il potersi presentare come "entrambi ugualmente genitori" agli occhi degli altri, muovendosi in modo strategico nel mondo delle tecnologie riproduttive e ribadendo l'egemonia della coppia come nucleo genitoriale "naturale", rimanda ad un complesso meccanismo di "costruzione sociale della biologia". Si tratta certamente di aspetti già noti in letteratura, ma che finora non sono mai stati associati alle "domande di famiglia" provenienti da gruppi specifici.
Se riferito ai genitori gay, tutto ciò non è esente da criticità, molte delle quali hanno già alimentato ampi dibattiti centrati sul tema dello sfruttamento del corpo delle donne nei casi in cui il progetto genitoriale si avvalga della surrogacy. A questo dibattito noi aggiungiamo un tassello. Le narrazioni dei padri gay che abbiamo raccolto ci dicono che le donne che hanno "prestato" il proprio corpo per la surrogacy vengono incluse nella rete di riferimento delle nuove famiglie, anche se solamente come soggetti narrati. Ai figli nati da questi corpi viene spiegato che le donne che li hanno partoriti non sono le loro mamme. Ciò è perfettamente funzionale agli scopi di legittimazione che questi nuclei perseguono. Ma mostra anche un aspetto più problematico: la costruzione sociale del "legame di sangue" che legittima socialmente le coppie gay risulta possibile solo escludendo tout court la rilevanza del corpo femminile che dona la vita. È questo probabilmente un nuovo aspetto della degenderizzazione - ovvero l'idea dell'intercambiabilità tra i sessi e il conseguente offuscamento delle disuguaglianze - che viene sollecitata dalle trasformazioni sociali di cui le persone gay e lesbiche si fanno portatrici.
1 Il lavoro è frutto della collaborazione tra i due autori. Dovendo tuttavia attribuire le singole par ti, l'Introduzione e i paragrafi 1 e 2 sono stati scritti da Luca Trappolin, mentre i paragrafi 3, 4 e 5 sono stati scritti da Angela Tiano. Le Conclusioni vanno attribuite a entrambi.
2 Il campione nazionale è così composto: 2.136 donne lesbiche; 8.668 uomini gay; 805 donne bisessuali e 996 uomini bisessuali. La categorizzazione si basa sull'orientamento sessuale dichiarato dalle persone inter vistate. Le percentuali che abbiamo ripor tato non tengono conto del campione di uomini e donne che si definiscono bisessuali. Per questi ultimi, la percentuale di madri è analoga a quella delle madri lesbiche (15%), mentre tra gli uomini che si definiscono bisessuali i padri raggiungono il 50%. Il metodo di interrogazione del database, tuttavia, non per mette di verificare le composizioni dei nuclei familiari omogenitoriali.
3 Anche in questo caso non è possibile distinguere i nuclei familiari femminili da quelli maschili.
4 Si tratta del progetto di dottorato della scrivente attivato nella Scuola di dottorato in Scienze Sociali dell'Università degli Studi di Padova.
5 Gestazione per altri.
6 Fertilizzazione in vitro con trasferimento dell'embrione.
Riferimenti bibliografici
Allegro S. (2006), Le sfide della maternità lesbica: uno studio sui percorsi di coming out madre-figli, in D. Rizzo (a cura di), Omosapiens. Studi e ricerche sugli orientamenti sessuali, Roma: Carocci, 43-54.
Almack K. (2008), DisplayWork: Lesbian Parent Couples and Their Families of Origin Negotiating New Kin Relationships, in «Sociology», 42(6): 1183-1199.
Barbagli M., Colombo A. (2007), Omosessuali moderni. Gay e lesbiche in Italia, Bologna: Il Mulino.
Benkov L. (1994), Reinventing the Family: Lesbian and Gay Parents, New York: Crown.
Bernstein M. (2015), Same-Sex Marriage and the Future of the Movement, «Gender & Society», Vol. 20, N. 10: 1-18.
Bernstein M. and Reimann R. (2001, eds), Queer Families, Queer Politics: Challenging Culture and the State, New York: Columbia University Press.
Bertone C. (2005), Esperienze di famiglia oltre l'eterosessualità, in E. Ruspini (a cura di), Donne e uomini che cambiano. Relazioni di genere, identità sessuali e mutamento sociale, Milano: Guerini, 239-261.
Bertone C. (2008), Confini familiari. Paradossi e possibilità negli studi sulle famiglie omosessuali, in L. Trappolin (a cura di), Omosapiens 3. Per una sociologia dell'omosessualità, Roma: Carocci, 182-193.
Bertone C. (2009), Una sfida a quale famiglia? Comprendere i mutamenti familiari attraverso le esperienze dei genitori non eterosessuali, in C. Cavina, D. Danna (a cura di), Crescere in famiglie omogenitoriali, Milano: Franco Angeli, 89-102.
Blumstein P., Schwartz P. (1983, eds), American Couples, NewYork: William Morrow.
Bosisio R., Ronfani P. (2013), Rappresentazioni e pratiche della responsabilità genitoriale nelle famiglie omogenitoriali, in G. Maggioni et al. (a cura di), Bambini e genitori. Norme, pratiche e rappresentazioni della responsabilità, Roma: Donzelli, 77-101.
Bottino M. (2008), Genitori omosessuali, omogenitorialità e nuclei omogenitoriali, in L. Trappolin (a cura di), Omosapiens 3. Per una sociologia dell'omosessualità, Roma: Carocci, 194-208.
Bottino M., Danna D. (2005), La gaia famiglia. Che cos'è l'omogenitorialità?, Trieste: Asterios.
Butterfield J., Padavic I. (2014), The Impact of Legal Inequality on Relational Power in Planned Lesbian Families, «Gender & Society» , Vol. 28, N. 5: 752-774.
Cavina C., Carbone R. (2009), L'eccezionale quotidiano: le famiglie con madri lesbiche, in C. Cavina e D. Danna (a cura di), Crescere in famiglie omogenitoriali, Milano: Franco Angeli, 43-63.
Chauncy G. (2004), Why Marriage? The History Shaping Today's Oebate over Gay Equality, Cambridge: Basic Books.
Clarke V. (2001), What about the Children? Arguments Gay and Lesbian Parenting, in «Women's Studies International Forum», Vol. 24, N. 1: 555-570.
Corradi L. (2008), Redefining Reproductive Rights: An Ecofeminist Perspective on In Vitro Fertilization, Egg Markets and Surrogate Motherhood», in «Advances in Gender Studies, Vol. 12: 245-273.
Council of Europe (2011), Discrimination on Grounds of Sexual Orientation and Gender Identity in Europe, Strasbourg: Council of Europe Publishing.
D'Ippoliti C., Schuster A. (2011, a cura di), DisOrientamenti. Discriminazione ed esclusione sociale delle persone LGBT in Italia, Roma: Armando Editore.
Dalton S.E., Bielby D.D. (2000), That's Our Kind of Constellation. Lesbian Mothers Negotiate Institutionalized Understandings of Gender within the Family, in «Gender & Society», Vol. 14, N. 1: 36-61.
Danna D. (1998), Io ho una bella figlia. Le madri lesbiche raccontano, Forlì: Zoe.
Danna D. (2009), Madri lesbiche in Italia: il mito della discriminazione, in C. Cavina D., Danna D. (a cura di), Crescere in famiglie omogenitoriali, Milano: Franco Angeli, 89-102.
Dempsey D. (2013), Surrogacy, Gay Male Couples and the Significance of Biogenetic Paternity, in «New Genetics and Society», Vol. 32, N. 1: 37-53.
Dunne G.A. (2000), Opting into Motherhood. Lesbians Blurring the Boundaries and Transforming the Meaning of Parenthood and Kinship, in «Gender & Society», Vol. 14, N. 1: 11-35.
European Union Agency for Fundamental Rights (2007), Homophobia and Discrimination on Grounds of Sexual Orientation and Gender Identity in the EU Member States: Part I. Legal Analysis, Vienna: European Union Agency for Fundamental Rights.
European Union Agency for Fundamental Rights (2008), Homophobia and Discrimination on Grounds of Sexual Orientation and Gender Identity in the EU Member States: Part II. The Social Situation, Vienna: European Union Agency for Fundamental Rights.
European Union Agency for Fundamental Rights (2012), Fundamental Rights: Challenges and Achievements in 2011, Vienna: European Union Agency for Fundamental Rights.
European Union Agency for Fundamental Rights (2014), European Union lesbian, Gay, Bisexual and Transgender Survey. Main Results, Vienna: European Union Agency for Fundamental Rights.
Finch J. (2007), Displaying Families, in «Sociology», 41(1): 65-81.
Garbagnoli S. (2014), "L'ideologia del genere": l'irresistibile ascesa di un'invenzione retorica vaticana contro la denaturalizzazione dell'ordine sessuale, in «AG - AboutGender», 3(6): 250-263.
Gerhards J. (2010), Non-Discrimination towards Homosexuality: The European Union's Policy and Citizens' Attitudes towards Homosexuality in 27 European Countries, in «International Sociology», 25 (1): 5-28.
Gigli A. (2011, a cura di), Maestra, ma Sara ha due mamme? Le famiglie omogenitoriali nella scuola e nei servizi educativi, Milano: Guerini.
Hayden C.P. (1995), Gender, Genetics and Generation: Reformulating Biology in Lesbian Kinship, in «Cultural Anthropology», 10(1): 41-63.
ILGA-Europe (2013), Annual Review of the Human Rights Situation of Lesbian, Gay, Bisexual, Trans and Intersex People in Europe, Brussels: ILGA-Europe.
Istat (2012), La popolazione omosessuale nella società italiana, Roma: Istat.
Jones C. (2005), Looking Like a Family: Negotiating Biogenetics Continuity in British Lesbian Families Using Licensed Donor Insemination, in «Sexualities», 8(2): 221-237.
Jowett A. (2014), 'But ifYou Legalise Same-Sex Marriage'... Arguments against Marriage Equality in the British Press, in «Feminism & Psychology», 24(1): 37-55.
Kulpa R., Mizieliñska J. (2011, eds), De-Centering Western Sexualities. Eastern and Central European Perspectives, Farnham: Ashgate.
Kurdek L.A. (2007), The Allocation of Household Labor by Partners in Gay and Lesbian Couples, in «Journal of Family Issues», Vol. 28, N. 1: 132-148.
Lelleri R. et al. (2005), Modi di. Sesso e salute di lesbiche, gay e bisessuali oggi in Italia, Bologna: Arcigay.
Lelleri R., Prati G., Pietrantoni L. (2008), Omogenitorialità: i risultati di una ricerca italiana, in «Difesa sociale», 4: 71-84.
Lewin E. (2009), Gay Fatherhood: Narratives of Family and Citizenship in America, Chicago: University of Chicago Press.
Mepschen P., Duyvendak J.W., Tonkens E.H. (2010), Sexual Politics, Orientalism and Multicultural Citizenship in the Netherlands, in «Sociology», 44(5): 962-979.
Moore M., Stambolis-Ruhstorfer M. (2013), LGBT Sexuality and Families at the Start of the Twenty-First Century, in «Annual Review of Sociology», 39(1): 491-507.
Murphy D.E. (2013), The Desire for Parenthood: Gay Men Choosing to Become Parents Through Surrogacy, in «Journal of Family Issues», 34(8): 1104-1124.
Naples N.A. (2004), Queer Parenting in the New Millennium, in «Gender & Society», 18(6): 679-684.
Nordqvist P. (2010), Out of Sight, Out of Mind: Family Resemblances in Lesbian Donor Conception, in «Sociology», 44(6): 1128-1144.
Prisco S. (2013), Una nuova problematica frontiera dell'uguaglianza, in F. Corbisiero (a cura di), Comunità omosessuali. Le scienze sociali sulla popolazione LGBT, Milano: Franco Angeli: 53-77.
Roach Anleu S. (1992), Surrogacy: For Love but Not for Money?, in «Gender & Society», 6(1): 30-48.
Robinson C.M., Spivey S.E. (2007), The Politics of Masculinity and the Ex-Gay Movement, in «Gender & Society», 21(5): 650-675.
Ruspini E., Luciani S. (2010), Nuovi genitori, Roma: Carocci.
Ryan M., Berkowitz D. (2009), Constructing Gay and Lesbian Parent Families 'Beyond the Closet', in «Qualitative Sociology», 32: 153-172.
Slater S. (1995), The Lesbian Family Life Cycle, New York: Free Press.
Stacey J. (2006), Gay Parenthood and the Decline of Paternity asWe Knew It, in «Sexualities», 9(1): 27-55.
Stein A. (1997), Sex and Sexuality: Stories of a Lesbian Generation, Berkeley: University of California Press.
Stein A. (2005), Make Room for Daddy. Anxious Masculinity and Emergent Homophobias in Neopatriarchal Politics, in «Gender & Society», 19(5): 601-620.
Stewart C.O. (2008), Social Cognition and Discourse Processing Goals in the Analysis of Ex-Gay' Rhetoric, in «Discourse & Society», 9(1): 63-83.
Stulhofer A., Rimac I. (2009), Determinants of Homonegativity in Europe, in «Journal of Sex Research», 46(1): 24-32.
Trappolin L. (2006), Omogenitorialità. Frontiere, regole, routines, in F. Bimbi, R. Trifiletti (a cura di), Madri sole e nuove famiglie. Declinazioni inattese della genitorialità, Roma: Edizioni Lavoro, 305-324.
Trappolin L. (2009), Quanto e come si parla oggi di omogenitorialità in Italia?, in C. Cavina, D. Danna (a cura di), Crescere in famiglie omogenitoriali, Milano: Franco Angeli: 117-128.
Trappolin L. (2010), L'homoparentalité et l'horizon de la modernité. Mères lesbiennes, pères homosexuels dans les discours de la presse italienne, in E. Ruspini (a cura di), Monoparentalité, homoparentalité, transparentalité en France et en Italie. Tendances et défis qui émergent, nouvelles exigences, Paris: L'Harmattan: 123-142.
Viggiani G. (2015), Dal diritto alla privacy al diritto al matrimonio. L'omosessualità nella giurisprudenza costituzionale statunitense, Milano: Mimesis.
Walters S.D. (2014), The Tolerance Trap: How God, Genes and Good Intentions Are Sabotaging Gay Equality, New York: NewYork University Press.
Warner M. (1999), Normal and Normaller: Beyond Gay Marriage, in «GLQ», 5(2): 119-171.
Warner M. (1993, ed), Fear of a Queer Planet: Queer Politics and Social Theory, Minneapolis-London: University of Minnesota Press.
Weeks J., Heaphy B., Donovan C. (2001, eds), Same-Sex Intimacies: Families of Choice and Other Life Experiments, London: Routledge.
Weston K. (1991), FamiliesWe Choose: Gays, Lesbians and Kinship, New York: Columbia University Press.
Xhaho A. (2015), Nationalism and Homophobic Discourses in Albania. A Case-Study Analysis, in «AG - AboutGender», 4(7): 55-80.
Angela Tiano Ph.D. student at the Doctoral School of Social Sciences of the Department of Philosophy, Sociology, Education and Applied Psychology (FISPPA) of the University of Padova. She is currently working at a project on gay and lesbian parents in Italy.
Luca Trappolin Assistant Professor of Sociology at the Department of Philosophy, Sociology, Education and Applied Psychology (FISPPA) of the University of Padova, where he teaches Sociology of Differences. His main fields of research are the transformation of gender identities, the social construction of homosexuality and homophobia.
You have requested "on-the-fly" machine translation of selected content from our databases. This functionality is provided solely for your convenience and is in no way intended to replace human translation. Show full disclaimer
Neither ProQuest nor its licensors make any representations or warranties with respect to the translations. The translations are automatically generated "AS IS" and "AS AVAILABLE" and are not retained in our systems. PROQUEST AND ITS LICENSORS SPECIFICALLY DISCLAIM ANY AND ALL EXPRESS OR IMPLIED WARRANTIES, INCLUDING WITHOUT LIMITATION, ANY WARRANTIES FOR AVAILABILITY, ACCURACY, TIMELINESS, COMPLETENESS, NON-INFRINGMENT, MERCHANTABILITY OR FITNESS FOR A PARTICULAR PURPOSE. Your use of the translations is subject to all use restrictions contained in your Electronic Products License Agreement and by using the translation functionality you agree to forgo any and all claims against ProQuest or its licensors for your use of the translation functionality and any output derived there from. Hide full disclaimer
Copyright Universita degli Studi di Firenze, Dipartimento di Scienza Politiche Sociali Jun 2015
Abstract
Lesbian and gay parenthood is the most adversed topics of the recognition of lesbian and gay families, both from the point of view of the concession of rights and the one of social legitimation. In Italy, the sociological research on the recognition of lesbian and gay families with children is not comparable to the international one. Nevertheless, the development of a political discourse on the rights of lesbian and gay people - with or without families, with or without children - by European institutions is broadening the interest of Italian sociologists. The article analyses the experiences of 12 gay Italian lesbian and gay parents in order to understand how they negotiate and achieve social legitimation in front of their families of origin, local institutions and neighbours. Results show that lesbian and gay families with children give an important contribution for the pluralization of practices and meanings related to the family. At the same time, they reproduce some crucial features supporting the hegemonic interpretation of the family: the centrality of the couple and the importance of blood ties for the definition of kinship.
You have requested "on-the-fly" machine translation of selected content from our databases. This functionality is provided solely for your convenience and is in no way intended to replace human translation. Show full disclaimer
Neither ProQuest nor its licensors make any representations or warranties with respect to the translations. The translations are automatically generated "AS IS" and "AS AVAILABLE" and are not retained in our systems. PROQUEST AND ITS LICENSORS SPECIFICALLY DISCLAIM ANY AND ALL EXPRESS OR IMPLIED WARRANTIES, INCLUDING WITHOUT LIMITATION, ANY WARRANTIES FOR AVAILABILITY, ACCURACY, TIMELINESS, COMPLETENESS, NON-INFRINGMENT, MERCHANTABILITY OR FITNESS FOR A PARTICULAR PURPOSE. Your use of the translations is subject to all use restrictions contained in your Electronic Products License Agreement and by using the translation functionality you agree to forgo any and all claims against ProQuest or its licensors for your use of the translation functionality and any output derived there from. Hide full disclaimer